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Istituto Romeno’s Publications
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Quaderni 2004
p. 459
L’Università di Padova e la promozione della letteratura romena
Maria Bulei,
Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di
Venezia
Soltanto a partire dal primo dopoguerra, quando interessi
politico-economici favorirono una conoscenza diretta reciproca fra l’Italia e
la Romania, si può parlare di una vera e propria promozione della
letteratura romena in Italia. Per incoraggiare l’interscambio dei valori
culturali vengono create in questo periodo varie istituzioni come l’Accademia
di Romania in Roma (1922), la Casa Romena di Venezia (1930), l’Istituto per
l’Europa Orientale (1920) e la Camera di commercio italo-romena fondata nel
1920 a Milano. L’intenso rapporto di studio e la reciproca stima fra le intellighenzie
su cui puntano le attività svolte da queste istituzioni contribuiscono
al sorgere di un clima propizio per l’affermarsi di tutta una serie di
personalità italiane e romene. Il ruolo di tanti di questi studiosi
sarà, come si vedrà più avanti, decisivo per la promozione
delle cultura romena in Italia.
Per quanto riguarda la lingua e la
letteratura romena i promotori più illustri li troviamo fra i docenti di
questa materia presso le università italiane. Riteniamo importante
ricordare che la lingua romena fu la prima lingua straniera insegnata nelle
università italiane. L’insegnamento fu iniziato all’Università di
Torino dal noto filoromeno Giovenale Vegezzi–Ruscalla, intermediario nel 1859
tra Cavour e Vasile Alecsandri, allora Ministro degli Esteri del Principato di
Moldavia. Il corso di romeno durò dal 1863 fino al 1879, ma viene poi
ripreso nel Novecento da vari italiani fra cui Romeo Lovera e Mario Ruffini.
La diffusione del romeno in Italia è legata
soprattutto al diffondersi in Romania dell’insegnamento dell’italiano, nelle
cattedre universitarie, nelle scuole secondarie romene e nelle sedi sempre
più numerose dell’Istituto di cultura italiana in Romania. Nei primi
decenni del Novecento, tanti promotori della lingua e letteratura romena in
Italia furono studiosi italiani che, inviati in missione in Romania,
s’interessano al paese in cui vivono, vi imparano la lingua e in seguito sono
indotti a scrivere, a tradurre e a trasmettere ai loro connazionali la nostra
cultura.
Un nome che non può che fare onore alla
romenistica italiana è quello di Ramiro Ortiz, colui che, dopo un lungo
soggiorno in Romania, proprio settant’anni fa diventa titolare della cattedra
di lingue e letterature neolatine presso l’Università di Padova,
cattedra nell’ambito della quale prenderà avvio il corso di lingua e
letteratura romena.
È per ben 24 anni, dal 1909 al 1933, che Ortiz si
trova in contatto con l’humus romeno in quanto viene chiamato a insegnare
lingua e letteratura italiana presso
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l’Università
di Bucarest per rafforzare e diffondere in Romania la cultura italiana.
Missione nobile la sua, che lo porta ad immedesimarsi talmente con la patria di
adozione, che la sua partenza dalla Romania ha una risonanza grande, su scala
nazionale, con festeggiamenti pubblici e ampi echi sulla stampa. In tutto
questo tempo Ortiz inizia un’intensa attività filologica nel campo della
letteratura romena e dei contatti italo-romeni tanto che, nel 1937, quando era
oramai da quattro anni alla cattedra di lingue e letterature neolatine a
Padova, si definiva “professore di filologia romanza specializzato in cose
romene”.
