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p. 474
La penetrazione culturale
italiana nei Balcani nel periodo interbellico.
Il caso dell’Istituto di
Cultura di Bucarest
Alberto
Basciani,
Dopo la fine della Prima guerra mondiale l’Italia,
inserita nell’esclusivo club dei quattro principali vincitori degli Imperi
Centrali, sembrò acquisire definitivamente lo status di Grande potenza, di conseguenza le prospettive e gli
orientamenti della sua politica estera subirono dei notevoli cambiamenti. La
scomparsa dell’Impero absburgico e il notevole ridimensionamento – anche se
solo temporaneo – subito dall’influenza politica ed economica tedesca fecero
dei Balcani uno dei settori privilegiati della proiezione estera italiana nella
speranza da parte di Roma di riempire con la propria influenza il vuoto
lasciato nella regione dai due Imperi ormai defunti. Naturalmente non è
questa la sede per approfondire questa pagina importante della politica estera
italiana durante le due guerre mondiali; ciò che ci interessa
sottolineare è il fatto che ben presto la realtà dei fatti si
incaricò di mostrare agli strateghi della geopolitica italiana le
notevoli difficoltà dell’impresa avviata. Innanzitutto le due Grandi
potenze occidentali, Francia e Inghilterra, non mancarono di ostacolare in ogni
maniera i piani di espansione italiani e in secondo luogo anche alcuni Paesi
della regione mostrarono una notevole diffidenza nei confronti delle intenzioni
italiane[1].
Tra tutti gli Stati dell’area balcanica e danubiana la Romania fu sicuramente
quella che mostrò maggiore diffidenza, se non addirittura vera e propria
avversione nei confronti della politica estera italiana. Il perché è
facilmente comprensibile: uscito virtualmente sconfitto dalla vicenda bellica
lo Stato romeno seppe comunque trovarsi dalla parte dei vincitori al momento
del collasso definitivo delle Potenze centrali e dei loro alleati orientali
turchi e bulgari e ciò permise
ai dirigenti romeni di portare a termine con pieno successo la costruzione
dello Stato unitario inglobando nei confini del vecchio Regat la Transilvania, il Banato, la Bucovina, la Bessarabia e la
Dobrugia del Sud (Quadrilatero). Nacque di fatto la România Mare, lo Stato più esteso e popoloso di tutto il
Sud-est europeo, il quale, dopo aver ottenuto il riconoscimento dei propri
confini dai Trattati di pace di Versailles,
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inaugurò una politica
estera ancorata al più rigido rispetto delle decisioni parigine e che
vedeva nell’alleanza con la Francia la garanzia del mantenimento delle nuove
frontiere, che vennero ulteriormente “blindate” dopo la nascita della Piccola
Intesa, un sistema di alleanza politica e militare stretto con la
Cecoslovacchia e il nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni già nei
primi anni Venti[2]. In un tale contesto la politica di apertura
espressa nell’Italia nei confronti della Bulgaria e dell’Ungheria, irrequieti e
insoddisfatti vicini della Romania e promotori, sia pur più nella teoria
che nei fatti, di una politica tendente alla revisione dei Trattati di pace,
non poteva che generare da parte dell’establishment
romeno almeno una certa sospettosità nei confronti di Roma, anche se nel
complesso le relazioni tra i due Paesi furono improntate da una formale ma al
contempo sostanzialmente sterile correttezza. Altri problemi tra i governi
italiano e romeno erano generati da questioni bilaterali ancore irrisolte
quali, per esempio, il mancato rimborso da parte delle autorità di
Bucarest di Buoni del Tesoro romeno in possesso di cittadini italiani oppure la
frustrazione generata negli ambienti governativi e imprenditoriali italiani per
le difficoltà incontrate per inserire imprese italiane nello
sfruttamento delle risorse minerarie romene e in particolare in quelle petrolifere[3].
Infine sulle relazioni bilaterali italo-romene per buona parte degli anni Venti
aleggiò pesante come un macigno la questione della mancata ratifica da
parte di Roma del Trattato che riconosceva la sovranità romena sul
territorio della Bessarabia concessa solo nel 1927. Mussolini, infatti, in
virtù dei rapporti sostanzialmente corretti intrattenuti con la Russia
dei Soviet[4],
intendeva utilizzare la ratifica italiana quale strumento per cercare di
piegare la politica estera romena a una maggiore accondiscendenza nei confronti
delle esigenze di Roma[5].
