la
malattia è degna di venerazione perché
serve ad affinare l'uomo e renderlo
intelligente
ed eccezionale (Thomas Mann) Commemorare oggi
Nietzsche, a cento anni dalla morte, dopo tutto
quello che è stato scritto su di Lui in un
secolo, non è facile, non perché Nietzsche sia
difficile ma perché noi non riusciamo ad essere
semplici e sinceri con noi stessi.
Si fraintendono i suoi pensieri quando vengono
presi alla lettera, oppure se ne scelgono alcuni
trascurando gli altri che dicono l'opposto.
Il suo, come ha osservato Karl Jaspers, è un
linguaggio immediato, non impoverito dalla
mediazione del pensiero (1).
Anche per questo, forse, Nietzsche non si può
e non si deve spiegare, né imparare né, tanto
meno, criticare, ma semplicemente ascoltare:
"sempre che si abbiamo orecchie per
intendere". Si può essere autentici
nietzschiani o prima di leggere Nietzsche o dopo
averlo dimenticato.
Come scrisse lo studioso palermitano Andrea Lo
Forte Randi nel 1905: "
I libri di
Nietzsche non sono che sogni. Leggere questi suoi
libri è come peregrinare per l'infinito; essi
sfuggono ad ogni esame e ad ogni critica perché
non entrano in nessuna delle solite
classificazioni. Sono libri sui generis, senza
compagni, anche'essi solitari come il loro autore
e come tutte le cose di immensurabile
prezzo" (2).
Nietzsche attacca le proprie convinzioni prima
ancora di attaccare le convinzioni degli altri,
smascherandone la falsità. Si contraddice per
restare fedele agli stati d'animo alla Terra ed
alla vita. La Vita è per lui il più grande
capolavoro d'arte, ed egli è un filosofo
"artista della vita": è una metafora
della vita.
Nega per affermare. Distrugge per creare.
Parla per non parlare. Quando egli dice che
"la vita non è un argomento" e che
"non può essere giudicata da nessuno",
parla di se stesso. Per lui non vi è nulla di
definitivo e di determinato.
Le sue idee nascono dagli "stati d'animo
che si susseguono e si superano in un circolo
eterno" e che solo lui può analizzare.
Nietzsche è il "campo di
battaglia", è l'enigma, è la tragedia.
Enigma e tragedia, siamo tutti noi! Nietzsche sa
di essere un enigma, attratto com'è dal fascino
della X, mentre la maggior parte dei filosofi e
dei non filosofi crede che tutto sia chiaro e
spiegabile. La sua è una superfilosofia. E' la
filosofia che supera se stessa, che si nega per
affermarsi nella sua autenticità. E' Nietzsche
contro se stesso. Nietzsche senza Nietzsche.
E' la filosofia senza la filosofia. E'
l'autentico imparentato con l'inautentico. E' la
vita stessa.
E tuttavia anche se Nietzsche non si spiega,
noi siamo qui riuniti a parlare di lui, per
interpretarlo. Non è una obiezione, una
contraddizione
è il rovesciamento della
prospettiva da Nietzsche stesso voluto. Noi
parliamo di Nietzsche, ma guardiamo altrove (3)
Nietzsche avrebbe preferito non scrivere la
propria vita, ma viverla.
Scrivere gli diventò necessario per
sopportarla. Scrivere divenne una forma di
autoterapia come rivela nella lettera a Rodhe:
"Caro vecchio amico, mi pare che per quanto
riguardi la vita tu te ne intenda meglio di me.
Infatti, hai saputo inserirti in essa, mentre io
la vedo sempre più da lontano: forse per questo
la scorgo sempre più evidente, sempre più
terribile, sempre più vasta ed affascinante. Ma
guai a me se un giorno non potessi più reggere
così straniato da tutti". (1886) (4). In
queste parole si sente il profondo dramma della
solitudine ed il presentimento di quello che gli
accadrà due anni dopo.
Aveva ben detto Jung che " Nietzsche
visse il no e disse di si alla vita". I
filosofi sono tutti "falsari inconsci",
va ripetendo Nietzsche; essi non sanno che la
filosofia riguarda soprattutto se stessi, è il
"fraintendimento del proprio corpo".
