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Annuario 2004-2005
p. 51
La Moldavia nel contesto delle tradizzioni religiose e culturali
dell’Europa
Cesare Alzati,
Università degli Studi di Pisa
Il 2 luglio 1504 nel castello di Suceava chiudeva i
propri giorni il principe di Moldavia Stefano, cui la venerazione popolare attribuì
il titolo di “Santo”[1]
e che anche fonti esterne al voivodato già non molti lustri dopo la sua
scomparsa definivano “il Grande”[2].
La sua lunga signoria sul principato moldavo era iniziata nella primavera del
1457 quando, dopo la vittoria su Pietro Aron, Stefano aveva recuperato il trono
ch’era stato del padre, Bogdan II (1449-1451), ricevendo l’unzione dalle mani
di quel metropolita Teoctist che aveva sostituito sulla cattedra di Suceava il
dotto unionista greco Ioakim ed era stato ordinato attorno al 1453
dall’antiunionista patriarca della Chiesa serba, Nikodim di Peć[3].
Con la registrazione della morte di Stefano e la
successione a lui del figlio Bogdan III si chiude un singolare Skazanie slavone, la Narrazione in breve intorno ai signori
moldavi (Skazanie vkratcě o
moldavskych gospodarech’), di origine moldava, ma a noi giunto tramite
mediazione moscovita, grazie alla sua integrazione nella cronachistica russa[4].
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Lo
scritto è composto da due sezioni[5].
Nella parte iniziale della prima sezione – elaborata originariamente nel
Maramureş con ogni probabilità nella seconda metà del XV secolo[6]
– veniva in particolare evocata l’origine dei Romeni di quella regione a
settentrione della Transilvania, dai quali prese successivamente vita il
voivodato moldavo: si tratta dunque di un racconto sulla genesi della stirpe
romena nel suo complesso. A tale riguardo lo Skazanie parla di due fratelli, Roman e Vlachata (la cui eponimia
relativa al popolo ‘romeno’, detto ‘valacco’ dalle genti straniere, mi pare
inequivocabile), i quali, dopo aver retto lo scontro con gli eretici a Venezia,
si recarono nell’Antica Roma (su questo punto la consonanza con la biografia
dei fratelli Cirillo e Metodio è rilevante e di non piccolo
significato); qui fondarono il nucleo fortificato di Roman, dove s’insediarono.
Dopo che papa Formoso passò all’eresia latina e che i Latini
trascinarono alla loro eresia anche la Nuova Roma, i discendenti di Roman e
Vlachata, i Romanov’ci, accolsero l’invito del re ungherese Vladislav e accorsero
a difenderlo dai Tartari, insediandosi successivamente, con piene garanzie per
la loro fede, nel Maramureş. Come si vede, si è di fronte a una chiara
affermazione di romanità dei Romeni, ma si tratta di una romanità
che non definisce in alcun modo l’identità di questo popolo.
Nello Skazanie
Roma è la fonte dell’eresia, che da questa si è estesa anche alla
Nuova Roma. A differenza dei Romani datisi alla nuova fede (novye Rimljane), i discendenti di Roman
e Vlachata, i vecchi Romani (starye
Rimljane) giunti nel Maramureş da Roma non di “legge latina” sono, ma di
quella “legge greca” che è esemplarmente professata da Sava, arcivescovo
serbo, espressamente citato dallo Skazanie.
Se, come afferma Ovidiu
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Pecican,
alla formazione del racconto ha concorso materiale risalente agli inizi della
dinastia romena del secondo Zarato bulgaro[7],
va osservato come nel Maramureş postfiorentino la menzione della
romanità romena assumesse un valore antitetico rispetto alle antiche
fonti sud-danubiane: anziché motivo di gloria e auspicio di un rinnovato,
vitale contatto con l’Antica Roma e la sua Chiesa, l’origine romana è
qui occasione per esprimere il totale rifiuto di Roma stessa ed evidenzia il
carattere definitivo della separazione ormai consumatasi. Del resto, si tratta
significativamente di una rivendicazione di origine romana, la cui enunciazione
è peraltro formulata in lingua slavona, secondo i canoni letterari e la
forma scrittoria slava. È comprensibile la fortuna goduta da questo
testo nella cronachistica russa. Esso era pienamente convergente con gli
orientamenti accesamente antilatini e antiunionistici assunti dalla Chiesa
moscovita e s’integrava perfettamente nell’ideologia ecclesiastica che Mosca
era venuta elaborando a sostegno della propria autocefalia, orientamenti e
ideologia di cui troviamo chiari riflessi nella narrazione di Simeone di
Suzdal’ in merito al concilio di Firenze e nei successivi sviluppi di tale
scritto[8].
