UDIENZE DEL "PROCESSO ALLE COR"
5 dicembre 05: Prima udienza del “Processo alle COR”
Il “Processo alle COR” (senza COR) è stato rinviato al 13 febbraio 2005 in attesa del rientro di Francesco, attualmente detenuto in Spagna. Francesco avrebbe infatti accettato l’estradizione per poter essere giudicato insieme agli altri. La richiesta della riunificazione dei procedimenti, avanzata dall’avvocato difensore, Luca Pellegrini, ha trovato favorevoli il PM e gli altri difensori ed è stata accolta dalla Corte.
Il PM, Angela Pietroiusti, ha invece espresso parere sfavorevole alla richiesta dei difensori di William, Luca Pellegrini e Giuseppe Pelazza, relativa alla sua liberazione o ad una eventuale attenuazione della misura degli arresti domiciliari. Per il PM vi sarebbe infatti il pericolo di una reiterazione dei reati (mai commessi!). Il Giudice, dr. Angelo Perrone, si è riservato di decidere.
All’udienza non era inizialmente presente Alessio in quanto per un disguido non era stato avvertito.
Nonostante la preghiera rivolta ai giornalisti di non effettuare riprese televisive, questi hanno ripetutamente e di soppiatto tentato di effettuarle, provocando la reazione del pubblico presente.
L’udienza si è conclusa al grido di “Tutti liberi!”.
All’esterno del Tribunale, nonostante il clima meteorologico e poliziesco ostile, è stazionato un presidio con striscioni tra cui: “Non c’è pace senza giustizia” e “Le idee non si processano”.
13 febbraio 2006: Seconda udienza del “Processo alle COR”
Si è conclusa questa mattina la seconda udienza del processo contro i presunti appartenenti alle COR con un rinvio al 20 marzo. Giovedì 16 febbraio, infatti, si svolgerà a Firenze l’udienza preliminare nella quale potrebbe essere deciso il rinvio a giudizio anche per Francesco. In tale caso i procedimenti verranno unificati. Le prossime udienze in Corte d’Assise di Pisa si svolgeranno i giorni 20-21-22-23-24 marzo.
Francesco è in questo momento detenuto nel carcere di Spoleto; per chi volesse scrivergli, l’indirizzo è il seguente:
Francesco Gioia
Via Maiano 10
06049 Spoleto
Ieri pomeriggio (nel centro della città) e questa mattina (al Tribunale) si sono svolti presidi di solidarietà.
”PROCESSO ALLE COR”: Udienze 20-24 marzo 2006
Udienza del 20 marzo
L’udienza si apre con la piazza antistante il Tribunale completamente vuota e presidiata da Polizia,Carabinieri e Polizia Politica. L’accesso al Tribunale, pur reso difficoltoso a causa dei controlli eseguiti dagli agenti, si è svolto regolarmente. All’inizio dell’udienza, gli avvocati difensori hanno preso la parola per sostenere l’infondatezza dell’accusa mossa agli imputati (associazione, ed eversiva, per giunta), e, in subordine, l’inammissibilità della costituzione delle parti lese, in quanto, nel caso di conferma del procedimento per reato associativo (270bis), viene a decadere la possibilità per il singolo di costituirsi parte lesa. Il Giudice, dopo una lunga camera di consiglio, ha deciso di procedere e di ammettere le parti lese.
Personaggi di Alleanza Nazionale e un rappresentante dell’Italia dei Valori, all’unisono, hanno aderito alla possibilità di costituirsi parte civile. Il legale dei post-fascisti ha letto passaggi della Costituzione [sic!] non lesinando di offendere le difese, accusandole di mancanza di deontologia professionale. Il legale ha continuato nel suo intervento entrando addirittura nel merito dei singoli fatti, per essere poi interrotto dal presidente della Corte. Per tutta l’udienza, un individuo di An, protetto dalle forze di polizia, ha mantenuto un atteggiamento provocatorio verso i ragazzi e il pubblico, intervenuti a sostegno degli imputati. Una giornalista è stata accolta con una certa ostilità: per capire questo fatto è sufficiente rileggere i suoi scritti.
Solo al termine dell’udienza sono partiti slogan come “Gioia Libero” e “Fascisti carogne Tornate nelle fogne”.
Le versioni della stampa di regime
CORTE D’ASSISE: Undici alla sbarra per associazione eversiva
Cor, tensione al processo
Offese e minacce ai giornalisti
di Valeria Caldelli
PISA – Tensione in aula e piazza del Tribunale libera dalle auto e presidiata dalle forze dell’ordine nel primo giorno di processo alle Cor (Cellule di Offensiva rivoluzionaria), il gruppo eversivo che ha rivendicato una lunga serie di minacce e attentati incendiari compiuti tra il 2003 3 il 2004. Anche se questa volta i “supporter” degli 11 imputati non hanno sbandierato striscioni e sono saliti quietamente nell’aula dove si svolgeva l’udienza, l’atmosfera di doverosa civiltà e rispetto è svanita nel corso del dibattimento, lasciando il posto ad una sorta di tifo da stadio di cui hanno fatto le spese un avvocato di parte civile, e i giornalisti presenti in aula, che sono stati ripetutamente offesi. Numerosi i richiami delle forze dell’ordine e dello stesso presidente della Corte, Angelo Perrone. Al momento della conclusione della prima giornata del processo, dall’aula si è anche levato un coro inneggiante a “Gioia libero”. Francesco Gioia, 25 anni, livornese, in effetti è l’unico imputato ancora in stato di detenzione, essendo tutti gli altri ormai tornati in libertà, compreso il pisano William Frediani, 28 anni, considerato il “cervello” del gruppo eversivo, che ha ottenuto proprio mercoledì scorso l’annullamento degli arresti domiciliari, sostituiti dall’obbligo di firma due volte la settimana. Nel primo giorno del processo, avvocati difensori, parti civili e pubblico ministero hanno soppesato i reciproci avversari del dibattimento, presentando una serie di eccezioni. Da una parte i difensori hanno sottolineato una eccessiva genericità e indeterminatezza dei capi d’imputazione. “E’ possibile che siano tutti costitutori e organizzatori dell’associazione? Da nessuna parte si dice con quale condotta avrebbero aderito”, spiega l’avvocato Massimo Focacci. Che ribadisce: “Da ciò si deduce la nullità del decreto di citazione a giudizio”. Ma il Pubblico Ministero, Angela Pietroiusti non è stata affatto d’accordo con questa interpretazione. “Il reato di associazione con finalità di terrorismo e eversione è dettagliatamente contestato”, ha risposto. “Ci sono state 28 azioni violente in un anno e queste sono state esattamente indicate”. La Corte d’Assise (presidente Angelo Perrone; giudice a latere Teresangela Camelio: sei giudici popolari) le ha dato ragione ed ha deciso di non annullare il decreto di citazione e di proseguire il processo. Rifiutate anche le altre eccezioni sollevate dalla difesa sulla costituzione di parte civile di alcuni bersagli delle Cor, tra cui quella di Antonio Cassone, coordinatore provinciale dell’Italia del Valori, che ricevette una lettera di minacce il giorno dell’inaugurazione della sede. O anche quella di Maria Pia Fusco, perché quando il portone d’ingresso della sua abitazione venne bruciato, alcuni impuatti si trovavano già in carcere. “L’azione civile spetta ad ogni soggetto che abbia subito un danno” ha replicato il pm Pietroiusti, chiedendo che venissero ammesse tutte le parti civili. E così effettivamente è stato. “La Corte d’Assise ha voluto dare un segnale forte, non solo sul piano giudiziario, ma anche di etica di comportamento” ha commentato soddisfatto l’avvocato di aprte civile Franco Mugnai. Con la seduta di ieri il procedimento di Francesco Gioia, estradato dalla Spagna, dove era stato arrestato in seguito alla sua fuga dagli arresti domiciliari a Livorno, è stato ufficialmente unito a quello degli altri imputati, tutti appartenenti al circolo anarchico insurrezionalista “Il Silvestre”. Il processo prosegue tutti i giorni fino a venerdì con i testimoni del Pubblico Ministero. Si riprendono le sedute dal 3 al 7 aprile con altri testimoni del Pm. Dal 22 al 25 maggio ultima tranche con gli imputati, i testimoni della difesa e infine, la sentenza.
(LA NAZIONE 21 marzo 2006 Cronaca di Pisa pag. V)
EVERSIONE SOTTO ACCUSA
Inizia il processo, tribunale blindato
Undici indagati per le azioni attribuite alle Cellule di offensiva rivoluzionaria
Clima teso, con un pubblico rumoroso che ha commentato a più riprese e con espressioni dure le fasi del dibattimento
PISA. Si è aperto ieri mattina, finalmente, davanti alla Corte d’assise ed in un palazzo di giustizia blindato, il processo alle Cellule di offensiva rivoluzionaria. Le famose Cor che dal giugno del 2003 al giugno del 2004 hanno firmato a Pisa una ventina di atti eversivi, fra attentati e minacce avvenuti per lo più a Pisa (alcuni episodi si verificarono anche a Roma e Milano) ai danni di sindacalisti, carabinieri, politici, giornalisti, cantieri edili, sedi di partito, agenzie di lavoro interinale. Soto accusa come presunti appartenenti all’organizzazione eversiva 11 giovani pisani, alcuni universitari, tutti gravitanti nell’area del circolo anarco-ambientalista Il Silvestre, imputati di associazione con finalità di eversione dell’ordine costituzionale, e, a vario titolo, degli attentati.
Il processo di fatto è alla terza udienza perché le prime due hanno visto procedere l’iter per l’annessione al giudizio di uno degli imputati, fuggito in Spagna due anni fa, catturato l’anno scorso e rinviato a giudizio poche settimane fa.
Ieri appunto l’Assise – presieduta dal giudice Angelo Perrone, a latere Teresangela Camelio, cvon sei giudici popolari e due supplenti, pm Angela Pietroiusti di Firenze – è iniziata con l’unione formale dei due dibattimenti.
Teso il clima, in balìa di un pubblico rumoroso che ha commentato “duramente” le varie fasi del dibattimento, intimidendo spesso anche i cronisti che assistevano, con ingiurie e minacce.
Un clima a tratti irrespirabile, scandito da slogan e insofferenza, a corredo di un inizio di procedimento che si dipanato attraverso i classici cavilli giuridici. La difesa ha sostenuto a più voci eccezioni di nullità, tutte respinte, in particolare sul decreto di citazione a giudizio del pm Pietroiusti che vede tutti gli accusati, alla stessa stregua, costitutori e organizzatori senza suddivisione di ruoli, e sulla costituzione di parte civile, presentata attraverso l’avvocato Franco Mugnai di Grosseto (con Massimiliano Arcioni ed Enrico e Gabriele Marroni) dalle vittime degli attentati: Marco Meucci, Giovanna Fusco, Sem e Diego Petrucci, Gino Logli e Giacomo Mannocci (tutti di An) con Cassone (per l’Italia dei valori).
Meucci è presidente provinciale di An, Diego Petrucci consigliere comunale, Mannocci esponente dei gruppi giovanili, Gino Logli è da anni rappresentante della destra a Pisa, prima nel Msi, poi in Forza Italia e An, Giovanna Fusco è stata colpita come presidente di un circolo giovanile di Alleanza Nazionale.
Gli imputati, finiti a suo tempo in carcere, in tempi diversi, sono comparsi in stato di libertà tranne Gioia che è recluso attualmente, dopo l’arresto in Spagna e l’estradizione, a Spoleto.
Ha ottenuto mercoledì scorso la revoca dei domiciliari Frediani, a carico del quale resta l’obbligo di firma due volte alla settimana. Il procedimento procederà oggi con l’ammissione dei mezzi di prova delle parti e i testi del pm.
Fino a venerdì è in programma la prima parte dell’Assise, mentre la seconda è prevista dal 3 al 7 aprile ancora per i testi del pm e quelli della parte civile; terza parte quindi dal 22 al 25 maggio con l’ascolto degli imputati ed i testi della difesa.
L’ELENCO
Chi sono gli imputati
Gli imputati sono due studenti universitari: il pisano William Frediani, 28 anni, difeso dagli avvocati Luca Pellegrini di Livorno, e Giuseppe Pelazza di Milano, e il cascinese Alessio Perondi, 23 anni (Antonio Cariello di Pisa e Massimo Focacci di Lucca).
