PIER PAOLO PASOLINI

(1922-1975)


Notte a piazza di Spagna

I.

Qui è più puro, e colmo di quieto
terrore, nelle sere ormai fonde
che tremano agli ultimi brusii, poetici

di mera vita, l’incontro delle gronde
urbane col buio informe del cielo.
E i muri impalliditi, le infeconde

aiuole, i cornicioni, nel mistero
che li imbeve dal cosmo, familiare
e gaio fondono il loro. Ma stasera

un improvviso rovescio sulle ignare
fantasie del passante frana, gela
il suo trasporto per le calde, care

pareti sconsacrate...

II.

Non più, come un androne, di sonori
passi perché rari, di trasparenti
voci perchè quiete, tra splendori

d’umile pietra, la piazza negli spenti
angoli trasale; né solitarie
frusciano le macchine dei potenti,

sfiorando il fianco del giovane paria
che dei suoi fischi inebria la città...
Una folla sbiancata empie l’aria

di un freddo calore, un palco sta
su essa, coperto di bandiere
del cui bianco il bruno lume fa

un sudario, il verde acceca, incera
di crudo sangue il rosso. Tetra
allo spettro di quei colori annera

una fiamma...

III.

Il dolore, inatteso, mi respinge
indietro, quasi a non voler vedere;
e invece con le lacrime che stingono

intorno al mondo così vivo, a sera,
nella viva piazza, mi sospingo come
disincarnato in mezzo a questa fiera

di larve. E guardo, ascolto: Roma
intorno è muta: è il silenzio, insieme,
della città e del cielo: non risuona

voce su queste grida; il caldo seme
che il maggio germoglia pur nel fresco
notturno, un greve e antico gelo preme

sui muri preziosi, fatti mesti
come nei sensi di un fanciullo
angosciato... E più qui presso crescono

gli urli (e in cuore l’odio), più brullo
si fa intorno il silenzioso deserto
dove il consueto, popolare sussurro

s’è stasera perduto.

IV.

Ecco chi sono, gli esemplari vivi,
vivi, di una parte di noi che, morta
ci aveva illuso d’esser nuovi: privi

d’essa per sempre; e invece no, scòrta
d’improvviso, in questa molle piazza
orientale, ecco la sua falange, folta,

sconvolta, urlante, coi segni della razza
che è nel popolo oscura allegria
e in essa triste oscurità, che impazza

cantando la salute; e l’energia
sua non è che debolezza, offesa
sessuale, che non ha altra via

per essere passione, nella mente accesa,
che azioni troppo lecite od illecite:
e qui urla soltanto la borghese

impotenza a trascendere la specie,
la confusione della fede che
l’esalta, e disperatamente cresce
nell’uomo che non sa che luce ha in sé.

V.

Resto in piedi tra questa folla quasi
il gelo, che da Trinità dei Monti,
dai duri vegetali del Pinelo, rasi

contro le stelle e i chiusi orizzonti,
spegne la città - mi spegnesse il petto
rendendo puro stupore i monchi

sentimenti, pietà, furore; getto
intorno sguardi che non mi sembran miei,
tanto sono diverso; non è l’aspetto

di gente viva con me, questo, nei
suoi volti c’è un tempo morto che torna
inaspettato, odioso, quasi i bei

giorni della vittoria, i freschi giorni
del popolo, fossero essi, i morti.
Per chi è andato avanti, ecco, intorno,

il passato, i fantasmi, i risorti
istinti. Questi visi giovanili
precocemente vecchi, questi tòrti

sguardi di gente onesta, queste vili
espressioni di coraggio; la memoria
era dunque così smorta e sottile

da non ricordarli? Tra i clamori
cammino muto, o forse sono muti
essi, nella tempesta che ho nel cuore.

VI.

E nel senso di perdita del proprio
corpo, che dà un’angoscia improvvisa,
in silenzio al fianco mi si scopre

un compagno; con me, intento e indeciso,
si aggira tra la ressa, con me guarda
nei volti questa gente, con me il misero

corpo trascina tra petti e coccarde
vilmente inorgogliscono; poi su me
posa lo sguardo. Tristemente gli arde

col pudore che ben conosco; ed è
così mio quello sguardo fraterno!
così profondamente familiare, nel

pensiero che dà a questi atti senso eterno!
E in questo triste sguardo d’intesa,
per la prima volta, dall’inverno

in cui la sua ventura fu appresa
e mai creduta, mio fratello mi sorride,
mi è vicino. Ha dolorosa e accesa,

nel volto, la luce con cui vide,
oscuro partigiano, non ventenne
ancora, come era da decidere

con vera dignità, con furia indenne
d’odio, la nuova nostra storia: e un’ombra,
nei poveri occhi, umiliante e solenne...

VII.

Pietà egli chiede, con quel suo modesto,
tremendo sguardo... non pel suo destino
ma per il nostro... ed è lui, lui, il pesto

ragazzo, che deve andare a capo chino,
mendicare per noi e per sè
qualche luce in questo nostro cammino?

Ah, la verità è quella che
voi non volete udire, trasportati
da una cieca certezza: e se

di voi non sapete far storia, nati
per privilegio alla storia, come
potete farla di una patria condannata

nel suo popolo, all’umiliazione,
stupenda, d’essere pura natura?
Se pur foste puri, in voi, nella passione

che vi assorda, sarebbe ancora impuro
il vostro agire in un mondo ossesso:
il vostro amore oscuro lo fa oscuro,

da esso persi, agite, non per esso.

(1953, ultimi di maggio)


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