Testo del GSF
presentato in parlamento dopo i fatti del G8
I GIORNI
DELLE MANIFESTAZIONI E I FATTI DI GENOVA
Introduzione
La nostra
memoria vuole anche contribuire a una ricostruzione ragionata dei fatti di
Genova, basata sull’incrocio delle informazioni tratte da resoconti qualificati
forniti da portavoce o esponenti dello staff del Genoa Social Forum, dalle
oltre 200 testimonianze e denunce circostanziate di semplici cittadini e
cittadine che abbiamo sinora potuto esaminare, delle oltre 400 segnalazioni e
testimonianze che sono state raccolte dal GSF o da altre fonti ad esso vicine
(liste di discussione come lilliput-g8, cerchiodig8, donnecontrog8, gsf).
Il nostro
intento è quello di fornire, in breve, materiale per la riflessione e spunti
per i necessari approfondimenti ai membri della Commissione bicamerale
d’indagine conoscitiva sul G8 riguardo agli aspetti più controversi nella
ricostruzione degli avvenimenti che vanno in particolare dal 16 al 22 luglio.
Il Genoa
Social Forum, ritiene che in occasione del Vertice del G8 di Genova non siano
stati garantiti i più elementari diritti dei cittadini e siano stati fortemente
limitati i diritti costituzionali di espressione, informazione e
manifestazione.
La strategia
che ha guidato il comportamento delle forze dell`ordine ha di fatto permesso in
tutti e due giorni la distruzione sistematica della citta da parte dei
cosiddetti Black bloc, intervenendo invece in maniera violenta sempre contro le
manifestazioni promosse dal GSF.
Qui di
seguito vogliamo dare un’idea di quali siano i nodi problematici cui ci
riferiamo per poi entrare nel merito di alcuni dei momenti/casi più
controversi.
Prima di
entrare nel merito di quanto successo nei giorni del 20 e 21 luglio, vale la
pena di descrivere brevemente il clima generale di quei mesi e segnatamente di
quello del periodo compreso tra il 16 luglio, inizio tra l’altro del Public
Forum organizzato dal GSF (che ha visto 200 relatori provenienti da tutto il
mondo, 50 dei quali dai paesi del Sud), e il 19 luglio, giorno della
manifestazione dei migranti.
Nei mesi
precedenti il vertice, infatti, con una costanza impressionante, vengono
divulgate dai media presunte relazioni dei servizi segreti che disegnano
scenari apocalittici, del tutto fantasiosi e infatti puntualmente non
verificatisi (bombe al sangue infetto, poliziotti usati come scudi umani e via
dicendo). Si sprecano inoltre le notizie su attentati terroristici di oscure
organizzazioni.
Queste
notizie, su imprecisate frange più estreme dei manifestanti che starebbero
meditando di colpire duramente le forze dell’ordine, arrivano agli organi di
stampa, mentre si susseguono sui media cronache sugli allenamenti dei reparti
mobili della Polizia di Stato nel campo di addestramento di Ponte Galeria
vicino Roma e dichiarazioni truculente di singoli esponenti delle forze
dell’ordine che vi partecipano. Si diffonde inoltre la notizia dell’utilizzo di
circa tremila persone dei corpi speciali dell’esercito che avrebbero dovuto
essere utilizzati in piazza.
Nei primi
giorni di luglio vengono effettuate alcune perquisizioni anche nelle residenze
di alcuni esponenti del GSF che non danno alcun esito.
Il 16 luglio
alle 10.30 del mattino un pacco bomba esplode a Genova tra le mani del
carabiniere Stefano Torri ferendolo a un occhio e alle mani. Una delegazione
del GSF si reca in visita presso l’ospedale San Martino a Stefano Torri
esprimendo solidarieta’ e condannando il vile attentato. Si susseguono allarmi
bomba in tutto il Paese, alcuni purtroppo reali ed altri frutto della psicosi
che si era ingenerata.
Tra gli altri
ricordiamo un ordigno incendiario a orologeria trovato sotto un camper davanti
allo stadio Carlini, poi neutralizzato dagli artificieri. Inoltre, il 17 luglio
arriva una busta al sindaco di Genova che contiene un messaggio di morte per il
portavoce del GSF Vittorio Agnoletto e due proiettili calibro 38.
Questo è il
clima che si respira in città quando nella notte tra il 17 e il 18 luglio
vengono innalzate barriere di 5 metri di altezza attorno alla zona rossa, dividendo
in due la città e recludendo di fatto circa trentamila abitanti.
La tensione,
palpabile sino a quel momento, si stempera nella serata del 18, serata in cui
il GSF organizza un grande concerto (circa trentamila i presenti) del cantante
Manu Chao, dei 99 Posse e dei Meganoidi. Ritorna la serenità e le migliaia di
persone in modo ordinato, con i pullman navetta, rientrano nei luoghi di
accoglienza senza alcun inconveniente.
Il 19 luglio
è il giorno della grande manifestazione per i diritti dei migranti e dei
rifugiati, con corteo da piazza Sarzano a piazzale Kennedy, che vede circa 50
mila persone, provenienti da tutta Europa, manifestare per 3 ore per le
strade di Genova. La grande partecipazione e il clima festoso e pacifico
spingono il GSF a concordare, in corso d’opera, con i responsabili della
Questura un allungamento del percorso previsto. La manifestazione si
conclude, senza alcun incidente, con una grande festa a Piazzale Kennedy,
interrotta dalla pioggia che porterà alle conseguenze sui luoghi di accoglienza
descritte in precedenza.
