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La Moldavia nel contesto delle tradizzioni religiose e culturali dell’Europa

 

 

Cesare  Alzati,

Università degli Studi di Pisa

 

Il 2 luglio 1504 nel castello di Suceava chiudeva i propri giorni il principe di Moldavia Stefano, cui la venerazione popolare attribuì il titolo di “Santo”[1] e che anche fonti esterne al voivodato già non molti lustri dopo la sua scomparsa definivano “il Grande”[2]. La sua lunga signoria sul principato moldavo era iniziata nella primavera del 1457 quando, dopo la vittoria su Pietro Aron, Stefano aveva recuperato il trono ch’era stato del padre, Bogdan II (1449-1451), ricevendo l’unzione dalle mani di quel metropolita Teoctist che aveva sostituito sulla cattedra di Suceava il dotto unionista greco Ioakim ed era stato ordinato attorno al 1453 dall’antiunionista patriarca della Chiesa serba, Nikodim di Peć[3].

Con la registrazione della morte di Stefano e la successione a lui del figlio Bogdan III si chiude un singolare Skazanie slavone, la Narrazione in breve intorno ai signori moldavi (Skazanie vkratcě o moldavskych gospodarech’), di origine moldava, ma a noi giunto tramite mediazione moscovita, grazie alla sua integrazione nella cronachistica russa[4].

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Lo scritto è composto da due sezioni[5]. Nella parte iniziale della prima sezione – elaborata originariamente nel Maramureş con ogni probabilità nella seconda metà del XV secolo[6] – veniva in particolare evocata l’origine dei Romeni di quella regione a settentrione della Transilvania, dai quali prese successivamente vita il voivodato moldavo: si tratta dunque di un racconto sulla genesi della stirpe romena nel suo complesso. A tale riguardo lo Skazanie parla di due fratelli, Roman e Vlachata (la cui eponimia relativa al popolo ‘romeno’, detto ‘valacco’ dalle genti straniere, mi pare inequivocabile), i quali, dopo aver retto lo scontro con gli eretici a Venezia, si recarono nell’Antica Roma (su questo punto la consonanza con la biografia dei fratelli Cirillo e Metodio è rilevante e di non piccolo significato); qui fondarono il nucleo fortificato di Roman, dove s’insediarono. Dopo che papa Formoso passò all’eresia latina e che i Latini trascinarono alla loro eresia anche la Nuova Roma, i discendenti di Roman e Vlachata, i Romanov’ci, accolsero l’invito del re ungherese Vladislav e accorsero a difenderlo dai Tartari, insediandosi successivamente, con piene garanzie per la loro fede, nel Maramureş. Come si vede, si è di fronte a una chiara affermazione di romanità dei Romeni, ma si tratta di una romanità che non definisce in alcun modo l’identità di questo popolo.

Nello Skazanie Roma è la fonte dell’eresia, che da questa si è estesa anche alla Nuova Roma. A differenza dei Romani datisi alla nuova fede (novye Rimljane), i discendenti di Roman e Vlachata, i vecchi Romani (starye Rimljane) giunti nel Maramureş da Roma non di “legge latina” sono, ma di quella “legge greca” che è esemplarmente professata da Sava, arcivescovo serbo, espressamente citato dallo Skazanie. Se, come afferma Ovidiu

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Pecican, alla formazione del racconto ha concorso materiale risalente agli inizi della dinastia romena del secondo Zarato bulgaro[7], va osservato come nel Maramureş postfiorentino la menzione della romanità romena assumesse un valore antitetico rispetto alle antiche fonti sud-danubiane: anziché motivo di gloria e auspicio di un rinnovato, vitale contatto con l’Antica Roma e la sua Chiesa, l’origine romana è qui occasione per esprimere il totale rifiuto di Roma stessa ed evidenzia il carattere definitivo della separazione ormai consumatasi. Del resto, si tratta significativamente di una rivendicazione di origine romana, la cui enunciazione è peraltro formulata in lingua slavona, secondo i canoni letterari e la forma scrittoria slava. È comprensibile la fortuna goduta da questo testo nella cronachistica russa. Esso era pienamente convergente con gli orientamenti accesamente antilatini e antiunionistici assunti dalla Chiesa moscovita e s’integrava perfettamente nell’ideologia ecclesiastica che Mosca era venuta elaborando a sostegno della propria autocefalia, orientamenti e ideologia di cui troviamo chiari riflessi nella narrazione di Simeone di Suzdal’ in merito al concilio di Firenze e nei successivi sviluppi di tale scritto[8].