Sono in tanti ad aver detto che Ortiz è stato il
maggiore e migliore conoscitore in Italia della lingua e della letteratura
romena. Fra i suoi manuali romeni che si consultano tutt’ora con profitto
ricordiamo la Letteratura romena[1]
apparsa nel 1941, la prima storia completa della nostra letteratura in Italia,
e il Manualetto romeno del 1936. Quest’ultimo, per citare Angelo
Monteverdi, “porta solo per vezzo questo suo tradizionale diminutivo”[2],
trattandosi in realtà di un volume di notevole estensione dove
un’accurata introduzione storica, linguistica e letteraria precede
un’interessante antologia di prose e poesie romene. Non possiamo non
soffermarci anche sulla sua pregevole Letteratura romena. In quest’ampia
presentazione del patrimonio letterario romeno, Ortiz abbraccia quattro secoli
di evoluzione, caratterizzandoli attraverso le personalità che hanno
marcato più energicamente una corrente o un’epoca – “un quadro critico”
che, secondo Rosa del Conte, “s’impone sia per la felicità di rapide ed
acute intuizioni, […] sia per equilibrio di definizione critica”[3].
Le sue definizioni che mirano a cogliere l’essenza, le sue considerazioni,
spesso in chiave comparatistica, provano la sua seria formazione culturale e la
sua libertà di giudizio. Poco importa se ai suoi raffronti, talvolta
sottili, non sempre il lettore sia disposto a consentire. L’Ortiz stesso se ne
rende conto e in un saggio dei Varia romanica confessa che cerca
soltanto di comunicare ad altri le sue impressioni e di darne le ragioni[4].
La sua è una lezione di “devota e operosa umiltà dinanzi alla
divinità della scienza”[5],
annota il grande filologo Angelo Monteverdi nel ricordare Ortiz.
Ma questa è soltanto una delle lezioni di vita che
una personalità dai molteplici risvolti come la sua ha saputo dare
affrontando con fervore e passione qualsiasi attività culturale avesse
deciso di intraprendere. Durante la sua lunga carriera universitaria Ortiz ha
dimostrato di essere “il maestro che sente il dovere di perennemente
arricchirsi per potersi perennemente donare”[6].
Lo dice Claudio Isopescu, suo discepolo e collega, che
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negli
anni Venti diventa docente di lingua e letteratura romena presso
l’Università La Sapienza di Roma. Accanto alla testimonianza di Isopescu
ne possiamo elencare tante altre, di studenti che lo hanno conosciuto e gli
hanno apprezzato il permanente culto del bello e l’arte con cui sapeva
insegnare. Nel 1933, in occasione della sua partenza da Bucarest, gli studenti
del Seminario di letteratura italiana gli dedicano un intero numero della
rivista Roma, fondata dallo stesso Ortiz nel 1920. Il futuro italianista
Alexandru Marcu, George Călinescu, che diventerà il più grande
critico letterario romeno, e che afferma di dover all’illustre professore il
meglio di sé, e tanti altri evocano con commozione la devozione di Ortiz e i
suoi corsi, sempre vivi e pieni di fascino.
Interessato a formare discepoli che possano propagare a
loro volta il “verbo e la civiltà d’Italia”, Ortiz, negli anni
d’insegnamento a Bucarest, avverte nei suoi carteggi con Carlo Tagliavini e con
altri studiosi italiani, l’aumento delle iscrizioni al suo corso ma anche lo
scarso numero degli studenti che si laureano in italiano dovuto
all’insufficiente presenza di cattedre nei licei. Egli si scaglia così
contro “l’inerzia assoluta” da parte del governo italiano che pretende di avere
influenza all’estero, ma “quando c’è da fare qualcosa si tira indietro e
si lascia battere dalla propaganda francese”[7].
Una volta tornato a Padova, in qualità di docente
di lingue e letterature neolatine, Ramiro Ortiz si coinvolgerà con lo
stesso fervore nell’insegnamento della nuova materia. Nel 1945 egli diventa
ufficialmente anche professore incaricato di lingua e letteratura romena che da
quell’anno appare come materia d’esame. Anche la biblioteca di Padova dovrebbe
essere grata a Ortiz; grazie ai suoi rapporti personali essa si arricchisce di
preziose donazioni dalla Romania.
