L'AQUILONE
Sono le dieci di una bella e soleggiata mattina invernale, quando mi reco
verso la meta del mio reportage: la comunità alloggio "L'AQUILONE".
L'edificio, in origine forse un vecchio cascinale del secolo scorso, è
circondato da una serie costruzioni simili, anche un po' fatiscenti, che
facevano parte del mai ultimato, ma ormai abbattuto, castello di Mirafiori;
proprio di fianco possiamo scorgere l'abbastanza famoso e controverso mausoleo
della "Bela Rosin".
Mentre una leggera nebbiolina si ritrae a poco a poco verso il vicino letto
del Sangone, decido di suonare: dall'interno sopraggiunge come un lampo,
abbaiando e ringhiando, un grosso cane; per fortuna il cancello è
ben chiuso! Ma subito dopo, su una specie di bici-triciclo, arriva una
ragazza che, alla mia vista, si apre in un grosso sorriso; col suo vocabolario
semplice, mi innonda subito delle considerazioni più disparate che
vanno dal cane che si chiama proprio Lampo a lei che si chiama invece S.,
dal suo "papi" che è venuto a trovarla, al fatto che le piace l'insalata...
il tutto in terza persona singolare come se non stesse parlando di lei,
ma quasi di un'amica immaginaria.
L'aspetto e l'apparente infantilità di S. mi indicano, nella persona
che ho di fronte, un utente della comunità con problemi psicofisici
che, da profano, non saprei catalogare; nonostante essa non viva nel cosiddetto
mondo dei "normali", ha una curiosità e una capacità di "attaccar
bottone" tale da renderla tutt'altro che un'emarginata.
Mentre macino queste considerazioni, vengo interrotto dagli schiamazzi
provocati da altri due disabili accompagnati questa volta da un'educatrice
di nome F.: quest'ultima, dopo le presentazioni, mi propone di aggregarmi
a loro per una gita in centro a vedere delle bancarelle.
Così mi ritrovo su un furgone a parlottare, rispondendo alle domande
che mi rivolgono, relazionandoci ad un comune livello di dialogo; F. mi
racconta brevemente come è composta la comunità ed in cosa
consistono i compiti assistenziali ed educativi che vengono svolti; mi
dice che vi sono vari tipi di handicap nello stesso luogo, spesso tecnicamente
problematici da gestire insieme; mi spiega delle manie, che tutti abbiamo,
e che in soggetti particolari possono diventare preoccupanti. Ed ognuno
dei miei compagni di viaggio è proprio un individuo a sè:
S. è allegra e curiosa come un bambino che domanda "perché"
di tutto fino alla noia; W., più adulto, è tenace e desideroso
di esprimere e capire dei concetti, malgrado altre evidenti difficoltà;
M., silenzioso come colui che ha una profonda tristezza esistenziale, è
superficialmente toccato dalla novità della mia presenza.
In centro giriamo per una mezz'ora fra bancarelle di prodotti artigianali,
ma ciò che coinvolge maggiormente i miei compagni è la presenza
di tanta gente che si muove per le strade: per loro è entusiasmante
ma è anche naturale, ovvio come lo è per tutte le altre persone.
Ormai stanchi e un po' irrequieti, propongono una pausa caffè, fiondandosi
nel primo bar sulla strada; sembra che abbiano una particolare predilezione
per questo tipo di break (ma del resto a chi non piace!). F. mi conferma
così che lo scopo dell'Aquilone non è solo una mera assistenza
fisica ai bisogni degli utenti, ma è anche un dar loro una possibilità
di relazioni comunicative ed esperienziali con l'esterno affinché
vengano stimolati ed incuriositi senza regredire a causa di una visione
della vita solo contraddistinta dall'handicap.
Purtroppo tante volte scelte politico-economiche miopi sottovalutano quest'aspetto
umano essenziale: meno personale in turno significa dedicare le poche energie
ad una semplice e limitante assistenza all'interno della comunità,
penalizzando la "ricreazione" esterna.
MARCO
CIGLIUTTI
cigliuttim@bpn.it
Comunità
"L'AQUILONE"
Str.Castello di Mirafiori, 142/10
10137 - TORINO (TO)
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