Se l’età di Stefano vide nel Maramureş
l’elaborazione del racconto sull’origine dei Romeni e se, forse, subito dopo la
morte del voivoda tale racconto fu riproposto in Moldavia, la vita
ecclesiastica e religiosa del principato moldavo non può certamente
dirsi esaurientemente rappresentata dallo Skazanie
e dal suo orizzonte tematico. Risaliva a prima di Stefano la diffusione
dell’hussitismo in terra moldava, nel contesto delle comunità di
immigrati “latini”, in particolare ungheresi[9].
Nei territori intracarpatici l’influsso del
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movimento
si sarebbe fatto sentire anche presso l’elemento autoctono di tradizione
“greca”, suscitando all’interno di quest’ultimo (nel Maramureş o forse in area
più propriamente transilvana) le prime traduzioni in lingua romena del
Nuovo Testamento e del Salterio[10].
La cronachistica dei secoli eruditi attribuì al voivoda Stefano lo
stanziamento di nuovi gruppi di hussiti lungo le rive del Prut[11];
qui in effetti essi sono positivamente attestati nel secolo successivo[12].
Ai fermenti religiosi legati a questa presenza del movimento hussita in
Moldavia sono state accostate le dottrine non conformiste e le istanze di
rinnovamento ecclesiastico professate a Mosca nell’entourage della figlia di
Stefano, Elena, andata sposa nel 1483 a Ivan, figlio di Ivan III e allora suo
erede designato[13]. Tale
cerchia di persone sarebbe stata successivamente considerata il diretto
antecedente degli orientamenti religiosi repressi tra il 1553 e il 1558 dal
metropolita Makarij e da Ivan IV, orientamenti i cui fautori, rifugiatisi oltre
la frontiera occidentale della Moscovia, troviamo tra i partecipanti ai
dibattiti suscitati nella Rzeczpospolita polacco-lituana dalle componenti
più estreme della Riforma protestante d’orientamento antitrinitario[14].
Luogo in cui venne riflettendosi la variegata
articolazione del Cristianesimo europeo (non va dimenticato che dal 1401 era
stata eretta in Suceava dal nonno di Stefano, Alessandro il Buono, una sede
episcopale armena[15]),
l’ortodossa Moldavia fu altresì un luogo in cui l’unità del mondo
cristiano, segnatamente nei secoli della potenza ottomana, si venne evidenziando
con singolare compiutezza. In effetti, nel contesto della resistenza
all’espansione ottomana, proprio Stefano, che pure visse aspri contrasti con i
suoi vicini, sentì l’urgenza di una solidale unità tra tutti i
principi cristiani e apertamente formulò tale auspicio rivolgendosi, lui
ortodosso, a quel pontefice romano che del mondo cristiano
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latino
rappresentava la più alta autorità[16].
In termini ancora più espliciti e appassionati il tema fu dal voivoda
ripreso, dopo la straordinaria vittoria del 10 gennaio 1475 sul poderoso
esercito di Sulaimán Paša a Vaslui, nella lettera ch’egli indirizzò a
tutti i principi cristiani per invitarli a muovere tempestivamente contro i
nemici della Cristianità e in solidale unità con il principe di
Moldavia, giacché se “la porta della Cristianità, ossia il nostro Paese,
andasse perduto – e Dio ci scampi da un tale evento – tutta la
Cristianità sarebbe in pericolo”[17].
L’impegno profuso da Stefano a difesa del mondo cristiano ebbe caratteri
veramente eccezionali, cui Sisto IV diede solenne riconoscimento, usando per
questo voivoda l’appellativo di “vero atleta di Cristo”[18].
E tuttavia non fu nella resistenza armata che il carattere unitario della
Cristianità e l’appartenenza ad essa della Moldavia trovarono la loro
più adeguata manifestazione. Già sotto Stefano tale resistenza
conobbe vicende alterne e, nonostante lo stabilirsi di fattive alleanze, non
poté sottrarre il voivodato al pagamento del tributo. Nei secoli successivi,
inoltre, non soltanto tale tributo andò vieppiù crescendo, ma si
venne determinando un inserimento sempre più consistente dei Paesi
Romeni, Valacchia e Moldavia, nel sistema politico facente capo alla Sublime
Porta[19].