La giornata del 20 luglio
Premessa
Ricordiamo
che il 20 le iniziative organizzate dal GSF sono state: il presidio di piazza
Manin/via Assaroti (organizzato da Rete Lilliput, Legambiente, Marcia delle
Donne e Rete ControG8); il presidio di piazza Dante (dove si erano concentrati
Arci, Attac, Lila, Rifondazione Comunista, Fiom, UDU, UDS, Centri Sociali
Torchiera, Baraonda e Cerchio di G8); il presidio di piazza Paolo da Novi
(organizzato da Cobas, Network per i diritti globali e Movimento Antagonista
toscano); il corteo da piazza Montano a piazza Di Negro (organizzato dalla Cub,
cui aderisce, tra gli altri, lo Slai-Cobas), il corteo di Corso Gastaldi
(organizzato dalle Tute Bianche, dai Giovani Comunisti, da Rage di Roma e dalla
Rete No Global di Napoli).
Tutte queste
iniziative erano state comunicate per tempo alla Questura, indicando anche le
relative modalità di svolgimento. Tutte le manifestazioni si sono svolte
secondo i preavvisi depositati e conformemente alle prescrizioni notificate
dalla Questura.
Piazza Paolo
da Novi
La piazza,
occupata dai cosiddetti BB viene abbandonata dai Cobas e dagli attivisti del
network per i diritti globali che avevano organizzato il presidio
preventivamente autorizzato. COBAS e Network si dirigono verso il mare dove
improvvisano un concentramento a Corso Marconi all’altezza di piazza Rossetti.
Il
concentramento nella piazza tematica doveva avvenire alle ore 12. Nella zona
attorno alla Stazione ferroviaria di Brignole durante la notte erano stati
disposti sbarramenti costruiti con container.
Reparti in
tenuta antisommossa erano disposti a elle, chiudendo la piazza non solo in
direzione piazza Verdi (imbocco di corso Buenos Aires), ma anche in direzione
mare, in via della Libertà. Successivamente, il reparto in via della Libertà
veniva riposizionato.
Tra le 11.30
e le 11.45, mentre stavano arrivando alla spicciolata le prime centinaia di
manifestanti e le delegazioni contadine, gli avvenimenti sono precipitati in
brevissimo tempo.
Da una parte
alcune decine di giovanissimi, senza segni distintivi evidenti, hanno iniziato
a lanciare contro il reparto schierato in corso Buenos Aires oggetti, che si
erano procurati svellendo le pavimentazioni intorno alle aiuole della piazza e da
un cantiere di ristrutturazione.
Nel mentre da
corso Buenos Aires sopraggiungeva un corteo di forse 200 o più persone, quasi
tutte a volto coperto, che attaccavano le vetrate di una banca nel corso e poi
iniziavano a muoversi verso piazza Tommaseo, in direzione contraria rispetto
alla Zona Rossa.
A questo punto i reparti antisommossa sembravano pronti ad intervenire, quindi
i manifestanti della piazza tematica, per non trovarsi coinvolti nelle cariche,
anche se il concentramento non era ancora concluso, hanno dovuto abbandonare la
piazza.
Alcune
centinaia di essi hanno cercato di allontanarsi insieme, uscendo da piazza
Paolo da Novi in un primo tempo in direzione di piazza Palermo, poi, resisi
conto che in quella direzione si stavano verificando incidenti, dirigendosi
verso piazzale Kennedy attraverso via Casaregis.
Un certo
numero di persone vestite di nero (nell'ordine delle decine) hanno tallonato il
corteo per farsene scudo e hanno continuato a incendiare cassonetti e
infrangere vetrine.
Corso
Gastaldi
Alle 13.30
circa parte il corteo dei disobbedienti, il cui preavviso era stato notificato
alla Questura di Genova il 16 luglio (vedi allegati) e di cui era stata vietata
la parte finale il giorno 19 luglio (piazza Verdi, piazza delle Americhe,
piazza della Vittoria e Via XX Settembre) e che risultava quindi regolarmente
autorizzato fino alla fine di via Tolemaide.
Sono circa 20
mila i manifestanti che partono dallo stadio Carlini.
Alla testa
alcune file di scudi collettivi, montati su strutture mobili e dietro altre
migliaia di persone con giubbetti nautici e protezioni individuali, tutti senza
strumenti atti ad offendere.
Fino
dall’altezza dell’ospedale di San Martino è possibile scorgere dense colonne di
fumo ed elicotteri a bassa quota alcuni chilometri più in basso.
Il corteo
viene rallentato per comprendere la situazione e avanza con estrema lentezza
fino all’incrocio con via Montevideo, dove incontra la carcassa di
un’autovettura ribaltata, bruciata e ormai solo fumante.
Il corteo, fin
dallo stadio Carlini è preceduto ad alcune centinaia di metri da un
"gruppo di contatto", composto da alcuni portavoce, parlamentari e
giornalisti, delegato appunto a prendere contatto con i dirigenti delle forze
dell’ordine.
