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L’Università di Padova e la promozione della letteratura romena

 

 

Maria  Bulei,

Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia

 

Soltanto a partire dal primo dopoguerra, quando interessi politico-economici favorirono una conoscenza diretta reciproca fra l’Italia e la Romania, si può parlare di una vera e propria promozione della letteratura romena in Italia. Per incoraggiare l’interscambio dei valori culturali vengono create in questo periodo varie istituzioni come l’Accademia di Romania in Roma (1922), la Casa Romena di Venezia (1930), l’Istituto per l’Europa Orientale (1920) e la Camera di commercio italo-romena fondata nel 1920 a Milano. L’intenso rapporto di studio e la reciproca stima fra le intellighenzie su cui puntano le attività svolte da queste istituzioni contribuiscono al sorgere di un clima propizio per l’affermarsi di tutta una serie di personalità italiane e romene. Il ruolo di tanti di questi studiosi sarà, come si vedrà più avanti, decisivo per la promozione delle cultura romena in Italia.

        Per quanto riguarda la lingua e la letteratura romena i promotori più illustri li troviamo fra i docenti di questa materia presso le università italiane. Riteniamo importante ricordare che la lingua romena fu la prima lingua straniera insegnata nelle università italiane. L’insegnamento fu iniziato all’Università di Torino dal noto filoromeno Giovenale Vegezzi–Ruscalla, intermediario nel 1859 tra Cavour e Vasile Alecsandri, allora Ministro degli Esteri del Principato di Moldavia. Il corso di romeno durò dal 1863 fino al 1879, ma viene poi ripreso nel Novecento da vari italiani fra cui Romeo Lovera e Mario Ruffini.

La diffusione del romeno in Italia è legata soprattutto al diffondersi in Romania dell’insegnamento dell’italiano, nelle cattedre universitarie, nelle scuole secondarie romene e nelle sedi sempre più numerose dell’Istituto di cultura italiana in Romania. Nei primi decenni del Novecento, tanti promotori della lingua e letteratura romena in Italia furono studiosi italiani che, inviati in missione in Romania, s’interessano al paese in cui vivono, vi imparano la lingua e in seguito sono indotti a scrivere, a tradurre e a trasmettere ai loro connazionali la nostra cultura.

Un nome che non può che fare onore alla romenistica italiana è quello di Ramiro Ortiz, colui che, dopo un lungo soggiorno in Romania, proprio settant’anni fa diventa titolare della cattedra di lingue e letterature neolatine presso l’Università di Padova, cattedra nell’ambito della quale prenderà avvio il corso di lingua e letteratura romena.

È per ben 24 anni, dal 1909 al 1933, che Ortiz si trova in contatto con l’humus romeno in quanto viene chiamato a insegnare lingua e letteratura italiana presso

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l’Università di Bucarest per rafforzare e diffondere in Romania la cultura italiana. Missione nobile la sua, che lo porta ad immedesimarsi talmente con la patria di adozione, che la sua partenza dalla Romania ha una risonanza grande, su scala nazionale, con festeggiamenti pubblici e ampi echi sulla stampa. In tutto questo tempo Ortiz inizia un’intensa attività filologica nel campo della letteratura romena e dei contatti italo-romeni tanto che, nel 1937, quando era oramai da quattro anni alla cattedra di lingue e letterature neolatine a Padova, si definiva “professore di filologia romanza specializzato in cose romene”.

Sono in tanti ad aver detto che Ortiz è stato il maggiore e migliore conoscitore in Italia della lingua e della letteratura romena. Fra i suoi manuali romeni che si consultano tutt’ora con profitto ricordiamo la Letteratura romena[1] apparsa nel 1941, la prima storia completa della nostra letteratura in Italia, e il Manualetto romeno del 1936. Quest’ultimo, per citare Angelo Monteverdi, “porta solo per vezzo questo suo tradizionale diminutivo”[2], trattandosi in realtà di un volume di notevole estensione dove un’accurata introduzione storica, linguistica e letteraria precede un’interessante antologia di prose e poesie romene. Non possiamo non soffermarci anche sulla sua pregevole Letteratura romena. In quest’ampia presentazione del patrimonio letterario romeno, Ortiz abbraccia quattro secoli di evoluzione, caratterizzandoli attraverso le personalità che hanno marcato più energicamente una corrente o un’epoca – “un quadro critico” che, secondo Rosa del Conte, “s’impone sia per la felicità di rapide ed acute intuizioni, […] sia per equilibrio di definizione critica”[3]. Le sue definizioni che mirano a cogliere l’essenza, le sue considerazioni, spesso in chiave comparatistica, provano la sua seria formazione culturale e la sua libertà di giudizio. Poco importa se ai suoi raffronti, talvolta sottili, non sempre il lettore sia disposto a consentire. L’Ortiz stesso se ne rende conto e in un saggio dei Varia romanica confessa che cerca soltanto di comunicare ad altri le sue impressioni e di darne le ragioni[4]. La sua è una lezione di “devota e operosa umiltà dinanzi alla divinità della scienza”[5], annota il grande filologo Angelo Monteverdi nel ricordare Ortiz.