Paradossalmente fu proprio attraverso siffatto inquadramento
nel sistema ottomano che il carattere di terra cristiana dei due principati e
l’affinità tra i rispettivi signori e i restanti monarchi della
Cristianità vennero evidenziandosi con singolare efficacia. Benché
pienamente inserite nel “sistema” della turcocrazia, Moldavia e Valacchia
vissero all’interno del regime ottomano secondo uno status molto particolare,
sancito da specifici documenti sultaneali che esplicitamente ne garantirono
l’identità cristiana: mai tali Paesi furono considerati parte della
“Casa dell’Islam”, ma rimasero costantemente terre viventi secondo la legge
cristiana e dove non potevano sorgere moschee, Paesi ai cui signori, benché
vassalli integrati nell’Impero del sultano, la Porta sempre si rivolse usando
gli stessi formulari con cui si indirizzava ai monarchi cristiani
dell’Occidente[20]. Non solo,
ma allorché, soprattutto nel XVII e XVIII secolo, la prima cerimonia
d’investitura voivodale si compiva a Costantinopoli, i nuovi signori nel centro
stesso del potere islamico ricevevano nella chiesa del Phanar all’altare dalle
mani del patriarca ecumenico l’unzione col myron, in
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continuità
rispetto al modello dei tardi “basileîs amanti di Cristo”[21]:
vera “Byzance après Byzance”, secondo la felice espressione di Nicolae
Iorga[22].
La lucida percezione della realtà unitaria della
Cristianità, nonostante le molteplici interne contrapposizioni, e la
consapevolezza della Moldavia di esserne parte, pur con la propria specifica
identità, avrebbero trovato alla fine del XVI secolo eloquente
espressione nelle parole rivolte dal voivoda Aron al rappresentante del
principe transilvano Zsigmond Báthory, che pretendeva da quello stesso voivoda
la sottomissione vassallatica; così ne riferì l’agente imperiale
Giovanni de’ Marini Poli a Rodolfo II nell’agosto 1595: “il qual Aaron
denegò tal suggettione con altiera risposta, dicendo che non conosceva
dopo Iddio altri superiori che a Sommo Pontefice et a sacra Maestà
Cesarea. Et a Principe di Transilvania non son per dar mai obedienza, ma come
fratelli et boni vicini et amici, che siamo stati et confederatosi a beneficio
della Christianità contra Turco”[23].
Quali straordinari orizzonti politici, ma soprattutto
culturali e religiosi, abbia dischiuso alla Moldavia questa condizione ad un
tempo di estraneità nell’integrazione, rispetto al sistema ottomano, e
di appartenenza nella distinzione, rispetto al sistema della
Cristianità, è ben mostrato dall’esperienza storica della
dinastia dei Movileşti, grande famiglia del voivodato contemporaneamente
annoverata tra l’aristocrazia del regno polacco. Tra l’agosto 1595 e il 30
giugno 1606, periodo di guerre e rivolgimenti da cui anche la Moldavia fu
investita, un esponente di tale famiglia, Ieremia Movilă, sedette sul trono
voivodale, avendo al proprio fianco, assiso sulla cattedra metropolitica, il
fratello Gheorghe. Ieremia già quale hatman, sotto la signoria di Pietro
lo Zoppo, aveva visto giungere alla corte moldava i maggiori presuli ortodossi,
che dalle terre ottomane si dirigevano verso la Rutenia e la Moscovia in cerca
di soccorso[24]. Uno spicca
su tutti: il grande Geremia II Tranos di Costantinopoli, che a Mosca nel 1589
insediò il primo patriarca russo Iov. La ratifica sinodale ecumenica di
tale atto sarebbe avvenuta nel 1590 a Costantinopoli, e ad essa prese parte
anche Gheorghe Movilă, già allora metropolita di Moldavia[25].
Peraltro, nel 1588, per incarico del principe del tempo, Pietro lo Zoppo,
quello stesso Ieremia aveva consegnato all’arcivescovo latino di Leopoli la
lettera indirizzata dal metropolita Gheorghe a Sisto V, con cui il presule
moldavo, e fratello di Ieremia, aveva dichiarato il proprio riconoscimento
dell’autorità della Chiesa romana[26].
Questo muoversi simultaneamente
p. 57
nei
due ambiti ecclesiali e ai massimi livelli non risultava affatto contraddittorio
nella coscienza dei due Movileşti. Chiesa “greca” e Chiesa “latina” non erano
evidentemente da loro percepite in termini di dialettica contrapposizione, ma
di comunione oltre la diversità. Di fatto Ieremia, nei travagliati
giorni del suo voivodato, ci appare quale generoso benefattore delle
istituzioni ortodosse sotto dominio islamico (a cominciare dalla Grande Chiesa
e dalla Santa Montagna[27]);
per la Quaresima e la Pasqua 1601 lo vediamo ospitare alla corte lo ieromonaco
ed esarca patriarcale Cirillo Lúkaris, futuro patriarca ecumenico, di chiari
sentimenti anticattolici e sensibile alle posizioni dottrinali protestanti[28];
e pure nel contesto della Rzeczpospolita polacco-lituana del cattolico
Sigismondo III, suo protettore, il voivoda si venne fattivamente impegnando a
favore della Confraternita stavropigiale ortodossa di Leopoli, la cui
opposizione all’Unione con Roma si sarebbe protratta fino al 1708[29].