Ma il “gruppo
di contatto” non riuscirà a svolgere alcuna funzione pur essendosi spinto fin
quasi alla stazione di Brignole, senza incontrare nessun interlocutore. Il
corteo arriva a pochi metri dall’incrocio fra via Tolemaide e corso Torino,
dove un centinaio di carabinieri sta inseguendo un piccolo gruppo di persone
che fugge verso il tunnel sotto la ferrovia che immette in corso Sardegna. Il
gruppo di carabinieri, giunto all’incrocio con via Tolemaide, desiste
improvvisamente dall’inseguimento e, sparando lacrimogeni, svolta di 90 gradi
nella suddetta via caricando la testa del corteo. Nel giro di pochissimi minuti
dalla stazione di Brignole avanzano i cellulari dei carabinieri, fino ad allora
fermi, che sostengono l’azione di carica, supportati da un’incessante pioggia
di lacrimogeni provenienti anche dai tetti dei palazzi e, in un secondo
momento, anche dal ponte della ferrovia.
Da questo
punto in poi le cariche saranno continue, mentre il corteo arretra lentamente,
e tutto attorno la situazione si fa sempre più confusa.
Il corteo
continua ad indietreggiare, sotto la pressione dei lacrimogeni e l’azione dei
mezzi blindati, lanciati ad alta velocità contro i manifestanti (come
dimostrano immagini video e foto), la calca e terribile, le persone soffocano
anche per i gas e si schiacciano. In assenza di vie di fuga alcune centinaia di
manifestanti si disperdono nelle vie laterali, bloccate dai carabinieri e, per
aprirsi la strada in modo non organizzato, ingaggiano i primi scontri. Mentre
il grosso del corteo di ventimila persone tenta con difficolta di ritirarsi
verso lo stadio Carlini nella zona continuano violenti scontri, che porteranno
poco dopo alla morte di Carlo Giuliani.
A questo
punto, in via Tolemaide, avanzano due grossi automezzi della polizia dotati di
idranti, usati come arieti contro la testa della manifestazione e nel corteo si
diffonde la notizia che le forze dell’ordine hanno usato armi da fuoco e che
uno o più manifestanti sono rimasti colpiti.
Poco dopo
arriva la conferma della morte di un ragazzo e la voce di altri due decessi.
(Solo in serata si saprà il nome e la nazionalità di Carlo Giuliani)
Il corteo
indietreggia, incalzato dalle cariche lungo Corso Gastaldi per più di un
chilometro, con una sorta di caccia all’uomo e pestaggi indiscriminati.
All’incrocio
con via F. Corridoni, alcune centinaia di poliziotti, nonostante parte del
gruppo di contatto avesse più volte comunicato che il corteo stava rientrando
allo stadio Carlini, si aggiungono alle cariche che cessano solo alcune
centinaia di metri prima dello stadio stesso dove il corteo rientra a partire
dalle 18.30.
Cariche,
pestaggi ed arresti continuano nelle ore successive nei quartieri di San
Martino e alla Foce, nei confronti di chi si era perso o attardato.
Piazza Manin
Dalle 9.30
del mattino a piazza Manin è stato organizzato il presidio, comunicato
ufficialmente alla Questura e “autorizzato” per tempo, di Rete Lilliput,
Marcia Mondiale delle Donne, Legambiente e Rete ContrG8. Ci sono banchetti
delle botteghe del commercio equo e solidale, cartelloni sui temi della
globalizzazione dei vari nodi territoriali di Rete Lilliput e striscioni delle
varie organizzazioni. In questa piazza, che non vede alcuna presenza delle
forze dell’ordine che fino al giorno prima la presidiavano, convergono anche gli
aderenti al Pink Bloc, ecopacifisti in prevalenza del centro e nord Europa.
Oltre alle
autorizzazioni scritte gli organizzatori del presidio di piazza Manin martedì
17 luglio mattina si recano a una riunione operativa in Questura con il capo
della Digos Spartaco Mortola, durante la quale si sono chiariti definitivamente
gli orientamenti del movimento rispetto alle zone di concentramento dei cortei
e dei presidi, una fase interlocutoria durante la quale da parte della Questura
è stata assicurata celerità nelle decisioni.
Il pomeriggio
stesso, dopo aver fissato un appuntamento, Rete Lilliput nella figura di uno
dei suoi portavoce, Alberto Zoratti, incontra nuovamente il capo della Digos
per definire in maniera più specifica la zona della circonvallazione a Monte,
specificando chi e come avrebbe gestito le diverse piazza tematiche in
programma (Commercio Equo, Debito, Pace e Guerra, Tobin Tax).
Giovedì 19
luglio, nel pomeriggio, dopo la comunicazione scritta da parte della Questura
riguardo alle piazze concesse e non concesse, Alberto Zoratti di Rete Lilliput
e un portavoce di Retecontrog8 comunicano al Capo della Digos Spartaco Mortola
i rispettivi recapiti telefonici, così da facilitare i contatti e le
comunicazioni in caso di emergenza (operazione di fatto inutile, visto che mai
sono stati utilizzati dalla Questura); durante la stessa telefonata e in
un’altra successiva si è sollecitata l’individuazione di un responsabile di
piazza tra le forze dell’ordine che fungesse da riferimento in caso di
necessità.
Alle
assicurazioni da parte del Capo della Digos non sono seguiti fatti concreti,
tanto meno durante la carica a Manin il giorno 20 pomeriggio. In quella
occasione nonostante si richiedesse agli operatori di polizia presenti in
piazza chi fosse il funzionario responsabile, gli organizzatori non ricevevano
risposte. Contattato a questo proposito al telefono, Mortola rispondeva con uno
sconfortante “levatevi di lì”.