Nel 1924, per esempio, il progettato viaggio ufficiale in Italia dei
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reali romeni fu
improvvisamente annullato provocando ulteriore tensione nelle relazioni tra i
due Stati che solo gradualmente andarono migliorando. In particolare tali
miglioramenti si registrarono durante la breve permanenza al potere del
generale Alexandru Averescu (marzo 1926-giugno 1927), uomo ispirato nella sua
azione di politica estera da sinceri sentimenti di amicizia e simpatia per
l’Italia. Nel settembre del 1926 i governi di Roma e Bucarest firmarono un
patto di amicizia che in realtà rappresentò la premessa della
ratifica italiana al Trattato sulla Bessarabia, più che l’inizio di
un’alleanza con proiezione balcanica, come auspicava Roma. Il Trattato
semplicemente normalizzò le relazioni bilaterali senza alcuna concreta
possibilità di stringere ulteriormente le relazioni tra i due Paesi, né
tanto meno fu capace di aiutare la penetrazione politica italiana nel bacino
danubiano-balcanico nonostante le illusorie speranze del Duce[6].
In un tale
contesto non è difficile intuire come anche le relazioni culturali tra
l’Italia e la Romania risentissero di una certa stagnazione, fatto ancor
più grave se si pensa all’importanza che nella rinascita culturale
romena della prima metà del secolo XIX aveva giocato la cultura italiana
fonte di ispirazione per intellettuali come Gheorghe Asachi e Ion Eliade
Rãdulescu[7].
E’ pure vero che in seguito la cultura francese aveva nettamente preso il
sopravvento anche in virtù dell’enorme richiamo esercitato dalle
istituzioni educative transalpine (in particolare l’Università di
Parigi) sulla buona società romena. Paul Morand, che prestò
servizio diplomatico a Bucarest, in un libro di ricordi del suo soggiorno
romeno scriveva meravigliato e orgoglioso della larga diffusione del francese
nelle famiglie aristocratiche e dell’alta borghesia e di quanto fosse facile
procurarsi anche in cittadine di provincia giornali e libri francesi[8].
In ogni caso dopo la Prima guerra mondiale la posizione della cultura italiana
in Romania appariva piuttosto compromessa[9].
La documentazione relativa all’azione culturale italiana in Romania e
conservata presso l’Archivio del Ministero degli Affari Esteri mostra tutta la
precarietà nella quale versava la diffusione della cultura e della
lingua italiana in Romania negli anni Venti. L’iniziativa di fatto era affidata
a pochi volenterosi docenti come il
professor Ramiro Ortiz a Bucarest, Cesare Ferrari a Timiºoara o Gian Domenico
Serra a Cluj, tutti costretti a operare in un regime di assoluta ristrettezza
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economica senza che dall’Italia arrivassero non solo i
sussidi per il loro sostentamento, ma neppure i volumi richiesti per arricchire
i fondi librari dei dipartimenti di italianistica delle diverse Facoltà[10].
Permanendo tale situazione il 10 gennaio 1924 la Legazione d’Italia a Bucarest
inviò a Mussolini – che in quegli anni deteneva ad interim anche il portafogli degli esteri – un preoccupante
rapporto
“A più riprese ho dettagliatamente informato V. E. sulla preponderante influenza francese in questo Paese, influenza determinata in massima parte dalla cultura francese imposta da varie diecine [sic] d’anni per mezzo di una attiva e costosa propaganda ed ho pure fatto proposte concrete per i mezzi che noi dovremmo impiegare per guadagnare il posto che ci spetta. E poiché trattasi in questo rapporto di propaganda culturale, debbo osservare che essa non può andare disgiunta da quella politica ed economica, per non rischiare di creare un cerchio limitato e artificiale […] stimo che l’azione governativa dovrebbe svolgersi su tutti i rami della propaganda […] e poiché le condizioni del nostro bilancio non ci permettono per il momento di attuare altre iniziative sarei del subordinato avviso di limitarci ora a appoggiare in tutti i modi il propagandarsi della cultura italiana […]”[11]
Circa un anno
dopo tale comunicazione la Legazione italiana invia a Roma un altro rapporto
caldeggiando l’apertura a Bucarest di un Istituto di cultura considerato il
mezzo più adatto per la diffusione della cultura italiana nel Paese
ricalcando il modello seguito da anni dai francesi. Così si esprimeva
l’estensore del rapporto:
“esso dovrebbe
assumere un carattere di continuità tale da dare affidamento a tutte le
aspirazioni con cui specialmente i romeni sono tratti ora a crearsi un proprio
patrimonio culturale […] il campo è vasto[…] e un certo istituto di
cultura italiana che presentasse per la scienza tutte le garanzie volute, dovrebbe
a mio avviso rendere degli enormi servizi e facilmente paralizzare l’azione del
similare istituto francese”
Era propugnata
inoltre la fondazione di un ulteriore istituto di cultura a Cluj per servire la
Transilvania[12]. Tuttavia
ancora nel 1927 la questione era ancora in fase di studio, ma un fatto nuovo
che sembra emergere dalle carte è la collaborazione instaurata a
Bucarest tra i maggiorenti della locale comunità italiana – ma forse,
come vedremo, sarebbe più corretto dire il locale Fascio – e il responsabile della Legazione d’Italia, il
ministro plenipotenziario Carlo Durazzo. In un messaggio dell’aprile 1927
proprio il diplomatico sottolinea la collaborazione con Renato Tozzi, delegato
dei Fasci italiani in
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Romania, e la comune
volontà di arrivare quanto prima all’apertura di un Istituto di cultura
italiana a Bucarest, mettendo in risalto come esso sarebbe nato sotto l’impulso
e in simbiosi con la locale
comunità italiana – suggerendo tra l’altro di affidarne l’incarico al
professor Ramiro Ortiz – e allo stesso
tempo quale strumento per contendere alla Francia il primato politico e
culturale detenuto nel Paese danubiano[13].