Nondimeno di quello stesso Ieremia si ricorda come prendesse parte col
metropolita e con il suo clero alla processione latina del Corpus Domini e
partecipasse con l’episcopato ortodosso a solenni pontificali del vescovo
latino[30];
e come garantisse il sostentamento di tale presule e ne difendesse la
giurisdizione contro le intromissioni dei religiosi polacchi[31].
p. 58
Va segnalato come nel singolare contesto moldavo, di
fronte a un principe e a un metropolita di tradizione greca, così aperti
verso l’Occidente latino da dichiararsi in comunione con la Chiesa romana,
operò in quegli anni un vescovo latino, il francescano candiotto
Bernardino Quirini, che venne reciprocamente manifestando una singolare
attenzione nei confronti della tradizione e della realtà ecclesiale
greca. Prendeva parte solennemente alla benedizione delle acque officiata dal
metropolita ortodosso nel giorno dell’Epifania[32];
si atteneva rigorosamente al vecchio Calendario, proibendo – con facoltà
ottenuta dalla Sede Apostolica – l’introduzione del nuovo computo Gregoriano[33];
di fronte al generalizzato stato coniugale del clero latino da lui trovato,
conservava nel ministero quegli ecclesiastici che si fossero attenuti alla
disciplina canonica orientale, avendo contratto matrimonio prima di ricevere
l’ordinazione e con donna che già non fosse stata sposata[34].
Quanto al voivoda Ieremia, la prospettiva secondo cui egli guardò alle
due grandi comunioni ecclesiastiche trova certamente la più eloquente
espressione nel suo vivere secondo la “legge greca”, ma accostarsi senza
distinzione, per ricevere l’Eucarestia, all’altare “greco” e a quello “latino”[35].
Il quadro che emerge da queste esperienze realizzatesi
nella Moldavia dei Movileşti è certamente assai lontano dalla situazione
di dichiarata contrapposizione tra greci e latini delineata nello Skazanie slavone da cui questo
contributo ha preso le mosse. Peraltro, al di là di una valutazione in
sede ecclesiologica di tale evoluzione, valutazione che si presenta oltremodo
complessa, ciò che qui merita sottolineare è la straordinaria
fecondità spirituale e culturale connessa alla vicenda di questa
dinastia moldava. È un Movilă, figlio del fratello di Ieremia e di
Gheorghe, Simion, quel Pietro che, dopo essersi formato in Polonia in un vitale
rapporto con la teologia cattolica postridentina, pose quella cultura teologica
al servizio dell’apologetica ortodossa, e a Kijv, dalla risorta cattedra
metropolitica della Rus’, divenne maestro di fede riconosciuto dall’intera
Ortodossia, dando avvio a una scuola, il Collegium Kijoviense Mohileanum, che
avrebbe successivamente inciso profondamente nella vita ecclesiastica
dell’Impero russo[36].
p. 59
Il pieno radicamento nella propria identità
religiosa e culturale, percepita peraltro in vitale relazione con l’articolato
e complesso contesto di cui essa è parte, rappresenta la nota qualificante
dell’esperienza vissuta dalla Moldavia nell’età dei Movileşti,
evidenziando una singolare capacità, di concepire l’ecumene e di
concepirsi nell’ecumene. In effetti le vicende moldave qui evocate mostrano
come gli orizzonti romeni – anche nell’età della turcocrazia – non si
esaurissero in Costantinopoli e nel suo sistema istituzionale, ma si
dilatassero ad abbracciare un mondo nel quale Impero Ottomano, Moscovia
ortodossa e Cristianità latina erano analogamente presenti, fattivamente
interagendo con i signori e i presuli del voivodato. Questa straordinaria
esperienza del medioevo romeno, particolarmente evidente in ambito moldavo,
attesta come la regione carpato-danubiana, che a una superficiale osservazione
potrebbe apparire come l’estrema propaggine del Commowealth bizantino e della
Cristianità latina, abbia in realtà costituito lungo la storia, e
tuttora rappresenti, uno spazio di singolare rilievo per l’Europa, poiché qui
le diverse tradizioni religiose e culturali del Continente, nel loro
coesistere, manifestano con singolare immediatezza come l’Europa stessa sia
anzitutto un comune ambito di civiltà, vivificato da quel seme
evangelico, che nei diversi popoli, travalicando le stesse distinzioni
confessionali, ha suscitato idealità e valori ampiamente condivisi.