Tutte le filosofie sono un prodotto della
malattia" (5). Per Nietzsche tutti i sistemi
filosofici sono "falsi e disonesti"
quindi sono "filosofie colpevoli",
perché si fondano sulla morale ed in particolare
sulla morale cristiana. Sono filosofie pretesche:
preteschi sono anche quei filosofi che pur
criticando la morale cristiana, non si accorgono
di essere rimasti legali ad essa ed inseguono
l'ideale ascetico.
Si salva solo Eraclito che Nietzsche considera
suo unico precursore. Alla filosofia colpevole e
pretesca, Nietzsche contrappone la filosofia
extramorale, "innocente", senza colpa,
simboleggiata dal fanciullo, la filosofia che non
è al servizio della conoscenza. Ritornare ad
essere eternamente fanciullo è il vero
significato del divenire ciò che si è.
"Dal punto di vista morale tutta la
filosofia è menzogna, mentre dal punto di vista
extramorale, la menzogna diventa la capacità
dell'uomo di creare i valori antitetici a quelli
tradizionali: la veridicità", così si
esprimeva lo studioso Luigi Rustichelli (6).
La conoscenza deve essere al servizio della
vita e non il contrario: egli esalta, in un certo
senso, la figura dell'ignorante
Egli
stesso ignorava molti classici della storia della
filosofia, di cui aveva una conoscenza di seconda
e di terza mano. Gli bastava intuire quel che
volevano o non volevano dire: riteneva i filosofi
insinceri, si rifiutava di leggerli perché
pensava non ne valesse la pena: li trovava freddi
e senza pathos e, da creativo, non riusciva a
seguirne i ragionamenti. A volte si vergognava di
ignorare tante cose, ma poi si vergognava della
vergogna.
E' attraverso la nuova filosofia del sospetto
e del tentativo, che consiste nello sperimentare,
ovvero distruggere per creare, che egli attacca
tutte quelle filosofie colpevoli di avere
impoverito l'uomo e la vita. Perché l'atto
creativo non venga inibito, Nietzsche raccomanda
di leggere il meno possibile (7).
Egli è tutta passionalità: scrivere è come
dipingere col sangue "
Io parlo
soltanto di cose vissute e non presento soltanto
processi del cervello" (Aforisma 84).
"
Tutte le mie opere sono scritte con
la mia anima e con il mio corpo. Io ignoro quelli
che sono i problemi intellettuali
"
(frammento dell'88).
Come Emerson non analizza ma vede, non
dimostra ma intuisce. Sente e vede l'eternità.
La sua filosofia riflette una moltitudine di
stati d'animo che oscillano tra l'umore gaio e
l'umore nero, sottoposti a continue analisi
introspettive.
Il senso tragico dell'esistenza, il
prospettivismo, la dialettica tra Apollineo e
Dionisiaco, tra malattia e salute, l'eterno
ritorno, la volontà di potenza, il superuomo
sono un prodotto dei suoi stati d'animo, come
lascia intendere egli stesso.
Lo psichiatra Borgna, nel suo recente libro
sulla melanconia, fa derivare dalla melanconia,
il dionisiaco e dice: "la saggezza tragica
si conquista con la malattia" e ancora
citando Romano Guardini "la persona
melanconica ha certo la più profonda relazione
con la pienezza dell'esistenza (8).
Il grandedolore ci fa profondi e ci insegna
l'arte del grande sospetto" (9). E' la
filosofia come malattia, o meglio è Nietzsche
come malattia e la malattia come filosofia.
I continui cambiamenti d'umore lo
costringevano, durante le sue passeggiate, al bar
o a casa, ad annotare continuamente in foglietti
di carta le idee che gli si accavallavano nella
mente, i cosiddetti pensieri rapidi: in
psichiatria questo fenomeno viene chiamato
"fuga delle idee"; ciò può spiegare
il suo ricorso all'aforisma. Scrive Eugene
Breuler "il pensiero del maniaco-depressivo
si impronta alla fuga delle idee
Le idee
affluiscono con grande facilità
indipendentemente dalla volontà del malato"
(10).