Si, Ramiro Ortiz è sicuramente una persona che si
vorrebbe aver conosciuto. Membro onorario dell’Accademia Romena, direttore
dell’Istituto italiano di cultura di Bucarest, egli rimane, però, nella
memoria di tanti, come ottimo professore e critico letterario. Gli studi romeni
gli devono una larghezza di orizzonti fino a lui sconosciuti in Italia. “Se la
lingua romena entra in ogni trattato comparativo di linguistica romanza, la
letteratura romena, che ha un fondo diverso dalle letterature neolatine
dell’Occidente, è per il neolatinista un campo del tutto nuovo”[8].
Ma Ortiz non si scoraggia e approfondisce le sue ricerche sui caratteri
originali della letteratura romena, ma anche su quei caratteri che l’accomunano
ai popoli del Sud-Est europeo, compresa quella latinità orientale di cui
oggi si comincia ad apprezzare in giusta misura la funzione unificatrice.
Queste ricerche lo portano ad esprimere la convinzione che la nostra
letteratura colta dovrà far ritorno alla letteratura popolare ogni volta
che vorrà ritrovare la sua specificità, la sua anima. Il genio di
Eminescu si precisa –come afferma Ortiz– anche per questo, per “l’innesto che
egli fa sulla sua della poesia popolare […] che modificò e
raffinò, versando nelle sue forme tutto il tesoro del suo sentimento e
temperamento di poeta
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originalissimo”[9].
Il critico italiano si accosta a Eminescu come ad un poeta dall’immortale
attualità, ancora appassionatamente amato e sentito per quel suo ideale
di bellezza e di verità cui anelava con tutto il suo essere. Più
che degli smarrimenti morali e spirituali, rappresentati soprattutto dalla voce
sirenica dei sistemi filosofici e culturali nullistici allora in voga
nell’Occidente, più che dell’Eminescu filosofo, Ramiro Ortiz preferisce
parlare dell’Eminescu “puro artista, puro poeta”: “per me le poesie, nelle
quali Eminescu è più Eminescu che altrove sono proprio quelle in
cui nessun elemento allotrio entra a turbare il flusso melodioso
dell’ispirazione lirica pura, la serenità e la freschezza del paesaggio
romeno perfettamente rievocato, per cui a me piace definir Eminescu il poeta
della selva e della polla”[10].
Nell’auspicare l’avvento di un critico capace di riecheggiare e ricreare “la
poesia infinitamente dolce e suggestiva, delicata, aerea, il cui fascino
consiste più nei sentimenti che suggerisce il verso incredibilmente
armonioso e musicale, che in quello che realmente dice”[11],
Ortiz approda ad un ideale di critica considerata come una specie di
collaborazione alla poesia. Ad una critica dogmatica Ortiz contrappone
così la necessità di imparare a sentire, in questo caso, un’anima
che si è fatta parola, una parola investita dall’universalità
dello spirito. La sensibilità di Ortiz per una poesia aurorale come
quella di Eminescu si manifesta ancor di più quando egli si accinge a
tradurre per la prima volta tutte le liriche pubblicate in vita da Eminescu. Il
prezioso volumetto racchiude anche un’ampia introduzione di più di
sessanta pagine e delle note che intendono contestualizzare ciascun
componimento e spiegarne la scelta di certi termini per la versione italiana.
È interamente pervaso da toni delicati e affettuosi, questo libro,
già dalla dedica: “Su queste pagine/sacre all’amore di là della
tomba/come su bianca pietra sepolcrale/scrivo in lettere/che vorrei avessero il
fulgore del sole/ e la saldezza del granito/ il nome/ di BICE ORTIZ/ la cara
piccola donna/ che vi ha collaborato/ colla gioia/ del suo canto primaverile,/
colla luce/ delle sue pupille sorridenti,/ coi fiori/ di cui ornava la mia
stanza da studio. Sulla tomba lontana/ cadan queste parole/ come poveri e
tristi/ fiori di campo”.
