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Annuario 2004-2005
p. 501
Liviu Bordaş,
Accademia di Romania a Roma
“Montesquieu
écrivait au dernier siècle: «comment peut-on être Persan?» Vous
aussi, vous direz sans doute: «comment peut-on être Transylvain?»
Transylvain, vous semble probablement aussi extraordinaire que Mandchou ou
Thibétain! Mais cette première impression ne durera pas si vous
consentez à jeter avec moi un coup-d’oeil sur une des provinces les plus
interesantes de l’Europe orientale”.
Les Femmes en Orient, vol. I, La
peninsule orientale, Zurigo 1859, p. 12.
“On est
étonné en parcourant les ouvrages et les recueils les plus répandus dans le
royaume de tout ce qu’ils contiennent d’erreurs sur l’origine, l’histoire et
les traditions des habitants de la tsara
romanesca. Il semblerait que les descendants des colons de Trajan sont
quelque tribu de l’Asie centrale, dont l’existence est vaguement constatée par
quelques voyageurs. La plupart du temps on se contente de reproduire les
assertions de publicistes notoirement hostiles à la race latine, sans
paraître soupçonner les graves conséquences d’une pareille insouciance”.
Lettera a Pietro
Ardito, Venezia, 20 aprile 1868.
“Le
courant polaire dont vous suffrez en Transylvanie se fait sentir jusque dans
l’Europe méridionale”. Lettera a Hugo von Meltzl, Firenze, 29 dicembre 1879.
Si è parlato spesso, seppure in maniera
ridondante, in mancanza di altre osservazioni pertinenti al riguardo,
dell’affetto e della nostalgia provate da Elena Ghica (1828-1888) – celebre
scrittrice nota sotto lo pseudonimo Dora d’Istria – per la propria patria
abbandonata. In uno dei suoi primi libri pubblicati in Occidente, essa scriveva
queste emozionanti parole: “Allora mi affretto a prendere la cetra … canto il
dolore, quel dolore che vibra in noi come le corde che risuonano sotto le dita.
Quindi i miei accordi diventano più dolci, come gli imbalsamati soffi
delle notti orientali. Canto l’amor di patria, la terra dei miei genitori, il
giardino in cui riposerà la mia argilla. Quanto sono struggenti questi
inni che s’elevano dal mio animo!”[1].
Nonostante questo, si conosce meno l’attenzione
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mostrata
dalla principessa valacca per i romeni di Transilvania, tanto per i loro
costumi e per il loro folclore, quanto per i loro diritti storici e politici. Nelle
pagine seguenti faremo l’abbozzo generale di questo problema che costituisce il
tema di una ricerca in corso di svolgimento[2].
Nei libri e negli articoli di Dora d’Istria si trovano
disseminati numerosi riferimenti ammirativi ai romeni transilvani. Dal 1855,
quando si ritira in Svizzera, l’autrice inizia a sostenere nei suoi scritti
l’idea dell’unità di tutti i romeni situati sul territorio dell’antica
Dacia[3]
e a contrastare l’opposizione dell’Impero Asburgico all’unione dei Principati (La propaganda austro-romana nei Principati
Danubiani, in “Diritto”, Torino, 8 novembre 1856). Il diario dell’uomo
politico garibaldino Giorgio Asproni – il quale se n’era innamorato di lei a
Lugano, nell’estate del 1856 – testimonia un atteggiamento ardentemente
patriottico da parte della principessa romena, propenso all’unione e
all’indipendenza dei Principati, contrario agli interessi degli austriaci e
degli ungheresi, e sostenitore dell’affratellamento degli italiani e dei romeni[4].
Giuseppe Mazzini, in una lettera del settembre 1856 ad Adriano Lemni, in cui
gli spiegava come ottenere fondi per l’insurrezione antiaustriaca, la
caratterizzava come “ricca liberale Rumena, odiatrice dei magiari, amicissima
dell’Italia”[5]. Tra gli
emigrati romeni cui si rivolge Garibaldi – dietro richiesta dell’emissario di
Kossuth – allo scopo di sostenere il progetto di una
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Confederazione
Danubiana, si trova anche Dora d’Istria, recentemente
trasferita in Italia. Sebbene ne conoscesse l’inimicizia politica nei confronti
degli ungheresi già dal periodo in cui l’autrice abitava in Svizzera,
Garibaldi confida nella sua capacità di poter spingere i romeni ad
arrivare ad un’intesa con gli ungheresi[6].