Ciò per quanto riguarda i rapporti con la Questura, ma vediamo la dinamica
degli eventi in piazza.
Quando, nella
tarda mattinata del 20, si concentrano nella piazza circa due-tremila persone,
verso le 12.30 si decide di cominciare a scendere per via Assarotti per
effettuare un sit in pacifico davanti alle barriere di piazza Corvetto e di
piazza Marsala. Giunti alla fine di via Assarotti inizia il sit in e dopo una
breve trattativa con le forze dell’ordine cui partecipano, anche Don Gallo e
Franca Rame, che nel frattempo hanno raggiunto il grosso dei manifestanti, le
forze dell’ordine consentano agli attivisti nonviolenti di attaccare messaggi e
striscioni alle grate di piazza Corvetto, mentre le esponenti del movimento
femminista e il Pink Bloc inscenano un’analoga iniziativa alle barriere di
piazza Marsala.
Verso le
13.30 giungono via cellulare a vari manifestanti notizie riguardanti le
incursioni dei presunti black bloc e verso le 14, viene segnalato che un gruppo
di cosiddetti BB che aveva assaltato il carcere di Marassi si starebbe
dirigendo verso Manin prendendo via Peschiera o via Monte Grappa. A quel punto
gli organizzatori della manifestazione decidono di far arretrare il grosso dei
manifestanti oltre via Peschiera e infine di guadagnare di nuovo piazza
Manin dove stazionavano dalla mattina alcuni attivisti a presidio delle strutture,
mentre alcune decine di attivisti rimangono davanti alle grate di piazza
Corvetto.
Verso le
14.30 irrompono nella piazza, facendo marce e caroselli i presunti BB e
altri gruppi armati di spranghe e bastoni. Gli attivisti nonviolenti si
frappongono tra i cosiddetti BB e l’imbocco di via Assarotti per impedire loro
di imboccarla e mettere in pericolo chi è rimasto davanti alle grate che
delimitano la Zona Rossa. Dopo pochi minuti, mentre i presunti BB, stanno
sganciandosi incominciando a imboccare Corso Armellini, cominciano a piovere
candelotti in piazza contro il gruppo di manifestanti nonviolenti che avevano
fatto interposizione. Subito dopo una cinquantina di agenti della Polizia di
Stato irrompono nella piazza accanendosi sui banchetti e manganellando gli eco-pacifisti
e le femministe. Alcuni dei presenti contano perlomeno una decina di ragazzi e
ragazze con la testa insaguinata e ad una ragazza viene fratturata una mano (35
giorni di prognosi).
I
presunti BB nel frattempo in tutta calma procedono per Corso Armellini
improvvisando barricate con i cassonetti e le campane dei rifiuti e sfasciando
le macchine in sosta. All’altezza di piazza San Bartolomeo degli Armeni viene
organizzata un’altra barricata e un drappello di una decina di BB attende
l’arrivo di altri BB: c’è un lancio di bottiglie e di lacrimogeni, e anche gli
ultimi BB a quel punto si muovono per raggiungere gli altri lungo Corso
Solferino.
I poliziotti,
invece di inseguire i BB, deviano verso l’adiacente piazza San Bartolomeo, dove
si erano rifugiati un gruppo di pacifisti e li aggrediscono e continueranno la
caccia al militante nonviolento anche lungo l’adiacente via Assarotti. I BB nel
frattempo agiscono indisturbati lungo via Palestro. Mentre la polizia si
attesta immobile a piazza Marsala. L’opera di distruzione dei BB continua in
tutta tranquillità anche per Corso Magenta e Corso Paganini.
Nel
frattempo, sono ormai le 16.30- 17.00, giunta la notizia che il GSF ha deciso
di smobilitare i presidi di piazza e di convocare un’assemblea a piazzale
Kennedy il grosso dei reduci di piazza Manin (circa mille persone), imbocca via
Monte Grappa e poi scende da una scalinata dietro Brignole sulla sponda destra
del Bisagno all’altezza di ponte Sant’Agata, dove arriva alle 17.30. Mentre
nella zona i BB stanno mettendo a ferro e fuoco il quartiere di Marassi i
pacifisti che vogliono raggiungere piazzale Kennedy trattano con un reparto di
polizia che presidia l’uscita della galleria in fondo a via Canevari che gli
impedisce il passaggio per circa un’ora. Sempre Alberto Zoratti di Rete
Lilliput, in questo frangente cerca di sbloccare quella pericolosa situazione,
ritelefona a quel punto al capo della Digos Mortola che gli risponde di non
poter fare nulla. Alla fine, dopo aver saputo che il reparto di carabinieri che
presidiava la galleria di Corso Sardegna faceva filtrare le persone, i mille
riescono a guadagnare Corso Torino e in corteo, tra le devastazioni,
raggiungono piazzale Kennedy.
Piazza Dante
Intorno ai
giorni 16/17 di luglio Arci, Attac (Italia e Francia), Fiom CGIL, Rifondazione
Comunista, Unione degli studenti, Unione degli Universitari, i Centri sociali
di Milano Torchiera, Baraonda, CerchioG8, la LILA – dopo alcuni sopralluoghi –
decidono di svolgere le loro iniziative/manifestazioni per il giorno 20 di
luglio nelle piazze Carignano e Dante.