Se l’età di Stefano vide nel Maramureş l’elaborazione del racconto sull’origine dei Romeni e se, forse, subito dopo la morte del voivoda tale racconto fu riproposto in Moldavia, la vita ecclesiastica e religiosa del principato moldavo non può certamente dirsi esaurientemente rappresentata dallo Skazanie e dal suo orizzonte tematico. Risaliva a prima di Stefano la diffusione dell’hussitismo in terra moldava, nel contesto delle comunità di immigrati “latini”, in particolare ungheresi[9]. Nei territori intracarpatici l’influsso del

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movimento si sarebbe fatto sentire anche presso l’elemento autoctono di tradizione “greca”, suscitando all’interno di quest’ultimo (nel Maramureş o forse in area più propriamente transilvana) le prime traduzioni in lingua romena del Nuovo Testamento e del Salterio[10]. La cronachistica dei secoli eruditi attribuì al voivoda Stefano lo stanziamento di nuovi gruppi di hussiti lungo le rive del Prut[11]; qui in effetti essi sono positivamente attestati nel secolo successivo[12]. Ai fermenti religiosi legati a questa presenza del movimento hussita in Moldavia sono state accostate le dottrine non conformiste e le istanze di rinnovamento ecclesiastico professate a Mosca nell’entourage della figlia di Stefano, Elena, andata sposa nel 1483 a Ivan, figlio di Ivan III e allora suo erede designato[13]. Tale cerchia di persone sarebbe stata successivamente considerata il diretto antecedente degli orientamenti religiosi repressi tra il 1553 e il 1558 dal metropolita Makarij e da Ivan IV, orientamenti i cui fautori, rifugiatisi oltre la frontiera occidentale della Moscovia, troviamo tra i partecipanti ai dibattiti suscitati nella Rzeczpospolita polacco-lituana dalle componenti più estreme della Riforma protestante d’orientamento antitrinitario[14].

Luogo in cui venne riflettendosi la variegata articolazione del Cristianesimo europeo (non va dimenticato che dal 1401 era stata eretta in Suceava dal nonno di Stefano, Alessandro il Buono, una sede episcopale armena[15]), l’ortodossa Moldavia fu altresì un luogo in cui l’unità del mondo cristiano, segnatamente nei secoli della potenza ottomana, si venne evidenziando con singolare compiutezza. In effetti, nel contesto della resistenza all’espansione ottomana, proprio Stefano, che pure visse aspri contrasti con i suoi vicini, sentì l’urgenza di una solidale unità tra tutti i principi cristiani e apertamente formulò tale auspicio rivolgendosi, lui ortodosso, a quel pontefice romano che del mondo cristiano

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latino rappresentava la più alta autorità[16]. In termini ancora più espliciti e appassionati il tema fu dal voivoda ripreso, dopo la straordinaria vittoria del 10 gennaio 1475 sul poderoso esercito di Sulaimán Paša a Vaslui, nella lettera ch’egli indirizzò a tutti i principi cristiani per invitarli a muovere tempestivamente contro i nemici della Cristianità e in solidale unità con il principe di Moldavia, giacché se “la porta della Cristianità, ossia il nostro Paese, andasse perduto – e Dio ci scampi da un tale evento – tutta la Cristianità sarebbe in pericolo”[17]. L’impegno profuso da Stefano a difesa del mondo cristiano ebbe caratteri veramente eccezionali, cui Sisto IV diede solenne riconoscimento, usando per questo voivoda l’appellativo di “vero atleta di Cristo”[18]. E tuttavia non fu nella resistenza armata che il carattere unitario della Cristianità e l’appartenenza ad essa della Moldavia trovarono la loro più adeguata manifestazione. Già sotto Stefano tale resistenza conobbe vicende alterne e, nonostante lo stabilirsi di fattive alleanze, non poté sottrarre il voivodato al pagamento del tributo. Nei secoli successivi, inoltre, non soltanto tale tributo andò vieppiù crescendo, ma si venne determinando un inserimento sempre più consistente dei Paesi Romeni, Valacchia e Moldavia, nel sistema politico facente capo alla Sublime Porta[19].