"La malattia maniaco-depressiva, -scrive
ancora Giovanni Cassano- nella maggioranza dei
casi rappresenta il motore di una attività
febbrile e creativa, la fonte di esperienze
luminose, un tribunale per giudizi severi ed
inflessibili su di sé e sul mondo" (11).
Non si può parlare di Nietzsche senza parlare
della sua malattia e della concezione filosofica
che egli aveva della stessa. Per Jaspers:
"la malattia di Nietzsche non ha solo
interrotto in modo rovinoso la sua vita, ma nella
sua lenta evoluzione, gli è talmente
connaturata, che senza la malattia non potremmo
immaginarci né la sua vita né la sua
opera". (Jaspers. op. cit., pag.118).
E' la malattia che gli apre come dice
Nietzsche stesso la via a molti ed opposti
modi di pensare. "La salute dello spirito si
misura da quanto esso è in grado di sopportare e
superare e cioè risanare. La malattia è un
sintomo della grande salute".
Secondo Jaspers a partire dal 1880 Nietzsche
vive "una profonda trasformazione mai
conosciuta prima nel corso della sua vita: nuove
atmosfere, tonalità diverse, nuove disposizioni
d'animo, lo pervadono in modo così ampio ed
intenso" che egli chiama fattore biologico e
talvolta patologico. Come mai Jaspers non si
accorge che questi possono essere i sintomi della
malattia maniaco-depressiva, preesistenti al 1880
e che dopo il 1880 si sono evoluti. Parlando
della malattia di Nietzsche, Jaspers scive
"in assenza di una diagnosi precisa, si deve
parlare di un fattore biologico che in futuro
potrà essere chiarito, grazie ai progressi della
psichiatria". (Jaspers, op. cit., pag. 101).
E allora Jaspers o ignorava il trattato di
Kraepelin pare diffickile (12), edi conseguenza
il fenomeno della malattia maniaco-depressiva, o
era prevenuto riguardo alla possibilità di fare
una diagnosi diversa dalla paralisi progressiva
(da lui ritenuta quasi certa).
Pur avendo ammesso l'esistenza di un fattore
biologico, Jaspers temeva probabilmente di
mettere in discussione il valore delle opere di
Nietzsche, che invece resta inalterato anzi viene
accresciuto dal momento cbe è caratteristica di
questa malattia stimolare la creatività del
genio.
Nel 1883 esce il libro di Kraepelin "La
follia maniaco-depressiva". Nel 1899 appare
la sesta edizione ed il termine
maniaco-depressivo viene usato per la prima
volta. "Esso comprendeva le psicosi
particolari e le manie semplici. Kraepelin non
escludeva dalla malattia i fattori biologici, i
fattori psicologici e sociali; infatti fu tra i
primi a sottolineare che cause psicologiche
possono fare precipitare i singoli episodi".
Questo potrebbe essere stato il caso di
Nietzsche).
Scrive Nietzsche a Peter Gast (1880):
"gli ultimi tempi ero sempre in uno stato
d'animo molto elevato. Sono andato molto al di
là di me stesso".
Stati elevati dell'esperienza creativa
dell'essere e la terribile melanconia delle
settimane e dei mesi di depressione si
alternavano.
A Fuchs nel 1887: "La veemenza delle mie
vibrazioni ulteriori è stata spaventosa nel
corso degli ultimi anni".
Negli anni 1882-1883 Nietzsche vive oltre a
giorni di ispirazione creativa esperienze
dell'essere di una terribile abissalità:
"Mi fermo. Improvvisamente sono stanco. In
avanti
Tutt'intorno è l'abisso
Dietro di me la montagna ,
Mi aggrappo
tremante ad un sostegno
Qui, gli arbusti
mi si spezzano tra le mani. Rabbrividisco, chiudo
gli occhi. Dove sono? Guardo dentro a una notte
di porpora, essa mi attrae e mi fa cenno. Che
cosa mi succede? Che cosa è accaduto da farti
improvvisamente mancare la voce e sentire come
sopraffatto da un peso di sentimenti ebbri ed
opachi? Di che soffro ora? Sì, soffrire è la
parola giusta! Qual tarlo mi rode il cuore?"