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(2004-2005), edited by Ioan-Aurel Pop, Cristian Luca, Florina Ciure, Corina
Gabriela Bădeliţă, Venice-Bucharest 2005.
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© Şerban Marin,
October 2005, Bucharest, Romania
Last Updated:
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* Il presente contributo riprende in buona parte un testo
apparso nel Catalogo per la Mostra Stefano
il Grande ponte tra l’Oriente e l’Occidente. Musei Vaticani, Salone Sistino, 1-31 ottobre 2004, Ministero della
Cultura e dei Culti di Romania, Bucarest 2004, pp. 39-53 (traduzione inglese:
pp. 112-124).
[1] “Non per la sua anima, che è nelle mani del
Signore, poiché egli di fatto è stato un uomo con i suoi peccati, ma per
le sue imprese senza eguali, né prima, né dopo di lui”. Cfr. l’Atto patriarcale
emesso il 2 luglio 1990 nel monastero di Putna, con cui è stato
istituito il Parastas Voievodal Naţional.
Per le testimonianze della devozione popolare nei confronti del voivoda: S.
Teodorescu–Kirileanu, Ştefan cel Mare şi
Sfânt. Istorisiri şi cântece populare strânse la un loc, Monastero di Neamţ
19243.
[2] Stephanus ille
Magnus: così lo designa il re polacco Sigismondo in una missiva del
3 febbraio 1531 al più tardo voivoda moldavo Pietro Rareş (Eudoxiu di
Hurmuzaki, Documente privitoare la
istoria românilor, vol. II/1, Bucarest 1891, p. 22), e sempre in ambito
polacco “grande principe dei Moldavi” lo qualifica il cronista Martin Cromer
(cfr. P. P. Panaitescu, Ştefan cel Mare
în lumina cronicarilor contemporani din ţările vecine, in “Studii şi
Cercetări Ştiinţifice. Istorie”, XI, no. 2, 1960, pp. 199-226).
[3] Cfr. Mircea Păcurariu, Istoria Bisericii Ortodoxe Române, vol. I, Bucarest 1980, pp.
327-329.
[4] Nell’edizione di F. A. Grekul, V. I. Buganov, Slavjano-Moldavckie Letopisi XV-XVI vv.,
Moskva 1976, pp. 6 ss., viene offerto un accurato quadro della tradizione
manoscritta, costituita da alcuni codici della Voskresenskaja Letopis’, da un manoscritto della Nikonovskaja Letopis’ e da tre altri
codici miscellanei, nei quali il testo moldavo precede vario altro materiale
cronografico.
[5] Le modalità del loro accorpamento sono state
variamente delineate, così come valutazioni diverse sono state espresse
in merito ai tempi del loro passaggio in area russa. L’oscillazione cronologica
al riguardo ha quali estremi le nozze della figlia di Stefano, Elena, con
l’erede designato al trono moscovita nel 1483 (Alexandru V. Boldur, Cronica slavo-moldovenească din cuprinsul
letopisei ruse Voskresenski, “Studii. Revistă de istorie”, XVI, 1963, pp.
1107 ss.); non molto diverso era stato l’orientamento di Ioan Bogdan, Vechile cronice moldovenescĭ până la
Urechiă, Bucarest 1891, p. 65, che inoltre aveva collocato negli anni
1504-1508 la redazione a noi trasmessa
dai manoscritti russi] e la signoria di Pietro Rareş (1527-1538; 1541-1546) [Cronicile slavo-romîne din sec. XV-XVI,
a cura di I. Bogdan, revisione di P. P. Panaitescu, Bucarest 1959 (Cronicile
Medievale ale României, II), pp. 153-154]. Un efficace prospetto della
storiografia al riguardo è stato offerto da Matei Cazacu, che a sua
volta, sulla scia di M. E. Byčkova, Obšie
tradicii rodoclovnych legend pravjaščich domov Vostočnoĭ Evropy, in Kul’turnye cvjazi narodov Vostočnoĭ
Evropy v XVI v., a cura di B. A. Rybakov, Moskva 1976, p. 299, propone
quale momento del passaggio in Moscovia la prima fase della signoria di Bogdan
III, ossia una data assai prossima a quella dallo stesso M. Cazacu assegnata
all’accorpamento delle due sezioni del testo, ch’egli attribuisce a un
redattore non moldavo operante ai tempi del citato successore di Stefano: M.
Cazacu, Aux sources de l’autocratie russe. Les influences roumaines et hongroises.