Paradossalmente fu proprio attraverso siffatto inquadramento nel sistema ottomano che il carattere di terra cristiana dei due principati e l’affinità tra i rispettivi signori e i restanti monarchi della Cristianità vennero evidenziandosi con singolare efficacia. Benché pienamente inserite nel “sistema” della turcocrazia, Moldavia e Valacchia vissero all’interno del regime ottomano secondo uno status molto particolare, sancito da specifici documenti sultaneali che esplicitamente ne garantirono l’identità cristiana: mai tali Paesi furono considerati parte della “Casa dell’Islam”, ma rimasero costantemente terre viventi secondo la legge cristiana e dove non potevano sorgere moschee, Paesi ai cui signori, benché vassalli integrati nell’Impero del sultano, la Porta sempre si rivolse usando gli stessi formulari con cui si indirizzava ai monarchi cristiani dell’Occidente[20]. Non solo, ma allorché, soprattutto nel XVII e XVIII secolo, la prima cerimonia d’investitura voivodale si compiva a Costantinopoli, i nuovi signori nel centro stesso del potere islamico ricevevano nella chiesa del Phanar all’altare dalle mani del patriarca ecumenico l’unzione col myron, in

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continuità rispetto al modello dei tardi “basileîs amanti di Cristo”[21]: vera “Byzance après Byzance”, secondo la felice espressione di Nicolae Iorga[22].

La lucida percezione della realtà unitaria della Cristianità, nonostante le molteplici interne contrapposizioni, e la consapevolezza della Moldavia di esserne parte, pur con la propria specifica identità, avrebbero trovato alla fine del XVI secolo eloquente espressione nelle parole rivolte dal voivoda Aron al rappresentante del principe transilvano Zsigmond Báthory, che pretendeva da quello stesso voivoda la sottomissione vassallatica; così ne riferì l’agente imperiale Giovanni de’ Marini Poli a Rodolfo II nell’agosto 1595: “il qual Aaron denegò tal suggettione con altiera risposta, dicendo che non conosceva dopo Iddio altri superiori che a Sommo Pontefice et a sacra Maestà Cesarea. Et a Principe di Transilvania non son per dar mai obedienza, ma come fratelli et boni vicini et amici, che siamo stati et confederatosi a beneficio della Christianità contra Turco”[23].

Quali straordinari orizzonti politici, ma soprattutto culturali e religiosi, abbia dischiuso alla Moldavia questa condizione ad un tempo di estraneità nell’integrazione, rispetto al sistema ottomano, e di appartenenza nella distinzione, rispetto al sistema della Cristianità, è ben mostrato dall’esperienza storica della dinastia dei Movileşti, grande famiglia del voivodato contemporaneamente annoverata tra l’aristocrazia del regno polacco. Tra l’agosto 1595 e il 30 giugno 1606, periodo di guerre e rivolgimenti da cui anche la Moldavia fu investita, un esponente di tale famiglia, Ieremia Movilă, sedette sul trono voivodale, avendo al proprio fianco, assiso sulla cattedra metropolitica, il fratello Gheorghe. Ieremia già quale hatman, sotto la signoria di Pietro lo Zoppo, aveva visto giungere alla corte moldava i maggiori presuli ortodossi, che dalle terre ottomane si dirigevano verso la Rutenia e la Moscovia in cerca di soccorso[24]. Uno spicca su tutti: il grande Geremia II Tranos di Costantinopoli, che a Mosca nel 1589 insediò il primo patriarca russo Iov. La ratifica sinodale ecumenica di tale atto sarebbe avvenuta nel 1590 a Costantinopoli, e ad essa prese parte anche Gheorghe Movilă, già allora metropolita di Moldavia[25]. Peraltro, nel 1588, per incarico del principe del tempo, Pietro lo Zoppo, quello stesso Ieremia aveva consegnato all’arcivescovo latino di Leopoli la lettera indirizzata dal metropolita Gheorghe a Sisto V, con cui il presule moldavo, e fratello di Ieremia, aveva dichiarato il proprio riconoscimento dell’autorità della Chiesa romana[26]. Questo muoversi simultaneamente