Scrive a Overbech nell'83: "la mia
sensibilità ha esplosioni così violente che un
solo attimo è sufficiente a farmi ammalare
completamente a causa di un semplice cambiamento
" Nel 1886, subito dopo la
pubblicazione di "Al di là del Bene e del
Male", scrive da Venezia ad una sua amica,
alla quale aveva spedito una copia dell'opera:
"Sarei anch'io al di là del bene e del
male, ma non dalla nausea, dalla noia, dalla
melanconia". Nietzsche era un melanconico,
ne aveva tutti i caratteri (13). Sulla melanconia
si raccomanda l'interessantissimo libro di
.Borgna già per Aristotele tutti i filosofi di
genio sono melanconici: Empedocle, Socrate e
Platone erano melanconici. Nell'86 alla sorella:
"Mi faccio coraggio quanto posso, ma una
melanconia senza pari si impossessa ogni giorno
di me, specialmente la sera
A che serve?
La vita è un esperimento, ma si ha un bel
dire e un bel fare, lo si paga sempre a troppo
caro prezzo" ("Epistolario" a cura
di Barbara Allason, pag. 238, lettera alla
sorella Feb. 1886).
Gli psichiatri tedeschi e italiani che
visitarono Nietzsche, si sono arrampicati sugli
specchi per giustificare tali diagnosi. Si è
fatta confusione probabilmente tra i sintomi
della paralisi progressiva e quelli della
malattia maniaco-depressiva, che per certi
aspetti sono simili. Alla stessa maniera ancor
oggi si continua a confondere la schizofrenia con
la malattia maniaco-depressiva.
La diagnosi di paralisi progressiva
scrive Anacleto Verrecchia in "La catastrofe
di Nietzsche" è una leggenda
e contro le leggende non ci sono antibiotici(13).
Si sarebbe potuto parlare di depressione
secondaria se Nietzsche avesse cominciato a
mostrare i sintomi dopo il 1880 come dice
Jaspers; solo che Nietzsche sin dall'infanzia ha
accusato quei malesseri psichici che sono tipici
di quella che oggi si chiama depressione bipolare
come dimostrato dalla moderna psichiatria.
Jaspers parla della presenza di un fattore
biologico e patologico a partire dall'80 e di
"malattie" dal 73, ma tralascia di
considerare che Nietzsche già durante
l'adolescenza e forse ancor prima presentava
disturbi dell'umore.
Spesso una sindrome maniaco-depressiva mal
diagnosticata è fuorviante, infatti Nietzsche
dava segni di melanconia probabilmente clinica
ancora prima dei vent'anni, cioè prima del
famoso episodio narrato da Paul Deussen della
visita di Nietzsche al bordello di Colonia, dove
avrebbe contratto la sifilide, tornandovi anche
due anni dopo. Inoltre la testimonianza della
sorella che Nietzsche durante la giovinezza è
stato completamente sano, è stata da Janz
confutata con testimonianze inoppugnabili (Janz
op. cit., pag.50).
All'età di quattro anni, infatti, egli
subisce il trauma della morte del padre, trauma
che non riuscirà più a superare. Nietzsche dava
nell'occhio ai compagni e rimase estraneo tra di
loro fin dall'età di sei anni. "In
quest'ambiente Nietzsche era un bambino solitario
e tale doveva rimanere. Fin da allora lo
circondava l'aura protettrice quanto pericolosa e
dolorosa della singolarità, che per tutta la
vita lo tenne lontano da qualunque legame
sociale. Ciò ovviamente non gli impedì di farsi
degli amici" (vedi Kurt Paul Janz, Vita di
Nietzsche, vol. 1°, pag.37).
A sette anni scrive di avere perduto
l'infanzia. Nietzsche cominciò a scrivere sui
suoi stati melanconici all'età di dodici anni e
vi ritornò a diciotto. Ciò concorda con quanto
si sa della malattia maniaco-depressiva i cui
primi sintomi tendono appunto a manifestarsi
nell'adolescenza e perfino nell'infanzia.
A dodici anni medita sugli stati d'animo:
"la melanconia mi riporta alla casa paterna,
lontano;" "i nostri stati d'animo si
approfondiscono sempre di più, nessuno
assomiglia con precisione ad un altro, bensì
ciascuno è infinitamente giovane, è il parto
dell'attimo
Vi saluto o stati d'animo,
mirabili alternanze di un'anima impetuosa, vari
come la natura, ma di essa più grandi, perché
vi superate di continuo, guardate sempre in alto,
mentre la pianta profuma oggi come profumava nel
giorno della Creazione.