Questa sosteneva però la posizione del capo dell’emigrazione
pasciottista (“quarantottista”), Dimitrie Brătianu, secondo cui i romeni non
potevano offrire alcun sostegno fintantoché i seguaci di Kossuth non avrebbero
rinunciato all’annessione della Transilvania nei cosiddetti “confini storici”
dello “Stato ungherese storico”. Un’altra delle più interessanti ed
sentite reazioni alla lettera di Garibaldi fu quella di Alesandru Papiu
Ilarian, studioso transilvano chiamato dal principe Grigore Al. Ghica come
professore a Iaşi[7].
Nel libro Les
femmes en Orient (1859-1860), i capitoli (redatti come altrettante lettere)
dedicati alla donna romena riguardano l’intero spazio etnico romeno, ma i
riferimenti predominanti sono alla donna transilvana. Le cinque lettere sono
fatte pervenire da “Clus”, “Brasovu”, “village de Tötts”, “Bukarest” e “Jassy”,
il che potrebbe indicare un viaggio realmente effettuato (“ho girato l’intera
Transilvania”). L’“Antica Ardelia” è, appunto, così descritta:
“Questa provincia, una volta abitata soltanto dai Romeni, è ora abitata
da Magiari, da Sekleri, da Sassoni e da Romeni; ma questi ultimi formano la
stragrande maggioranza della popolazione, poiché essi sono quasi due milioni
sui due milioni e seicentomila abitanti complessivi. E per di più, qui
si trovano i confini della Chiesa d’Oriente. Del resto, la religione ortodossa
è l’anima stessa delle popolazioni orientali, poiché è il
cristianesimo unito alla nazionalità cui queste appartengono. Qualsiasi
Romeno di Transilvania che conserva le nostre credenze resta Romeno malgrado
ogni tentativo con cui si cercherebbe di fargli dimenticare la propria origine”[8].
A cominciare dalle contadine, Dora d’Istria insiste a dimostrare, attraverso la
storia, la lingua, le tradizioni e le usanze, la loro origine latina. Le usanze
dei romeni e dei popoli dell’Europa orientale sono costantemente paragonate con
quelle delle nazioni europee occidentali. Per quel che riguarda
l’ospitalità, gravemente compromessa in Occidente dall’egoismo
materialista, essa scrive: “Non è così presso i romeni. Perfino
nella Transilvania settentrionale, dove la loro situazione è talmente
precaria, anche i più poveri accolgono il viandante con una
cordialità davvero toccante. Essi ti trattano come un fratello senza
indagare se sei ortodosso, protestante o giudeo. […] Non è forse ragguardevole
che questi contadini latini dei Carpazi – tante volte diffamati – siano
più evoluti, sotto questo profilo, dei più dotti teologi
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d’Occidente,
avendo conservato in un cuore fraterno il sentimento cristiano in tutta la sua
profondità e nella sua veridicità?”[9].
Dopo il 1859, delusa dal fatto che il trono dei
Principati Uniti non fosse toccato ad un principe della famiglia Ghica come
sperava, Dora d’Istria spostò il proprio interesse verso altre nazioni,
all’inizio verso quella greca, poi verso tutte le nazioni balcaniche e in
particolare verso gli albanesi (sperando segretamente di diventare la loro
regina), promovendo l’idea di uno Stato federativo balcanico nel quale un ruolo
predominante l’avrebbero occupato gli eredi della vecchia “razza pelasgica”:
romeni, greci, albanesi. Dora d’Istria mantenne, tuttavia, rapporti epistolari
e d’amicizia con studiosi appartenenti ad altri gruppi etnici della
Transilvania, come Géza Kuun[10]
o Hugo von Meltzl, nonché con intellettuali e nobili austro-ungarici. La
principessa romena fece conoscere ad Angelo de Gubernatis il conte Kuun, e i
due saranno legati in seguito da una grande e duratura amicizia. Nella sua
biografia Fibra, de Gubernatis
scriverà: “Così pareva destino che, nell’anno medesimo, io
conoscessi la più illustre Rumena e uno de’ migliori rappresentanti
della nazione magiara, mostrando loro subito che il sentire simpatia per la
nostra cara sorella latina, non toglieva affetto riverente ai veri e
cavallereschi figli di Arpad”[11].