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nei due ambiti ecclesiali e ai massimi livelli non risultava affatto contraddittorio nella coscienza dei due Movileşti. Chiesa “greca” e Chiesa “latina” non erano evidentemente da loro percepite in termini di dialettica contrapposizione, ma di comunione oltre la diversità. Di fatto Ieremia, nei travagliati giorni del suo voivodato, ci appare quale generoso benefattore delle istituzioni ortodosse sotto dominio islamico (a cominciare dalla Grande Chiesa e dalla Santa Montagna[27]); per la Quaresima e la Pasqua 1601 lo vediamo ospitare alla corte lo ieromonaco ed esarca patriarcale Cirillo Lúkaris, futuro patriarca ecumenico, di chiari sentimenti anticattolici e sensibile alle posizioni dottrinali protestanti[28]; e pure nel contesto della Rzeczpospolita polacco-lituana del cattolico Sigismondo III, suo protettore, il voivoda si venne fattivamente impegnando a favore della Confraternita stavropigiale ortodossa di Leopoli, la cui opposizione all’Unione con Roma si sarebbe protratta fino al 1708[29]. Nondimeno di quello stesso Ieremia si ricorda come prendesse parte col metropolita e con il suo clero alla processione latina del Corpus Domini e partecipasse con l’episcopato ortodosso a solenni pontificali del vescovo latino[30]; e come garantisse il sostentamento di tale presule e ne difendesse la giurisdizione contro le intromissioni dei religiosi polacchi[31].

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Va segnalato come nel singolare contesto moldavo, di fronte a un principe e a un metropolita di tradizione greca, così aperti verso l’Occidente latino da dichiararsi in comunione con la Chiesa romana, operò in quegli anni un vescovo latino, il francescano candiotto Bernardino Quirini, che venne reciprocamente manifestando una singolare attenzione nei confronti della tradizione e della realtà ecclesiale greca. Prendeva parte solennemente alla benedizione delle acque officiata dal metropolita ortodosso nel giorno dell’Epifania[32]; si atteneva rigorosamente al vecchio Calendario, proibendo – con facoltà ottenuta dalla Sede Apostolica – l’introduzione del nuovo computo Gregoriano[33]; di fronte al generalizzato stato coniugale del clero latino da lui trovato, conservava nel ministero quegli ecclesiastici che si fossero attenuti alla disciplina canonica orientale, avendo contratto matrimonio prima di ricevere l’ordinazione e con donna che già non fosse stata sposata[34]. Quanto al voivoda Ieremia, la prospettiva secondo cui egli guardò alle due grandi comunioni ecclesiastiche trova certamente la più eloquente espressione nel suo vivere secondo la “legge greca”, ma accostarsi senza distinzione, per ricevere l’Eucarestia, all’altare “greco” e a quello “latino”[35].

Il quadro che emerge da queste esperienze realizzatesi nella Moldavia dei Movileşti è certamente assai lontano dalla situazione di dichiarata contrapposizione tra greci e latini delineata nello Skazanie slavone da cui questo contributo ha preso le mosse. Peraltro, al di là di una valutazione in sede ecclesiologica di tale evoluzione, valutazione che si presenta oltremodo complessa, ciò che qui merita sottolineare è la straordinaria fecondità spirituale e culturale connessa alla vicenda di questa dinastia moldava. È un Movilă, figlio del fratello di Ieremia e di Gheorghe, Simion, quel Pietro che, dopo essersi formato in Polonia in un vitale rapporto con la teologia cattolica postridentina, pose quella cultura teologica al servizio dell’apologetica ortodossa, e a Kijv, dalla risorta cattedra metropolitica della Rus’, divenne maestro di fede riconosciuto dall’intera Ortodossia, dando avvio a una scuola, il Collegium Kijoviense Mohileanum, che avrebbe successivamente inciso profondamente nella vita ecclesiastica dell’Impero russo[36].

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Il pieno radicamento nella propria identità religiosa e culturale, percepita peraltro in vitale relazione con l’articolato e complesso contesto di cui essa è parte, rappresenta la nota qualificante dell’esperienza vissuta dalla Moldavia nell’età dei Movileşti, evidenziando una singolare capacità, di concepire l’ecumene e di concepirsi nell’ecumene. In effetti le vicende moldave qui evocate mostrano come gli orizzonti romeni – anche nell’età della turcocrazia – non si esaurissero in Costantinopoli e nel suo sistema istituzionale, ma si dilatassero ad abbracciare un mondo nel quale Impero Ottomano, Moscovia ortodossa e Cristianità latina erano analogamente presenti, fattivamente interagendo con i signori e i presuli del voivodato. Questa straordinaria esperienza del medioevo romeno, particolarmente evidente in ambito moldavo, attesta come la regione carpato-danubiana, che a una superficiale osservazione potrebbe apparire come l’estrema propaggine del Commowealth bizantino e della Cristianità latina, abbia in realtà costituito lungo la storia, e tuttora rappresenti, uno spazio di singolare rilievo per l’Europa, poiché qui le diverse tradizioni religiose e culturali del Continente, nel loro coesistere, manifestano con singolare immediatezza come l’Europa stessa sia anzitutto un comune ambito di civiltà, vivificato da quel seme evangelico, che nei diversi popoli, travalicando le stesse distinzioni confessionali, ha suscitato idealità e valori ampiamente condivisi.