Nell’atteggiamento e nell’operato del diplomatico italiano sembra trovare
conferma la teoria già espressa da Renzo De Felice circa l’ossessione
“occidentale” di Mussolini, quell’impulso cioè dettato da ragioni
principalmente di prestigio internazionale che spingevano il dittatore italiano
a voler competere e uguagliare a ogni costo e nei più svariati ambiti
politici con le due Grandi potenze europee occidentali (Francia e Inghilterra)
ossessione condivisa da importanti settori della classe dirigente e, come si
può notare, dalla stessa diplomazia fascista[14].
Inoltre vale forse la pena di ricordare che lo Stato romeno, durante tutti gli
anni Venti sotto l’impulso di due grandi intellettuali quali Vasile Pârvan e
Nicolae Iorga, aveva a sua volta
intrapreso proprio in Italia due importantissime imprese culturali che
portarono nel 1922 alla nascita della Scuola Romena di Roma e, nel 1930
all’apertura della Casa Romena di Venezia, destinate entrambe a lasciare
un’impronta profonda e durevole nelle relazioni culturali italo-romene[15].
Qualche giorno dopo l’intervento di Durazzo, è Tozzi a scrivere al
ministero, avanzando una serie di concrete proposte. In particolare il delegato
dei Fasci indicava la possibilità di acquisire un edificio posto sulla
via Transilvania nelle immediate vicinanze della scuola italiana di Bucarest
“Regina Margherita”. Esso, oltre ai locali dell’Istituto di cultura, avrebbe dovuto
ospitare anche gli uffici della Camera di commercio, la delegazione statale dei Fasci e la Società di
beneficenza. Secondo Tozzi, anche la locale colonia italiana avrebbe potuto
contribuire all’acquisto e alla sistemazione dello stabile mettendo a disposizione
circa 2.000.000 milioni di lei, una
cifra non trascurabile considerando che si trattava in maggioranza di
impiegati, piccoli commercianti e operai[16].
Qualche tempo dopo fu di nuovo Durazzo ad intervenire con una certa forza
presso il Ministero degli Esteri, sollecitando Roma a esaminare con la
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massima attenzione la
questione della costituzione in Romania dell’Istituto di cultura. Egli scrisse:
“per quanto non mi nasconda che si tratti di impresa complessa, delicata, e irta di difficoltà non posso che confermare il parere già espresso nel mio rapporto del 4 aprile sulla convenienza di procedere alla creazione di un simile istituto in Romania. Dopo le ultime vicissitudini politiche interne sono più che persuaso che lavorando soprattutto sul terreno culturale, sul quale poco o nulla abbiamo fatto sinora, noi potremmo anche in linea politica giovare all’affermazione del nostro prestigio e della nostra influenza in questo Paese[17]”
Si trattava da
parte di Durazzo di una visione forse troppo ottimistica circa le
possibilità delle possibilità della cultura italiana di aiutare
lo sforzo politico e diplomatico, considerando anche che la forza della
posizione francese derivava, oltre che dall’indiscusso prestigio goduto dalla
propria cultura e dalla possibilità di investire nella sua diffusione,
anche dall’indubbia posizione di forza acquisita dalla politica di Parigi in
Romania. Tuttavia non c’è dubbio che al tempo della permanenza a
Bucarest del ministro Carlo Durazzo il progetto di costituzione dell’Istituto
di cultura fece importanti se non decisivi passi avanti.
Nonostante queste
promettenti premesse, solo nel corso dell’estate del 1932 il progetto culturale
italiano cominciò a concretizzarsi anche grazie all’attivismo dispiegato
dal professor Ortiz che proprio da Roma venne indicato come il possibile
direttore della nuova istituzione[18].