Ma questa è soltanto una delle lezioni di vita che una personalità dai molteplici risvolti come la sua ha saputo dare affrontando con fervore e passione qualsiasi attività culturale avesse deciso di intraprendere. Durante la sua lunga carriera universitaria Ortiz ha dimostrato di essere “il maestro che sente il dovere di perennemente arricchirsi per potersi perennemente donare”[6]. Lo dice Claudio Isopescu, suo discepolo e collega, che

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negli anni Venti diventa docente di lingua e letteratura romena presso l’Università La Sapienza di Roma. Accanto alla testimonianza di Isopescu ne possiamo elencare tante altre, di studenti che lo hanno conosciuto e gli hanno apprezzato il permanente culto del bello e l’arte con cui sapeva insegnare. Nel 1933, in occasione della sua partenza da Bucarest, gli studenti del Seminario di letteratura italiana gli dedicano un intero numero della rivista Roma, fondata dallo stesso Ortiz nel 1920. Il futuro italianista Alexandru Marcu, George Călinescu, che diventerà il più grande critico letterario romeno, e che afferma di dover all’illustre professore il meglio di sé, e tanti altri evocano con commozione la devozione di Ortiz e i suoi corsi, sempre vivi e pieni di fascino.

Interessato a formare discepoli che possano propagare a loro volta il “verbo e la civiltà d’Italia”, Ortiz, negli anni d’insegnamento a Bucarest, avverte nei suoi carteggi con Carlo Tagliavini e con altri studiosi italiani, l’aumento delle iscrizioni al suo corso ma anche lo scarso numero degli studenti che si laureano in italiano dovuto all’insufficiente presenza di cattedre nei licei. Egli si scaglia così contro “l’inerzia assoluta” da parte del governo italiano che pretende di avere influenza all’estero, ma “quando c’è da fare qualcosa si tira indietro e si lascia battere dalla propaganda francese”[7].

Una volta tornato a Padova, in qualità di docente di lingue e letterature neolatine, Ramiro Ortiz si coinvolgerà con lo stesso fervore nell’insegnamento della nuova materia. Nel 1945 egli diventa ufficialmente anche professore incaricato di lingua e letteratura romena che da quell’anno appare come materia d’esame. Anche la biblioteca di Padova dovrebbe essere grata a Ortiz; grazie ai suoi rapporti personali essa si arricchisce di preziose donazioni dalla Romania.

Si, Ramiro Ortiz è sicuramente una persona che si vorrebbe aver conosciuto. Membro onorario dell’Accademia Romena, direttore dell’Istituto italiano di cultura di Bucarest, egli rimane, però, nella memoria di tanti, come ottimo professore e critico letterario. Gli studi romeni gli devono una larghezza di orizzonti fino a lui sconosciuti in Italia. “Se la lingua romena entra in ogni trattato comparativo di linguistica romanza, la letteratura romena, che ha un fondo diverso dalle letterature neolatine dell’Occidente, è per il neolatinista un campo del tutto nuovo”[8]. Ma Ortiz non si scoraggia e approfondisce le sue ricerche sui caratteri originali della letteratura romena, ma anche su quei caratteri che l’accomunano ai popoli del Sud-Est europeo, compresa quella latinità orientale di cui oggi si comincia ad apprezzare in giusta misura la funzione unificatrice. Queste ricerche lo portano ad esprimere la convinzione che la nostra letteratura colta dovrà far ritorno alla letteratura popolare ogni volta che vorrà ritrovare la sua specificità, la sua anima. Il genio di Eminescu si precisa –come afferma Ortiz– anche per questo, per “l’innesto che egli fa sulla sua della poesia popolare […] che modificò e raffinò, versando nelle sue forme tutto il tesoro del suo sentimento e temperamento di poeta