XVe-XVIe siècles, in “Cahiers du monde russe
et soviétique”, XXIV, 1983, pp. 16-23.
[6] Idem, Aux sources de l’autocratie russe cit., p.
19; Cesare Alzati, La coscienza
etnico-religiosa romena in età umanistica, tra echi di romanità e
modelli ecclesiastici bizantini-slavi [traduzione romena in Idem, În inima Europei. Studii de istorie religioasă
a spaţiului românesc, Cluj-Napoca 1998 (Bibliotheca Rerum Transsilvaniae,
XX), pp. 93-98], ora in Idem, Lo spazio
romeno tra frontiera e integrazione in età medioevale e moderna,
Pisa 2001 (Piccola Biblioteca Gisem, XVI), pp. 98-105.
[7] Cfr. ora Ovidiu Pecican, Troia, Veneţia, Roma. Studii de istoria civilizaţiei europene,
Cluj-Napoca 1998.
[8] Sui caratteri dell’apologetica moscovita postfiorentina
e sulla datazione degli scritti che la compongono, si veda in particolare Ja.
S. Lur’e, Dve istorii Rusi XV veka,
S. Pietroburgo–Parigi 1994.
[9] Nel 1431 è attestata l’attivita del locale
predicatore Iacob, che negli anni 1407-1411 era stato discepolo di Hus a Praga;
con lui operava anche un religioso francescano acquisito alla nuova dottrina.
Dopo la morte del principe Alessandro il Buono (1432) gli aderenti al movimento
furono spinti ad abbandonare il voivodato, trasferendosi in Transilvania, dove
contribuirono alla grande rivolta contadina del 1437. La dura repressione che
ne seguì determinò un vasto riflusso in area moldava (cfr. Romul
Cândea, Der Katholizismus in den
Donaufürstentümern, Leipzig 1916, pp. 40-41). Ne furono alla guida due
preti, Pécsi Tamás e Újlaki Bálint, che a Trotuş avrebbero approntato una prima
parziale traduzione ungherese della Sacra Scrittura [datata lettura marxista
della genesi di quest’opera in T. Kardos, A
huszita Biblia keletkezése, in “Magyar Tudományos Akadémia Nyelv- és
Irodalomtudományi Osztályának Közleményei”, III, 1952, pp. 127-177; per le
ascendenze boeme del testo: cfr. L. Hadrovics, A Magyar huszita Biblia német és cseh rokonsága, Budapest 1994]. Il
recupero all’ordine cattolico delle popolazioni latine di Moldavia fu da
Eugenio IV affidato ai francescani del Vicariato di Bosnia [cfr. Bullarium Franciscanum, n. s., vol. I, (1431-1455), a cura di U. Hüntemann, ad
Claras Aquas 1929, n. 1814, p. 897, n. 1816, p. 898, n. 1818, pp. 899-900, n.
860, pp. 410-413, n. 868, pp. 416-418, n. 874, pp. 421-422, n. 1005, p. 494].
Nel 1451 Giovanni da Capestrano inviò in Moldavia quattro confratelli
con a capo Ladislaus Hungarus, che già nella primavera del 1452
passarono in Polonia [L. Wadding, Annales
Minorum, vol. XII, Quaracchi (Firenze) 19322, pp. 160-163
(138-140, XVIII-XX)]. I risultati dovettero essere assai deludenti, se nel 1452
Nicola V, oltre a lamentare i disordini giurisdizionali procurati dai
religiosi, dovette constatare la permanente predicazione della dottrina
hussitica ad opera del prete Costantino (Bullarium
Franciscanum, vol. I, n. 1619, p. 806).
[10] Per un esempio al riguardo: Codicele Voroneţean, edizione critica, saggio filologico e
linguistico a cura di M. Costinescu, Bucarest 1981.
[11] S. Timon, Imago
antiquae et novae Hungariae historico genere strictim perscripta,
Additamentum, Cassoviae 1734, p. 27; Chronicon
Fuchsio-Lupino-Oltardinum, Coronae 1847, p. 25.
[12] Si veda, ad esempio, la lettera del 20 agosto 1571
indirizzata dall’ungherese Giorgio Vasari, segretario del vescovo di Kamenec,
al nunzio in Polonia Vincenzo da Portici: A. Theiner, Vetera Monumenta
Poloniae et Lithuaniae gentiumque finitimarum historiam illustrantia, maximam
partem nondum edita, ex tabulariis Vaticanis deprompta, vol. II, Roma 1861, p. 762, Cfr. Bogdan Petriceicu
Hajdeŭ, Istoria toleranţeĭ
religióse în România, Bucarest 1869, p. 28.