Sotto accusa anche i pisani Francesco Finocchi, 30 anni, difeso da Massimo Lombardi di La Spezia, i fratelli Giuseppe e Federico Bonamici, 27 e 29 anni, difesi da Focacci; e Alice Motta, 24 anni, difesa da Ezio Menzione e Angela Giovinazzo di Pisa. E ancora Costantino Ragusa, 30 anni, di Bergamo, difeso da Lombardi, Leonardo Landi, 28 anni, di Firenze, difeso da Focacci, Benedetta Galante, 27 anni, di Modena, difesa da Pelazza, Gioacchino Somma, 35 anni, di Castellamare di Stabbia, difeso da Focacci. Infine Francesco Gioia, 26 anni, di Rosignano Solvay (Pellegrini).
(IL TIRRENO 21 marzo 2006 Cronaca di Pisa pag. III; giornalista anonimo)
Udienza del 21 marzo
Solita piazza con auto della polizia, poliziotti a volontà, ecc. L’afflusso all’aula è stato regolare, salvo i soliti palpeggiamenti e identificazioni. Un avvocato difensore, prima dell’ammissione dei testi, chiede che un teste non compaia varie volte per singoli fatti (come si deduce dalla nota del PM), ma una volta sola per tutti i fatti per i quali il PM ne richiede la presenza. Il Giudice accoglie. Si inizia con la nomina di un perito che trascriva le intercettazioni ambientali e telefoniche (quelle per intendersi sulla base delle quali qualcuno è stato privato della libertà). Si passa al primo teste, relativamente al primo fatto contestato. Si tratta dell’agente della volante intervenuta alla sede della UGL (notte 14-15 luglio 2003) in quanto erano stati notati segni di effrazione della porta.
Successivamente sullo stesso argomento vengono sentiti un impiegato della sede e il responsabile dell’UGL. In sintesi, quello che è successo non ci è dato sapere, in quanto le tre testimonianze erano in disaccordo tra loro: chi aveva visto la targa danneggiata, chi solo la soglia della porta lievemente incrinata e chi un piccolo petardo a terra. Alla domanda del Pm, il responsabile ha risposto di non aver evidenziato particolari danneggiamenti, niente alla porta né alla targa, ma solo una lieve incrinatura della soglia. Due giorni dopo, riceve la lettera delle Cor, chiama la Digos che prende la lettera dicendogli di stare zitto. Alla domanda se si era preoccupato, risponde ‘assolutamente no’ e di non aver dato alcun peso alla cosa.
Il successivo teste è relativo all’incendio della porta di Mannocci (AN) del 30-31 ottobre 2003. Un teste che esce di casa alla 2 e 30 di notte, per rientrarvi poco dopo. Il teste vede uno, no forse due motorini, uno o forse due guidatori di motorino, di altezza media, con casco integrale, quindi, dice lui, non riconoscibile (nonostante ciò il Pm chiede “ma il giovane [sic!] che era sul motorino…”), uno (o lo stesso) fermo, l’altro (o lo stesso) che viaggia in controsenso, quello fermo sembrava aspettasse qualcuno, anzi no, perché il Pm fa osservare al teste che aveva dichiarato che uno era fermo perché pioveva, “non ricordo se pioveva, sono passati due anni”, uno, o forse tutti e due, avevano anche, oltre al casco, una sciarpa (siamo a settembre), vede poi le fiamme del portone e un vicino accorrere con un secchio di acqua. L’ora si sposta immediatamente alle 3 e 15 quando il sig. Mannocci, sentito poco dopo, avverte i vetri del portone che si rompono, accorre e vede molto fumo; nel tentativo di aprire il portone si ustiona leggermente alle mani (ustioni di I e II grado). Al figlio, intervenuto successivamente, il Pm chiede esplicitamente se conosce il Frediani e finalmente si apprende (capito giornalisti?) che non ha fatto il liceo con il Frediani ma si è trovato nella stessa classe per poco tempo. Da alcuni anni non si sarebbero più visti. Ma la domanda tendenziosa del Pm, fatta in una piccola città come Pisa, dove tutti più o meno si conoscono, è stata sottolineata dall’avvocato Cariello che interviene chiedendo “lei conosce il Perondi?”. Chi scrive avrebbe voluto formulare la domanda anche per tutti gli altri cittadini di Pisa, ma non ne ha la facoltà.
Udienza del 22 marzo
Oggi è salita sul banco dei testimoni una agente della DIGOS di Pisa che ha riferito sulle circostanze del sequestro delle lettere di minacce e rivendicazioni giunte a vari destinatari. Si è poi passati alla ammissione dei testi (non assenti per malattia o impossibilità) relativi alla vicenda Edilcostruzioni s.r.l. I fatti sono quelli riportati al capo b:
“4) La notte tra il 29 e il 30.3.03 viene appiccato il fuoco ad un container sito all’interno del cantiere edile della ‘Edilcostruzioni s.r.l.’, impegnata nei lavori di costruzione della Caserma dei Carabinieri di Navacchio. Il container non riporta danni strutturali, rimane bruciata solo la zona esterna sinistra, cosparsa, nella sua parte inferiore, di benzina verde. Sul luogo veniva rinvenuta una tanica di plastica della capacità di 5 litri, contenente ancora della benzina verde, con sopra l’innesco incendiario, costruito artigianalmente, che era composto da due tavolette di materiale infiammabile di colore bianco (c.d. diavolina), da due pezzi di zampirone parzialmente bruciati e da 29 fiammiferi intatti posizionati tra le due tavolette avvolte con nastro di carta adesiva”.
“5) Nelle prime ore del giorno 25.11.03, in Pisa viene dato fuoco al portone di ingresso della sede della ‘Edilcostruzioni s.r.l.’ che risultava quindi, specie nella sua anta sinistra, abbruciacchiato e annerit, dopo l’intervento dei VV.FF. che provvedevano a spegnere le fiamme. Sulla soglia di ingresso del portone venivano rinvenuti del cartone, ‘diavolina’ e fiammiferi totalmente combusti. Nei giorni successivi, il documento di rivendicazione viene recapitato, oltre che presso le redazioni pisane di quotidiani La Nazione e Il Tirreno, anche presso lo studio degli architetti Alessandro Caponi, Ernesto Moscatello e Manrico Logli, progettisti per la ‘Edilcostruzioni’ della nuova caserma di Navacchio, contenente anche una esplicita minaccia di considerarli ‘nemici’ nel caso che non avessero abbandonato il progetto e fatto pubbliche scuse al ‘proletariato’”.
Il primo teste ha dichiarato di aver visto delle fiamme nei pressi del container e di aver chiamato i vigili del fuoco: “vidi le fiamme alle 3”, il PM corregge perché nella deposizione aveva parlato dell’1 e 45.
L’amministratore unico della Edilcostruzioni ha dichiarato di aver dato poca importanza al fatto del container che era solo leggermente annerito e senza danni strutturali. L’episodio del novembre le è apparso più significativo perché era stato bruciata la porta d’ingresso della sede legale dell’impresa. “non ho ricevuto direttamente il documento, ma ho letto sul giornale, esattamente su Il Giornale, la rivendicazione con cui le Cor intendevano impedire la militarizzazione del territorio”. Per altro non era stata avvisata dell’incendio che ha scoperto il mattino successivo. Alla domanda del PM che le chiede se i progettisti si erano preoccupati delle minacce, risponde di non saperlo dire, si tratta infatti di una sensazione soggettiva, comunque i lavori sono proseguiti secondo i tempi previsti dal tecnico.
Viene quindi interrogato il ferramenta che, secondo l’accusa, avrebbe venduto due taniche, usate nell’incendio del container. Il teste esordisce con un “purtroppo è passato del tempo”, alla richiesta di dire quello che ricorda, afferma che “un ragazzo chiese due taniche di plastica, mi sembra di 5 litri”, “eravamo io, mia moglie, mio figlio e un dipendente”, “il ragazzo … non mi ricordo, non posso ricordarmi.. mi ricordo che fu fatto un nome”, “i Perondi sono clienti abituali della mia ferramenta, il padre lo conosco bene perché ha una azienda agricola”. E il PM: “Ma il Perondi non è un commercialista?” “Sì, ma ha anche una azienda agricola”, “poi una tanica l’hanno comprata i carabinieri”, PM “dello stesso lotto?”, risposta “non lo posso sapere”, PM “se lo ricorda il ragazzo?” “No, non me lo ricordo” – PM “aveva i guanti?” “Non me lo ricordo” – PM “ha visto il nastro della telecamera del negozio sequestrato dai carabinieri?” “Sì, però non ricordo, è passato del tempo”.
A questo punto si chiude l’udienza e il pubblico, al grido di “Ciao Gioia”, può finalmente salutare Francesco, appena visibile tra le guardie carcerarie.
Udienza del 23 marzo
Ancora numerose le assenze tra i testi.
L’episodio di cui si parla è quello relativo all’incendio dell’auto del presidente provinciale di AN, di cui ai capi a,c:
“Alle ore 2 del 5.4.2004, in Calci, nei pressi dell’abitazione di Meucci Marco, Presidente Provinciale di Alleanza Nazionale, viene incendiata e completamente distrutta la sua autovettura BMW 525 Touring. Si accertava che le fiamme si erano propagate a tutto il veicolo partendo dalla ruota sinistra dell’autovettura, propagandosi poi nell’abitacolo e nel vano motore. Nel documento rivendicazione (dove per la prima volta si adotta la specificazione “Cellula Toscana”), fatto pervenire alle redazioni di vari quotidiani, viene altresì formulata una mirata minaccia (colpo di 9x21 ad un ginocchio, steso calibro del proiettile speditogli il 22.7.2003) al giornalista della redazione pisana del quotidiano “La Nazione”, Federico Cortesi, autore dell’articolo “Poteva sfociare in una strage”
Si ricorda che,
secondo la Procura, due persone a bordo di un motorino si sarebbero recate ad incendiare l’auto: la Procura per giunta fa i nomi di due persone (entrambe, per questo motivo, arrestate e poste in detenzione)
Il primo ad essere sentito è il segretario provinciale di Alleanza Nazionale, nonché parente di una compagna liceale di Frediani William, e sua ragazza per un periodo di tempo (cosa che diciamo subito dato che se ne è interessata anche il PM Pietroiusti).
Dell’incendio dell’auto se ne accorse la moglie che ‘ha il sonno leggero’. Premette che l’auto era parcheggiata in un cortile interno da cui si accede da una strada privata a fondo chiuso. Ringrazia i Vigili del Fuoco per la tempestività dell’intervento.
Una zia della moglie avrebbe detto di aver visto 3 o 4 persone allontanarsi. A cosa aveva attribuito l’incendio? – domanda il PM. All’autocombustione, non a motivi politici che mi sono ancora oggi incomprensibili. Poi i pompieri hanno trovato la diavolina. Dopo avere, su richiesta del PM, dichiarato che Willy è stato a pranzo con lui, la moglie e altri parenti, ai tempi in cui era fidanzato con la cugina, aggiunge spontaneamente di ritenere che Willy non possa aver fatto quello di cui è accusato e che con lui sono sempre esistiti rapporti cordiali, “tutti gli incontri con Willy sono stati cordialissimi”. Alla domanda se la moglie aveva ricevuto minacce, risponde di non ricordare; coglie l’occasione per ringraziare i Carabinieri per la protezione data a lui e alla famiglia per poi lasciarsi scappare un “Sono di destra e mi sarei difeso da solo”. Interviene l’avvocato Lombardi che chiede “Come?”. “Da uomo di destra avrei cambiato orari, evitato posti fissi”.
E’ la volta di una vicina che afferma di non aver visto nessuno, ma di aver sentito dello scalpiccio e poi
una macchina che faceva marcia indietro, una macchina di cui non ricorda niente in particolare: colore, tipo, ecc.
Segue un altro vicino che dichiara di aver sentito passi nel giardino (forse una persona); successivamente si recava ad aspettare i Vigili del Fuoco a 200 metri di distanza e lì vede
un’auto a lui non nota, forse una Renault, che si allontana in modo sostenuto intorno alle 2 (il PM corregge “aveva detto le 2,15”, “non ricordo più l’ora, ma stavo aspettando i pompieri”.