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originalissimo”[9]. Il critico italiano si accosta a Eminescu come ad un poeta dall’immortale attualità, ancora appassionatamente amato e sentito per quel suo ideale di bellezza e di verità cui anelava con tutto il suo essere. Più che degli smarrimenti morali e spirituali, rappresentati soprattutto dalla voce sirenica dei sistemi filosofici e culturali nullistici allora in voga nell’Occidente, più che dell’Eminescu filosofo, Ramiro Ortiz preferisce parlare dell’Eminescu “puro artista, puro poeta”: “per me le poesie, nelle quali Eminescu è più Eminescu che altrove sono proprio quelle in cui nessun elemento allotrio entra a turbare il flusso melodioso dell’ispirazione lirica pura, la serenità e la freschezza del paesaggio romeno perfettamente rievocato, per cui a me piace definir Eminescu il poeta della selva e della polla”[10]. Nell’auspicare l’avvento di un critico capace di riecheggiare e ricreare “la poesia infinitamente dolce e suggestiva, delicata, aerea, il cui fascino consiste più nei sentimenti che suggerisce il verso incredibilmente armonioso e musicale, che in quello che realmente dice”[11], Ortiz approda ad un ideale di critica considerata come una specie di collaborazione alla poesia. Ad una critica dogmatica Ortiz contrappone così la necessità di imparare a sentire, in questo caso, un’anima che si è fatta parola, una parola investita dall’universalità dello spirito. La sensibilità di Ortiz per una poesia aurorale come quella di Eminescu si manifesta ancor di più quando egli si accinge a tradurre per la prima volta tutte le liriche pubblicate in vita da Eminescu. Il prezioso volumetto racchiude anche un’ampia introduzione di più di sessanta pagine e delle note che intendono contestualizzare ciascun componimento e spiegarne la scelta di certi termini per la versione italiana. È interamente pervaso da toni delicati e affettuosi, questo libro, già dalla dedica: “Su queste pagine/sacre all’amore di là della tomba/come su bianca pietra sepolcrale/scrivo in lettere/che vorrei avessero il fulgore del sole/ e la saldezza del granito/ il nome/ di BICE ORTIZ/ la cara piccola donna/ che vi ha collaborato/ colla gioia/ del suo canto primaverile,/ colla luce/ delle sue pupille sorridenti,/ coi fiori/ di cui ornava la mia stanza da studio. Sulla tomba lontana/ cadan queste parole/ come poveri e tristi/ fiori di campo”.

Sono incontestabili la grande probità filologica e l’efficace corrispondenza di colorito stilistico con le quali Ortiz ha saputo affrontare la traduzione di questi capolavori emineschiani. Ne è consapevole anche Rosa del Conte che non sempre ha apprezzato i suoi lavori. La convinzione di Ortiz è che “la poesia consiste in gran parte in immagini, e perciò le immagini dei poeti vano conservate anche se posson sembrar ardite”. Ed è grazie a Eminescu che la poesia romena arrivò a conoscere “tanto sfavillio di immagini”. È stato lui a sollevarla in una zona abbagliante di luce e a trasfigurarla.

“La grande arte è sempre un atto d’amore”, affermò una volta Alberto Moravia. E Ramiro Ortiz, nel corso della sua vita, non fece altro che dimostrarcelo. I docenti che dopo Ramiro Ortiz si susseguono alla cattedra di lingua e letteratura romena di Padova affrontano nei loro corsi una vasta gamma di argomenti per mantenere vivo l’interesse

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degli studenti per questa materia. Volgendo uno sguardo ai programmi dei corsi riportati nei Bollettini della Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Padova, dagli anni Cinquanta in poi, possiamo notare l’alta frequenza con cui ricorrono gli argomenti di prosa. Alessandrina Mititelu, che un anno dopo la scomparsa di Ortiz viene nominata professore incaricato di lingua e letteratura romena, dedica quasi la metà dei suoi corsi monografici a temi riguardanti la prosa romena novecentesca. Ne riportiamo qui soltanto alcuni: il corso “Prosatori moderni. Lettura e commento dei testi scelti” dell’anno accademico 1952-1953, “Il gruppo Gândirea. Brani scelti dagli scrittori più rappresentativi del gruppo” dell’anno seguente, “I romanzi di Liviu Rebreanu” del 1961-1962, “La novella ed il romanzo nei primi decenni del Novecento”, corso del 1963-1964. Negli anni Settanta, il professore Sorin Stati presta particolare attenzione alla letteratura romena del Novecento. Gli argomenti principali dei suoi corsi sono: “I romanzieri del primo dopoguerra”, “Il XX secolo. La narrativa e il teatro”. Anche Ion Neaţă approfondisce nel suo corso monografico, che si ripeterà per quattro anni, un aspetto letterario novecentesco: “Il romanzo romeno tra le due guerre mondiali: Rebreanu e Sadoveanu”.