Sono incontestabili la grande probità filologica e
l’efficace corrispondenza di colorito stilistico con le quali Ortiz ha saputo
affrontare la traduzione di questi capolavori emineschiani. Ne è consapevole
anche Rosa del Conte che non sempre ha apprezzato i suoi lavori. La convinzione
di Ortiz è che “la poesia consiste in gran parte in immagini, e
perciò le immagini dei poeti vano conservate anche se posson sembrar
ardite”. Ed è grazie a Eminescu che la poesia romena arrivò a
conoscere “tanto sfavillio di immagini”. È stato lui a sollevarla in una
zona abbagliante di luce e a trasfigurarla.
“La grande arte è sempre un atto d’amore”,
affermò una volta Alberto Moravia. E Ramiro Ortiz, nel corso della sua
vita, non fece altro che dimostrarcelo. I docenti che dopo Ramiro Ortiz si
susseguono alla cattedra di lingua e letteratura romena di Padova affrontano
nei loro corsi una vasta gamma di argomenti per mantenere vivo l’interesse
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degli
studenti per questa materia. Volgendo uno sguardo ai programmi dei corsi
riportati nei Bollettini della Facoltà di Lettere dell’Università
degli Studi di Padova, dagli anni Cinquanta in poi, possiamo notare l’alta
frequenza con cui ricorrono gli argomenti di prosa. Alessandrina Mititelu, che
un anno dopo la scomparsa di Ortiz viene nominata professore incaricato di
lingua e letteratura romena, dedica quasi la metà dei suoi corsi
monografici a temi riguardanti la prosa romena novecentesca. Ne riportiamo qui
soltanto alcuni: il corso “Prosatori moderni. Lettura e commento dei testi
scelti” dell’anno accademico 1952-1953, “Il gruppo Gândirea. Brani
scelti dagli scrittori più rappresentativi del gruppo” dell’anno
seguente, “I romanzi di Liviu Rebreanu” del 1961-1962, “La novella ed il
romanzo nei primi decenni del Novecento”, corso del 1963-1964. Negli anni
Settanta, il professore Sorin Stati presta particolare attenzione alla
letteratura romena del Novecento. Gli argomenti principali dei suoi corsi sono:
“I romanzieri del primo dopoguerra”, “Il XX secolo. La narrativa e il teatro”.
Anche Ion Neaţă approfondisce nel suo corso monografico, che si ripeterà
per quattro anni, un aspetto letterario novecentesco: “Il romanzo romeno tra le
due guerre mondiali: Rebreanu e Sadoveanu”.
Un illustre esempio del fatto che all’Università
degli Studi di Padova Ramiro Ortiz abbia impiantato una vera e propria scuola
di romenistica lo abbiamo nella persona di Lorenzo Renzi, docente di lingua e
letteratura romena dal 1986 fino al 1992. Nell’intervista pubblicata sul numero
5-6/2002 della rivista Steaua egli affermava: “Il mio incontro con la
lingua romena è stato uno degli incontri fondamentali della mia vita”.
Sulla scia degli studi intrapresi da Ortiz, il professor Renzi si è
avvicinato alla letteratura romena come ricercatore di folclore letterario. Fin
dal suo primo lungo soggiorno a Bucarest, però, egli si appassiona anche
ad alcune opere letterarie sia dell’Ottocento che moderni, alle liriche di
Marin Sorescu, Tudor Arghezi e Ion Barbu, alla narrativa di George Călinescu (Enigma
Otiliei, per esempio) che d’altronde non è stata neanche tradotta in
Italia e, più tardi, ai racconti e ai romanzi fantastici di Mircea
Eliade. Su Eminescu e Cioran, il professore ci ricorda che ha anche scritto degli
articoli in sedi giornalistiche e in antologie critiche[12].
Lorenzo Renzi continuerà a coltivare queste sue passioni nell’ambito dei
suoi corsi universitari: “Aspetti della cultura romena del Novecento. Il ruolo
della tradizione” (1988-1989), “Il meraviglioso e il fantastico nella
letteratura romena” (1987-1988), “Momenti della letteratura romena
dell’Ottocento e del Novecento: la lirica, il racconto breve” (1991-1992).