E’ la volta del figlio del ferramenta, sentito ieri, relativamente all’acquisto delle 2 taniche che sarebbe stato effettuato dal Perondi. Qui il nostro resoconto non può che essere confusionario perché confusionaria è stata la testimonianza, piena di non so, non ricordo, richiami del Giudice, carabinieri che tornano indietro a cambiare tanica, analisi di probabilità statistica, ecc.
Si inizia con un “Chi ha acquistato le taniche?” e con la relativa risposta “Un ragazzo, non ricordo altro”. “Qualcuno lo conosceva?” “Sì, il dipendente che fece nome e cognome ai Carabinieri” “A me risulta che fu lei a fare il nome ai Carabinieri” e così via: “il padre era un cliente?” “Non ricordo” ripetuto 5 volte per l’insistenza del PM.
PM: “Il ragazzo è stato ripreso dalla videocamera del negozio?” R:”Sì”;
PM: “Lei ha visto il filmato?” R: “Sì, due volte”.
PM: “Come era vestito?”, R:”Non so”,
PM: “aveva guanti”, R: “non lo so”.
PM: “Qual’era la capacità delle taniche che le sono state vendute?” R: “Non ricordo”,
PM: “Ma lei disse alla PG che erano da 5 litri” R: “Non me lo ricordavo”;
PM: “Suo padre era presente?” R: “non me lo ricordo”.
PM: “Lei disse che le aveva vendute il padre” R: “Non ricordo”,
PM: “Si ricorda che la madre andò in magazzino a prenderle?” R: “No”,
PM: “Che tipo di tanica è stata consegnata poi ai Carabinieri?”, R: “una tanica simile”;
PM “le ricordo che lei disse ‘una tanica identica e dello stesso lotto” R: “Allora sarà così, ma non lo ricordo. A quel tempo evidentemente ebbi la possibilità di riconoscere la tanica”.
Qui, si crea un incomprensibile dialogo, per cui interviene il Giudice che chiede quale sia insomma l’elemento di riconoscimento della tanica. La risposta: “E’ un problema di probabilità perché ci servivamo soprattutto da un fornitore”. Il PM incalza, e chiede se esiste un numero che contraddistingue il codice articolo, se c’è un codice a barre, se sulla fattura si vede il collegamento tra codice articolo e codice a barre. Il teste risponde che tre fornitori inviano la merce con lo stesso codice a barre, “così non sono in grado”. Il PM continua: “dal codice articolo si ricava il codice a barre?”, R: “Sì, se si conosce la Ditta”
PM: “Guardi la fattura, si vede il codice articolo?, R: “sicuramente sì, essendo un documento originale dell’acquisto di 20 [venti] taniche”.
Il dialogo prosegue senza che si cerchi realmente di capire ciò che vuol dire il teste che finalmente lo ripete all’ultimo “Riconobbi la tanica ad occhio e la collegai alla fattura..tant’è che prima sbagliai partita e allora i Carabinieri ritornarono dicendomi che non andava bene e io la cambiai”.
I giornali sull'udienza del 23 marzo
LE COR ALLA SBARRA. IL PROCESSO
Anche il figlio del titolare della ferramenta dove sono stati acquistati i contenitori si è trincerato dietro una serie di "non ricordo"
Il giallo delle taniche incendiarie
I primi interrogatori non servono a inchiodare gli imputati
PISA. Giallo sulle taniche che sarebbero state acquistate il giorno prima dell'incendio al cantiere della Edilcostruzioni da Alessio Perondi, uno degli accusati per la vicenda delle Cor. il primo ad essere stato arrestato e che per questa accusa ha già scontato un anno e mezzo di carcere. Il processo in Corte d'Assise, iniziato lunedì in tribunale per una ventina di attentati firmati dal gruppo eversivo Cellule di offensiva rivoluzionaria fra il 2003 e il 2004, è proseguito ieri con l'ascolto dei testimoni del pm.
Il dibattimento si chiude oggi con altri testi per riprendere poi con la seconda e la terza tranche dal 3 al 7 aprile e dal 22 al 27 maggio. Davanti alla Corte - presieduta da Angelo Perrone, con a latere Terangela Camelio più sei giudici popolari e due supplenti - sono comparsi undici giovani, per lo più studenti universitari, accusati di associazione con finalità di eversione dell'ordine costituito, tutti in stato di libertà tranne Francesco Gioia, catturato nel maggio scorso in Spagna dove era fuggito ed estradato in Italia all'inizio dell'anno, attualmente detenuto a Spoleto.
Fondamentalmente nella giornata di ieri è statta la testimonianza di Andra Miglio, figlio del gestore della ferramenta di San Frediano dove Alessio Perondi avrebbe acquistato due taniche il giorno precedente l'attentato. Già il giorno prima il padre di Migli, Renzo, avevva detto di non conoscere il giovane acquirente e di avere saputo solo dagli inquirenti che poteva essere il figlio di un cliente, il commercialista Perondi. Lo ha fatto chiedendo scusa in aula.
Ieri il figlio si è trincerato dietro una serie infinita di "non ricordo", anche rispetto alle deposizioni rese a suo tempo ai carabinieri. Le domande del pm, Angela Pietroiusti di Firenze, Hanno riguardato soprattutto le fatture che dovrebbero dimostrare che i resti di tanica bruciata ritrovati sull'attentato al box del cantiere della Edlicostruzioni a San Lorenzo alle Corti, erano uguali e facevano parte della stessa partita che i Migli avevano in negozio e che Perondi, come risulta sia da alcune testimonianze che dalla telecamera a cicuito chiuso dell'esercizio che ha ripreso il suo acquisto, aveva comprato il giorno prima dell'attentato, nella notte fra il 30 e il 31 ottobre.
Una lunga ricostruzione fatta attraverso le fatture e i codici a barre, che però non è riuscita a chiarire definitivamente se la provenienza degli oggetti fosse la stessa. "Non sono stato io - ha aggiunto Andrea Migli - a riconoscere il cliente, ma il commesso del mio negozio che ha detto di conoscerlo".
Ieri mattina hanno deposto, in merito all'attentato all'auto di marco Meucci, il 5 aprile del 2004, due vicini di casa del segretario provinciale di An, i quali hanno sottolineato che quella notte intorno alle 2 avevano sentito dei passi nel vicino cantiere di un palazzo in costruzione arrivare, poi scappare di corsa poco prima dello scoppio e del successivo incendio e di aver visto un'auto allontanarsi in fretta in una strada vicina. Nessuno di loro però ha visto persone o ha saputo fornire indicazioni sull'auto.
Meucci ha ricostruito quella notte ricordando di essere stato svegliato nel sonno dalla moglie e di aver cercato di spegnere le fiamme. "Conoscevo da tempo il Frediani - ha aggiunto - perché era stato fidanzato di una cugina di mia moglie quando era adolescente".
E' stato quindi ascoltato il brigadiere dei carabinieri che fu incaricato di prelevare nelle redazioni locali i volantini con cui le Cor avevano rivendicato l'attentato alla Edilcostruzioni. L'ulitma testimonianza è stata quella dell'architetto Manrico Logli, uno dei progettisti, con Muscatello e Capone, della ristrutturazione della caserma di Riglione a San lorenza alle Corti: riguardava il volantino di minacce giunto ai professionisti e firmato Cor.
(Il Tirreno 24 marzo 2004 Cronaca di Pisa pag. III)
CORTE D'ASSISE. Sfilano i testimoni sugli attentati firmati dalle Cor
Il "giallo" delle taniche di benzina nell'incendio alla Edilcostruzioni
Ricostruita anche la notte del rogo che distrusse l'auto del presidente di An, Marco Meucci, a Calci
di Guglielmo Vezzosi
PISA - Taniche di plastica, codici a barre, fature per forniture all'ingrosso e filmati di videocamere a circuito chiuso. Una ricostruzione minuziosa, tecnica e capillare, quella che ieri il pm Angela Pietroiusti - nella nuova udienza del processo a 11 presunti appartenenti alle Cor - Cellule di offensiva rivoluzionaria - ha cercato di compiere circa i preparativi dell'attentato, poi rivendicato dalle Cor, messo a segno tra il 29 e il 30 ottobre nel 2003. Quella notte venne appiccato un incnedio all'interno del cantiere della Edilcostruzioni, la ditta impegnata nella realizzazione della caserma dei carabinieri di Navacchio. Sul posto fu ritrovata una tanica di plastica da 5 litri munita di innesco. Dai codici a barre presenti sul contenitore il pm ha cercato di risalire alla provenienza della tanica, per capire cioé se si trattasse propiro di uno dei due contenitori che un giovane acquistò una mattina di ottobre del 2003 alla ferramenta Migli di cascina. Il cliente venne anche ripreso dalle telecamere interne al negozio, i cui filmati sono stati poi consegnati ai carabinieri, come ha confermato ieri mattina il figlio del titolare della ferramenta, Andrea Migli. Il pm ha chiesto al teste di visionare le fatture con le quali il negozio paga le proprie forniture all'ingrosso per capire se la tanica rinvenuta sul luogo dell'attentato appartenesse proprio ad una partita consegnata alla ferramenta da un grossista. Ma nel rispondere, in più circostanze, il giovane ha pronunciato numerosi "non ricordo", tanto da essere invitato dallo stesso presidente della Corte d'Assise, Angelo Perrone, a riflettere con calma prima di prendere la parola.
Sono stati poi ascoltati altri testimoni in relazione all'attentato incendiario compiuto nella notte tra il 4 e il 5 aprile 2004 a Calci nel quale venne distrutta la Bmw 525 Touring di Marco Meucci, presidente provinciale di An. Il primo a deporre è stato proprio Meucci che ha ricordato di essere stato "svegliato dalla moglie e poi avvertito dai vicini di casa", alcuni dei quali - Sandra Fabbrini e David Vannini - sono stati sentiti subito dopo. Hanno riferito di aver sentito dei rumori intorno alle 2 di notte e, affacciandosi alla finestra, di aver visto l'auto in fiamme. La donna, in particolare, ha aggiunto di aver anche udito poco prima dei passi, quindi una corsa e, subito dopo, lo scoppio. Alzando la tapparella notò anche un'auto allontanarsi in retromarcia, senza però riuscire a coglierne ulteriori dettagli. Rispondendo poi ad alcune domande a proposito di William Frediani - ritenuto dagli investigatori il "cervello" delle Cor - Meucci ha detto "di conoscerlo bene: quando era al liceo, era fidanzato con una cugina di mia moglie e dunque lo vedevo spesso. Prima della nascita di An, William aveva anche frequentato il Fronte della Gioventù (l'ex movimento giovanile di destra, ndr). Con lui comunque non parlavo mai di politica: eravamo su posizioni molto distanti. Poi seppi che era passato all'ultrasinistra. Abbiamo sempre mantenuto un rapporto cordiale tanto che, appreso del suo arresto, stentai a crederci". Alla fine dell'udienza, dal pubblico è stato urlato ripetutamente "Gioia Libero" per salutare Francesco Gioia, 25 anni, l'unico imputato ancora recluso, che lasciava l'aula. Il pm ha protestato e ne è nato un vivace battibecco con gli avvocati difensori, richiamati dal presidente. Oggi si continua con altri testimoni.
(La Nazione 24 marzo 2006 Cronaca Pisa pag. V)
Udienza 24 marzo
Oggi sono stati sentiti altri testi, tra cui la moglie del segretario provinciale di AN di Pisa, un ufficiale di PG di Roma, un funzionario DIGOS, due architetti della ditta Edilcostruzioni, il commesso del negozio dove sarebbero state acquistate le taniche, un giornalista de La Nazione, Petrucci Diego e il padre.
Al termine il Giudice della Corte d’Assise ha rivolto un appello al PM affinché i testi che seguiranno ad aprile siano di maggior consistenza.
Si può così riassumere la giornata in questi sostanziali punti:
1) Incendio dell’auto di Petrucci, consigliere di Alleanza nazionale: l’auto incendiata non è la sua ma quella del padre, parcheggiata in modo meno accessibile (in una corte) di quella del figlio, che si trovava invece lungo la strada. I Petrucci hanno poi sottolineato lo strano fatto (di cui sono venuti a conoscenza 2 giorni dopo) della presenza in un vano lavanderia vicino alla loro casa di alcune persone, come rilevato dallo spostamento della lavatrice, dalla presenza di mozziconi di sigaretta e altri segni estranei (materiale raccolto e inviato ad analizzare [sappiamo l’esito negativo di tale analisi]).