Depositano
regolare comunicazione alla Questura di Genova circa le proprie manifestazioni
in un documento unico in cui erano presenti tutte le iniziative di piazza
promosse dal Genoa Social Forum.
Il giorno 19
di luglio al mattino si svolge una riunione delle organizzazioni che sarebbero
state presenti nelle piazze Carignano e Dante. Durante la riunione si studiano
i modi per organizzare la “protezione” delle piazze per mantenere la piena
pacificità delle manifestazioni e si preparano le attività e le iniziative da
svolgersi. In particolare si decide di collocare alcune persone in luoghi
strategici pronti ad avvisare i responsabili della piazza qualora ci fossero
avvisaglie di incidenti o pericoli di infiltrazioni. I luoghi “sorvegliati”
erano in particolare: l’imboccatura della galleria che conduce a Piazza Dante,
l’inizio di Via D’annunzio e i giardini retrostanti la Piazza Dante, Via
Ravasco e le due vie di accesso a Piazza Carignano che circondano la chiesa.
Si fissa il
concentramento alle ore 12 in Piazza Carignano. Si decide comunque di avere già
una presenza nelle due piazze già dalle 10.30/11 per presidiarle. Attac France
sarebbe partita in corteo da Piazzale Kennedy. Le attività prevedono la presenza
di due sound-system (camioncini con casse per la musica) uno in ogni piazza;
spettacoli di teatro di strada (Living theatre); altre attività creative da
svolgersi intorno alla rete presente lungo tutto Piazza Dante (palloncini da
far volare oltre le grate, un grosso piede di compensato da buttare oltre la
rete, la costruzione di una torre di babele dalla quale far parlare le persone
e altre iniziative).
Intorno alle
ore 11 del giorno 19 luglio Massimiliano Morettini (Arci) e Fiorino Iantorno
(Attac Italia) si recano in Questura da Spartaco Mortola Capo della Digos per
informarlo sull’organizzazione di protezione delle piazze Dante e Carignano,
sulle attività che vi si sarebbero svolte e sulle organizzazioni che lì
sarebbero state presenti. Dopo un breve colloquio il Mortola accompagna
Morettini e Iantorno nell’ufficio di Andreassi nel quale era presente anche il
Questore di Genova Colucci. Entrambi vengono messi al corrente di tutto quanto
già comunicato al dott. Mortola. Vengono rivolte richieste di chiarimento, gli
viene risposto. Vengono verbalmente autorizzate tutte le attività proposte. Il
tutto in un clima sereno e collaborativo.
La mattina
del 20 luglio, già dalle ore 11 circa sono presenti nelle due piazze gli
organizzatori che cominciano a predisporre le attività per la giornata.
Viene notato
un motorino in Piazza Carignano, con alcuni fili scoperti che pareva
abbandonato. Il motorino aveva sul serbatoio un adesivo della Polizia di Stato.
Viene avvisata la Questura almeno tre volte per venire a controllare che non ci
fossero ordigni. Nessun intervento.
Intorno alle
ore 12 le due piazze si cominciano a riempire. Nel frattempo cominciano ad
arrivare le prime notizie degli incidenti in città. Prima dalla zona di Corso
Torino/Piazzale Kennedy, poi Piazza Manin, poi a Brignole/Valbisagno, e via di
seguito.
In Piazza Dante la manifestazione si svolgeva in modo abbastanza tranquillo.
Ogni tanto qualche momento di tensione e qualche attacco alla rete –sempre a
mani nude- veniva interrotto dai getti degli idranti con acqua urticante. In
Piazza c’era musica e si alternavano gli spettacoli di teatro.
Il clima teso
che si respirava per quello che avveniva in città ha fatto sì che le
organizzazioni presenti rinunciassero a molte delle attività previste (la torre
di Babele, il “piedone” e altro), valutando che non ci fossero le condizioni.
Il servizio
di sorveglianza della piazza ha funzionato sequestrando ad alcune persone
oggetti trovati per strada (qualche bastone, qualche cartellone stradale),
allontanando qualche esagitato nei pressi della rete, bloccando persone
“sospette” in Piazza Carignano senza farle scendere in Piazza Dante.
Le persone
salivano e scendevano continuamente da Via Fieschi facendo la spola tra le due
piazze.
Intorno alle
quattordici uno dei nostri punti di sorveglianza intorno alla Chiesa di Piazza
Carignano ci informa della presenza di incidenti tra Forze dell’ordine e
cosiddetti Black Bloc nei pressi di Piazza Alessi. Una decina di persone
appartenenti ad Attac che provenivano dal centro città e si dirigevano verso
Piazza Carignano restano bloccati dagli scontri. Alcuni attivisti di Attac da
Piazza Carignano cercano di raggiungerli per guidarli verso la Piazza.
L’operazione riesce ma due attivisti di Attac vengono malmenati ed uno viene
posto in stato di fermo.
Intorno alle
ore 15 il corteo di Globalize resistence/Socialist workers (circa 2000 persone)
raggiunge le due piazze.
Alle ore
15.45 il sindaco di Genova Giuseppe Pericu invita telefonicamente il portavoce
del GSF Vittorio Agnoletto, presente in Piazza Dante, ad abbandonare la Piazza.