Un illustre esempio del fatto che all’Università degli Studi di Padova Ramiro Ortiz abbia impiantato una vera e propria scuola di romenistica lo abbiamo nella persona di Lorenzo Renzi, docente di lingua e letteratura romena dal 1986 fino al 1992. Nell’intervista pubblicata sul numero 5-6/2002 della rivista Steaua egli affermava: “Il mio incontro con la lingua romena è stato uno degli incontri fondamentali della mia vita”. Sulla scia degli studi intrapresi da Ortiz, il professor Renzi si è avvicinato alla letteratura romena come ricercatore di folclore letterario. Fin dal suo primo lungo soggiorno a Bucarest, però, egli si appassiona anche ad alcune opere letterarie sia dell’Ottocento che moderni, alle liriche di Marin Sorescu, Tudor Arghezi e Ion Barbu, alla narrativa di George Călinescu (Enigma Otiliei, per esempio) che d’altronde non è stata neanche tradotta in Italia e, più tardi, ai racconti e ai romanzi fantastici di Mircea Eliade. Su Eminescu e Cioran, il professore ci ricorda che ha anche scritto degli articoli in sedi giornalistiche e in antologie critiche[12]. Lorenzo Renzi continuerà a coltivare queste sue passioni nell’ambito dei suoi corsi universitari: “Aspetti della cultura romena del Novecento. Il ruolo della tradizione” (1988-1989), “Il meraviglioso e il fantastico nella letteratura romena” (1987-1988), “Momenti della letteratura romena dell’Ottocento e del Novecento: la lirica, il racconto breve” (1991-1992).

In quanto non esiste un progetto unitario di diffusione della letteratura romena pensiamo che possano contare tanto le iniziative individuali, le relazioni personali. Nell’intervista che ci è stata concessa il 30 maggio 2003 abbiamo chiesto al professor Lorenzo Renzi di parlarci del suo approccio con la letteratura romena, in particolar modo con quella novecentesca, e della sua esperienza di collaborazione con una delle più

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prestigiose case editrici italiane. Nei seguenti due paragrafi ci rifaremo in gran parte alle sue preziose considerazioni[13].

Il ruolo di consulente della casa editrice Il Mulino può essere un’occasione da non perdere di far prestare un’attenzione costante alla nostra letteratura. In questa sua qualità, Lorenzo Renzi ha avuto la possibilità di conoscere abbastanza dall’interno una delle più grandi case editrici di cultura d’Italia. Prova dell’impegno con cui egli ha saputo svolgere questo suo incarico ne sono i cinque titoli di saggistica e critica letteraria fra i quali ricordiamo la Teoria della letteratura di Adrian Marino, pubblicati in soli tre anni presso la prestigiosa casa editrice. Il consulente non è, però, una persona che viene sempre ascoltata, ci tiene a precisare il professore, e “molte volte si rimane delusi dal fatto che le proprie proposte non vengono accolte”. Subito dopo la caduta del regime comunista in Romania, si verifica un moto d’interesse per questo paese che era stato chiuso dalla Cortina di Ferro. È in questo contesto che nasce presso Il Mulino l’iniziativa di diffondere alcuni scrittori del passato rimasti in Romania, ma che erano stati soggetti alla censura, come Constantin Noica. L’interesse per la cultura romena è, però, di breve durata. Inoltre l’eco di gran parte di queste pubblicazioni è decrescente oppure, in alcuni casi, inesistente, così ché, alla fine di tutto non è stato più possibile completare dei piani avuti allora in mente. Lorenzo Renzi ci confessa che il suo “più grande desiderio” sarebbe stato quello di pubblicare Jurnalul de la Păltiniş di Gabriel Liiceanu, “un libro straordinario”. Un altro libro che il professore avrebbe voluto tradurre era Despărţirea de Goethe di Noica, dedicato all’uomo contemporaneo, tema, dunque, di grande interesse. A parte, invece, va considerato il libro di Marino, “straordinario poligrafo” i cui studi critici, diventati libri di testo nelle università romene, si configurano sin dall’inizio come preziose opere anche per gli studiosi italiani. Il numero approssimativo delle tirature di queste pubblicazioni presso Il Mulino è di 2000 copie, una tiratura che, nonostante le apparenze, è seria. “La nostra condanna, vivendo in un’abbondanza estrema, è quella di doverci confrontare alla fine con una frantumazione estrema”. Sono pochissimi gli interessati ad una pubblicazione che non sia un prodotto di massa con un lancio pubblicitario adeguato.