Fu proprio Ortiz a stabilire infatti le linee d’azione culturale che l’Istituto
avrebbe dovuto perseguire; si raccomandava in particolare la nascita di una
biblioteca italiana capace di raccogliere il meglio della produzione
letteraria, storica e scientifica prodotta in Italia; la visibilità
dell’Istituto, inoltre, si sarebbe dovuta assicurare attraverso
l’organizzazione di regolari cicli di conferenze con l’invito di illustri
personalità della cultura e del mondo scientifico italiano, la
proiezione di film e documentari delle diverse realtà economiche,
sociali e culturali della penisola; infine veniva anche proposta la regolare
pubblicazione di volumi di carattere letterario, storico o capaci di
rappresentare le più importanti realizzazioni del regime[19].
La fondazione
ufficiale dell’Istituto, in base alla legge del 19 dicembre 1926 numero 2179
sull’istituzione degli Istituti di cultura italiana all’estero[20],
risale al 1°
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gennaio del 1933 anche se
per una serie di disguidi ancora per tutto quel mese il lavoro effettivo non
ebbe inizio[21]. Fu deciso
inoltre di affiancare alla struttura creata a Bucarest anche un’altra simile ma
di proporzioni più ridotte da istituire a Cluj[22]
e affidata alle cure di Gian Domenico Serra già da anni operante in
Transilvania. L’inaugurazione vera e
propria si ebbe solo il 2 aprile 1933 (la sede era ubicata nei locali di un
palazzo della Calea Victoriei, la strada più elegante di Bucarest) alla
presenza del ministro romeno dell’Istruzione e dei Culti Dimitrie Gusti e
dell’accademico d’Italia Ettore Romagnoli, docente di Letteratura greca
all’Università di Pavia. Ben presto a fianco delle attività
già delineate da Ortiz si affiancò l’insegnamento della lingua
italiana rivolto a cittadini romeni o comunque non parlanti italiano. Questa
funzione divenne presto la principale attività nella vita culturale
della nuova istituzione, tanto che nel settembre del 1934 a Roma fu deciso di
far cessare i corsi di italiano per stranieri organizzati da anni dalla
Società Dante Alighieri. L’attività dell’Alighieri infatti
avrebbe danneggiato la buona visibilità dell’Istituto di cultura in
quanto “non sia possibile il sussistere di due organizzazioni che, con
identità quasi di metodi, perseguono il medesimo scopo”. Inoltre la
direzione della Dante Alighieri veniva invitata, con una certa solerzia, a
passare all’Istituto di Cultura il corso di lingua italiana
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impartito a un gruppo di
ufficiali dell’esercito romeno[23].
La cura dell’insegnamento della lingua italiana divenne senza dubbio
l’attività sulla quale i responsabili dell’Istituto italiano
concentrarono la maggioranza dei loro sforzi anche perché a questa funzione
tendente ad aumentare il numero dei cultori della nostra lingua sembrava essere
collegata una battaglia che da anni Roma combatteva con alterni risultati sul
fronte culturale romeno quella cioè di ottenere per l’insegnamento
dell’italiano nelle scuole e nelle università romene la stessa
importanza delle altre lingue occidentali, come per esempio quella francese e
tedesca che godevano presso la società romena di grande prestigio e
diffusione[24]. In questa
ottica è comprensibile dunque lo sforzo messo in atto dai responsabili
della promozione della cultura italiana in Romania per cercare di ampliare
quanto più possibile il bacino di utenza della lingua italiana.
Indubbiamente dei risultati di una certa importanza furono raggiunti. Nella
sola Bucarest (nel frattempo alla direzione dell’Istituto a Ortiz – rientrato
in Italia a Pavia – era subentrato Bruno Mazzone) nel corso dell’Anno
Accademico 1935-1936 i corsi di lingua avevano raggiunto i 900 iscritti ai
quali andavano sommati altri 440 alunni frequentanti i corsi nelle altre
città del regno romeno, mentre la biblioteca che disponeva di oltre
5.000 volumi aveva avuto più di 10.000 frequentatori. Infine in tutta la
Romania nel corso di quello stesso anno, l’Istituto di cultura in
collaborazione con università e altri enti culturali e scientifici
italiani era stato capace di organizzare circa sessanta manifestazioni
culturali. Era inevitabile per il ministro d’Italia a Bucarest, Ugo Sola,
concludere che la cultura italiana riusciva dunque almeno in parte a
controbilanciare lo spiccato spirito antitaliano che animava parti importanti
dell’establishment politico romeno a
cominciare dal ministro degli Esteri Nicolae Titulescu.