[13] Al riguardo: N. A. Kazakova, Ja. S. Lur’e, Antifeodal’nye eretičeskye dviženija na Rusi,
Moskva-Leningrad 1955; A. I. Klibanov, Reformacionnye
dviženija v Rossii v XIV-pervoj polovine XVI vv., Moskva 1960; sulla
componente hussitica nei movimenti di riforma religiosa nella Russia
settentrionale: C. De Michelis, La
Valdesia di Novgorod. “Giudaizzanti” e prima riforma (sec. XV), Torino
1993.
[14] L. Ronchi De Michelis, Eresia e Riforma nel Cinquecento. La dissidenza religiosa in Russia,
Torino 2000, pp. 57 ss.
[15] Il primo vescovo fu presentato al voivoda dallo stesso
patriarca ecumenico, Antonios IV: cfr. P. P. Panaitescu, Hrisovul lui Alexandru cel Bun pentru Episcopia armeană din Suceava,
“Revista Istorică Română”, IV, 1934, pp. 44-56; G. Petrowicz, La Chiesa armena in Polonia, Roma 1971,
pp. 25 ss.; Z. Baronian, 575 de ani de la
înfiinţarea Episcopiei Armene din Moldova, “Biserica Ortodoxă Română”,
XCIV, 1976, pp. 754 ss.
[16] La lettera del 29 novembre 1474 a Sisto IV in I. Bogdan,
Documentele lui Ştefan cel Mare, vol.
II, Bucarest 1913, pp. 318-319.
[17] La lettera di pochi giorni successiva alla grande
battaglia è datata, in conformità al Calendario latino, “nel
giorno di san Paolo” (25 gennaio) può vedersi anch’essa in I. Bogdan, Documentele lui Ştefan cel Mare cit.,
vol. II, p. 321.
[18] E. di Hurmuzaki, Documente
cit., vol. II/1, p. 14.
[19] Cfr. M. Maxim, Ţările
Române şi Înalta Poartă. Cadrul juridic al relaţiilor româno-otomane în Evul
Mediu, Bucarest 1993.
[20] H. Dj. Siruni, Hasmetlü.
Pe marginea titulaturii domnilor români în cancelaria otomană, in
“Hrisovul”, II, 1942, pp. 139-202.
[21] Cfr. Corina Nicolescu, Le couronnement – “Încoronatia”. Contribution à l’histoire du
cérémonial roumain, in “Revue des etudes
Sud-Est européennes”, XIV, 1976, pp. 661-663; Radu G. Păun, Încoronarea în Ţara Românească şi Moldova în
secolul al XVIII-lea, in “Revista Istorică”, V, 1994, pp. 743-759; Violeta
Barbu, Gheorghe Lazăr, in Naţional şi
universal în istoria românilor. Studii oferite Prof. Şerban Papacostea cu
ocazia împlinirii a 70 de ani, Bucarest 1998, pp. 40-69.
[22] Nicolae Iorga, Byzance
après Byzance, Bucarest 19351.
[23] Andrei Veress, Documente
privitoare la istoria Ardealului, Moldovei şi Ţării Româneşti, vol. IV, Acte şi scrisori (1593-1595), Bucarest
1932, p. 254.
[24] Cfr. I. Ivan, Patriarhi
ortodocşi în Moldova, in “Mitropolia Moldovei şi Sucevei”, LI, 1975, pp.
668 ss.
[25] Cfr. A. M. Ammann, Storia
della Chiesa russa e dei Paesi limitrofi, Torino 1948, p. 200.
[26] Ed. A. Theiner, Vetera
Monumenta Poloniae et Lithuaniae … historiam illustrantia, vol. III, Roma
1863, p. 46; la risposta, con cui il pontefice accoglieva la sottomissione del
metropolita e del suo signore, in Ch. Karalevkij, Relaţiunile dintre domnii români şi Sfântul Scaun în a doua jumătate a
veacului al XVI-lea, in “Revista Catolică”, II, 1913, p. 202.
[27] In merito al patriarcato ecumenico durante la
luogotenenza di Melezio Pigâs: E. di Hurmuzaki, Documente cit., vol. XIII, a cura di A. Papadopulos Kerameus,
Bucarest 1909, doc. X, p. 350. Quanto all’Athos, basti segnalare il privilegio
concesso dal principe moldavo nel 1597/1598 alla Grande Lavra per i restauri
resi necessari da un terremoto (E. di Hurmuzaki, Documente cit., vol. XIV/1, a cura di N. Iorga, Bucarest 1915, doc.