La letteratura romena del Novecento, in genere, “è caratterizzata da un grande vigore, da una grande forza”. La sua “linea di forte realismo”, spesso di ambienti contadini e operai, ha contrastato in un certo senso con la scelta degli editori italiani di cercare opere raffinate nell’Europa centrale comunista e postcomunista. Il risultato è stato che opere come Moromeţii di Marin Preda non sono state tradotte e, dunque, restano sconosciute. Ancora oggi, secondo il professor Renzi, la letteratura romena, in complesso è poco visibile. Comunque, se si può, “non è che uno deve adeguarsi troppo al pubblico, ma bisognerebbe riuscire a pubblicare i libri migliori e vedere se per caso non hanno fortuna”. Anche dal punto di vista editoriale, osserva con acutezza il romenista italiano, il best-seller, in fondo è l’opera assolutamente imprevista, rifiutata

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magari da tanti editori prima di apparire sul mercato. L’aspetto più interessante della letteratura in un mondo che va per marketing, per operazioni precostituiti è che il best-seller non può essere precostituito. Non siamo riusciti a sapere dal professor Lorenzo Renzi se intende curare anche altri numeri degli Studi romeni e romanzi apparsi nel 1995, ma noi lo auspichiamo e ci auguriamo anche che i suoi progetti, le sue iniziative mirate alla diffusione della nostra letteratura diano al più presto i loro frutti.

Il professor Roberto Scagno, l’attuale docente di lingua e letteratura romena presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Padova si sta invece rendendo noto per la sua dedizione al pensiero e all’opera di Mircea Eliade. Oltre a collaborare alla realizzazione di due solidi volumi di esegesi eliadiana come Mircea Eliade e l’Italia[14] e Confronto con Mircea Eliade. Archetipi mitici e identità storica[15], Roberto Scagno ha curato l’introduzione e la traduzione italiana di alcune opere del celebre scrittore. Spezzare il tetto della casa. La creatività e i suoi simboli[16] e Il romanzo dell’adolescente miope[17], apparsi presso la stessa casa editrice, ne sono soltanto due esempi. Negli anni Ottanta, ci racconta il professore nell’intervista concessa il 1 luglio 2003, la Jaca Book aveva programmato di creare una sezione di prosa romena e i romanzi brevi (per il rischio economico che possono correre, gli editori sono spesso contrari alla pubblicazione di grosse narrazioni) che il professore aveva pensato di proporre ai lettori italiani erano quelli di Sorin Titel, Ştefan Agopian oppure del corrente della cosiddetta Scuola di Târgovişte. Il progetto, però, fallì presso la Jaca Book e questa proposta non fu accolta neanche dalla E/O, un’altra casa editrice specializzata nella pubblicazione delle opere provenienti dall’Europa centrale. Un’altra occasione perduta (sembra che ci sia stato un intervento da parte del regime per bloccare l’uscita del libro) è stata quella di pubblicare presso la Feltrinelli l’Ostinato di Paul Goma, impresa che avrebbe rappresentato un lancio anche per la letteratura memorialistica dall’interno della Romania. La traduzione italiana del libro, curata da Marco Cugno, docente di lingua e letteratura romena presso l’Università degli Studi di Torino, noto traduttore e romenista, aspetta tutt’ora, chiusa in un cassetto, un editore che possa portarla alla luce.

Un aspetto che rende difficile la penetrazione della prosa romena attuale nel contesto e nel dibattito culturale italiano è anche la scarsa collaborazione con le varie istituzioni romene come l’Istituto della Lingua Romena e l’Istituto Culturale Romeno, già Fondazione Culturale Romena, che dovrebbero segnalare i migliori titoli pubblicati in Romania. Inoltre, il professor Scagno avverte la necessità di finanziamenti da parte romena per la traduzione di questi testi, il che renderebbe possibile la loro pubblicazione da parte degli editori con cui i romenisti italiani sono già in contatto.

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I corsi universitari del professor Roberto Scagno tendono ad incentrarsi sulla prosa novecentesca romena, e non soltanto dell’esilio. Per dimostrarlo ne riportiamo qui alcuni argomenti: “Vasile Voiculescu poeta e prosatore: la dimensione religiosa dell’Oriente cristiano” (dell’anno accademico 1995-1996), “La letteratura fantastica da Gala Galaction a Mircea Eliade” (dell’anno accademico 1998-1999), “La letteratura fantastica da Mircea Eliade ad Ana Blandiana” (1999-2000), “Il romanzo romeno interbellico: la tradizione e i dilemmi della modernità” (2000-2001). La relazione “autoctonismo-occidentalismo” nella cultura e nella letteratura romena interbellica, i rapporti culturali italo-romeni sono altri temi affrontati dal romenista di Padova. Con gli studenti dei primi due anni che non leggono ancora romeno, egli preferisce affrontare la prosa romena tradotta, privilegiando i classici come Liviu Rebreanu. Purtroppo, ci confessa il professore, il corso finisce per essere molto tradizionale, basato sul passato, visto che per quanto riguarda la letteratura contemporanea mancano le traduzioni e i commenti critici che li accompagnino. L’anno scorso il professor Scagno ha realizzato insieme al suo collega di neogreca, il professor Peri, un interessante esperimento che ha coinvolto le letterature neogreca, serbo-croata, ungherese e romena, dell’area balcanico-danubiana. Si è trattato di un’analisi di teoria della narrazione prendendo esempi da alcuni romanzi classici dell’area, che ha messo a fuoco alcuni punti in comune che caratterizzano questi tipi di prosa come la sintassi libera, l’uso prevalente del discorso diretto.