Il Sindaco e’ furibondo. Afferma che le forze dell’ordine hanno abbandonato la
citta’, che gruppi violenti stanno liberamente saccheggiando la citta’ e
distruggendo tutto mentre le forze dell’ordine vengono impegnate a fronteggiare
le iniziative del GSF che si svolgono in modo tranquillo. Il sindaco chiede che
il GSF dia “un segno di buona volonta’’” e faccia rientrare almeno un corteo,
per alleggerire la tensione che ha ormai raggiunto livelli altissimi nella
citta’. Dopo una ampia consultazione, alle ore 16.30 tutti i presenti in Piazza
Dante (in quel momento circa 4000 persone) si dispongono in corteo e in modo
ordinato risalgono per via Fieschi e abbandonano la Piazza.
In quel
momento – senza motivo alcuno, visto che Piazza Dante era ormai praticamente
svuotata – i reparti di polizia collocati in via Fieschi bassa (dietro le
grate) lanciano due/tre lacrimogeni sulla coda del corteo ormai incamminato
verso Piazza Carignano e caricano i manifestanti che sono rimasti indietro. Si
crea un panico e disordine, ma in breve tempo la coda si ricompone e la Piazza
Dante viene abbandonata attorno alle 17.
Corteo da
piazza Montano a piazza Di Negro
Il sindacato
di base CUB (Confederazione Unitaria di Base) comunica alla questura ai primi
di maggio il corteo con il percorso tradizionale dei lavoratori (da piazza
Montano a Fontane Marose – la zona rossa non era ancora stata definita).Negli
incontri tra GSF e responsabili della Polizia, Prefettura e Questura si
spiegano le ragioni del percorso e le modalità pacifiche. Per tutta una lunga
fase non viene data certezza riguardo al corteo a ponente e il capo della
polizia De Gennaro nel secondo incontro invita i rappresentanti della CUB a
recarsi in Questura per decidere il percorso: Successivamente il capo della
Digos di Genova Mortola propone di tenere la manifestazione a Levante.
Ancora nella
settimana del vertice di fronte alla ultima richiesta generale del GSF non si
riesce a sbloccare la situazione per cui lo sciopero generale viene preparato
tra i lavoratori e nel paese nella incertezza del percorso.
Nella
giornata di martedì la delegazione CUB si reca alle ore 15,00 in Questura e
viene ricevuta dal responsabile della Digos Mortola e solo dopo vari
tentativi di far cambiare percorso si arriva ad una proposta che prevede il
corteo ridotto drasticamente con partenza da piazza Montano e conclusione a
piazza Di negro.
Alle ore 21
circa si interrompe in attesa di autorizzazione definitiva e alla ripresa
22,30 viene proposta una autorizzazione verbale e solo di fronte alle proteste
della delegazione del sindacato di base CUB viene autorizzato il corteo con
alcune prescrizioni.
In piazza
Montano a metà mattinata ci sono già migliaia di lavoratori. Alle ore 12 circa
viene fatta una verifica delle modalità della manifestazione con i responsabili
di piazza.
Il corteo si
svolge regolarmente con la presenza di delegazioni massicce di lavoratori e
lavoratrici sotto le bandiere della CUB e dello SlaiCobas. Erano presenti
inoltre delegazioni del sindacato USI, del coordinamento Anarchici contro il G8
(prevalentemente FAI) e del Campo Antimperialista.
Per garantire
che tutto andasse secondo le previsioni e decisioni degli organizzatori i
lavoratori hanno esercitato un’azione di controllo per la durata della
iniziativa.
All’arrivo in
piazza, la Polizia ha indossato le maschere antigas, come si stesse apprestando
al lancio di lacrimogeni, quando la situazione era tranquilla. Dopo una serie
di proteste i responsabili delle forze dell’ordine le hanno fatte togliere.
All’ingresso
da vie laterali nella piazza di probabili provocatori è stato deciso di
accelerare la chiusura della manifestazione in piazza Di Negro e di far tornare
il corteo al punto di partenza.
Durante il ritorno
in piazza Montano si è avuta notizia, lontano dal percorso del corteo, di
episodi di distruzione di cassonetti, banche ecc. da parte di presunti BB.
Si notava,
tra l’altro, in modo inspiegabile che la sede Fiat lungo il percorso non era
più presidiata.
Sono stati
necessari ripetuti interventi e richieste di chiarimenti perché le forze
dell’ordine a presidio di piazza Montano (in particolare i carabinieri)
mostravano una particolare tensione, anche se nella piazza tutto era calmo e
tranquillo e i lavoratori erano in attesa dell’arrivo dei pullman per il
ritorno.
Gran parte
dei manifestanti erano in viaggio alla tragica notizia della morte del giovane
Carlo Giuliani.
Il corteo
internazionale del 21 luglio
Il 21 luglio
è la giornata che il GSF ha dedicato alla marcia di un grande corteo
internazionale, aperto dalle delegazioni del sud del mondo, dei movimenti
femminili e dei lavoratori delle multinazionali. Il percorso è da tempo
depositato alla Questura e prevede la partenza da via Caprera (Sturla), il
passaggio per via Cavallotti, corso Italia, svolta in corso Torino, corso
Sardegna e conclusione in piazza Galileo Ferraris (Marassi) con alcuni
interventi programmati. La scelta del percorso si tiene a distanza da ogni
limite della “zona rossa” a conferma della volontà assolutamente pacifica della
manifestazione.