 

 

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© Şerban Marin, October 2005, Bucharest, Romania

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* Il presente contributo riprende in buona parte un testo apparso nel Catalogo per la Mostra Stefano il Grande ponte tra l’Oriente e l’Occidente. Musei Vaticani, Salone Sistino, 1-31 ottobre 2004, Ministero della Cultura e dei Culti di Romania, Bucarest 2004, pp. 39-53 (traduzione inglese: pp. 112-124).

[1] “Non per la sua anima, che è nelle mani del Signore, poiché egli di fatto è stato un uomo con i suoi peccati, ma per le sue imprese senza eguali, né prima, né dopo di lui”. Cfr. l’Atto patriarcale emesso il 2 luglio 1990 nel monastero di Putna, con cui è stato istituito il Parastas Voievodal Naţional. Per le testimonianze della devozione popolare nei confronti del voivoda: S. Teodorescu–Kirileanu, Ştefan cel Mare şi Sfânt. Istorisiri şi cântece populare strânse la un loc, Monastero di Neamţ 19243.

[2] Stephanus ille Magnus: così lo designa il re polacco Sigismondo in una missiva del 3 febbraio 1531 al più tardo voivoda moldavo Pietro Rareş (Eudoxiu di Hurmuzaki, Documente privitoare la istoria românilor, vol. II/1, Bucarest 1891, p. 22), e sempre in ambito polacco “grande principe dei Moldavi” lo qualifica il cronista Martin Cromer (cfr. P. P. Panaitescu, Ştefan cel Mare în lumina cronicarilor contemporani din ţările vecine, in “Studii şi Cercetări Ştiinţifice. Istorie”, XI, no. 2, 1960, pp. 199-226).

[3] Cfr. Mircea Păcurariu, Istoria Bisericii Ortodoxe Române, vol. I, Bucarest 1980, pp. 327-329.

[4] Nell’edizione di F. A. Grekul, V. I. Buganov, Slavjano-Moldavckie Letopisi XV-XVI vv., Moskva 1976, pp. 6 ss., viene offerto un accurato quadro della tradizione manoscritta, costituita da alcuni codici della Voskresenskaja Letopis’, da un manoscritto della Nikonovskaja Letopis’ e da tre altri codici miscellanei, nei quali il testo moldavo precede vario altro materiale cronografico.

[5] Le modalità del loro accorpamento sono state variamente delineate, così come valutazioni diverse sono state espresse in merito ai tempi del loro passaggio in area russa. L’oscillazione cronologica al riguardo ha quali estremi le nozze della figlia di Stefano, Elena, con l’erede designato al trono moscovita nel 1483 (Alexandru V. Boldur, Cronica slavo-moldovenească din cuprinsul letopisei ruse Voskresenski, “Studii. Revistă de istorie”, XVI, 1963, pp. 1107 ss.); non molto diverso era stato l’orientamento di Ioan Bogdan, Vechile cronice moldovenescĭ până la Urechiă, Bucarest 1891, p. 65, che inoltre aveva collocato negli anni 1504-1508 la redazione a noi trasmessa dai manoscritti russi] e la signoria di Pietro Rareş (1527-1538; 1541-1546) [Cronicile slavo-romîne din sec. XV-XVI, a cura di I. Bogdan, revisione di P. P. Panaitescu, Bucarest 1959 (Cronicile Medievale ale României, II), pp. 153-154]. Un efficace prospetto della storiografia al riguardo è stato offerto da Matei Cazacu, che a sua volta, sulla scia di M. E. Byčkova, Obšie tradicii rodoclovnych legend pravjaščich domov Vostočnoĭ Evropy, in Kul’turnye cvjazi narodov Vostočnoĭ Evropy v XVI v., a cura di B. A. Rybakov, Moskva 1976, p. 299, propone quale momento del passaggio in Moscovia la prima fase della signoria di Bogdan III, ossia una data assai prossima a quella dallo stesso M. Cazacu assegnata all’accorpamento delle due sezioni del testo, ch’egli attribuisce a un redattore non moldavo operante ai tempi del citato successore di Stefano: M. Cazacu, Aux sources de l’autocratie russe. Les influences roumaines et hongroises. XVe-XVIe siècles, in “Cahiers du monde russe et soviétique”, XXIV, 1983, pp. 16-23.