Raffinate interpretazioni e riflessioni sulla letteratura romena impreziosiscono anche i corsi di Adone Brandalise, docente di Teoria della letteratura presso l’Università degli Studi di Padova. RingraziandoLa anche in questa sede per la disponibilità di parlarci della sua esperienza di studioso della letteratura romena, illustreremo di seguito alcuni aspetti emersi nell’intervista che ci è stata concessa il 24 febbraio 2004. Ancora in epoca d’infanzia, il riferimento letterario romeno faceva in qualche modo corpo per lui con l’immagine della cultura romena comunicatagli attraverso la presenza musicale di Dinu Lipatti, George Enescu, “a maggior ragione suggestiva perché si percepiva una particolarità culturale romena nella qualità singolarissima con cui veniva in realtà restituita una letteratura musicale che era quella della classicità moderna”. La Romania ha cominciato così a configurarsi per Adone Brandalise come “luogo in cui la cultura europea viene risentita con una particolare vicinanza a sue dimensioni vitali che nelle sue manifestazioni più centrate può in qualche modo sfuggire”. È rimasta costante per lui questa percezione di “una sensibilità culturale romena che evidenzia dimensioni immerse, non esplicitate ma rilevanti nella cultura dei grandi fari europei”. Si ricorda in questo senso la relazione con il mondo culturale francese e parigino che è sempre stato per la Romania una sorte di terminale privilegiato verso l’Occidente europeo, per cui, nel caso di tutta una serie di personalità romene, “è esemplare un’esistenza più che mai romena in quanto parigina”. Anche Ion Luca Caragiale viene ricordato come una figura abbastanza assimilata ad un clima parigino tardo-ottocentesco come una sorte di “autore da teatro boulvardier sul Mar Nero”. I rappresentanti di una Romania diasporica, come Eugen Ionesco ed Emil Cioran sono stati presenti in posizione non secondaria in alcuni

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dei suoi corsi, ci tiene a precisare il nostro intervistato. Su di un altro versante, la letteratura romena gli si è manifestata attraverso l’intensità dell’elaborazione di un patrimonio tradizionale romeno di alcuni percorsi, come quelli intrapresi da Eliade e Culianu, tra i più importanti e anche tra i più discussi per ciò che riguarda quel grande ripensamento della dimensione religiosa, simbolica, una delle componenti importantissime della cultura europea del Novecento.

In questo scenario, “prevalentemente segnato da alcune nervature concettuali, ma di una concettosità ipersensibile e tutta tessuta di condensazioni letterarie” si inseriscono poeti come Tudor Arghezi, Lucian Blaga. Lo studioso italiano pensa che, in qualche misura, potesse entrare in rapporto con la mescola problematica romena anche il rappresentante di una zona di confine nel sentimento di una patria cancellata, come Paul Celan che sentiva vicino il flusso cosmopolita proveniente da Bucarest. C’è da notare che alcune opere degli scrittori già ricordati sono state lette dall’illustre ricercatore nella versione originale, il che spiega anche la forte suggestione che esse hanno avuto su di lui.

 In seguito, abbiamo chiesto ad Adone Brandalise di parlarci delle possibilità che le opere letterarie romene hanno d’inserirsi con particolare efficacia nell’ambito di un mercato letterario come quello italiano che non è caratterizzato da quantità adeguate a quanto potrebbe essere associato al nome d’Italia. Si penserebbe, in definitiva, che in Italia si dovrebbe leggere molto di più di quanto in realtà si legge. Nello stesso tempo, a suo avviso, l’editoria italiana non si può definire un’editoria disattenta, vista nel complesso la moltitudine di traduzioni da lingue straniere anche culturalmente non dominanti. Per ciò che riguarda la Romania, “fino ad oggi è mancato un movimento centripeto di riconduzione a qualcosa che rinviasse all’insieme della cultura romena nell’appropriazione di singoli fenomeni della cultura romena. Una certa suggestione mioritica trapela, sicuramente, da Mircea Eliade, da Cioran e incoraggia, però c’è una maggior propensione a sfruttare una pensosità indisciplinata e acuminata, uno sguardo sorprendente sull’orizzonte europeo, piuttosto che una dimensione più radicata in un mondo poco noto come quella che caratterizza la narrativa”. Inoltre, aggiunge il nostro intervistato, negli ultimi decenni, la Romania non ha più espresso un cinema capace di fare da traino a questo interesse per la letteratura.