“[…] questo violento contrasto politico si è espresso in questi ultimi tre anni con la presa di posizione della Romania ufficiale contro tutte le iniziative di Roma […] ed ha raggiunto il suo apice con lo schierarsi della Romania in campo sanzionista. Ma la violenza dei contrasti non ha impedito che proprio in questi ultimi tre anni nascesse e si sviluppasse una curva ascendente, e sempre più ampia, che nessun avvenimento di politica internazionale è riuscito a ritardare o a deviare, l’avvicinamento culturale della Romania all’Italia, avvicinamento che si spinge molto al di là del campo della cultura, per raggiungere quello della spiritualità”[25]
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Secondo il ministro
Sola l’attività dispiegata in questi anni doveva rappresentare la solida
base dalla quale partire per far compiere alla presenza della cultura italiana
in Romania un decisivo salto di qualità che naturalmente non avrebbe
potuto non avere anche delle benefiche conseguenze sul piano dell’accrescimento
del prestigio politico italiano e dell’ideologia fascista. Per questo, nel
dicembre del 1938, alla vigilia della sua partenza da Bucarest per raggiungere
un’altra sede, Sola invitava il governo di Roma a compiere un ulteriore sforzo
economico per fornire l’Istituto di cultura dei necessari mezzi per
intensificare le proprie attività. Torna di nuovo forte l’ossessione
della presenza francese e la volontà di superare le iniziative
organizzate dal Governo di Parigi e dai suoi rappresentanti in terra romena, ma
soprattutto acquista forza il progetto di fare dell’istituto di Cultura
più che un veicolo della diffusione del “genio” culturale italiano, un
vero e proprio strumento atto a diffondere la lingua italiana in Romania fino a
“debellare le altre lingue straniere” allo scopo di «far penetrare attraverso
la lingua, lo spirito dell’idea fascista, la nostra cultura, e con esse il
senso preciso della nostra presenza.”[26]
Per raggiungere questi obiettivi il diplomatico sollecita Roma l’invio di
maggiori risorse finanziarie, facendo capire che per raggiungere lo scopo
sarebbe accettabile anche rinunciare all’invio di delegazioni, conferenzieri
ecc. dall’Italia la cui spesa annua si aggirava attorno al milione di lire[27].
Secondo una nota del Ministero degli Affari esteri non sempre poi la
qualità delle conferenze o delle altre manifestazioni culturali
organizzate, soprattutto in provincia, era all’altezza delle aspettative[28].
Sia pur con le
ristrettezze economiche già denunciate, nei successivi anni accademici
l’attività dell’Istituto proseguì con un certo successo e la sede
di Bucarest (nel 1940 viene di nuovo prospettata la possibilità di
costruire una sede ex novo nell’ambito di un
ambizioso progetto edilizio mirante alla nascita di una grande “casa
italiana” a Bucarest) diviene di fatto la capofila di una stretta rete di
insegnamento della lingua italiana che riesce a coinvolgere praticamente tutte
le principali città della Romania in
totale 24. Oltre a Bucarest, in alcune di esse (come Cluj, Costanza o
Cernãuþi), si tenevano anche corsi di storia e di storia dell’arte italiana; in
totale vi insegnavano 35 professori di cui 19 facenti parte della Missione
italiana in Romania, 5 addetti culturali e 11 docenti appositamente ingaggiati in loco[29].
In tutte le sedi veniva imposto ormai l’uso degli stessi libri di testo per
uniformare l’insegnamento e i metodi didattici che come affermava il direttore
Bruno Mazzone aveva ormai quale scopo principale “quello di preparare i quadri
dell’insegnamento dell’italiano[30]”.
Da parte
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delle autorità
italiane si cercò di appoggiare lo sforzo istituendo delle speciali
borse di studio presso l’Università di Roma da assegnare a giovani
laureati romeni intenzionati a dedicarsi all’insegnamento della lingua
italiana.
“Ogni cura dovrà essere dedicata a questa missione […] sono già allo studio varie provvidenze opportune, come la distribuzione gratuita di libri di testo a giovani che si dimostrino particolarmente meritevoli e diano affidamento circa le proprie qualità ed intenzioni, l’intensificazione dei doni di volumi di lettura italiana, l’assegnazione di borse estive, l’invio in campeggi in Italia ecc. D’ora innanzi gli elementi da tenersi particolarmente in evidenza per l’eventuale avviamento agli studi universitari o all’insegnamento dell’italiano, dovranno essere singolarmente segnalati a questa Direzione […][31]”
L’Istituto
conseguì ulteriori progressi, riconosciuti anche dal Ministero degli
Esteri, anche nell’avanzamento dell’insegnamento dell’italiano nella
Facoltà di Lettere dell’Università di Bucarest, nell’Accademia
Commerciale e nella Scuola Politecnica[32].
Ugualmente importante erano anche i risultati raggiunti dalla diffusione del
libro italiano nel Paese danubiano: se nel 1932 ne circolavano circa 3000, nel
1939 essi erano arrivati alla cifra di 16 133 risultato ottenuto, oltre che con
l’aumento delle donazioni arrivate dall’Italia, anche con l’intensificazione
dell’opera di diffusione e vendita promossa
dalla libreria italiana che aveva sede a Bucarest in Calea Victoriei.[33].
