Lettera di William Frediani dal carcere al Comitato contro la Repressione

17 dicembre 2004
Cari compagni del Comitato contro la Repressione di Pisa,

scrivo questa lettera per fare chiarezza sul nostro (mio e vostro) rapporto e per spiegarvi ciò che penso sulla solidarietà. Vi prego di far avere a questa lettera la massima diffusione perché ritengo contenga spunti interessanti all’apertura di un dibattito sulla solidarietà ai detenuti politici. Se dovesse circolare via internet (come mi auguro) con eventuali censure o modifiche, ciò significherebbe senz’altro la rottura dei nostri rapporti.

Colgo spunto da un fatto che rispecchia bene un atteggiamento generale. Mi riferisco ad un articolo de “Il Manifesto” apparso il 7 dicembre e alle vostre “precisazioni” pubblicate pochi giorni dopo sullo stesso quotidiano.
L’articolo, a firma di tale Sa.M., titolava: “Gli anarchici di Pisa diventano «terroristi». Arrestati in estate per le COR, ora sono accusati di eversione. Rimarranno in carcere”.

Si tratta di un articolo che descrive asetticamente e senza commenti la posizione del GIP e della Procura, ma deliberatamente non fa il minimo accenno alle posizioni delle difese. Giudico questo atteggiamento alquanto disonesto e servile nei confronti della repressione.
L’articolo chiude sostenendo che, sul mio computer, gli inquirenti avrebbero ritrovato il documento che rivendicava il lancio di una molotov contro l’abitazione di un’esponente di AN.

Credo di essere una persona abbastanza onesta. Come tale, non ho alcun rispetto per chi scrive menzogne. Ho totale disistima per chi scrive senza cognizione di causa. La signora Sa.M. appartiene a questo tipo di persone. Non che potessi aspettarmi un trattamento di favore da una giornalista che non considero certamente una compagna. Devo però aspettarmi, anzi pretendere, che non si scrivano stupidaggini. Se si vuole riportare solo le posizioni dell’accusa, si è liberi di farlo. Ma non può essere permesso di mentire.

La procura non ha trovato alcun documento di rivendicazione sul mio computer. Il lavoro di indagine svolto si è risolto in una buffonata vomitevole (sono stati costretti ad ammettere nell’ultima ordinanza – la terza in tre mesi – che non hanno né DNA, né testimoni, né impronte digitali, né altro). E’ tutto scritto, bastava prendersi la briga di leggere.
Non posso che manifestare il mio più radicale rifiuto di questo modo di fare giornalismo.

Mi sarei aspettato che anche voi, che vi battete contro la repressione, vi sareste schierati contro questa stampa al servizio delle logiche repressive. Invece avete ringraziato “Il Manifesto” per il “lavoro svolto”, premettendo addirittura che il contenuto dell’articolo era “nel giusto”, salvo “alcune inesattezze”. La cosa mi ha molto stupito, perché un atteggiamento così conciliante con la stampa infame mi addolora.

Dopo aver letto l’articolo de “Il Manifesto” avevo subito pensato ad una mia smentita che chiarisse decisamente le falsità che certa stampa regimista sputa sui comunisti e sugli anarchici incarcerati. Probabilmente avrei optato per una querela. Invece buone parole e ringraziamenti. In più avete scritto: “William ha sperato nell’esito di queste prove, che sono risultate in effetti negative, ma anche questo fatto è stato ignorato dalla Procura di Pisa”. Questa cosa non risponde a verità. Io non amo che si parli a nome mio. Tanto meno che si inventino sentimenti che non ho mai provato, come la “speranza” nell’assenza di prove. Io non ho mai sperato nella giustizia borghese e nel buon senso della Procura. Sono sempre stato sicuro che questa non avrebbe avuto prove perché sono innocente, ma sono altresì sempre stato sicuro che, nonostante ciò, la giustizia classista avrebbe continuato per la sua strada anti-comunista.

Posso pensare che abbiate mantenuto un atteggiamento soft per la paura di danneggiare la nostra posizione di indagati. Non giustifico questo modo di agire.

Posso pensare che vogliate conquistare una più larga fetta di benpensanti al sostegno della nostra (mia e dei miei coimputati) battaglia giudiziaria.
Non giustifico e non accetterò mai questo obbiettivo “politico”.

Compito di un Comitato contro la repressione dovrebbe essere quello di diffondere le idee dei prigionieri per reati politici, al fine di continuare a rendere vive e attive le lotte che i prigionieri conducevano fuori dal carcere e che il regime vorrebbe spezzare e ridurre al silenzio. Un Comitato contro la Repressione dovrebbe supportare i detenuti politici indipendentemente dalla loro innocenza o dalla condivisione delle loro opinioni. Avrei preferito se mi aveste scritto se volevo fare “alcune precisazioni” all’articolo de “Il Manifesto”, non ricevere precisazioni già scritte e pubblicate.

Vorrei che questa lettera godesse di larga diffusione, con allegata – qualora lo vogliate – la vostra risposta.
Vi comunico che, se non avete lo scopo di diffondere le idee dei detenuti e di supportarli indipendentemente dalla loro innocenza, il nostro (mio e vostro) rapporto può dirsi chiuso.

Se vi occupaste di diffondere ciò che i detenuti pensano e scrivono, anziché strizzare l’occhio alla stampa revisionista, non ci sarebbe bisogno di aver paura di danneggiarli.
Contro la paura, il coraggio delle idee!
Diamo parola a coloro cui lo Stato vuol chiudere la bocca!
Con immutato affetto comunista,
Willy

P.S. Non c’è bisogno di un Comitato apposito per fare della semplice solidarietà garantista. Per quella basta Emilio Fede quando parla di Dell’Utri.

P.P.S. Se pensate che dal vostro lavoro possa in qualche modo dipendere la nostra permanenza o meno in carcere, scendete al più presto dalle nuvole.

William Frediani c/o Casa Circondariale di Pisa
Via Don Bosco 43
56100 Pisa
(ora c/o Casa di Reclusione, Via Maiano 10 - 06049 Spoleto)

H O M E