[6] Idem, Aux sources de l’autocratie russe cit., p. 19; Cesare Alzati, La coscienza etnico-religiosa romena in età umanistica, tra echi di romanità e modelli ecclesiastici bizantini-slavi [traduzione romena in Idem, În inima Europei. Studii de istorie religioasă a spaţiului românesc, Cluj-Napoca 1998 (Bibliotheca Rerum Transsilvaniae, XX), pp. 93-98], ora in Idem, Lo spazio romeno tra frontiera e integrazione in età medioevale e moderna, Pisa 2001 (Piccola Biblioteca Gisem, XVI), pp. 98-105.

[7] Cfr. ora Ovidiu Pecican, Troia, Veneţia, Roma. Studii de istoria civilizaţiei europene, Cluj-Napoca 1998.

[8] Sui caratteri dell’apologetica moscovita postfiorentina e sulla datazione degli scritti che la compongono, si veda in particolare Ja. S. Lur’e, Dve istorii Rusi XV veka, S. Pietroburgo–Parigi 1994.

[9] Nel 1431 è attestata l’attivita del locale predicatore Iacob, che negli anni 1407-1411 era stato discepolo di Hus a Praga; con lui operava anche un religioso francescano acquisito alla nuova dottrina. Dopo la morte del principe Alessandro il Buono (1432) gli aderenti al movimento furono spinti ad abbandonare il voivodato, trasferendosi in Transilvania, dove contribuirono alla grande rivolta contadina del 1437. La dura repressione che ne seguì determinò un vasto riflusso in area moldava (cfr. Romul Cândea, Der Katholizismus in den Donaufürstentümern, Leipzig 1916, pp. 40-41). Ne furono alla guida due preti, Pécsi Tamás e Újlaki Bálint, che a Trotuş avrebbero approntato una prima parziale traduzione ungherese della Sacra Scrittura [datata lettura marxista della genesi di quest’opera in T. Kardos, A huszita Biblia keletkezése, in “Magyar Tudományos Akadémia Nyelv- és Irodalomtudományi Osztályának Közleményei”, III, 1952, pp. 127-177; per le ascendenze boeme del testo: cfr. L. Hadrovics, A Magyar huszita Biblia német és cseh rokonsága, Budapest 1994]. Il recupero all’ordine cattolico delle popolazioni latine di Moldavia fu da Eugenio IV affidato ai francescani del Vicariato di Bosnia [cfr. Bullarium Franciscanum, n. s., vol. I, (1431-1455), a cura di U. Hüntemann, ad Claras Aquas 1929, n. 1814, p. 897, n. 1816, p. 898, n. 1818, pp. 899-900, n. 860, pp. 410-413, n. 868, pp. 416-418, n. 874, pp. 421-422, n. 1005, p. 494]. Nel 1451 Giovanni da Capestrano inviò in Moldavia quattro confratelli con a capo Ladislaus Hungarus, che già nella primavera del 1452 passarono in Polonia [L. Wadding, Annales Minorum, vol. XII, Quaracchi (Firenze) 19322, pp. 160-163 (138-140, XVIII-XX)]. I risultati dovettero essere assai deludenti, se nel 1452 Nicola V, oltre a lamentare i disordini giurisdizionali procurati dai religiosi, dovette constatare la permanente predicazione della dottrina hussitica ad opera del prete Costantino (Bullarium Franciscanum, vol. I, n. 1619, p. 806).

[10] Per un esempio al riguardo: Codicele Voroneţean, edizione critica, saggio filologico e linguistico a cura di M. Costinescu, Bucarest 1981.

[11] S. Timon, Imago antiquae et novae Hungariae historico genere strictim perscripta, Additamentum, Cassoviae 1734, p. 27; Chronicon Fuchsio-Lupino-Oltardinum, Coronae 1847, p. 25.

[12] Si veda, ad esempio, la lettera del 20 agosto 1571 indirizzata dall’ungherese Giorgio Vasari, segretario del vescovo di Kamenec, al nunzio in Polonia Vincenzo da Portici: A. Theiner, Vetera Monumenta Poloniae et Lithuaniae gentiumque finitimarum historiam illustrantia, maximam partem nondum edita, ex tabulariis Vaticanis deprompta, vol. II, Roma 1861, p. 762, Cfr. Bogdan Petriceicu Hajdeŭ, Istoria toleranţeĭ religióse în România, Bucarest 1869, p. 28.