2) L'attesa testimonianza del commesso del negozio di ferramenta.
PM: Lei conosce Perondi Alessio?
Teste: Di vista sì, ho frequentato la stessa scuola
PM: Lei si ricorda che Perondi venne ad acquistare due taniche nel negozio?
T: Non l’ho riconosciuto, non ero addetto alla vendita
Giudice: E’ stato interrogato durante le fasi preliminari?
PM: No, mai interrogato
PM: Lei nega di aver detto al Migli [proprietario] che quel giovane era Perondi?
T: Sì, nego.
PM: Nega di averlo riconosciuto?
T: Sì, nego.
Giudice: Lei deve dire la verità.
T: La mia parola contro quella di loro
PM: Perondi è presente in aula?
T: E’ dalla scuola che non lo vedo più. [Dopo vari sguardi al pubblico, e sollecitato a guardare solo il banco degli imputati, lo riconosce]
T: Si sta anche vicino di casa
PM: Come era il giovane che acquistò le taniche?
T: Non mi ricordo assolutamente, sono passati degli anni
PM: Migli Andrea era presente in negozio?
T: Non ricordo
PM: Ha visto mai il Perondi nella ferramenta?
T: No
PM: Ha visionato il nastro?
T: No.
....
T: Io non ricordo a chi fossero state consegnate le taniche.
3) Testimonianza del giornalista de La Nazione Cortesi Federico in merito alle circostanze relative alla ricezione della lettera di minacce del 22.7.03
Dopo aver espresso il motivo secondo cui avrebbe ricevuto la lettera di minacce da parte delle COR (sarebbe stato infatti accusato di avere in un articolo "ingigantito le cose"), il teste, a domanda di un difensore (Avv. Lombardi), omette di ricordare un fatto quantomeno curioso, ravvedendosene quindi improvvisamente. L'avv. Lombardi chiede se avesse reso noto nell'immediato il contenuto della lettera ad altre persone, "mi riferisco all'episodio in cui Lei avrebbe trasmesso in modo anonimo, via fax, copia della lettera delle COR da Lei ricevuta ai consiglieri comunali di Pisa in quel momento riuniti in Consiglio, senza allegare neppure un messaggio di accompagnamento che spiegasse i motivi dell'invio", il teste tergiversa, l'Avvocato riprende: "Vuol vedere?", il teste ricorda improvvisamente affermando che gli era stato chiesto da un consigliere di Alleanza Nazionale con cui aveva parlato.
Udienza del 3 aprile 2006
Come per gran parte delle udienze di marzo vengono chiamati prevalentemente sul banco dei “testimoni” funzionari della polizia, dei carabinieri, ecc.
Un funzionario della Polizia di Stato ha deposto riguardo l’acquisizione di alcuni documenti di rivendicazione o minaccia inviati dalla Cor. E’ intervenuto uno degli avvocati della difesa chiedendo al teste se ricordava chi aveva inviato uno di questi documenti per via fax ai gruppi consiliari del comune di Pisa. Alla risposta di non ricordare, l’avvocato ha affermato di essere in possesso di un documento, sottoscritto dal funzionario, sull’invio del fax. Il funzionario non ricorda il fatto, ma riferisce che erano state fatte indagini a proposito, in quanto inizialmente si era convinti che fossero state le Cor.
Ha deposto anche il grossista che avrebbe fornito taniche alla Ditta Migli. Il PM esordisce chiedendo al teste: “Lei si ricorda di aver firmato un verbale?”. Teste: “Sì”. PM: “Si ricorda di aver venduto del materiale alla Ditta Migli?” Teste: “Se l’ho dichiarato nel 2003, sì”. PM: “Si ricorda di aver venduto al Migli le taniche?”. Teste: “No,ora non me lo ricordo”.
Alla domanda, se in base al codice a barre avesse all’epoca identificato la fattura, il teste risponde di no, perché “in base al codice a barre si identifica il tipo di prodotto, in base ai movimenti si ricostruisce il percorso”.
Il PM insiste: “Ricorda di aver esattamente identificato il prodotto con il codice a barre? I carabinieri le hanno mostrato un codice a barre?”. R: “Probabilmente sì” e aggiunge “ho fornito taniche con lo stesso codice a barre ad altre Ditte” e finalmente chiarisce “Il codice a barre identifica solo la tipologia del prodotto, non il singolo prodotto”.
L’avv. Focacci chiede al teste: “E’ vero che la sua ditta ha fatto molte forniture di questo prodotto in Toscana?”
Teste: “Sì”.
Avv. Cariello: “A titolo esemplificativo chiedo che venga acquisito il presente documento relativo alle fatture di consegna dello stesso tipo di taniche in quel periodo nelle province campione di Pisa e Livorno”
PM: “E’ irrilevante dato che altre ditte possono fornire lo stesso prodotto”
Udienza del 4 aprile
Citati a testimoniare forze dell’ordine, vigili del fuoco e soggetti destinatari delle lettere di minaccia. Testimonianze che potranno anche avere una certa valenza dal punto di vista del processo (“come ha ricevuto la busta?” “L’ha aperta?” “E’ rimasto colpito dalle minacce?” “com’era l’innesco dell’ordigno? R: Diavolina, fiammiferi, zampirone per zanzare…”), ma nulla di attinente la posizione degli imputati.
Udienza del 5 aprile
Le persone chiamate a testimoniare dal PM questa mattina sono ancora funzionari delle forze dell'ordine, chiamati a riferire sulle modalità di acquisizione delle missive delle Cor, e soggetti destinatari delle lettere di minaccia o rivendicazione.
Udienza del 6 aprile
Processo Cor. Il 24 luglio 2004 i poliziotti che pedinavano Frediani sospesero il servizio all’1,30. Poche ore dopo fu compiuto un attentato incendiario a Porta a Lucca.
“Per noi quella notte era in casa”
Tensione in aula quando un carabiniere accosta il nome di un detenuto morto al circolo “Il Silvestre”
di Tommaso Strambi
PISA – Indizi tanti, prove nessuna. Alla conclusione dell’udienza di ieri del processo contro 11 presunti appartenenti alle Cor-Cellule di Offensiva Rivoluzionaria sono gli avvocati della difesa a segnare punti a proprio vantaggio.
Certo un vantaggio parziale, dal momento che le udienze da svolgere sono ancora tante, ma pur sempre un vantaggio perché giunge a conclusione della prima udienza in cui, terminata la ricostruzione dei fatti storici addebitati agli imputati, il pubblico ministero, Angela Pietroiusti, ha iniziato a circostanziare le accuse nei confronti di alcuni di loro. E lo ha fatto chiamando a deporre il responsabile del nucleo di poliziotti incaricati di pedinare William Frediani, uno degli undici imputati del processo. Quello che l’accusa indica come il “cervello “ delle Cor. [???]
Un pedinamento iniziato i primi di luglio del 2004 e protrattosi fino al momento dell’arresto del Frediani, avvenuto il 30 luglio successivo. Un mese, dunque, di controllo stretto. O quasi. Dal momento che, come è emerso nel corso della deposizione, ci sono alcuni “buchi”. Peraltro importanti.
Il primo riguarda la notte tra il 24 e il 35 luglio. Quella notte, dopo averlo seguito per tutta la giornata, i poliziotti interruppero il pedinamento alle 1.30. “Era già un’ora che era rientrato nella sua abitazione – ha raccontato il poliziotto – e, visto che aveva anche spento le luci, pensammo che fosse andato a riposare. E così sospendemmo il servizio”. E anche la telecamera piazzata durante la notte davanti alla porta d’ingresso dell’abitazione durante la notte era spenta. “Non aveva i raggi infrarossi per le riprese notturne” ha spiegato il poliziotto incaricato del servizio di videosorveglianza.
Ma qualche ora più tardi, in quella stessa notte, fu dato alle fiamme il portone dell’abitazione della famiglia Fusco, la cui figlia, Maria Giovanna, era ed è responsabile del circolo territoriale di Alleanza Nazionale di Porta a Lucca.
I poliziotti del pedinamento furono avvertiti dell’attentato incendiario alle 6, e 50 minuti dopo, erano nuovamente sotto la casa del Frediani. Subito notarono che il motorino, che lui aveva in uso si trovava in una posizione diversa da quella in cui l’avevano visto parcheggiato nelle ore precedenti. “Ma non possiamo affermare – ha spiegato il poliziotto – con certezza che sia stato lui a spostarlo ed eventualmente ad utilizzarlo”.
Il secondo “buco” è relativo al 29 luglio. Il giorno in cui, via e-mail, fu inviata la rivendicazione dell’attentato nei confronti della Fusco. Quel giorno i poliziotti videro Frediani entrare nel complesso scolastico “Marchesi” di Cisanello, dove si trovano le biblioteche “Maccarrone” e “Serantini” che hanno delle postazioni internet. Ma i poliziotti, stando alle deposizioni di ieri, non sono in grado di affermare se effettivamente Frediani entrò in una delle due biblioteche e, quindi di provare che si collegò ad internet. “Ci fermammo all’esterno del complesso scolastico – ha specificato il responsabile del nucleo di pedinamento -. C’era poca gente e c’era il rischio di farsi scoprire”. E anche dai successivi controlli, effettuati da altri agenti, non è stato possibile verificare che il Frediani sia entrato nella biblioteca. “Non esiste, infatti – ha detto un agente della Digos – un controllo sugli accessi da parte del personale della biblioteca. Chi entra e usa i computer si segna su un registro, ma a propria discrezione. E il nome Frediani sul registro di quel giorno non c’è”.
Dalla deposizione è, invece, emerso che Frediani aveva contati con Francesco Gioia, un altro degli 11 imputati (l’unico ancora detenuto in carcere). E proprio con Gioia, Frediani, il 14 luglio del 2004, effettuò un sopralluogo nelle vicinanze dell’abitazione livornese del dottor Alessandro Bassi Luciani. Bassi Luciani è un medico legale dell’Università di Pisa ed è finito nel mirino delle Cor [??], per aver eseguito l’autopsia sul corpo di Marcello Lonzi, un giovane deceduto nel carcere di Livorno in circostanze misteriose. E proprio la madre di Lonzi, ieri mattina, ha interrotto l’udienza quando un carabiniere, nel corso della sua deposizione, ha detto che Lonzi era un frequentatore del circolo “Il Silvestre”. “Non è vero – ha urlato la donna – mio figlio non ha mai frequentato quel circolo”, prima di uscire, in lacrime, dall’aula.
Oggi davanti alla Corte d’Assise sono previste altre deposizioni, poi il processo sarà sospeso e riprenderà il 22 maggio, quando verranno introdotte anche le intercettazioni telefoniche e ambientali effettuate nei confronti degli imputati.
(La Nazione 7 aprile 2006 Cronaca di Pisa pag. VII)
Dita nel naso, fuori dall’aula
Momenti comici all’Assise per gli attentati delle Cor
PISA. Ultimo giorno di dibattimento oggi sugli attentati delle Cellule di offensiva rivoluzionaria, che vede sul banco degli imputati 11 giovani. Si riprenderà nella settimana dal 22 al 27 maggio. Ieri mattina il processo davanti alla Corte d’Assise, presieduta da Angelo Perrone (a latere Teresangela Camelio, pm Angela Pietroiusti)) è proseguito con l’ascolto dei testi del pm. L’atmosfera tesa, riferita alla rievocazione della ventina di attentati incendiari e di episodi minatori che si sono verificati a Pisa (alcuni anche a Roma e Milano) fra il giugno del 2003 e quello del 2004, è stata stemprata da un episodio altamente comico. Il presidente ha infatti invitato fuori dall’aula un noto anarchico, arrestato anche in passato per alcune manifestazioni in Spagna, che sotto gli occhi di tutti si era dedicato con accortezza alla pulizia accurata e spettacolare delle proprie narici. Lui ha tentato di protestare alla richiesta di Perrone, ma i carabinieri lo hanno fatto accomodare a proseguire fuori.