Il buon momento nelle relazioni culturali tra l’Italia e la Romania venne in
qualche modo suggellato dalla firma a Bucarest l’8 aprile 1943 di un accordo
culturale italo-romeno che nelle intenzioni di Roma avrebbe dovuto
ulteriormente facilitare la penetrazione e la consacrazione della lingua e
della cultura italiane in Romania; sappiamo però come l’andamento
progressivamente negativo della guerra per le forze dell’Asse, rese lettera
morta questo progetto alla stregua di altri piani del governo fascista tesi
all’espansione politica ed economica nel Sud-est dell’Europa lettera morta. Di
lì a qualche mese la caduta del fascismo avrebbe impresso una svolta
decisiva alla storia d’Italia allontanandola definitivamente da ogni ulteriore
velleitario sogno di colonizzazione politica e culturale mentre la Romania,
sconfitta anch’essa pesantemente in guerra, entro pochi anni sarebbe entrata
nel lungo tunnel della dittatura comunista determinata da Mosca e
dall’occupazione del Paese da parte dell’Armata Rossa che avrebbe imposto alle
scuole della francofona, cosmopolita, mondana Bucarest l’insegnamento
obbligatorio della lingua russa.
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e ricerca umanistica 5 (2003), edited by ªerban Marin, Rudolf Dinu, Ion
Bulei and Cristian Luca, Bucharest, 2004
No permission is granted for commercial use.
© ªerban Marin, March 2004, Bucharest, Romania
[1] L’impatto avuto dal
nuovo assetto geopolitico est europeo
sull’Italia sono studiati da Francesco Caccamo,
L’Italia e la “nuova Europa”, Milano-Trento:
Luni, 2000. Sulla politica balcanica italiana negli anni del fascismo si veda
J. H. Burgwyn, Il revisionismo fascista. La sfida di
Mussolini alle Grandi potenze nei Balcani e sul Danubio 1925-1933, Milano:
Feltrinelli, 1979; Nicola La Marca,
Italia e Balcani fra le due guerre.
Saggio di una ricerca sui tentativi italiani di espansione nel Sud-est Europeo
tra le due guerre, Roma: Bulzoni, 1979. Più centrato sulle questioni
legate all’espansione economica è il recente saggio di Sergio Lavacchini, “L’Europa centro orientale nella politica dell’Italia fascista”, Italia
Contemporanea 230 (2003): 49-78; per un inquadramento più generale
della questione Enzo Collotti, Fascismo e politica di Potenza. Politica
estera 1922-1939, Milano: La Nuova Italia, 2000. Segnalo, infine, due studi
ormai classici quali Ennio Di Nolfo,
Mussolini e la politica estera italiana
1919-1933, Padova: Cedam, 1960 e Giampiero Carocci, La politica
estera dell’Italia fascista (1925-1928), Bari: Laterza, 1969.
[2] Piuttosto estesa è
la pubblicistica riferita alla nascita della Grande Romania; senza alcuna
pretesa di completezza mi limiterò ad indicare almeno qualche lavoro
Mircea Muºat e Ion Ardeleanu, România dupã Marea Unire, 2 vol., Bucarest: ªtiinþificã
ºi Enciclopedicã, 1986; Francesco Guida,
“Romania 1917-1922: aspirazioni
nazionali e conflitti sociali”, in Rivoluzione
e reazione in Europa 1917-1924 (a
cura di Franco Gaeta),
Roma: Mondo Operaio-Avanti, 1978: 1-97; infine per un inquadramento più
generale di questo avvenimento nel contesto della storia romena in epoca
contemporanea si veda Keith Hitchins,
România 1866-1947, Bucarest:
Humanitas, 1997.
[3] Si veda su questo
aspetto Matteo Pizzigallo, Alle origini della politica petrolifera
italiana 1920-1925, Milano: Giuffrè, 1981.
[4] E’ noto, infatti,
come nei confronti della Russia sovietica Mussolini, sia pur con delle
differenze e mascherato da qualche diatriba verbale o polemica politica,
continuò ad avere un atteggiamento di apertura già inaugurata dai
precedenti governi liberali, e che assicurò ai due Paesi un lungo
periodo di buone relazioni bilaterali. Cfr. Giorgio Petracchi, La Russia
rivoluzionaria nella politica italiana. Le relazioni italo-sovietiche 1917-1925,
Bari: Laterza, 1982.
[5] Sulle relazioni
italo-romene in questi anni si veda Giuliano Caroli,
“Un’amicizia difficile: Italia e
Romania (1926-1927)”, Analisi Storica 2 (1984), 3: 277- 316;
Valeriu Florin Dobrinescu, Ion Pãtroiu e Gheorghe Nicolescu, Relaþii politico-diplomatice ºi militare româno-italiene (1914-1947),
Bucarest: Intact, 1999: soprattutto 96-152; sulla questione della Bessarabia si
veda Marcel Mitrasca, Moldova: a Romanian province under Russian
rule. Diplomatic history
from the archives of the Great Powers, New York: Alogora, 2002.