[13] Al riguardo: N. A. Kazakova, Ja. S. Lur’e, Antifeodal’nye eretičeskye dviženija na Rusi, Moskva-Leningrad 1955; A. I. Klibanov, Reformacionnye dviženija v Rossii v XIV-pervoj polovine XVI vv., Moskva 1960; sulla componente hussitica nei movimenti di riforma religiosa nella Russia settentrionale: C. De Michelis, La Valdesia di Novgorod. “Giudaizzanti” e prima riforma (sec. XV), Torino 1993.

[14] L. Ronchi De Michelis, Eresia e Riforma nel Cinquecento. La dissidenza religiosa in Russia, Torino 2000, pp. 57 ss.

[15] Il primo vescovo fu presentato al voivoda dallo stesso patriarca ecumenico, Antonios IV: cfr. P. P. Panaitescu, Hrisovul lui Alexandru cel Bun pentru Episcopia armeană din Suceava, “Revista Istorică Română”, IV, 1934, pp. 44-56; G. Petrowicz, La Chiesa armena in Polonia, Roma 1971, pp. 25 ss.; Z. Baronian, 575 de ani de la înfiinţarea Episcopiei Armene din Moldova, “Biserica Ortodoxă Română”, XCIV, 1976, pp. 754 ss.

[16] La lettera del 29 novembre 1474 a Sisto IV in I. Bogdan, Documentele lui Ştefan cel Mare, vol. II, Bucarest 1913, pp. 318-319.

[17] La lettera di pochi giorni successiva alla grande battaglia è datata, in conformità al Calendario latino, “nel giorno di san Paolo” (25 gennaio) può vedersi anch’essa in I. Bogdan, Documentele lui Ştefan cel Mare cit., vol. II, p. 321.

[18] E. di Hurmuzaki, Documente cit., vol. II/1, p. 14.

[19] Cfr. M. Maxim, Ţările Române şi Înalta Poartă. Cadrul juridic al relaţiilor româno-otomane în Evul Mediu, Bucarest 1993.

[20] H. Dj. Siruni, Hasmetlü. Pe marginea titulaturii domnilor români în cancelaria otomană, in “Hrisovul”, II, 1942, pp. 139-202.

[21] Cfr. Corina Nicolescu, Le couronnement – “Încoronatia”. Contribution à l’histoire du cérémonial roumain, in “Revue des etudes Sud-Est européennes”, XIV, 1976, pp. 661-663; Radu G. Păun, Încoronarea în Ţara Românească şi Moldova în secolul al XVIII-lea, in “Revista Istorică”, V, 1994, pp. 743-759; Violeta Barbu, Gheorghe Lazăr, in Naţional şi universal în istoria românilor. Studii oferite Prof. Şerban Papacostea cu ocazia împlinirii a 70 de ani, Bucarest 1998, pp. 40-69.

[22] Nicolae Iorga, Byzance après Byzance, Bucarest 19351.

[23] Andrei Veress, Documente privitoare la istoria Ardealului, Moldovei şi Ţării Româneşti, vol. IV, Acte şi scrisori (1593-1595), Bucarest 1932, p. 254.

[24] Cfr. I. Ivan, Patriarhi ortodocşi în Moldova, in “Mitropolia Moldovei şi Sucevei”, LI, 1975, pp. 668 ss.

[25] Cfr. A. M. Ammann, Storia della Chiesa russa e dei Paesi limitrofi, Torino 1948, p. 200.

[26] Ed. A. Theiner, Vetera Monumenta Poloniae et Lithuaniae … historiam illustrantia, vol. III, Roma 1863, p. 46; la risposta, con cui il pontefice accoglieva la sottomissione del metropolita e del suo signore, in Ch. Karalevkij, Relaţiunile dintre domnii români şi Sfântul Scaun în a doua jumătate a veacului al XVI-lea, in “Revista Catolică”, II, 1913, p. 202.