La giornata di ieri e’ stata dedicata alla rievocazione dello spaventoso attentato incendiario alla casa di Maria Giovanna Fusco, esponente di un circolo ricreativo di An, avvenuto il 24 giugno del 2004.
Hanno testimoniato la giovane ed il padre, poi diversi funzionari di polizia e dell’Arma. Sono state acquisite anche le intercettazioni telefoniche relative a William Frediani. Un attimo di tensione si e’ registrato durante la deposizione di un carabiniere a proposito dell’attivita’ del circolo anarco-ambientalista Il Silvestre, intorno al quale hanno gravitato a Pisa tutti gli imputati, e sulle scritte apparse a Livorno sotto la casa del medico legale Alessandro Bassi Luciani, che si era occupato del caso di Marcello Lonzi, un detenuto misteriosamente morto alle Sughere l’11 luglio del 2003, sulla cui scomparsa si e’ sviluppata una lunga inchiesta. Il militare ha parlato della presenza di Marcello Lonzi al circolo nel 2004 [???]; la madre di Marcello, Maria Ciuffi, presente in aula, ha protestato in lacrime la chiara estraneita’ del figlio, purtroppo deceduto, ai fatti [??].
(Il Tirreno 7 aprile 2006 Cronaca di Pisa pag. I)
Udienza del 7 aprile 2006
Udienza odierna incentrata sul casolare di Agnano, ovvero quello che gli inquirenti avevano ritenuto il “covo” o “sede logistica”.
Quando gli agenti entrano in massa all’interno del casolare, lo fanno suonando il campanello alla porta su cui erano ben leggibili i nomi delle sei persone che vi abitavano con un regolare contratto di affitto.
All’interno nulla di interessante se non la famosa copia del Primo Documento Chiarificatore delle Cor, rinvenuta all’interno di uno zainetto che si trovava appoggiato a terra in posizione ben visibile.
A domanda di un avvocato della difesa, il funzionario, salito sul banco dei testi, afferma che accanto ai fogli del documento vi era una busta regolarmente affrancata, timbrata da un ufficio postale di Pisa, e indirizzata alla rivista Terra Selvaggia.
Per quanto riguarda i documenti riferibili alle Brigate Rosse si trattava di una fotocopia di un articolo del Corriere della Sera.
Si commentano da soli gli altri ritrovamenti, quali alcuni petardi, due walkie talkie, frequenze radio ritrovate su di un foglio, un programma di criptaggio delle email tipo PGN, GPS ritrovati nelle auto di alcuni ragazzi dove erano stati collocati da elementi appartenenti alle forze dell’ordine, ecc.
UDIENZE DI MAGGIO 2006
UDIENZA DEL 22 MAGGIO 2006
L’udienza prevista per le 9 del mattino è stata rinviata alle 14, in quanto uno degli imputati, arrestato nel corso dell’attuale procedimento, per l’occulto motivo noto a tutti, sulla base di costruite, tardive e pretestuose accuse, doveva recarsi al Tribunale del Riesame di Firenze (il noto EX Tribunale della LIBERTA’).
Di fronte a numerose persone solidali, che hanno sostenuto calorosamente l’ingresso in aula degli imputati, in particolare di quelli agli arresti, si è svolta una laconica quanto noiosa udienza, senza testimoni (ma questa non è una novità), solo con l’usuale passerella di uomini delle forze dell’ordine, che hanno diligentemente ripercorso e letto, sotto la regia del Pubblico Ministero, i metodi di intercettazione, i mezzi per spiare, i GPS, le microspie, (quali auto sono state aperte con scasso, quali bimbi cattivi, dopo la fatica di questo lavoretto, avevano osato rimuoverle), i contenuti degli hard disk sequestrati (il tenore era più o meno questo: tizio aveva visitato un tale sito, caio aveva un documento word contenente parte di un volantino contro le pellicce, sempronio, che si era sempre occupato del sostegno ai carcerati, ne aveva uno in sostegno di Camenish, genoveffa aveva nel computer articoli tratti da un certo sito internet), e tutta un’altra lunga serie di cose che sono apparse completamente inutili ai presenti.
Hanno poi a lungo fornito gli elenchi dei partecipanti alle singole manifestazioni, organizzate prevalentemente dal Circolo il Silvestre. Alla barba della cosiddetta libertà di espressione, i suddetti hanno “confessato” di aver registrato costantemente manifestazioni pubbliche, indette alla luce del sole, allo scopo di identificarne i partecipanti (il loro messaggio è stato questo: tu sei libero di manifestare, io ti schedo e poi vedrò come utilizzare la schedatura contro di te, magari solo per far sentire il tuo nome in un tribunale). E così siamo stati sottoposti ad un ripetitivo e noioso elenco: alla manifestazione contro la vivisezione erano presenti x, y, e z, al volantinaggio contro il carcere del giorno X erano presenti a, b e c, e così via. Cosa strana: a queste manifestazioni pubbliche sembrano aver partecipato le solite persone, in pratica solo alcuni degli imputati.
Al massimo dell’apoteosi, a sostegno definitivo del nulla che si è sentito in aula, sono perfino arrivati a riferire gli hobby o le attività sportive di alcuni imputati, come se questo potesse interessare a qualcuno.
Infine si è ripercorsa la storia del Circolo Il Silvestre, che sinteticamente si riassume nel percorso della sede: prima in una Via, poi (ma forse, non si sa bene) in un casolare ad Agnano, ed infine nell’attuale Via del Cuore.
Si è parlato di altre supposte iniziative dei frequentatori , si è parlato di alcune scritte (“Che scritte erano?” chiede il PM e così in aula un funzionario dice due volte, in modo ben udibile, “Berlusconi ....!”), si è riferito di alcuni slogan (e così siamo venuti a sapere che per un certo periodo lo slogan preferito era “Di Bugno ...., speriamo tu ....”), di un volantino dal titolo “Ciccio Traliccio”, insomma tutte cose interessanti e attinenti al procedimento.
All’uscita dal Tribunale, un po’ di aria, un po’ di libertà, con la solidarietà dei presenti ai carcerati (quelli, come al solito, in regime “preventivo”), e con le solite stonature scenografiche quali l’immancabile presenza di polizia armata (compresi i mai decaduti scudi e manganelli), i cellulari del penitenziario che si allontanavano con quella fatidica quanto inutile sirena spiegata (chi sa perché?), i casuali spettatori, bloccati nelle loro auto, che se la prendevano con quella che uno di loro ha definito, gridando, “questa ennesima buffonata”.
UDIENZA DEL 23 MAGGIO
Rinviata in quanto alcuni imputati, arrestati per altri fatti, fantasiosamente addebitati a loro [chi legge faccia uno sforzo di crederci, perché è la verità], dovevano essere presenti al Tribunale del Riesame, che come Tribunale ex-libertà fornirà presumibilmente una di quelle sentenza cui siamo già purtroppo abituati.
UDIENZA DEL 24 MAGGIO
Da questo momento, considerato che non vi sono più (ormai da tempo) “testimoni” da parte del P.M. Angela Pietroiusti, ma solo una carrellata di aderenti alle forze dell’ordine ai quali viene addirittura permesso di esprimere personali interpretazioni, anziché riferire solo i fatti di cui ritengono di essere a conoscenza, non è più possibile riferire su queste pagine il “processo” in corso e questo anche per il rispetto verso la Giustizia che aveva mosso la nostra iniziativa.
Coloro che sono stati presenti avranno notato il tifo verso gli aderenti delle forze dell’ordine da parte dei loro colleghi, le strizzatine d’occhio, le risatine, avranno visto che dopo le domande dei difensori i c.d. testi rivolgono spesso lo sguardo al P.M. prima di rispondere, avranno certamente visto la loro gioia quando uno di loro, per altro sotto giuramento, riesce a introdurre, anche se fuori tema, una personale opinione o interpretazione, per altro, in linea generale, completamente priva di criticità.
Lungi da noi il pensiero di parlare di sentenze scritte. Ma allora che significano tutte queste ore di dibattimento, a fronte di una quasi completa mancanza di indizi e di una completa assenza di prove e testimonianze?. O forse ore di dibattimento è semplicemente una conseguenza della mancanza di indizi.
Questa lettura acritica e a senso unico di fatti insignificanti, trasformati talora in indizi, ha costretto al carcere persone verso le quali abbiamo profuso il massimo della nostra energia, anche perché da noi personalmente conosciute e stimate, e che sta costringendo attualmente altre persone alla privazione imposta della propria libertà, un atto che è secondo solo all’eliminazione fisica di un individuo.
In questa udienza si è parlato anche del DNA: una buona relazione quella del funzionario del RIS di Parma, adeguata e corretta.
Come già noto, su nessun corpo di reato si è evidenziata traccia di DNA degli imputati, eccetto che su due o tre campioni prelevati da oggetti personali o a disposizione degli stessi, CHE NIENTE DUNQUE HANNO A CHE VEDERE CON I FATTI DI CUI SONO ACCUSATI.
Si tratta di quei risultati che
Antonio Di Bugno e/o il GIP Luca Salutini fecero finta di non avere ancora ricevuto per tenere in carcere William (altri 45 giorni in attesa di risultati che erano già nel loro cassetto).
Come sapete, quando giunse la negatività del DNA per William e Alessio, cambiarono un già falso capo d’imputazione (associazione a delinquere) in un altro (associazione sovversiva) con il solo scopo di prolungarne la detenzione preventiva, in barba a quei principi costituzionali che i due Magistrati si sono impegnati a difendere.
Per tali motivi, in un clima di condanna delle idee e nella nostra incapacità di evincere qualcosa di interessante), le udienze verranno seguite solo attraverso il resoconto dei loro organi di diffusione (con eventuali correzioni in caso di falsità indigeribili).
E per capire cosa si sente per ore e ore in questo dibattimento pubblichiamo l’articolo de La Nazione, in cui il giornalista, da un’intera giornata, ha tratto il seguente articolo: “Drammatica [ma dove? Il teste era tranquillissimo, il problema era il PM che voleva sentirsi dire a tutti i costi cose che il teste non ricordava o non sapeva, e che alla fine non ha detto!] testimonianza al processo Cor. Il rebus del casolare di Agnano e la ragazza misteriosa”.
Questo per altro e come al solito si riferisce ad un FATTO CHE NON HA NEMMENO LA PIU’ LONTANA ATTINENZA CON IL PROCEDIMENTO IN CORSO, se non altro perché riguarda fatti di molto antecedenti la nascita delle COR (Il titolo di un giornalista avrebbe dovuto essere “IN MANCANZA DI…. TUTTO FA BRODO”).
TRIBUNALE Drammatica testimonianza al processo COR
Il rebus del casolare di Agnano e la ragazza misteriosa
PISA – Il colpo di scena arriva poco prima dell’ora di pranzo. Quando sul banco dei testimoni viene chiamato a deporre Lorenzo Tizzani Tadini, figlio del proprietario del casolare di via Passo del Frantoio ad Agnano preso in affitto da alcuni dei presunti appartenenti alle COR – Cellule di offensiva rivoluzionaria.
Il pubblico ministero, Angela Pietroiusti, l’ha fatto convocare per riferire su un episodio avvenuto nel 2002. Nel febbraio di quell’anno, infatti, all’interno di una vecchia 127, verde salvia, il titolare di un’autocarrozzeria rinvenne una busta contenente alcuni biglietti ferroviari, dei floppy disk, dei guanti in lattice, uno scanner di quelli utilizzati per intercettare le frequenze delle forze dell’ordine e un manuale in inglese per compiere atti di sabotaggio. Materiale consegnò ai carabinieri [errore nel testo].
Pochi giorni dopo, due giovani andarono dal Tizzani Tadini per chiedere il numero di telefono del carrozziere.
Perché? E soprattutto chi erano quei giovani? Il pm Pietroiusti vuole sapere se si tratta di qualcuno degli imputati nel processo in corso davanti alla Corte d’Assise.
Signor Tizzani Tadini, lei fu sentito dai carabinieri nell’aprile 2002?
“Sì. Lo ricordo”
In quel periodo si ricorda se fu avvicinato da una o più persone che le chiesero il numero di un altro suo inquilino che faceva il carrozziere?
“E’ vero”
Si ricorda chi chiese il numero?
“Una ragazza”
Era da sola?