Nella prima rivista di letteratura comparata del mondo,
pubblicata a Cluj da von Meltzl, “Acta comparationis litterarum universarum”,
oltre a studi sulla letteratura persiana, Dora d’Istria pubblicò anche
l’ampio articolo Dances et chansons
nationales des roumaines (XV, 1884, pp. 67-85, 119-122). Le 75 lettere
indirizzate allo studioso sassone, pubblicate da Nicolae Iorga[12],
iniziano nell’agosto del 1877 in occasione del volume La poesie des Ottomans,
appena uscito, che l’autrice manda in omaggio al suo corrispondente. Queste
lettere contengono interessanti osservazioni sui magiari – che essa associava
ai turcomanni – e sull’opposizione tra le popolazioni turaniche ed ariane
dell’Asia, al di là di ogni “pregiudizio razziale o settario”. Tra tante
osservazioni cortesi e lusinghiere sui magiari, la scrittrice segnala allo
studioso sassone, nel III volume, recentemente apparso, della Nouvelle géographie universelle di
Élisée Reclus, il capitolo Hongrie et
Transylvanie. Le pays des Magyars et des Roumains. Il carteggio dei due
corrispondenti tocca anche la questione dei rapporti dei Ghica con la
Transilvania; in particolare, Dora d’Istria rimpiange il fatto che, priva di
accesso agli archivi ungheresi, non aveva potuto focalizzare alcuni dettagli
riguardanti Grigore Ghica III, nella monografia che essa aveva dedicato alla
propria famiglia[13]. Un’altra
questione interessante va qui menzionata: negli anni ‘50 dell’Ottocento, Dora
d’Istria condivideva l’idea secondo cui gli uiguri erano gli antenati
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dei
magiari, idea che, tre decenni prima, aveva spinto Alessandro Csoma de Kőrös a
viaggiare verso l’India e il Tibet. Oltre agli articoli dell’autrice pubblicati
in francese nella rivista di Cluj, von Meltzl le chiede il permesso di tradurre
in tedesco alcuni studi come: La
Grèce avant les Grecs, La
nationalité albanaise d’après le chants populaires, Gli Albanesi musulmani. Egli riproduce,
inoltre, alcuni passi delle lettere di Dora d’Istria e alcuni appunti e note di
lettura che quest’ultima gli manda. A sua volta, la principessa romena chiede a
von Meltzl informazioni bibliografiche sulla mitologia zoologica dei magiari,
ipotizzando che “presso questo popolo di cavalcanti, il cavallo deve ricoprire
nei miti lo stesso ruolo del toro per i pastori che compaiono nei meravigliosi
inni del Rig Veda”[14].
Tra i libri e gli articoli che lo studioso sassone le spedisce si trovano anche
quelli dell’orientalista di Cluj Samuel Brassai, che verrà letto e
più tardi incontrato a Firenze (maggio 1882). Benché la maggior parte
dei suoi scritti siano stati pubblicati nell’Europa occidentale, in Grecia, a
Costantinopoli o in America, una buona parte di essi erano noti anche al largo
pubblico della Transilvania, le cui gazzette e riviste vi avevano fatto diverse
volte riferimento. Tuttavia, in seguito alla morte di Dora d’Istria, per un buon
lasso di tempo calerà, come altrove, il silenzio.
Il primo e il più entusiasta di coloro che la
segnalarono al pubblico transilvanico fu Iosif Vulcan su Familia (1865, no. 18, pp. 213-215). L’articolo verrà
ripreso nel volume Panteonul Român
(vol. I, 1869)[15]. Lo
scrittore patriota afferma che “Ella ha scritto nelle lingue colte per
adempiere con più successo alla sua grande vocazione, ma ora per
rispondere al desiderio generale ha promesso che scriverà anche nella
dolce lingua materna. Voglia il Cielo che possiamo vedere realizzata al
più presto questa promessa rallegrante; ci piace credere che la brava
romena, che tante volte nei suoi scritti si è ricordata con tenerezza e
amore della sua dolce patria, non tarderà molto a soddisfare il
desiderio più intimo di una madre, che attende impaziente di veder
parlare l’adorabile figlia nella sua lingua!”[16].