Un aspetto a sfavore della ricezione della nostra letteratura in Italia, che abbiamo riscontrato nelle nostre ricerche[18], è la quasi mancanza di studi di comparatistica. Riteniamo molto importante, in merito a questo aspetto, l’opinione di un maestro della comparatistica come Adone Brandalise, che spazia nei suoi corsi per una moltitudine di aree tematiche letterarie[19]. “Una tradizione comparatistica esiste in Italia, manca piuttosto una propensione a concepire lo studio della letteratura come uno studio che insegua temi e problemi, grandi unità mitiche, grandi appuntamenti della riflessione, e non uno studio costruito su oggetti delimitati e omogenei. La nostra cultura accademica

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è una cultura di singole letterature. Da noi gli studi letterari hanno sempre avuto una forte caratterizzazione filologica e conseguentemente la specificità della lingua ha finito per rappresentare un elemento di confine molto marcato. Al di là della specifica disciplina comparatistica manca la dimensione di uno studio in cui la letteratura sta al centro e conseguentemente sono percorribili più letterature all’inseguimento di un unico obiettivo e questo, indubbiamente, non giova alla conoscenza della letteratura romena e in genere, delle letterature straniere. Lo studioso italiano ritiene che ci debba essere un’assoluta specializzazione per dedicarsi ad un’altra letteratura”. Questo è un limite, ci confessa Adone Brandalise, così come può avere i suoi limiti anche un approccio enciclopedico della letteratura. Sarebbe invece saggio, a suo parere, su basi diversi, giustificare “una curiosità armata di rigore” per tutta una serie di dimensioni del fatto letterario che non sono quelle necessariamente corrispondenti alle zone della letteratura italiana o interni alle lingue più conosciute sulle quali si può aver acquisito maggior sicurezza.

Adone Brandalise è anche il direttore del Master in Studi interculturali istituito presso l’Ateneo patavino, che si configura come una dimensione formativa di sicura e impegnativa attualità, viste le recenti trasformazioni economico-sociali che incidono sulle attività culturali e sulla vita degli individui e delle comunità nel loro complesso. “È un’esperienza che continuamente si rimotiva”, ci comunica il nostro intervistato, nonostante la fatica e le difficoltà a concentrare le risorse su quanto è emergente. L’ambito delle attività del Master è un ambito che richiederebbe un cospicuo investimento nella ricerca per poter collegare i momenti della formazione a momenti particolarmente vivi in atto di ricerca senza i quali si rischia di costruire un nuovo complesso di convenzioni non aggiornate. Proprio perché questo non avvenga si tenta di innovare il patrimonio concettuale che il Master propone. Un altro problema con cui si devono confrontare i conducenti di questo corso è la mancanza di tempo e di spazio, che impedisce l’approfondimento delle tematiche rientranti nella struttura curricolare del Master. Per questo lo spazio specifico accordato all’ambito romeno è molto modesto, come d’altronde avviene per tutte le altre aree europee, ci confessa con rammarico Adone Brandalise. L’ideale sarebbe poter trasformare questo Master della durata di un anno in un corso biennale e poter organizzare più corsi di lingua, fra cui anche un corso di lingua romena. Il potenziamento del Master è però in gran parte condizionato anche dalla qualità complessiva delle politiche che verranno adottate in questo paese. Si tratta di scelte che possono determinare un atteggiamento di maggiore o minore disponibilità nei confronti della valorizzazione delle presenze umane. Un paese che riesca a valorizzare il proprio tessuto umano e culturale avrà sicuramente una naturale propensione a coinvolgere i flussi migratori in questo suo sforzo in positivo, facendo crescere consapevolezza, esperienze culturali, qualità dell’accoglienza. Verso la fine dell’intervista, Adone Brandalise auspica la costruzione di uno sviluppo più sostanzioso per ciò riguarda i rapporti con la cultura romena, all’interno di un ripensamento della realtà centro-europea-balcanica determinato anche dalla valorizzazione della diversità delle risorse e dei percorsi storici dei singoli paesi, che possa creare momenti per una riflessione originale.