“Non ricordo perfettamente. Sicuramente era un ragazza, forse c’era anche un ragazzo…”
Conosceva la ragazza?
“Sì era una di quelle a cui avevo affittato un casolare in via Passo del Frantoio”
E come si chiama?
“No…in questo momento non mi viene in mente. Era bionda, carina, di statura media” [Correzione: Anche se tutto questo interrogatorio non significa assolutamente niente, il teste aveva detto: “era castana, non alta né bassa, non grassa né magra”]
Ma il nome di chi firmò il contratto lo ricorda?
“Sì, Valentina U. (che non figura tra gli imputati) e …un’altra ragazza”
E questa seconda ragazza come si chiama?
“No lo ricordo…. Forse B (si ferma). No, non lo so”
Ma ‘ la stessa che le chiese il numero di telefono?
“Mi sembra di sì”
Sul contratto ci sarà scritto?
“Sicuramente (si ferma per un’altra pausa). Ma non ce l’ho più, forse l’ho strappato…”
Nel casolare chi ci abitava?
“Sicuramente Valentina. Poi una ragazza bionda che veniva dalla Lombardia, e una rossa che mi sembra fosse di Livorno”
Non ricorda i loro nomi?
“No… assolutamente no”
Marta le dice qualcosa? (chiede a questo punto l’avvocato Lombardi, uno dei difensori degli imputati, ndr)
“E’ il nome dell’altra ragazza che firmò il contratto”
Allora è questa Marta che le chiese il numero? (torna ad incalzare il teste il pm Pietroiusti)
“No a chiedermi il numero fu Valentina U.”
Ma prima ha detto che fu un’altra ragazza?
“”Mah, non so. Non ricordo“
Ha detto che a chiederle il numero fu una ragazza bionda… [Correzione: A chiederle il numero fu una ragazza bionda?]
“Allora sarà così….”
Saprebbe riconoscerla?
“Sì”
A questo punto le viene mostrata la foto di una delle imputate [Correzione: a questo punto viene sospesa la seduta per richiedere la foto di una imputata e solo questa verrà mostrata al teste. L’opposizione del difensore non viene presa in considerazione]
L’ha mai vista?
“Sì abitava nel casolare anche lei”
E’ la ragazza che le chiese il numero di telefono del carrozziere?
“Sì” [Correzione: Questo è falso. Nella logica delle precedenti risposte, il teste in realtà dice: “Forse sì”]
Conosce il suo nome?
“No, ma escludo si tratti di Valentina U o di Marta”
[MOLTO INTERESSANTE, VERO?]
L’udienza prosegue con la testimonianza di alcuni carabinieri che hanno partecipato alle indagini e di un maggiore del Ris di Parma che ha eseguito esami scientifici su reperti sequestrati nel corso di alcune perquisizioni [Precisazione: ben 408 corpi di reato]. Esami che hanno consentito di individuare il dna di alcuni imputati, ma che gli avvocati difensori contestano perché “essendo irripetibili, non sono eseguiti in presenza di consulenti di parte” [Traduzione: Il test al Dna non è ripetibile; le buste contenenti i corpi del reato devono essere aperte di fronte agli avvocati difensori, ma in questo caso, per l’urgenza del caso, cioè incriminare qualcuno già sequestrato in carcere, l’allora PM Antonio Di Bugno, così ha detto il maggiore del Ris, dette l’autorizzazione senza far partecipare le difese. E’ lo stesso Magistrato che poi nascose i risultati negativi]
Oggi si replica con un nuovo teste chiamato dal pubblico ministero [Aggiunta: Non crediate sia un testimone perché come al solito si tratta di un funzionario chiamato a parlare delle idee degli imputati. MENO MALE CHE, IN QUESTO PAESE, LE IDEE NON SI PROCESSANO]
UDIENZA DEL 25 MAGGIO
Anche oggi, come già detto, non forniamo alcun nostro resoconto di quella che è stata un’altra tediosa e inutile udienza in cui l’ennesimo funzionario (Digos), sotto giuramento, riferisce le straripetute cose che niente hanno a che vedere con le accuse mosse agli imputati, e che si dilunga sulle presunte idee degli stessi (idee politiche, sociali, e di sostegno, che sembrerebbero quasi essere un reato di per sé). Restiamo ancora in attesa che si discuta di uno straccio di indizio. Riportiamo dunque la versione de La Nazione (correggendo o specificando alcuni passi, tra parentesi quadre), articolo che evidenzia bene già dal titolo come il giornalista non abbia tratto dall’udienza alcuna particolare nota di interesse.
CORTE D’ASSISE. Il presidente trasmette il verbale alla Procura
Tensione al processo Cor. Ragazza espulsa dall’aula.
La giovane avrebbe rivolto apprezzamenti nei confronti del pm.
Duello a base di eccezioni e opposizioni tra difesa e accusa.
PISA – “No, questo lo ha già chiesto e il teste le ha risposto”. Il pubblico ministero, Angela Pietroiusti, di fronte all’ennesima richiesta di precisazione dell’avvocato Luca Pellegrini, difensore di William Frediani e Francesco Gioia, all’ispettore della Digos chiamato a testimoniare [sic!], sbotta: “Questo è inammissibile, signor presidente”.
Schermaglie procedurali tipiche dei dibattimenti penali. Ma nell’aula del primo piano del Tribunale dove si sta svolgendo il processo in Corte d’Assise nei confronti di 11 persone appartenenti alle Cor- Cellule di offensiva rivoluzionaria, la tensione è elevata. Dopo tre giorni di udienze fiume, tre esami e contro esami dei testimoni [di nulla], avvocati e pubblico ministero iniziano ad affilare le “armi” in vista di quelle che saranno le conclusioni. Così ogni singola parola viene “sezionata”, analizzata, discussa e fatta oggetto di eccezioni e opposizioni. Ed è in questo crescendo che l’avvocato Pellegrini insiste a chiedere l’orario in cui William Frediani, il 29 luglio 2004, venne visto uscire dal dipartimento del corso di laurea in Conservazione dei beni culturali [facoltà cui era iscritto] che si trova nel complesso del museo di San Matteo sul lungarno Mediceo. Orario riportato nella relazione scritta dagli uomini del Servizio centrale operativo della polizia che pedinavano il Frediani, ma che l’ispettore della Digos non ha scritto nella sua informativa [L’ISPETTORE DELLA DIGOS HA INVECE SCRITTO NELLA SUA INFORMATIVA UN ORARIO DIVERSO DA QUELLO RIPORTATO NELLA NOTA DI SERVIZIO: LA DOMANDA DELL’AVV. PELLEGRINI, RIPETUTA PIU’ VOLTE, SI RIFERIVA PROPRIO A QUESTO. LE RISPOSTE DELL’ISPETTORE DELLA DIGOS SONO STATI ARZIGOGOLI EVASIVI SENZA ALCUN SUCCESSO. AL TERMINE DI OGNI ELUCUBRAZIONE, L’AVV: PELLEGRINI REPLICAVA: “SONO ANCORA IN ATTESA CHE LEI DICA L’ORARIO CHE HA SCRITTO”].
L’ispettore risponde di non ricordarlo, ma l’avvocato Pellegrini lo incalza ulteriormente. “Quindi gli orari cui ha fatto riferimento fino a questo momento sono approssimativi?”.
L’ispettore cerca di spiegare, ma viene nuovamente interrotto dal difensore. Una, due, tre volte.
Il presidente della Corte d’assise, Angelo Perrone, lo invita a passare ad un’altra domanda “anche perché le ha già risposto”.
L’avvocato Pellegrini non convinto insiste ulteriormente. Ed è questo punto che il pubblico ministero sbotta: “Questo è inammissibile”. I difensori degli imputati si alzano di scatto, quasi a voler lasciare l’aula. Dal pubblico si levano voci di disappunto. Il presidente decide così di sospendere l’udienza. Ma la tensione è alle stelle. Mentre il pm Pietroiusti esce dall’aula, un carabiniere sente una ragazza rivolgerle un apprezzamento. [NOTA: IL CARABINIERE SI TROVA VICINO AL GIORNALISTA CHE SCRIVE “AVREBBE RIVOLTO APPREZZAMENTI”, VEDI IL TITOLO, E CHE QUINDI NEPPURE LUI HA SENTITO; MA TANTO È L’ASTIO CHE TRASPARE VERSO QUESTI GIOVANI, CHE ….]. Gli uomini della scorta invitano i colleghi dell’Arma a procedere all’identificazione. Un maresciallo cerca di avvicinarsi, ma intorno a lei si stringono gli amici presenti nell’aula. Arrivano anche gli avvocati Di Maggio e Focacci, difensori di alcuni imputati. Le voci si alzano, sono attimi concitati. In aula anche i poliziotti del reparto mobile. Si discute, gli avvocati cercano di mediare e anche gli investigatori smorzano i toni. E in pochi minuti la situazione torna alla normalità. Ma l’udienza non riprende ancora. La Corte è riunita nelle stanze della camera di consiglio. Rientra dopo oltre 30 minuti di sospensione. L’udienza riprende e il pubblico ministero informa il presidente Perrone di quanto successo. Identificata la ragazza indicata dai carabinieri come l’autrice dell’apprezzamento rivolto al pm, il presidente la invita ad uscire dall’aula. Cerca di opporsi, ma alla fine un’amica la prende sotto braccio e l’accompagna fuori. L’udienza va avanti e proseguono, anche, le schermaglie processuali tra difensori e pm. [A QUESTO PUNTO, L’ISPETTORE DELLA DIGOS CEDE ED AMMETTE DI AVER SCRITTO UN ORARIO DIVERSO DA QUANTO RELAZIONATO DAGLI UOMINI DEL SERVIZIO, PER UN SEMPLICE ERRORE DI SCRITTURA!!!!].
Terminato il controesame dell’ispettore della Digos da parte dell’avvocato Pellegrini, il presidente comunica le nuove date delle udienze (19-20 e 21 giugno; 26-27 e 28 giugno e dal 3 al 7 luglio) e nel chiudere il verbale dispone che una copia venga trasmessa alla Procura della Repubblica. Il messaggio è chiaro: d’ora in avanti in aula non saranno più consentiti atteggiamenti irriverenti.
Udienza del 19 giugno
TUTTE COSE CHE GIA’ SAPEVAMO:
1) In casa nostra ci sono le nostre impronte;
2) Le lettere e le rivendicazioni anonime sono anonime.
Nessuna nuova nell’udienza di oggi:
1) nei fogli del Primo Documento Chiarificatore inviati per posta alla redazione della rivista Terra Selvaggia erano state rinvenute le impronte di due redattori che, aperta la busta, ne avevano guardato il contenuto (oltre ad altre impronte attribuibile a persone non identificate)
2) le lettere di rivendicazione inviate dalle COR non sono state scritte da chi ne era stato accusato in precedenza.
La deposizione di cui al punto 1) si commenta da sola. Si riferisce alla famosa lettera contenente il Primo Documento Chiarificatore delle COR inviato per posta alla redazione della Rivista “Terra Selvaggia”. Così come avevano fatto i giornalisti dei quotidiani ai quali erano giunte le stesse lettere, i redattori hanno aperto la busta e letto il contenuto. Ovvio dunque che nella lettera aperta dal giornalista de La Nazione si trovi l'impronta del giornalista de La Nazione. E' altrettanto ovvio che sui fogli giunti per posta a “Terra Selvaggia” si siano ritrovate impronte dei redattori di “Terra Selvaggia” anziché dei giornalisti de La Nazione, de Il Tirreno, ecc.
Quella al punto 2) ha visto l’intervento del perito del P.M. e di quello della difesa. Il primo analizzando i caratteri in stampatello che componevano i messaggi ha riscontrato su 3 lettere del nostro alfabeto una “traccia calligrafica” riferibile ad uno degli imputati, traccia che però risulta “aspecifica” in quanto presente in larghi strati della popolazione. Alla domanda dell’Avv. Pellegrini se avesse compiuto gli esami sugli originali dei documenti o su fotocopie, prima risponde che la perizia “deve necessariamente essere svolta sugli originali”, per ammettere poi di aver lavorato su fotocopie.
I documenti analizzati sono stati circa 60. Il tempo impiegato per la perizia poche ore, meno di un pomeriggio.