Quando, alla sua morte, scriverà di nuovo su Familia (1888, no. 47, pp. 541-542), Vulcan preciserà:
“È vero che ella non si è servita nei suoi scritti della lingua
romena, ma ciò non diminuisce affatto la stima che le dobbiamo, perché
non solo nella lingua nazionale possono essere resi servizi alla nazione
romena, anzi talvolta l’idioma straniero è da preferire. Un tale caso
avviene quando vogliamo essere compresi dall’intero mondo, cui ci rivolgiamo.
Sebbene non abbia scritto in romeno, Dora d’Istria è nota nel
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mondo
come romena e il suo talento spande luce sulla nostra nazione”[17].
Nella stessa rivista (1870, no. 27, p. 324), Traian Popescu pubblica l’articolo
Femeile literate în Italia [Le donne
di lettere in Italia] nel quale
incontriamo Dora d’Istria accanto a Malvina Frank e a Luigia Codemo. In Albina, pubblicata a Vienna e a Pest,
vengono riprodotte nel 1868 (no. 128), sotto il titolo Dora d’Istria despre românii din Grecia [Dora d’Istria sui romeni
di Grecia], note etnografiche sui macedo-romeni, estratte da uno studio della
principessa recentemente uscito sulla Revue
internationale.
Sempre nel 1865, in un almanacco annuale pubblicato a
Sibiu da George Bariţiu, Călindariu
pentru poporul românesc (anno XIV, pp. 11-22), si trova la traduzione di un
articolo intitolato proprio Dora d’Istria.
Con un certo indugio iniziano a scrivere su di lei anche le riviste di Braşov e
di Sibiu, riprendendo soprattutto quelle di Bucarest. Ad esempio, Orientul latin (1875, pp. 43-44, 47-48)
riproduce – secondo Trompeta Carpaţilor –
la traduzione di Bibliografia della
principessa Dora d’Istria. 1855-1873. VIIa edizione, attuata e
pubblicata a Venezia da Bartolomeo Cecchetti. In Transilvania ne scrive George Bariţiu (1878, no. 5-9) e viene data
alle stampe la conferenza tenuta da Radu Ionescu nel dicembre 1877 a Sibiu
(1878, pp. 49-51, 62-65, 73-76, 85-88, 97-100). Lo stesso periodico riproduce
nel 1883 (pp. 111-113) la traduzione di un articolo uscito un anno prima su La Roumanie illustrée di Bucarest. A sua
volta, Gazeta Transilvaniei (1885,
no. 248, pp. 2-3) riproduce un articolo preso da Le Peuple Roumain di Bucarest. Ciò nonostante, alla sua
morte avvenuta prematuramente nel 1888, escono solo alcune brevi note come
quelle pubblicate su Poşta română di
Braşov (no. 556) o su Gazeta poporului
di Timişoara (no. 47). Gazeta
Transilvaniei (no. 253, pp. 1-2) riproduce, volta dal giornale Fanfulla di Roma, una corrispondenza da
Firenze firmata in “Aristo”, nella quale viene fata alla scrittrice un ritratto
letterario.
Il primo dizionario enciclopedico romeno, edito da
Costantino Diaconovici Loga a Sibiu (Enciclopedia
română, vol. II, 1900, pp. 203-204), ha dedicato a Dora d’Istria una voce
che verrà ripresa anche dalle enciclopedie successive: Minerva (Cluj 1929, p. 395), Dicţionarul enciclopedic ilustrat di
Candrea e Adamescu (Cartea Românească, Bucarest 1931, p. 1614) e, soprattutto, Enciclopedia României di Lucian Predescu
(Cugetarea, Bucarest 1940, p. 282). Il primo studio scientifico che le è
stato dedicato in Romania è quello pubblicato nel 1931 a Cluj da Ion
Breazu, Dora d’Istria şi Edgar
p. 507
Quinet[18].Inoltre, il primo volume monografico a lei dedicato in
lingua romena è stato pubblicato un anno dopo a Bistriţa sotto la firma
di Claudia D. C. Zaharia. Fino a quel momento in Romania esistevano soltanto le
traduzioni degli studi più antichi di Armand Pommier (Bucarest 1864) e di
Bartolomeo Cecchetti (Bucarest 1876). A questo lavoro fecero seguito due
volumetti pubblicati a Bucarest (Magda Nicolaescu Ioan, nel 1934 e A.