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Un potente organismo di promozione della letteratura romena e della cultura romena, in genere, è l’Associazione italiana di romenistica che raduna le migliori forze della romenistica italiana, fra cui anche i romenisti dell’Università degli Studi di Padova. L’esistenza di questa Associazione ha reso possibile il mantenimento dello statuto di disciplina autonoma alla Lingua e letteratura romena, che rischia di essere riassorbita a livello ministeriale nella classe di concorso di Filologia romanza. La coscienza di gruppo ha permesso anche di concepire una ricerca interuniversitaria svolta in cinque sedi (anche a Padova), con 15 collaboratori coinvolti, che è stata assai lusinghevolmente accolta a livello nazionale: fondi MIUR di cofinanziamento hanno sostenuto il progetto. Il titolo di questa ricerca scientifica di rilevante interesse è Geografia e storia della civiltà letteraria romena nel contesto europeo. Obiettivo della ricerca è stato quello di studiare i tratti distintivi della civiltà letteraria romena in rapporto con i modelli delle culture dell’Occidente europeo. L’ipotesi di lavoro che un asse simbolico fondamentale attraversi l’intera civiltà romena, l’asse Oriente/Occidente è stato confermato dai contributi che i componenti delle cinque unità di ricerca hanno prodotto. Per quanto riguarda la prosa, il lavoro svolto dall’Università degli Studi di Torino ha messo a fuoco alcuni aspetti delle più recenti manifestazioni letterarie romene con particolare riguardo alla narrativa postmodernista e all’esplosione, successiva all’89, della memorialistica fino a quel momento non pubblicabile. I responsabili scientifici di questa ricerca sono convinti che il confronto di metodologie e approcci disciplinari diversi possano offrire agli studiosi e agli studenti un sicuro strumento di interpretazione critica della civiltà letteraria romena, aggiornato nei dati e nelle prospettiva. I risultati della ricerca sembrano, infatti, confluire verso una visione nuova, più moderna, costruita secondo una prospettiva diversa da quella delle storie della letteratura romena già esistenti che intendono l’evoluzione letteraria ancora come uno sviluppo lineare e progressivo della storia. Ci si aspetta, dunque, che questa sintesi originale della civiltà letteraria romena venga al più presto pubblicata, il che sta anche nelle intenzioni dei suoi compilatori[20]. Da simili personalità, che coltivano con perseveranza il pensiero che quello che è vero è anche utile, ci aspettiamo che continuino a promuovere l’identità romena concepita anche come una mise en abyme di una sintesi culturale europea.

 

 

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[1] Per maggiori dettagli su questo libro si veda Maria Bulei, Studi critici sulla narrativa romena del Novecento apparsi in Italia, in “Annuario dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia”, V. no. 5, 2003, pp. 415-425.

[2] Si veda A. Monteverdi, Ricordo di Ramiro Ortiz, estratto da “Cultura neolatina”, VIII, fasc. 1-2, 1948, pp. 91-94.

[3] Cfr. R. del Conte, Profilo di Ramiro Ortiz, in “Cultura neolatina”, XXVII, 1967, pp. 152-170.

[4] Si veda R. Ortiz, Varia romanica, La Nuova Italia, Firenze 1932, p. 287.

[5] Cfr. A. Monteverdi, op. cit., p. 94.

[6] Cfr. C. Isopescu, Ricordo di Ramiro Ortiz, estratto dall’“Osservatore romano”, no. 8, 1948, p. 3.

[7] Si veda la Commemorazione di R. Ortiz tenuta dal Prof. Carlo Tagliavini , in “Annuario dell’Università degli Studi di Padova”, 1948-1949, p. 279.

[8] Ibidem, p. 272.

[9] Cfr. R. Ortiz, op. cit., p. 465.

[10] Cfr. Idem, Introduzione, in Idem, Le poesie di Mihail Eminescu, Firenze 1927, p. LXII.

[11] Ibidem.

[12] Si vedano Lorenzo Renzi, Osservazioni sulla metrica di “Luceafarul”, in Mihai Eminescu. Antologia critica, a cura di Doina Derer, CIRSS–Anima, Milano–Bucarest pp. 209-215 e L. Renzi, Cioran trasfigurato in L’Indice dei libri del mese, no. 10, novembre 1995, p. 16.

[13] Alcune di queste considerazioni saranno riportate esattamente, come citazioni, e allo stesso modo si procederà con alcune risposte delle interviste che seguiranno.

[14] Jaca Book, Milano, 1987.

[15] Jaca Book, Milano, 1998.

[16] Jaca Book, Milano, 1997 (Introduzione, pp. IX-XXI, e traduzione dal francese di Roberto Scagno; Ia edizione italiana 1988).

[17] Jaca Book, Milano, 1992 (Introduzione, pp. 5-22, di Roberto Scagno, e traduzione dal romeno di Celestina Fanella).

[18] Si veda M. Bulei, op. cit.

[19] Siamo stati anche noi testimoni, durante il percorso universitario padovano, ad uno dei suoi affascinanti corsi.

[20] Per maggiori dettagli si veda il sito internet seguente: www3.humnet.unipi.it/air/ricerca.html.