Io non amo più come amavo qualche settimana
fa; in questo momento non sono più dello stesso
umore di quando ho incominciato a scrivere (14).
Così descrive il carattere di Nietzsche bambino
e adolescente il suo amico Pinder: "il
tratto fondamentale del suo carattere era una
certa malinconia, che si esprimeva in tutta la
sua natura. Fin dalla primissima infanzia amava
la solitudine per abbandonarsi ai propri
pensieri, evitava in certo modo la compagnia
degli uomini e frequentava invece i paesaggi che
la natura ha dotato di sublime bellezza. Aveva
animo molto fervido e pio, e già da bambino
rifletteva su cose delle quali gli altri della
sua età non si occupano
" (Janz, op.
cit., pag. 46).
Pinder parla di una certa timidezza
soprattutto tra persone estranee, tra le quali si
sentiva decisamente a disagio
"In
realtà l'introversione, - prosegue Pinder
l'ombrosa tendenza all'isolamento del carattere
di Nietzsche ragazzo sono l'espressione di un
giovane dominato dalla sua singolare vocazione
E' proprio tale singolarità di simili
ragazzi che fa sempre un effetto singolare ai
loro compagni; i più normali reagiscono con le
canzonature, perché a loro essa fa l'effetto di
boria e presunzione, mentre i più fini avvertono
l'aura dell'eletto, che però li mette a disagio
ovvero la considerano con timida
venerazione" (Janz, op. cit., pag.47).
All'età di quindici anni dalla scuola di
Pforta: "quando giunsi a Pforta il mio cuore
era oscurato dalle nuvole della tristezza e solo
il lieto ricordo delle vacanze lasciava filtrare
un po' di luce gioiosa, ma era solo quel
sentimento tra lieto e doloroso della
melanconia". (dall'Epistolario, col. 1°,
1976). Era un solitario che amava la solitudine.
Era solito passeggiare per le strade senza
meta. A diciotto anni: "Nella mia stanza è
un silenzio di morte. Davanti a me un calamaio
per annegarvi il mio nero cuore". Infatti a
diciotto anni fu colpito da una crisi
probabilmente di natura maniaco-depressiva che ha
sconvolto il suo sentimento vitale nl modo più
violento e lo fa vacillare tra l'adorazione e la
ribellione, tra la più orgogliosa autocoscienza
e la più profonda nausea di se stesso. Scrive
Janz: "il medesimo giovane che, attingendo
alla forza più profonda del suo essere, venga
con sicurezza da sonnambulo quei pensieri su Fato
e Storia, e nello stesso tempo ossessionato da
sogni angosciosi, e soffre non solo per
l'angustia della scuola e della routine
quotidiana, davanti alle quali, come confida alla
sorella, vorrebbe fuggire nella foresta vergine e
diventare taglialegna, non sa che fare delle sue
giornate e il mondo gli appare guasto: Non so che
cosa amare, Non c'è più pace in me, non so che
cosa credere, perché vivo? Perché? L'assurdità
della vita lo tormenta e gli strappa toni alla
Heine" (15). Nietzsche soffriva di
instabilità emotiva, di repentini e violenti
cambiamenti di umore. A diciannove anni:
"Confessiamolo, io scrivo su stati d'animo,
in quanto appunto ho uno stato d'animo, ed è una
fortuna che sia proprio nello stato d'animo di
descrivere stati d'animo. Tali stati d'animo,
ospiti della nostra anima, vengono non perché lo
vogliamo, e non vengono in quanto sono tali,
bensì vengono quegli ospiti che necessariamente
devono venire e appunto solo quelli". In
questa descrizione degli stati d'animo è
anticipata la concezione dell'amor fati e
dell'eterno ritorno e la concezione
dell'esistenza.
La personalità maniaco-depressiva
secondo Alexander, 1984, pag. 152 tende al
prevalere delle emozioni sulla ragione. Nietzsche
guardava alla vita pensando anche, di tanto in
tanto, al suicidio e ciò gli faceva scoprire
angoli nuovi e prospettive sconfinate. Egli
inoltre avrebbe voluto sperimentare anche la
pazzia, tanto che alcuni suoi amici, quando hanno
ricevuto i cosiddetti biglietti della follia,
avevano pensato al suo solito gioco del
mascheramento.