Vasculescu, nel 1941). Eppure, nonostante l’Accademia Romena abbia istituito
fin dal 1926 un premio in valore di otto mila lei – donati dalla principessa
Alina Ştirbei – per il miglior scritto su Dora d’Istria, la monografia che una
personalità della sua grandezza si merita, è rimasta fino ad oggi
allo stato di desiderabilità.
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edited by Ioan-Aurel Pop, Cristian Luca, Florina Ciure, Corina Gabriela
Bădeliţă, Venice-Bucharest 2005.
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© Şerban Marin,
October 2005, Bucharest, Romania
Last Updated:
July 2006
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[1] La Suisse
allemande et l’ascension du Moench, vol. I, Parigi–Geneva 1856, p. 238.
[2] Si veda, per l’inquadramento generale e i riferimenti
biografici, il nostro articolo Liviu Bordaş, Etnologie şi orientalism romantic în noile state Italia şi România:
Angelo de Gubernatis, Dora d’Istria şi savanţii români în a doua jumătate a
secolului XIX [Etnologia ed orientalistica romantica nei nuovi stati Italia
e Romania: Angelo de Gubernatis, Dora d’Istria e gli studiosi romeni nella
seconda metà dell’Ottocento], in “Acta Musei Porolissesis”, XXVII, 2004;
il presente articolo ha come necessario corollario un altro – in corso di
stampa – sulla storia della ricezione dell’opera e della personalità di
Dora d’Istria nel mondo e sull’attuale revival dell’interesse per la sua
figura.
[3] Agli articoli pubblicati nella rivista “Diritto” di
Torino, buona parte dei quali furono ristampati in un volume da Paolo
Mantegazza, sotto il titolo generico Gli
Eroi della Rumenia. Profili storici, Firenze 1887 (si veda in particolare
il capitolo Giovanni Uniade. Le Vittorie
di Vasag e di Nisa), si aggiungono: Littérature
roumaine. Chants et récits populaires, in “Libre recherche”, Bruxelles,
marzo 1857; La nationalité roumaine
d’aprés le chants populaires, in “Revue des deux mondes”, Parigi, 15 marzo
1859 e Feste Rumene, in “Il mondo
ilustrato”, Torino, 25 maggio e 8 giugno 1861.
[4] Giorgio Asproni, Diario
politico, 1855-1876, vol. I, 1855-1857,
Milano 1974, pp. 437-441, p. 442, p. 443, p. 444, p. 445, p. 446, pp. 448-449,
p. 450, p. 451, p. 452, pp. 456-457, pp. 458-459, p. 465 per il periodo 22
luglio-6 agosto 1856, e per quello successivo si veda Ibidem, pp. 470-471, p. 511, p. 516, pp. 519-522, p. 529, p. 572,
p. 574, p. 577. Inoltre, la lettera di Garibaldi su Dora d’Istria del 14 agosto
1861, in Ibidem, vol. III, 1861-1863, Milano 1980, p. 124. Parlando
dei romeni transilvani che avevano lottato nel 1848 guidati da “centurioni” e
da “decurioni” sotto bandiere con l’insegna SPQR (Senatus Populusque Romanus),
lo storico contemporaneo Johann Georg Kohl menziona Dora d’Istria che chiamava
i rivoluzionari italiani “fratelli dei romeni”, Cfr. Die Völker Europas. Cultur- und Charakterskizzen der Europäischen
Völker, Amburgo 1868.
[5] Lettera 693 di Giuseppe Mazzini, in Idem, Scritti editi ed inediti. Appendice (Epistolario,
vol. V), Imola 1941, p. 148.