[6] Cfr. Caroli, op. cit.: 291 e segg.; Mitrasca, op. cit.: 237-263.
Inoltre rimase delusa anche l’aspettativa italiana di vedere introdotto in
forma obbligatoria l’insegnamento della lingua italiana nei ginnasi romeni.
Cfr. Jerzy W. Borejsza, Il fascismo e
l’Europa orientale. Dalla propaganda all’aggressione, Bari: Laterza, 1981:
132.
[7] Cfr. Basil Munteanu, La littérature roumaine et l’Europe, Bucarest, 1942: 22-27 e segg.
In particolare sui rapporti culturali italo-romeni tra la fine del XVIII e
il XIX secolo si veda Alexandru Marcu, Romantici italieni ºi români, Bucarest: Cultura Naþionalã, 1924.
[8] Elena Dimitrie, Le français en Roumanie, conferenza tenuta a Parigi il 10 ottobre
1998. Sempre nel 1920 Charles Drouhet poteva affermare “s’il
existe un pays où le voyager français ne sent pas dépaysé, c’est bien la
Roumanie” (Charles Drouhet, La culture française en Roumanie,
Parigi: La Minerve Française, 1920: 58).
[9] In realtà
anche negli anni immediatamente precedenti la Grande guerra le relazioni
culturali italo-romene non furono troppo intense per un approfondimento della
questione si veda Ramiro Ortiz, Per la storia della cultura italiana in
Rumania, Bucarest: Sfetea, 1916.
[10] Archivio Storico
Diplomatico del Ministero Affari esteri (d’ora innanzi ASMAE), Archivio Scuole
1923-1928, Classe II Sottoclasse PG, Busta 668 Romania Sottoclasse 10, Dispacci
inviati dalla Legazione italiana il 3 marzo 1923; 25 marzo 1925 e infine in una non meglio determinata data sempre
dell’autunno 1925.
[11] Ibidem.
[12] Ibidem,
Busta 862, rapporto del 10 aprile 1925.
[13] Ibidem,
Rapporto di Durazzo al Ministero degli Esteri del 4 aprile 1927.
[14] Cfr. Renzo De Felice, Mussolini il Duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino:
Einaudi, 1974: 341-342.
[15] Si vedano
rispettivamente George Lãzãrescu,
ªcoala Românã di Roma, Bucarest:
Enciclopedicã, 1996; Ion Bulei, “«La casa Romena» di Venezia”, Annuario.
Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica 1 (1999): 11-19.
[16] ASMAE, Archivio
Scuole 1923-1928, Busta 668 Romania, cit., Relazione del Delegato dei Fasci in Romania,
Renato Tozzi del 14 aprile 1927. I Fasci italiani all’estero furono fondati
agli inizi degli anni Venti in tutti quei Paesi ove esistevano delle
comunità italiane; ben presto però la loro autonomia da Roma
andò scemando fino a quando nel 1928 la Segreteria generale non fu posta
sotto il diretto controllo del Ministero degli Affari esteri e furono
utilizzati dal regime quale ulteriore strumento di propaganda; nonostante gli
sforzi profusi il numero complessivo degli italiani residenti all’estero aderenti
a questa organizzazione non riuscì a superare mai le 180.000,
unità un numero piuttosto ridotto se si considerano i milioni di
connazionali emigrati nei diversi continenti. Cfr. Emilio Franzina e Matteo Sanfilippo, Il fascismo e gli emigrati. La parabola dei Fasci italiani all’estero
(1920-1943), Bari: Laterza, 2003. Si veda inoltre Borejsza, op. cit.
[17] ASMAE, Archivio
Scuole 1923 -1928, Busta 668 Romania cit., rapporto del 1° agosto 1927.
[18] Ibidem,
Comunicazione inviata da Roma a Bucarest il 20 giugno 1932, firmata Piero
Parini, all’epoca direttore generale degli italiani all’estero.
[19] Ibidem,
Comunicazione inviata a Roma dalla Legazione di Bucarest il 30 settembre 1932.
[20] Quello stesso anno
da un’apposita legge vennero anche creati gli Istituti per il commercio estero.