Il perito della difesa, con esperienza di oltre 1000 perizie svolte su incarico di varie Procure, ha impiegato due settimane per un accurato esame dei documenti, per giungere alla conclusione che le lettere in stampatello non si prestano ad una adeguata indagine, che non erano, come ritenuto dall’accusa, scritte con un normografo, e che non vi sono assolutamente elementi che siano riferibili all’imputato più di quanto lo possano essere alla maggioranza delle persone presenti in aula. Anzi, se proprio la deve dire tutta, molti sono gli elementi che escludono categoricamente che i caratteri siano state scritti dall’imputato, che quindi non sarebbe in alcun modo il compilatore delle missive anonime.
E tutto ciò ancora una volta si commenta da solo.
Durante l’udienza, erano presenti 9 degli undici imputati, che si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
Udienza 20 giugno
Oggi sono stati ascoltati testimoni della difesa.
Le impiegate della biblioteca della Provincia e quella del dipartimento di storia delle arti di Lettere, in servizio il giorno in cui venne inviata dai loro uffici un’email di rivendicazione a nome delle Cor, hanno dichiarato di
non aver visto e di non conoscere l’imputato che la Procura aveva indicato come autore.
E’ stato quindi ascoltato un esperto chiamato a deporre dalle difese sulle dinamiche degli inneschi e sulla costituzione degli ordigni. Il teste ha escluso che per gli “ordigni” che la Procura ritiene impiegati dalle Cor nei loro atti, e costituiti soprattutto dal noto zampirone per zanzare, da un materiale tipo diavolina e da fiammiferi da cucina, si possa parlare di ordigni esplosivi, come la Procura aveva incredibilmente indicato nei propri atti, in quanto
il congegno artigianale e rudimentale non è in grado di esplodere nella maniera più assoluta. “Assolutamente no” ha ripetuto varie volte il teste. Tra le varie
anomalie evidenziate dal teste si sottolinea la presenza di una
scatola sigillata in possesso del Tribunale, contenente la dicitura esplicativa dei corpi di reato in essa presenti, che è risultata ad un controllo
priva di qualsiasi contenuto.
Niente altro di notevole da segnalare,se non che
le richieste formulate dalle difese sono state tutte respinte in quanto ritenute ininfluenti, cioè non necessarie ad aggiungere parametri nuovi per un corretto giudizio. Tra queste la richiesta di una perizia calligrafia del Tribunale, l’ascolto di alcune intercettazioni ambientali, l’acquisizione delle bolle di vendita di alcune taniche, l’esame di un corpo di reato relativo al tentato incendio di un box alla Edilcostruzione, ecc.
Il Presidente della Corte ha dichiarato dunque
chiusa la fase dibattimentale, annullando l’udienza prevista per il 21 giugno e quelle previste la prossima settimana, rinviando la
ripresa dei lavori al 3 luglio con la requisitoria del PM. Seguiranno quelle della difesa mentre la sentenza è prevista entro il 7 luglio.
UDIENZE LUGLIO 2006
3 luglio 2006. Cosiddetto processo alle COR (senza COR): Le richieste del PM.
12 anni e 6 mesi a Willy; 12 a Francesco G.; 11 ad Alessio, Benedetta, Leonardo e Costantino; 9 a Federico, Giuseppe, Francesco F., Gioacchino; 6 ad Alice.
La richiesta è giunta al termine di una confusionaria e soporifera requisitoria del P.M. d.ssa Angela Pietroiusti. Ore di dibattimento completamente cancellate, dimenticate o stravolte, come se si fosse trattato di un’inutile perdita di tempo. Tutto l’armamentario dell’accusa si basa su amicizie, su frequentazione di assemblee, su azioni di volantinaggio, sul mostrare dissenso, sull’aver sostenuto i detenuti, ecc.: una serie di vere e proprie infamie contro gli imputati fino a giungere anche a squallide offese.
E poi anche lo sfruttamento morale dei testi: bravi quelli di Alleanza Nazionale, ma proprio questa loro bravura mostrerebbe il dislivello che esiste con gli imputati!
Si pensi che uno di questi che conosceva una vittima delle Cor le espresse il dispiacere per quanto accaduto. E il teste che ha raccontato in aula questo fatto aveva detto che gli sembrava sincero. Vedete, dice il PM, il teste in buona fede gli crede ma l’imputato che elemento è da arrivare addirittura al punto di fingere dispiacere. Come vedete sono un gruppo abituato alla bugia!
Ma si è sentito di tutto, fra cui ci viene in mente una chicca: il nome del figlio di un romano è stato scambiato dal PM per una parola d’ordine, e tanto tanto squallore ancora.
E’ sospetto tutto per il PM: telefonare dalle cabine telefoniche, non rispondere al cellulare (peggio spegnere il cellulare), fare il radioamatore, detenere guanti in cellulosa (ne hai un paio in casa? Occhio perché vuol dire che non vuoi lasciare impronte), leggere documenti storici, recarsi in biblioteca, fotocopiare articoli di stampa, dire “cosa” al telefono, rimuovere le microspie e i GPS che con violenza e scasso ti hanno messo in macchina (“hanno cercato e rimosso la microspia!), parlare a propria discolpa (“sapevano di essere intercettati, allora fingevano colloqui da innocenti”), spostare un’auto o un motorino già parcheggiati, ecc.
E il PM cerca invano di giustificare anche tante (troppe) stranezze. Una telecamera posta di fronte alla casa di un indagato non funziona la notte dell’ultimo incendio di cui è poi accusato; agenti che pedinano giorno e notte ma si fermano prima che accada qualcosa per “non compromettere il pedinamento” e che quindi di fatto non vedono nulla, perché nulla c’era da vedere, o meglio non si doveva vedere chi in effetti ad esempio scriveva un’email (ammesso sia stata scritta in quella sede); perquisizioni compiute solo parzialmente perché non si voleva trovare quello che c’era (è il caso delle taniche acquistate e deposte dove normalmente venivano tenute, luogo accuratamente evitato da chi ha eseguito il sopralluogo al fine di asserire che erano state impiegate in un incendio); un ex anonimo (ora noto!) che faxa ad un Consiglio Comunale, riunito in seduta, una rivendicazione COR; l’arrivo al Silvestre, appena in tempo per l’irruzione delle forze dell’ordine, di una lettera contenente il primo documento chiarificatore delle COR; e tanto, tanto altro ancora.
Tutto quello che in sede di dibattimento era risultato favorevole agli imputati (un esempio per tutti: la macchina vista da due testi sfrecciare via dal luogo di uno degli incendi dove le Cor per l'accusa sarebbero giunte invece in motorino) completamente cancellato dal PM. Speriamo che la giuria non sia colta da tali lacune di memoria. Giuria che sembra saper il fatto suo, dato che ha rifiutato tutti gli elementi probatori (perizie ed altro) richiesti dalle difese ritenendoli “ininfluenti”. Speriamo bene, altrimenti si deve riparlare nuovamente di sentenze già scritte.
E’ l’opera svolta dal PM compatibile con il compito e dovere di considerare tutti gli elementi a favore o contro gli imputati? O ha parteggiato per una condanna che se sarà lo sarà basata sul nulla di provato ma solo di ipotizzato e in modo unidirezionale.
Chiudiamo in modo esemplificativo con una delle ultime frasi del PM: questa intercettazione “può voler dire tante cose” ma “una interpretazione plausibile è…” , dunque, neppure la più plausibile, una interpretazione e basta: questo è ciò che siamo incredibilmente arrivati a sentire in un Tribunale. Un PM che interpreta come vuole minuscoli stralci di giorni e giorni di intercettazione. Perché poi quando nelle infinite intercettazioni non si sente niente di criminoso è perché sono talmente astuti da far credere di essere innocenti!!!
Sapete quanto tempo ha impiegato il PM per sostenere il 270 bis? Esattamente i 5 minuti finali di una requisitoria di 8 ore. Ed ha iniziato con “Ed ora due parole….”!!!
Dio la perdoni.
Processo COR, le richieste dell’accusa
Oggi a seguito della solita delirante arringa della pm Pietroiusti sono state fatte le richieste di condanna: per Willy 12 anni e 6 mesi, per Francesco G. 12 anni, per Leo, Betta, Costa e Alessio 11 anni, per Beppe, Federico, Francesco F. e Gioacchino 9 anni e infine per Alice 6 anni.
Da domani inizieranno le arringhe della difesa.
La sentenza è prevista per giovedì (difficilmente slitterà a venerdì).
Se la solidarietà è un’arma più che mai in questo momento è necessario usarla!!!!
Chiamiamo ad una presenza massiccia delle/i compagne/i sia per salutare gli imputati (5 sono in carcere, 1 per il processo COR e altri 4 per gli ultimi arresti del 4 maggio scorso (5 ai domiciliari) sia per dare un segno di complicità verso la realtà pisana ulteriormente colpita.
NON UN PASSO INDIETRO NELLA LOTTA, MAI PIEGATI A DISPETTO DELLA REPRESSIONE
Libertà per Betta, Costa, Fede, Beppe, Francesco, Silvia
Libertà per Erika, Alice, Chiara, Mariangela e Daniele
Libertà per Giuliano e Doriano
Mercoledì 5 luglio – Concerto blues con BLACKDAYS (Working blues class da La Spezia)
Ore 20,00 aperitivo e buffet vegan
Ore 21,30 concerto
A seguire djset 365° per tutta la notte
Spallette dell’Arno - Lungarno Galilei fra ponte Solferino e Ponte la fortezza
Entrata gratis
(da anarcotico)
Parola alle difese. Richiesta di assoluzione con formula piena per tutti.
Assoluzione con formula piena per tutti gli imputati al processo Cor.
Questa la richiesta delle difese che hanno preso oggi la parola in Corte di Assise a Pisa (in netto contrasto con quanto richiesto ieri dal PM: condanne da 6 a 12 anni e mezzo).
Ha iniziato l’Avv. Giuseppe Pelazza del foro di Milano, difensore di Frediani e Galante. Circa due ore di requisitoria che hanno carpito l’attenzione delle persone normalmente presenti in aula e di quelle appositamente giunte da altre aule del Tribunale in cui erano in corso altri procedimenti.
L’Avv. Pelazza ha ripercorso, dal punto di vista storico e giuridico, avvenimenti e fatti che hanno portato all’inserimento dell’ormai inflazionato art. 270 bis nel Codice Penale e di come questo sia stato ingiustamente addebitato agli imputati del processo Cor, in seconda battuta di inchiesta, quale strumento atto a protrarne la detenzione.
L’inadeguatezza e l’insussistenza giuridica sono ampiamente documentate da sentenze di Corte di Cassazione e da una sentenza della Corte di Assise di Roma, prodotte dall’avvocato.
Non discorsi, supposizioni, illazioni, ma fatti giuridicamente documentati quelli portati in aula a Pisa dall’Avv. Pelazza. Sentenze riguardanti inchieste che moltissimi punti hanno in comune con quella che ha condotto sul banco degli impuatati 11 persone.
Analogie che rendono impossibile non accostare all’attuale processo sentenze di Corte Cassazione, fonte di diritto del nostro ordinamento giuridico che hanno ben dimostrato l’insussisenza dell’art. 270 bis.
Interessanti ed in alcuni momenti toccanti le rievocazioni di fatti analoghi precedentemente successi, fino al ricordo del suicidio in carcere dei due anarchici Sole e Baleno, che non sono giunti a sentire la Corte di Cassazione scagionarli dall’accusa di terrorismo.
Storicamente e ampiamente documentati anche gli errori commessi, forse per ignoranza della materia, dall’Ispettore Guariso, testimone dell’accusa, che, in mezzo ad altre inesattezze, definiva l’uso della frase “onore ai caduti” tipicamente proveniente da ambienti di destra o da persone che avevano frequentato tali ambienti, uno a caso tra questi l’imputato del processo Frediani. Onore ai caduti compare invece in scritti di ambienti di sinistra e anche anarchici, come ha documenatto l'avvocato.
Si è quindi soffermato sul concetto di colpa di autore di matrice nazista (che riprende un concetto espresso questa mattina dall’avv. Giovinazzo, secondo cui prima si sceglie una persona e quindi gli si confeziona un abito su misura), sui teoremi del processo Marini, sulla persona del sig. Marco Camenish (che l’avvocato chiama sig., e non con l’epiteto gratuito con cui l’aveva chiamato il PM), sulla assoluta e garantita libertà di leggere materiale stampato o di frequentare siti internet leciti in quanto mai oscurati dall’autorità.