La giornata
assume fin dalle prime ore del mattino, quando inizia il concentramento a
piazza Sturla, le dimensioni e i colori di un corteo composto e pacifico, a cui
alla fine avranno partecipato 300.000 persone.
Appare subito
strano il fatto che davanti alla testa del corteo non si dispongano le forze
dell’ordine per proteggerne svolgimento e percorso, come normalmente accade.
Questa scelta per noi imprevista, causerà numerosi problemi come vedremo in
seguito.
Nella tarda
mattinata, il capo della Digos genovese, Spartaco Mortola, telefona a
Massimiliano Morettini, uno dei coordinatori del GSF per avvertirlo che nella
piazza ci sono dei gruppi di BB che vogliono accodarsi in fondo al corteo
chiedendo che il GSF non li faccia inserire. La risposta del coordinatore è di
contrarietà al fatto che la Digos non intervenga e l’invito è che le forze
dell’ordine si muovano per prevenire le loro intenzioni. Nonostante questa
richiesta non succede nulla;
I primi
problemi si verificano nei pressi della caserma dei Carabinieri di San Giuliano
con un gruppetto di persone estranee al corteo che all’arrivo della
manifestazione iniziano a lanciare oggetti contro la caserma.
Immediatamente alcuni manifestanti intervengono per allontanare il gruppetto.
Quando la
testa del corteo giunge nei pressi dell’incrocio tra corso Marconi e via
Rimassa, trova di fronte a sé un gruppo di un centinaio di persone che si
fronteggiano con le forze dell’ordine schierate. Nonostante cio’, la testa del
corteo svolta per via Rimassa senza problemi.
A metà di
Corso Torino la testa del corteo trova una situazione potenzialmente rischiosa.
Infatti gruppi di persone stazionavano nelle vie laterali in palese
atteggiamento non pacifico, a poca distanza dalle forze dell’ordine.
Temendo che
potessero approfittare del passaggio del corteo per provocare incidenti, la
testa decide di fermarsi e le prime file si siedono in terra. Nel frattempo, lo
spezzone di corteo che transitava da corso Marconi (a circa un chilometro dalla
testa del corteo) sollecitava a riprendere il percorso per evitare di essere
coinvolti nei lanci di lacrimogeni.
Gli incidenti
in Corso Marconi/Corso Italia
In piazza
Rossetti alcune persone incendiano i locali della Banca distrutta il giorno
prima, agiscono per circa mezz’ora del tutto indisturbati. Dallo schieramento
di polizia, rimasto fermo in fondo a corso Marconi, partono alcuni lacrimogeni,
a cui viene risposto con lanci di sassi, incendi di auto e con la costruzione
di una barricata fatta di cassonetti, stand sfasciati da p.zza Rossetti e da
auto. Più indietro il corteo cerca di sfilare tenendosi a distanza, decidendo
di non svoltare piu in via Rimassa, come previsto, ma nella traversa
precedente, via Casaregis.
Improvvisamente,
parte la carica della Polizia e anche l’accesso a via Casaregis viene bloccato.
Da quel momento in poi, nonostante le richieste, nessuna via ulteriore viene
lasciata libera dalle forze dell’ordine per far defluire le decine di migliaia
di persone a quel punto completamente bloccate in Corso Italia. Da lì in poi,
Corso Italia diventa teatro di ripetuti pestaggi gratuiti su manifestanti
inermi, spesso a braccia alzate, senza tener conto della presenza di persone
anziane, famiglie e per giunta di persone in carrozzella, come numerosi servizi
giornalistici hanno mostrato. Vengono inoltre utilizzati blindati lanciati
sulla folla a velocità sostenuta. Molti manifestanti, inseguiti, si rifugiano
sulle spiagge, sugli scogli, o nelle vie laterali che però adesso sono tutte
bloccate da file di camionette, costringendo la gente a rimanere imbottigliata
su corso Italia e subire le cariche.
Nel
frattempo, il pezzo di corteo che ha girato per via Casaregis cerca di
riordinarsi e di ricongiungersi a quelli piu avanti. Il pezzo di corteo imbocca
via Morin per reimmettersi su via Rimassa, dove trova però un fitto cordone di
polizia schierato lungo il lato della strada. Si decide allora di procedere con
molta lentezza, a mani alzate e ripetendo la parola “nonviolenza” per sfilare
davanti a loro senza creare la minima tensione. Giunti all’imbocco di via
Rimassa i manifestanti sono investiti da un fitto lancio di lacrimogeni,
sparati ad altezza d’uomo, che li disperde nuovamente e li costringe a tornare su
via Casaregis. Mentre una parte, pur nella difficoltà di essere sotto i
lacrimogeni, cerca di tenersi unita e procede cercando una traversa più avanti
per infilarsi in corso Torino, chi rimane in fondo a via Casaregis, isolato o a
piccoli gruppi, diventa oggetto di una vera caccia all’uomo e di pestaggi da
parte della Polizia e della Guardia di Finanza.
La coda di questo troncone viene ancora caricata alle spalle.
La testa del
corteo
Dopo il
sit-in improvvisato sopra descritto, i responsabili della testa del corteo
comunicano ai responsabili della questura che non avrebbero proseguito sinchè
le forze dell’ordine non avessero preceduto la testa del corteo proteggendone
il percorso. Questo avviene solo per alcune centinaia di metri, permettendo al
corteo di riprendere il cammino. In seguito, le camionette scompaiono
nuovamente e la testa del corteo procederà sino al luogo di scioglimento senza
protezione.