L’intento con il quale venivano fondati gli “Istituti di Cultura Italiana
all’Estero” era principalmente quello di promuovere la diffusione della cultura
italiana e intensificare le relazioni culturali con gli Stati esteri; essi inoltre
di comune accordo con Ambasciate e Consolati italiani dovevano provvedere anche
alla diffusione del libro italiano. L’articolo 5 della legge che li istituiva
non prevedeva l’affidamento della direzione a funzionari di carriera quanto
piuttosto a studiosi di chiara fama preferibilmente di livello universitario,
dunque i direttori stabilivano dei veri e propri rapporti di collaborazione
personale con il Ministero degli Affari Esteri con l’intenzione da parte del
regime fascista, come giustamente fa notare Alessandro Carrera, di fare degli
istituti di Cultura dei veri e propri avamposti della politica culturale del
fascismo. Cfr. Alessandro Carrera,
“Gli Strumenti Istituzionali per la
Promozione della Cultura Italiana all'Estero”, in Storia della letteratura italiana
(diretta da E. Malato), vol. XII:
La Letteratura Italiana Fuori d'Italia
(coordinato da Luciano Formisano),
Roma: Salerno, 2002: 124-127. Per un approfondimento della politica culturale
italiana e della sua proiezione all’estero durante il Ventennio fascista si
veda inoltre De Felice, Intellettuali di fronte al fascismo. Saggi e
note, Roma: Bonacci, 1985; Mario Isnenghi,
Intellettuali militanti e intellettuali
funzionari, appunti sulla cultura fascista, Torino: Einaudi, 1975.
[21] ASMAE, Archivio Scuole
1923 -1928, Busta 668 Romania, cit., Comunicazione di Ramiro Ortiz al Ministero
del 24 gennaio 1933. Alcune fonti indicano addirittura il 1924 o il 1926 quale
anno di nascita dell’Istituto Italiano di Cultura, è evidente che si
riferiscono ad altre istituzioni culturali inserite forse nell’ambito delle
facoltà umanistiche dell’Università di Bucarest o all’Istituto
“Dante Alighieri”. Cfr. Carmen Burcea,
“Alexandru Marcu and «Studii Italiene»”, Annuario. Istituto Romeno di Cultura e
Ricerca Umanistica 4 (2002): 222-233 (222).
[22] La prima importante
manifestazione organizzata dall’Istituto Italiano di cultura a Cluj fu il
concerto pianistico tenuto il 12 aprile 1934 dal maestro Enrico Mainardi
risoltosi in un grande successo non solo culturale ma secondo il locale console
italiano anche politico infatti l’avvenimento aveva visto la “[…]
partecipazione della Società Ungherese per la prima volta
[così nel testo] dopo i trattati di pace, ha rotto la tradizione di non
prendere parte a manifestazioni che si svolgessero in locali appartenenti
all’amministrazione romena […] gli ungheresi non mettono piedi neppure al
Teatro Nazionale […] la manifestazione che ha avuto tono di gala ha dunque
raggiunto pienamente il suo scopo tanto culturale che politico.” ASMAE, Romania
Affari politici, Busta 7, rapporto inviato dal Consolato italiano di Cluj a
Roma il 13 aprile 1934.
[23] ASMAE, Archivio
Scuole 1923 -1928, Busta 668, cit., Comunicazione inviata da Roma alla
Legazione d’Italia a Bucarest il 22 settembre 1934.
[24] Per esempio nella
Facoltà di Lettere dell’Università di Bucarest gli esami di
italiano, al contrario di quelli di francese, non erano tra le materie
obbligatorie per il conseguimento della laurea in Filologia romanza, mentre
nelle scuole superiori lo studio della nostra lingua era obbligatorio solo nei
Licei reali corrispondenti grosso modo ai licei scientifici italiani. Ibidem,
Busta 668, Comunicazione dalla Legazione italiana di Bucarest a Roma del 10
gennaio 1924.
[25] ASMAE, Romania
Affari Politici, Busta 9, rapporto di Ugo Sola a Roma s.d. Riguardo le
difficili relazioni italo romene nel corso della seconda metà degli anni
Trenta si veda Caroli, “Un’Intesa mancata. I rapporti tra Roma e
Bucarest dal conflitto italo-etiopico al conflitto europeo. 1937-1939”,
in Studi balcanici (a cura di Guida e Luisa Valmarin), Roma: Carucci, 1989: 239-264.
[26] ASMAE, Archivio
Scuole 1923-1945, Pacco 42, Dispaccio inviato da Ugo Sola Roma il 21 dicembre 1938.
[27] Ibidem.
[28] Ibidem,
Relazione del Ministero degli Affari Esteri
del 17 marzo 1939.
[29] Ibidem,
Pacco 41, Comunicazione inviata dall’Istituto di Cultura di Bucarest a Roma il
7 febbraio 1939.
[30] Ibidem,
Comunicazione di Mazzone ai professori di Italiano in Romania del 7 dicembre
1939.
[31] Ibidem.
[32] Ibidem,
Pacco 40, Comunicazione del Ministero degli Affari Esteri alla legazione
d’Italia a Bucarest del 23 dicembre 1940.
[33] Ibidem.