L’Avv. Pelazza ha cosi’ categoricamente escluso che nella fattispecie si potesse solo ipotizzare la formulazione del reato di cui all’art. 270 bis, lamentandosi del fatto di come il PM sia giunto nella requisitoria di otto ore a dire solo nel finale “e adesso due parole sull’articolo 270bis”.
Una difesa che si e’ snodata non solo a favore dei suoi assistiti e dei loro coimputati, ma principalmente a favore dello stato di diritto, della correttezza giuridica, dei diritti costituzionali e di una magistratura libera e coraggiosa.
Prima del lungo intervento dell’avvocato Lombardi, hanno preso la parola l’Avv. Angela Giovinazzo del foro di Roma, difensore di Somma Gioacchino (che ha sottolineato la difficoltà pratica di svolgere un'adeguata requisitoria in quanto non si riesce a capire sulla base di cosa sono stati attribuiti i capi di imputazione a carico dell’assistito, da cui difendersi) e l’avv. Cariello, difensore di Perondi (che ha ripercorso tutti i fatti già evidenziati in udienza e chiaramente indicativi della totale estraneità del suo difeso ai fatti contestati).
Lunga e faticosa, ma ben delineata e circostanziata, la requisitoria dell’Avv. Lombardi, difensore di Finocchi, Landi e Ragusa.
Un intero pomeriggio in cui ha ripercorso fasi salienti dell’inchiesta, inesattezze, forzature e supposizioni formulate dal PM a carico dei suoi assistiti e non solo.
Anche alcune domande che forse non avranno mai risposta. Fatti che possiamo ben definire “stranezze incomprensibili o quasi”.
A titolo di esempio ne ricordiamo alcune.
Perché solo alcune delle parti lese sono state poste sotto scorta (come Petrucci e Cortesi) mentre altre che avevano subito identici atti no?
Cosa differenzia fra di loro le persone che si sono costituite parte civile in questo procedimento, per gli stessi motivi, al punto tale da doverne salvaguardare (?) l’incolumità per alcuni e non per altri?
Perché nessuno e’ stato chiamato a testimoniare per gli atti compiuti a Roma e oggetto di contestazione dell’accusa in questo procedimento?
Perché per tre mesi le forze dell’ordine hanno impiegato tempo e risorse per risalire all’autore dell’invio anonimo al Comune di Pisa per fax di un volantino di rivendicazione? Perchè l’autore di questo invio, il giornalista Cortesi, non ha accompagnato il fax come sempre si fa, dalla specifica del mittente e del destinatario? Perché se il destinatario era un Consigliere di Circoscrizione il fax e’ stato inviato in Comune dal momento che i due enti hanno sedi diverse?
Perché gli imputati, accusati di essere aderenti alle Cor, tutti frequentatori del circolo Il Silvestre, avrebbero sbagliato l’indirizzo in una lettera di minaccia inviata all’Architetto Moscatello che ha lo studio nella stessa via dove si trova la sede de Il Silvestre? Tanto che la lettera giunge a destinazione grazie alla correzione dell’indirizzo da parte del portalettere? Come e’ possibile questo, dal momento che l’Architetto ha una targa ben visibile sulla strada? Non è questa una delle tante prove a scagione degli imputati?
Molti i dubbi per la difesa in questo processo, dallo svolgersi delle indagini alla formulazione delle accuse. Molte, anzi troppe, le “stranezze” che non hanno avuto in aula spiegazione.
Nel corso del procedimento, grande importanza accusatoria e’ stata data ad una impronta del Landi rinvenuta su un documento a firma Cellule di Offensiva Rivoluzionaria, sequestrato nel casolare di Agnano in cui il Landi viveva, inviato per posta alla redazione del giornale Terra Selvaggia di cui il Landi fa parte e che lui stesso, a busta aperta, aveva sfogliato, come immediatamente dichiarato agli inquirenti.
Un non senso assoluto: accusare una persona di lasciare impronte sulla corrispondenza aperta a lui inviata e rinvenuta nella sua casa. Grave sarebbe stato invece non trovarne!
E molte altre cose ancora: come le indagini sul DNA sui cosiddetti corpi di reato, che, sebbene risultate negative o ininfluenti, sono state eseguite in assenza delle difese, pur trattandosi di una metodica irripetibile e quindi non ammissibile ai fini processuali!!!! E l'importanza data agli auricolari e ricetrasmittenti, mai usati dagli imputati in mesi e mesi di pedinamento e osservazione!! Come lo scanner che il PM ha sostenuto servisse ad ascoltare le conversazioni delle forze dell’ordine che invece, come tutti i radioamatori sanno, sono criptate!!!
Domani si prosegue con gli avvocati Pellegrini, Focacci e Menzione.
5 luglio 2006: ALTRE ARRINGHE DEI DIFENSORI. PUBBLICO MINISTERO COSTRETTO ALLA REPLICA.
Ha aperto l’udienza di oggi l’avv. Angela Giovinazzo che ha sottolineato come a carico di Alice esiste solo il fatto di essere stata presente al momento della perquisizione al casolare di Agnano e come la Procura di Pisa l’avesse ritenuta in primis estranea ai fatti.
Successivamente l’avv. Ezio Menzione è intervenuto “iniziando con il partire dalla fine” cioè dalle pene richieste dal PM, pene spropositate anche rispetto a recenti sentenze per reati più gravi. Ha poi elencato le definizioni di terrorismo e eversione, nessuna di queste neppure lontanamente applicabile alle azioni delle Cor.
Ha dimostrato quindi che, al contrario di quanto detto dal PM che, nelle sue brevi osservazioni sul 270bis, aveva sostenuto che le Cor avrebbero “sovvertito” l’ordinamento costituzionale, esiste una netta distinzione tra ordine costituzionale e ordine democratico (quello del 270bis). A semplice dimostrazione di questo ha, tra le altre cose, citato Bossi e Calderoni che, pur auspicando di cambiare (e modificando), la Costituzione non sono certo da ritenere degli eversori. Molti sono infatti quelli che vorrebbero cambiare aspetti della Costituzione e questo è del tutto lecito.
Escludendo pertanto, e in modo netto, la possibilità che le azioni delle Cor, per altro modeste, possano configurare un disegno eversivo dell’ordine democratico, ha discusso la possibilità che si possa eventualmente configurare un reato associativo di tipo delinquenziale, avvertendo però che in tal caso si deve ugualmente riuscire ad individuare un’organizzazione, chiarire chi raccoglieva i finanziamenti, chi progettava le azioni, qual’era il disegno: tutti requisiti impossibili da evincere nell’attuale inchiesta, anche perché gli imputati non fanno parte delle Cor.
Ha quindi preso la parola, in difesa di Gioia e Frediani, l’avv. Luca Pellegrini, il quale ha pregato di prestare attenzione solo sui cosiddetti indizi svuotando il tutto da pregiudizi ideologici con cui si è cercato di colorarli.
E per quanto attiene il Gioia ha semplicemente riletto l’intercettazione ambientale che lo avrebbe condotto agli arresti: frasi che tutti potrebbero dire in riferimento ad un numero non precisabile di evenienze, ma che la Procura ha interpretato incredibilmente in modo a Lei conveniente.
Sottolinea come ben due testimoni abbiano visto fuggire un’auto dal luogo dell’incendio di Calci, quando invece il Gioia vi sarebbe andato, secondo il PM, con un motorino.
Ma la requisitoria dell’avv. Pellegrini, per entrambi i suoi difesi, al di là dei singoli indizi, tutti puntualmente analizzati, ha tradito una profonda amarezza, quella provata da un giovane avvocato per il modo allucinante con cui sono state condotte le indagini e per la mancanza di prove da cui potersi difendere: tutti comportamenti, quelli dei due ragazzi, del tutto leciti. E le solite stranezze: pedinamenti che si interrompono la sera di un incendio, telecamere che si spengono la notte (esattamente quando avvengono gli incendi, “tutti di notte”), pedinatori che non vedono dove entra o và la persona seguita, orari di pedinamento non concordanti tra loro, orari per altro tutti precisi (mai ad es. uno esce alla 12,58, ma sempre esce alle 15,00-12,50-16,15: un cronometro di precisione dice l’avvocato; e questo l’avvocato lo sottolinea perché gli inquirenti dicono che quando scrivono “circa le 15” vuol dire che non sono le 15 esatte, e, se così è, siccome di “circa” non c’è neppure uno, allora il Frediani non era più in una certa ora nel luogo dove doveva essere per inviare la famosa email), analisi informatiche evanescenti, se mai eseguite, prove irripetibili effettuate senza che il difensore ne sapesse nulla, una perizia calligrafica della Procura in cui il perito ritiene di non avere sufficienti elementi per rispondere (tradotta dalla Procura con la frase “sicuramente scritte da…”), ecc.
E che pensare dell’incendio del portone della Fusco e della successiva rivendicazione (l’unica rivendicazione Cor avvenuta per email): ci viene detto che la telecamera di fronte al portone del Frediani non era in funzione quella notte, la Digos ci dice che Frediani è rimasto in casa tutta la notte, un agente Digos vede due motorini nei pressi dell’abitazione Fusco al momento dell’incendio, il motorino del Frediani viene rinvenuto leggermente mosso (così dicono), sembra tiepido al tatto di chi sente, poi l’accusato sarebbe entrato come un fantasma in ben due biblioteche – nessuno lo vede (neppure chi lo segue passo passo), invia quindi un’email ma in due tempi (una parte in una biblioteca, il seguito nella successiva). Perché poi - si chiede l’avvocato - gli inquirenti non si sono recati subito dal personale delle biblioteche per sentire se lo avessero visto entrare? Non solo il PM non ha sentito il suddetto personale ma si è rifiutato di farlo anche sotto continua sollecitazione del difensore.
L’avvocato Focacci ha concluso gli interventi chiedendo anche lui l’assoluzione con formula piena per i propri difesi (Perondi e i fratelli Bonamici), sottolineando come proprio le intercettazioni ambientali siano una prova incontrovertibile della estraneità dei propri difesi, a meno che non si vogliano interpretare in modo errato certe parole o frasi.
Il PM Pietroiusti ha quindi brevemente replicato (e offeso, come già aveva fatto; ma lei può, evidentemente). Per capire cosa ha voluto dire in questa replica (per noi parole del tutto fumose e incongruenti: abbiamo capito solo che telefonare da un apparecchio pubblico con monete e non con la scheda [chiamata rintracciabile] è un atto criminale!!! ) preferiamo attendere le contro-repliche dei difensori previste per venerdì prossimo (7 luglio) alle ore 9. Successivamente la Corte si riunirà in Camera di Consiglio per emettere la sentenza nella stessa giornata. Domani pausa riflessiva.
7 luglio 2006. LA SENTENZA
Si è concluso venerdì 7 luglio in tarda serata il processo COR, dopo quasi 12 ore di camera di consiglio.
Degli 11 imputati 5 sono stati assolti (Federico e Giuseppe Bonamici, Gioacchino Somma, Alice Motta, Francesco Finocchi) gli altri 6 sono stati accusati e condannati per il 270 bis ed i reati specifici con pene che variano da 6 a 3 anni ( a William 6 anni, a Francesco 5 anni e 2 mesi, a Costantino 5 anni, ad Alessio 3 anni e 8 mesi, a Betta e a Leo 3 anni e 6 mesi). Ciascuno di loro è stato inoltre condannato a pagare i danni (?) alla parte civile.
Il teorema accusatorio della Pm è riuscito quindi ad influenzare il giudizio della corte che nostante l’inconsistenza delle prove e delle accusa ha deciso comunque di confermare l’associazione sovversiva a fine di eversione per 6 nostri/e compagni/e
Solidarietà ai compagni e alle compagne
Libertà per tutti /e
Il Laboratorio delle Disobbedienze Rebeldìa di Pisa commenta la sentenza
NOI FACCIAMO POLITICA, NON FACCIAMO I MAGISTRATI
Repressione a Pisa e la cosiddetta inchiesta sulle Cor
Repressione in Italia
H O M E