Il Comizio di chiusura si svolge in un clima di fretta e di tensione perché
giungono continue notizie di incidenti nella zona di Piazza Giusti. Dopo lo
scioglimento, migliaia di persone si trasferiscono davanti allo Stadio di
Marassi cercando di muoversi per raggiungere treni e pullman.
Quando da un
lato e dell’altro del Bisagno si muovono piccoli gruppi di cosiddetti black
bloc inseguiti dalla Polizia, cercando di infiltrarsi, costoro vengono respinti
e isolati dai manifestanti che sostano davanti allo stadio. Ciononostante i
reparti di polizia si attestano sulla riva opposta del Bisagno e fanno partire
un fitto lancio di lacrimogeni contro i manifestanti pacifici, che non
reagiscono in alcuna maniera.
Solo dopo
molto tempo la situazione si normalizza permettendo alle persone di raggiungere
i mezzi trasporto, anche grazie ai pullman navetta messi a disposizione dal
Comune di Genova.
Il “blitz” alla Pertini e l’irruzione al Media Center del GSF
L’irruzione
alla scuola Pertini
Nella scuola
Pertini è ospitata la NGO House, ovvero uffici a disposizione delle ONG
straniere. Dalla notte del 19, a seguito degli allagamenti dei luoghi di
accoglienza, alcune persone vanno a dormire nella scuola.
La notte di
sabato l’irruzione avviene verso la mezzanotte. Quando arrivano i poliziotti le
luci alle finestre sono accese (da immagini video si vede chiaramente).
Il cancello
esterno viene sfondato con una camionetta, i reparti stazionano qualche istante
nel cortile poi entrano nella scuola. Vi sono sia agenti in divisa, sia
funzionari in borghese, sia poliziotti in borghese ma con casco e fazzoletto a
coprire il volto.
Dalla strada
si sentono richieste di aiuto e lamenti.
Sulla strada
cominciano a confluire numerose persone e molti giornalisti. Le forze
dell’ordine fanno un cordone davanti al cancello della scuola. Il portavoce
Agnoletto, i parlamentari Malabarba e Mantovani, il consigliere regionale
Nesci, qualche avvocato tentano di entrare nell’edificio, ma viene loro
impedito.
Arrivano le
autoambulanze, lentissimamente iniziano ad uscire i feriti.
Nonostante il
clima di grande tensione, alcuni responsabili del GSF lì presenti si adoperano
per evitare che la situazione trascenda. Si costituisce un cordone di
protezione per tenere separate le forze dell’ordine dalle persone lì presenti.
In ogni caso, i presenti mantengono un atteggiamento responsabile e non si è
registrata nessuna reazione violenta.
La manovra di “ritirata” della polizia è lentissima. Le forze dell’ordine danno
il tempo ai cellulari di allontanarsi arretrando di pochi metri ogni dieci
minuti. Quando tutto finirà, saranno ormai già le tre.
Mentre si
stanno portando via i feriti e gli arrestati, nel cortile della scuola il
responsabile dell’ufficio stampa della polizia, Sgalla, rilascia una prima
dichiarazione in cui dice che: “ è stata fatta una perquisizione e non è stato
toccato nessuno. I feriti e il sangue, già rappreso, che si possono notare sono
conseguenze degli scontri del corteo del pomeriggio”. Basterà entrare nella
scuola per vedere che tutto cio non risponde al vero.
Il blitz
alla scuola Diaz (sede del centro stampa GSF)
Alla scuola
Diaz si trovano l’ufficio stampa del GSF, gli uffici dei legali, sale riunioni
e il centro stampa. Il venerdì e il sabato viene approntata un’infermeria per i
feriti delle manifestazioni (cfr. Memoria dei sanitari del GSF allegata)
Dopo che
l’irruzione alla Pertini era iniziata, la Polizia entra di forza dentro la
Diaz.
I poliziotti
obbligano le persone presenti al pianterreno ad entrare nella palestra e
salgono ai piani superiori dove irrompono nelle aule che ospitano i sanitari e
gli avvocati del GSF. Si accaniscono soprattutto nel locale degli avvocati dove
sfasciano i computer e manomettono gli hard disk rendendoli inutilizzabili.
Salgono anche al terzo piano dove vengono sottratte alcune video cassette
(anche con registrazioni dell’irruzione alla Pertini); sequestrano documenti
dei legali (denunce, testimonianze sui fatti accaduti) e pongono in stato di
fermo il coordinatore dei legali Giuseppe Scrivani.
Nei locali
del Media Center del GSF (Scuole Diaz/Pascoli) le persone presenti vengono
prima fatte stendere a terra e poi fatte mettere in ginocchio faccia al muro
lungo i corridoi. Nemmeno la presenza dell’europarlamentare Luisa Morgantini
serve a farsi dare spiegazioni su quanto stanno facendo. Alle richieste di un
mandato si risponde “ Non siamo in America, facciamo quello che vogliamo”.
All’arrivo, più tardi, di Vittorio Agnoletto, alla stessa domanda il capo della
Digos genovese, Mortola, dirà che il mandato potrà essere visto entro mezz’ora.
Cosa che non è mai avvenuta.
Alla fine i
poliziotti se ne vanno senza neanche aver fatto un verbale di tutto il
materiale danneggiato o sottratto: hard disc, videocassette, cellulari,
documenti.