CXCIX, p. 108), nonché la conferma alla sottomissione a Vatopedi del monastero
della Dormizione di Iaşi ad opera di Ana Golea (Ibidem, doc. CCX, p. 111), ed ancora l’offerta di 100 ducati
compiuta nel 1598 a favore dello Zográphou (Ibidem,
doc. CCI, p. 108), cui venne anche confermata la sottomissione del monastero di
S. Nicola di Suceava (N. Iorga, Muntele
Athos în legătura cu ţerile noastre, in “Analele Academiei Române.
Memoriile Secţiunii Istorice”, XXXVI, 1913‑1914, p. 487). Cfr. Petre Ş.
Năsturel, Le Mont Athos et les roumains:
recherches sur leur relations du milieu du XIVe siècle
à 1654, Roma 1986 (Orientalia Christiana Analecta, 227).
[28] Dalla corte di Iaşi, dove tenne sermoni, il Lúkaris
sarebbe passato a Bucarest, allora in mano ad un altro fratello di Ieremia,
Simion, prima di raggiungere l’11 settembre la sede di Alessandria, di cui fu
chiamato ad essere patriarca succedendo a Meletios Pigâs: N. M. Popescu, Chiril Lucaris şi Ortodoxia română ardeleană,
in “Biserica Ortodoxă Română”, LXIV, 1946, pp. 425-446; cfr. G. A.
Hadjiantoniou, Protestant Patriarch: The
Life of Cyril Lucaris (1572-1638), Patriarch of Constantinople, Richmond
1961. Per l’opera omiletica del Lúkaris: Cyrillus I. Lucaris, Sermons. 1598-1602, a cura di K.
Rozemond, Leiden 1974 (Byzantina Neerlandica, IV).
[29] Cfr. C. Alzati, Terra
romena tra Oriente e Occidente. Chiese ed etnie nel tardo ‘500, Milano
1982, pp. 231-232.
[30] Diretta testimonianza al riguardo è offerta nella
relazione presentata nell’anno giubilare 1600 in occasione della visita “ad
limina” dal vescovo Bernardino Quirini: in Ch. Karalevskij, Bernardino Quirini, episcop de Argeş, in
“Revista Catolică”, IV, 1915, pp. 527-528. Cfr. B. P. Hajdeu, Documente inedite din biblioteca
Doria-Panfiliană din Roma, in “Columna lui Traian”, VII, 1876, p. 315.
[31] C. Alzati, Terra
romena cit., pp. 292-293, pp. 298-304.
[32] B. P. Hajdeu, Documente
inedite din biblioteca Doria-Panfiliană cit., p. 315.
[33] Documentazione in merito nella relazione “ad limina”:
Ch. Karalevskij, Bernardino Quirini cit.,
p. 530. Per le variegate situazioni determinatesi nelle terre romene in seguito
all’introduzione del nuovo Calendario: C. Alzati, Terra romena cit., pp. 310-311.
[34] Cfr., sulla base della relazione “ad limina”, C. Alzati,
Terra romena cit., pp. 265-266. Per le premesse veneziane e candiotte al
comportamento del Quirini: Idem, Influssi
candiotto-veneti nella vita religiosa delle terre romene in età
post-tridentina, in Italia e Romania:
due popoli e due storie a confronto. Convegno di studi (Venezia, Fondazione
Giorgio Cini, 6-10 marzo 1995), Firenze 1997-1998, pp. 169-189 [traduzione
romena in Idem, În inima Europei
cit., pp. 113-139], ora in Idem, Lo
spazio romeno cit., pp. 109-132.
[35] Così un’anonima relazione risalente alla prima
metà del 1606: E. di Hurmuzaki,
Documente cit., vol. VIII, Bucarest 1894, p. 309.
[36] L’incomprensione nei confronti di tale vicenda
intellettuale e teologica da parte di G. Florovskij, Puti russkogo bogoslovija, Parigi 19812, pp. 44-56
[traduzione italiana Idem, Vie della
teologia russa, Genova 1987, pp. 37-47], che parla di “criptoromanismo” e
di “pseudomorfosi latina”, è stata evidenziata nei suoi limiti da I.
Ševčenko, The Many Worlds of Peter Mohyla,
in “Harvard Ukrainian Studies”, VIII, no. 1-2, 1984, [= Idem, The Kiev Mohyla Academy. Commemorating the
350th Anniversary of its Founding (1632)], pp. 9-44. Nel volume
è presente anche (pp. 188-222) il bel saggio di M. Cazacu, Pierre Mohyla (Petru Movilă) et la Roumanie.
Essai historique et bibliographique, che su un’impressionante base
documentaria viene ricostruendo l’albero genealogico della famiglia.