[6] In una lettera del 16 luglio 1861, pubblicata da Radu
Ionescu nella “Revista română”,
I, 1861, p. 447; si vedano anche le lettere pubblicate nel volume di G. E.
Curatulo, Garibaldi e le donne, Roma
1913, pp. 190-198.
[7] Garibaldi şi
Klapka către români, in “Românul”, no. 261-262 (18-19 settembre), 1861;
anche in “Revista Carpaţilor”, 15 ottobre 1861, ristampato in Alesandru Papiu
Ilarian, Antologie, a cura di
Corneliu Albu, Bucarest 1981, pp. 261-270; si veda, nello stesso volume, anche
l’articolo di 1868, Memorandul lui
Kossuth, Teleki şi Klapka, pp. 361-368.
[8] Dora d’Istria, Les
femmes en Orient, vol. I, La
peninsule orientale, Zurigo 1859; il citato è preso dalla versione
romena Femeile în Oriinte, in Operile Domnei Dora d’Istria, vol. II,
traduzione a cura di Grigorie G. Peretz, Bucarest 1876, p. 17.
[9] Ibidem, pp.
41-42.
[10] Poiché di Géza Kuun ci siamo occupati nel nostro
articolo sopra menzionato, non vi ci soffermiamo più.
[11] Angelo de Gubernatis, Fibra: pagine di ricordi, Roma 1900, p. 266.
[12] Nicolae Iorga, Lettres
de Dora d’Istria, in “Revue historique du Sud-Est européen”, IX, no. 4-6,
1932, pp. 134-209.
[13] D. d’Istria, Gli
Albanesi in Rumenia. Storia dei principi Ghika nei secoli XVII, XVIII e XIX, su
documenti inediti tratti dagli Archivi di Venezia, Vienna, Parigi, Berlino,
Constantinopoli, Haya, ecc., traduzione dal francese di B. Cecchetti,
Firenze 1873.
[14] Lettera del 13 luglio 1879, in N. Iorga, op. cit., p. 180.
[15] Oggi in Iosif Vulcan, Scrieri, vol. 2, Publicistică,
a cura di Lucian Drimba, Bucarest 1989, pp. 75-78; un altro riferimento a Dora
d’Istria si trova nell’articolo Aron
Pumnul, in “Familia”, no. 15, 1866, pp. 169-171; ristampato in Panteonul român, oggi in I. Vulcan, Scrieri cit., vol. 2, p. 42.
[16] “Ea a scris în limbele culte ca să-şi împlinească marea
sa chemare mai cu succes, acuma însă la dorinţa generală şi-a dat promisiunea
că va scrie şi în dulcea limbă maternă. Deie ceriul ca cât de curând să vedem
realizată această promisiune îmbucurătoare; ni place a crede că brava română,
carea în opurile sale de atâte ori şi-a adus aminte cu frăgezime şi iubire de
dulcea sa patrie, nu va întârzia mult cu împlinirea dorinţei celei mai intime a
unei mame, carea cu nerăbdare aşteptă ca drăgălaşa sa fiică să vorbească în
limba sa!” (Ibidem, p. 78).
[17] “Este adevărat că dânsa nu s-a servit în scrierile sale
de limba română, dar asta nu-i detrage nimic din stima ce-i datorim, căci nu
numai în limba naţională se pot face servicii neamului românesc, ba câteodată
idiomul străin este de preferit. Astfel de caz obvine atunci când voim să ne
înţeleagă lumea mare, căreia ne adresăm. Deşi n-a scris româneşte, Dora
d’Istria e cunoscută în lume ca română şi talentu-i genial revarsă lumină
asupra naţiunii noastre” (Ibidem, p.
586). Le stesse idee si ritrovano anche nella prima monografia critica
dedicatale da un romeno, R. Ionescu, D-na
Dora d’Istria (I-III), in “Revista Română”, I, 1861, pp. 427-448; dicembre
1861, pp. 783-806; II, aprile 1862, pp. 17-45; parzialmente ripubblicato in Scrieri alese, a cura di Dumitru Bălăeţ,
Bucarest 1974, pp. 112-133 (v. pp. 114-115).
[18] Nel volume Închinare
lui Nicolae Iorga cu prilejul împlinirii vârstei de 60 de ani, Cluj 1931,
pp. 63-72.