Nietzsche ha sempre sofferto profondamente la
solitudine, anche quando diceva di amarla: sempre
alla ricerca di qualcuno che sentisse come lui,
che provasse gli stessi sentimenti che provava
lui. Nella nota lettera dell'85 indirizzata alla
sorella fa il rendiconto della sua vita:
"
Dalla mia infanzia non ho mai
trovato nessuno che avesse in comune con me le
angosciose istanze del sentimento e della
coscienza
La malattia mi porta, sempre
più, al più spaventevole scoraggiamento. Non
invano sono stato tanto profondamente ammalato e
non invano lo sono in genere tuttora.
Tutto quanto ho scritto finora è pura
facciata, per me stesso nulla incomincia se non
dai puntini di sospensione. Esistono cose di
pericolosissima natura con le quali ho da
occuparmi.
Se nel frattempo io do vita a Zaratustra
questi non sono per me che dei divertimenti o
meglio paraventi dietro i quali possa per un po'
starmene rimpiattato
". E' ben strano
che Binswager, Mobius e gli altri psichiatri che
visitarono Nietzsche non siano riusciti ad
individuare quei sintomi (pur evidenti) per
formulare la diagnosi di malattia
maniaco-depressiva, che tuttavia era stata già
scoperta. Probabilmente Binswager e Mobius non
hanno avuto modo di conoscere bene la vita e le
opere di Nietzsche, mentre Hildebrandt, che aveva
letto Nietzsche e scritto un libro su di lui,
parla di nevrosi da conflitti psichici. Alla luce
di quanto sin qui affermato, risulta ancor più
strano che Jaspers, grande filosofo e psichiatra,
nel suo famoso libro su Nietzsche del 1936, che
è forse il più profondo e chiaro libro che sia
stato scritto su Nietzsche, parlando della sua
malattia, non abbia preso in considerazione la
sindrome maniaco-depressiva nel momento in cui
l'altro grande psichiatra tedesco Kraepelin, che
insegnava a Heidelberg, in un voluminoso trattato
pubblicato nel 1883, faceva conoscere al pubblico
i primi risultati di una interessantissima
ricerca sulla malattia maniaco-depressiva.
Il libro, come è noto è arrivato alla ottava
edizione nel 1928, un anno dopo la morte di
Kraepelin, ebbe un grande successo presso gli
psichiatri americani, fino a quando non prevalse
l'indirizzo psicanalitico. Kraepelin, che è la
massima autorità su questa malattia, ha
descritto come, in assenza di cure, essa può
portare alla pazzia.
Da quanto è emerso mi pare checi siano
elementi sufficienti per potere affermare che non
fu la paralisi progressiva a fare impazzire
Nietzsche, ma una grave forma di psicosi
maniaco-depressiva, causata da fattori biologici,
psichici ed ambientali che interagivano fra di
loro. - BIOLOGICI (si consideri l'anamnesi
familiare dal lato materno: secondo Mobius una
sorella della madre si sarebbe suicidata,
un'altra sarebbe impazzita e alcuni fratelli
avrebbero accusato disturbi psichici; anche il
padre ha sofferto di esaurimento nervoso, come
risulta dal verbale redatto dal sovrintendente
del luogo (Janz, op. cit. pag.32). - PSICHICI
(era timido, insicuro, spesso inibito,
"intuitivo con tendenza alla introversione
come la maggior parte degli ammalati
maniaco-depressivi: i suoi scritti per aforismi
sono caratteristici di un atteggiamento
intellettuale introverso" (16). - AMBIENTALI
(la morte del padre, la delusione amorosa,
l'incomprensione e la stupidità degli altri).
Nietzsche è arrivato a pensare ciò che non
è stato mai pensato da alcuno.
Ha processato, smascherato, condannato
l'insincerità dei filosofi e non filosofi verso
sé stessi. Sarà sempre un gigante del pensiero
Il più profondo e sincero pensatore di
tutti i tempi.
Palermo,
maggio 2000
|