[27] In merito al patriarcato ecumenico durante la luogotenenza di Melezio Pigâs: E. di Hurmuzaki, Documente cit., vol. XIII, a cura di A. Papadopulos Kerameus, Bucarest 1909, doc. X, p. 350. Quanto all’Athos, basti segnalare il privilegio concesso dal principe moldavo nel 1597/1598 alla Grande Lavra per i restauri resi necessari da un terremoto (E. di Hurmuzaki, Documente cit., vol. XIV/1, a cura di N. Iorga, Bucarest 1915, doc. CXCIX, p. 108), nonché la conferma alla sottomissione a Vatopedi del monastero della Dormizione di Iaşi ad opera di Ana Golea (Ibidem, doc. CCX, p. 111), ed ancora l’offerta di 100 ducati compiuta nel 1598 a favore dello Zográphou (Ibidem, doc. CCI, p. 108), cui venne anche confermata la sottomissione del monastero di S. Nicola di Suceava (N. Iorga, Muntele Athos în legătura cu ţerile noastre, in “Analele Academiei Române. Memoriile Secţiunii Istorice”, XXXVI, 1913‑1914, p. 487). Cfr. Petre Ş. Năsturel, Le Mont Athos et les roumains: recherches sur leur relations du milieu du XIVe siècle à 1654, Roma 1986 (Orientalia Christiana Analecta, 227).

[28] Dalla corte di Iaşi, dove tenne sermoni, il Lúkaris sarebbe passato a Bucarest, allora in mano ad un altro fratello di Ieremia, Simion, prima di raggiungere l’11 settembre la sede di Alessandria, di cui fu chiamato ad essere patriarca succedendo a Meletios Pigâs: N. M. Popescu, Chiril Lucaris şi Ortodoxia română ardeleană, in “Biserica Ortodoxă Română”, LXIV, 1946, pp. 425-446; cfr. G. A. Hadjiantoniou, Protestant Patriarch: The Life of Cyril Lucaris (1572-1638), Patriarch of Constantinople, Richmond 1961. Per l’opera omiletica del Lúkaris: Cyrillus I. Lucaris, Sermons. 1598-1602, a cura di K. Rozemond, Leiden 1974 (Byzantina Neerlandica, IV).

[29] Cfr. C. Alzati, Terra romena tra Oriente e Occidente. Chiese ed etnie nel tardo ‘500, Milano 1982, pp. 231-232.

[30] Diretta testimonianza al riguardo è offerta nella relazione presentata nell’anno giubilare 1600 in occasione della visita “ad limina” dal vescovo Bernardino Quirini: in Ch. Karalevskij, Bernardino Quirini, episcop de Argeş, in “Revista Catolică”, IV, 1915, pp. 527-528. Cfr. B. P. Hajdeu, Documente inedite din biblioteca Doria-Panfiliană din Roma, in “Columna lui Traian”, VII, 1876, p. 315.

[31] C. Alzati, Terra romena cit., pp. 292-293, pp. 298-304.

[32] B. P. Hajdeu, Documente inedite din biblioteca Doria-Panfiliană cit., p. 315.

[33] Documentazione in merito nella relazione “ad limina”: Ch. Karalevskij, Bernardino Quirini cit., p. 530. Per le variegate situazioni determinatesi nelle terre romene in seguito all’introduzione del nuovo Calendario: C. Alzati, Terra romena cit., pp. 310-311.

[34] Cfr., sulla base della relazione “ad limina”, C. Alzati, Terra romena cit., pp. 265-266. Per le premesse veneziane e candiotte al comportamento del Quirini: Idem, Influssi candiotto-veneti nella vita religiosa delle terre romene in età post-tridentina, in Italia e Romania: due popoli e due storie a confronto. Convegno di studi (Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 6-10 marzo 1995), Firenze 1997-1998, pp. 169-189 [traduzione romena in Idem, În inima Europei cit., pp. 113-139], ora in Idem, Lo spazio romeno cit., pp. 109-132.

[35] Così un’anonima relazione risalente alla prima metà del 1606: E. di Hurmuzaki, Documente cit., vol. VIII, Bucarest 1894, p. 309.

[36] L’incomprensione nei confronti di tale vicenda intellettuale e teologica da parte di G. Florovskij, Puti russkogo bogoslovija, Parigi 19812, pp. 44-56 [traduzione italiana Idem, Vie della teologia russa, Genova 1987, pp. 37-47], che parla di “criptoromanismo” e di “pseudomorfosi latina”, è stata evidenziata nei suoi limiti da I. Ševčenko, The Many Worlds of Peter Mohyla, in “Harvard Ukrainian Studies”, VIII, no. 1-2, 1984, [= Idem, The Kiev Mohyla Academy. Commemorating the 350th Anniversary of its Founding (1632)], pp. 9-44. Nel volume è presente anche (pp. 188-222) il bel saggio di M. Cazacu, Pierre Mohyla (Petru Movilă) et la Roumanie. Essai historique et bibliographique, che su un’impressionante base documentaria viene ricostruendo l’albero genealogico della famiglia.