Lettera al Direttore - CORRIERE DELLA SERA - mercoledì 15 Gennaio 1986 |
Rassegna Stampa | ||
Il Giorno - 26 aprile 1984 - firma: Piero Lotito | |||||||||||||
A nessun'altra Lucia Mondella si potrà pensare per lo struggente e celeberrimo saluto: "Addio monti sorgenti dall'acque...". Chi lascerà il lago di Como e le sue rive non li vedrà più quei monti, perché viaggerà sott'acqua, alla guida della propria auto o dentro una carrozza ferroviaria. Si viaggerà in tubo, un colossale e granitico tubo che attraverserà tutto il lago nei suoi due rami e formerà una specie di grande forcella capovolta. E' un progetto, un'ipotesi di futuro. Che non si tratti d'una pura fantasticheria, lo dice il nome dell'autore, che non è l'inventore folle a cui ci hanno abituati rotocalchi in cerca di sbalordimenti bensì un noto e stimato professionista milanese, l'ingegner Gianfranco Magrini, consigliere del sindacato degli ingegneri liberi professionisti della Provincia di Milano e membro esecutivo di quello nazionale. I progetti sono il suo mestiere: dai ponti ai capannoni, alle ville, a nuove forme di sedie ed altro ancora. E' collaudatore della Metropolitana milanese e calcolatore di cemento armato. Dissipato ogni dubbio su chi ha pensato di mettere le ali al lago di Como, soffermiamoci sulla sua idea. L'ingegner Magrini, che è anche tanto spiritoso da prevenire eventuali e maliziosi accostamenti di parole, esce con questa battuta: "Ma sì, parliamo di questa mia idea del tubo!...". A dimostrare che il progetto, che il marzo scorso fu presentato a Como nella sede del Conter Leasing e di cui "Il Giorno" già allora parlò nelle Cronache del Nord, nasce sì coi connotati della fantascienza, ma è subito divenuto una faccenda seria e "amministrabile": nei prossimi giorni verrà costituita la "Tubolario", società a responsabilità limitata che s'incaricherà della promozione dell'idea e di ogni altro collaterale aspetto. Il punto di partenza - La Lombardia, dice l'ingegner Magrini, è la regione del Nord con i più scarsi collegamenti internazionali. Escludendo l'ormai asmatico valico di Chiasso, è praticamente inesistente un collegamento ferroviario con il centro ed il nord Europa. Particolarmente penalizzato dalle difficoltà di comunicazione, è appunto l'intero bacino del lago di Como. Perché la "locomotiva" Lombardia continui a correre, va ripensato il sistema dei trasporti e della viabilità. Si è in attesa del traforo dello Spluga, ma per la parte italiana questo richiede il potenziamento delle tratte Milano-Lecco e Lecco-Chiavenna. La rete stradale attorno al lago è fragile e lenta: la statale Regina frana e trascina automobili nell'acqua; la statale 36 in uscita da Lecco ha un funzionamento "zoppicante"; i Tir non passano; il solo binario della ferrovia Lecco-Colico è chiaramente insufficiente; la Valtellina rimarrebbe isolata se soltanto una piccola frana bloccasse la 36. "E' inutile - dice l'ingegner Magrini - che la Valtellina si metta a fare le industrie se poi non si riesce a mandar via la merce". A mettere riparo in modo convenzionale a questo quadro (statale Regina, nuova galleria di Moltrasio, statale 36 e ferrovie), si spenderebbe una montagna di miliardi senza aver risolto il problema. Il lago, sintetizza Magrini, "rimarrebbe una via d'acqua con tre repubbliche". Come risolvere definitivamente il problema della crescita di quest'area? Ci vorrebbe un'autostrada, non una strada (perché questa c'è e nelle descritte condizioni); ci vorrebbe una ferrovia non una "tradotta" (anche questa esiste); sarebbe poi necessario uno sviluppo residenziale, e allora occorre un servizio metropolitano. Ecco, da tutto questo groviglio di quesiti e parziali risposte, è nata all'ingegner Magrini l'idea d'una strada subacquea: "Se l'acqua ci univa prima, perché non dovrebbe farlo oggi?" | Quel tubo del lago di Como - Una precisazione: si tratta di due tubi collegati fra loro con travature (non fosse così, il cilindro si snoderebbe come un lombrico). La struttura, mantenuta interamente sommersa a 20 metri sotto il livello di magra con tiranti ancorati a zavorre, è suddivisa in 4 vani: nei due superiori corrono le carreggiate autostradali, e in quelli inferiori trovano posto due strade ferrate a doppio binario: una per convogli ferroviari internazionali, l'altra per convogli di tipo metropolitano per l'ambito regionale. Non è il caso, ora, di parlare dei grandi numeri della strada subacquea; il lettore li immaginerà tutti benissimo soltanto conoscendone tre: occorrono 2 milioni di tonnellate di acciaio, circa 20 milioni di tonnellate di calcestruzzo e una spesa di 6.900 miliardi di lire. Ma la manodopera è nazionale, e così la produzione di calcestruzzo: le importazioni graverebbero dunque sulla spesa per "soli" 3.500 miliardi. Raccordi lungo tutto lo sviluppo dell'arteria (Moltrasio, Careno, Argegno, Lezzeno, Tremezzo, Bellagio, Menaggio, Dervio, Dongo, Domaso, Lierna, Mandello, Abbadia e i centri a questi opposti), svincoli autostradali, "marciapiedi mobili" e altre soluzioni di altissima ingegneria: questo il megaprogetto dell'ingegner Gianfranco Magrini. La faccia ragionevole dell'utopia - Diecimila miliardi sono una discreta sommetta, ingegnere. Il tubo non sarà un'utopia? "Certo, per l'uomo della strada è una cifra da vertigine, ma dobbiamo liberarci una volta per tutte da quella "cultura della crisi" che ci ha gettati nell'incapacità di pensare e progettare il futuro. E' difficile quantificare il ricavo d'un servizio per la collettività, e quello del grande tubo andrebbe calcolato per l'intera azienda Italia; tuttavia, in base a un programma di sviluppo già allo studio, si può pensare a un incremento del turismo nella zona capace di portare alle casse dello Stato un contributo di circa 3 mila miliardi all'anno in valuta. Considerando anche i pedaggi, come si fa in ogni parte del mondo, dopo tre o quattro anni si avrebbero già gli utili. Senza contare che venderemmo in tutto il mondo la tecnologia messa in cantiere". Al grande progetto l'ingegner Magrini ha dedicato un paio d'anni di lavoro. E a questo professionista con l'aria del gigante-attore (50 anni, 106 chili per 1 metro e 88, il pizzo grigio), il cronista non può non domandare: perché l'ha fatto? "Perché ho ricevuto in eredità un mondo che da giovane mi ha permesso di vivere bene. Ora credo di dover fare altrettanto coi giovani di oggi. Ho cominciato con quelli del mio studio: quando sui tavoli dei loro tecnigrafi ho messo questo progetto, si sono come svegliati da un lungo sonno. Avevano trovato qualcosa in cui credere". | ||||||||||||