In quanto non esiste un progetto unitario di diffusione
della letteratura romena pensiamo che possano contare tanto le iniziative
individuali, le relazioni personali. Nell’intervista che ci è stata
concessa il 30 maggio 2003 abbiamo chiesto al professor Lorenzo Renzi di
parlarci del suo approccio con la letteratura romena, in particolar modo con
quella novecentesca, e della sua esperienza di collaborazione con una delle
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prestigiose
case editrici italiane. Nei seguenti due paragrafi ci rifaremo in gran parte
alle sue preziose considerazioni[13].
Il ruolo di consulente della casa editrice Il Mulino
può essere un’occasione da non perdere di far prestare un’attenzione
costante alla nostra letteratura. In questa sua qualità, Lorenzo Renzi
ha avuto la possibilità di conoscere abbastanza dall’interno una delle
più grandi case editrici di cultura d’Italia. Prova dell’impegno con cui
egli ha saputo svolgere questo suo incarico ne sono i cinque titoli di
saggistica e critica letteraria fra i quali ricordiamo la Teoria della
letteratura di Adrian Marino, pubblicati in soli tre anni presso la
prestigiosa casa editrice. Il consulente non è, però, una persona
che viene sempre ascoltata, ci tiene a precisare il professore, e “molte volte
si rimane delusi dal fatto che le proprie proposte non vengono accolte”. Subito
dopo la caduta del regime comunista in Romania, si verifica un moto d’interesse
per questo paese che era stato chiuso dalla Cortina di Ferro. È in
questo contesto che nasce presso Il Mulino l’iniziativa di diffondere alcuni
scrittori del passato rimasti in Romania, ma che erano stati soggetti alla
censura, come Constantin Noica. L’interesse per la cultura romena è,
però, di breve durata. Inoltre l’eco di gran parte di queste
pubblicazioni è decrescente oppure, in alcuni casi, inesistente,
così ché, alla fine di tutto non è stato più possibile
completare dei piani avuti allora in mente. Lorenzo Renzi ci confessa che il
suo “più grande desiderio” sarebbe stato quello di pubblicare Jurnalul
de la Păltiniş di Gabriel Liiceanu, “un libro straordinario”. Un altro
libro che il professore avrebbe voluto tradurre era Despărţirea de Goethe
di Noica, dedicato all’uomo contemporaneo, tema, dunque, di grande interesse. A
parte, invece, va considerato il libro di Marino, “straordinario poligrafo” i
cui studi critici, diventati libri di testo nelle università romene, si
configurano sin dall’inizio come preziose opere anche per gli studiosi
italiani. Il numero approssimativo delle tirature di queste pubblicazioni
presso Il Mulino è di 2000 copie, una tiratura che, nonostante le
apparenze, è seria. “La nostra condanna, vivendo in un’abbondanza
estrema, è quella di doverci confrontare alla fine con una frantumazione
estrema”. Sono pochissimi gli interessati ad una pubblicazione che non sia un
prodotto di massa con un lancio pubblicitario adeguato.
La letteratura romena del Novecento, in genere, “è
caratterizzata da un grande vigore, da una grande forza”. La sua “linea di
forte realismo”, spesso di ambienti contadini e operai, ha contrastato in un
certo senso con la scelta degli editori italiani di cercare opere raffinate
nell’Europa centrale comunista e postcomunista. Il risultato è stato che
opere come Moromeţii di Marin Preda non sono state tradotte e, dunque,
restano sconosciute. Ancora oggi, secondo il professor Renzi, la letteratura
romena, in complesso è poco visibile. Comunque, se si può, “non
è che uno deve adeguarsi troppo al pubblico, ma bisognerebbe riuscire a
pubblicare i libri migliori e vedere se per caso non hanno fortuna”. Anche dal
punto di vista editoriale, osserva con acutezza il romenista italiano, il
best-seller, in fondo è l’opera assolutamente imprevista, rifiutata
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magari
da tanti editori prima di apparire sul mercato. L’aspetto più
interessante della letteratura in un mondo che va per marketing, per operazioni
precostituiti è che il best-seller non può essere precostituito.
Non siamo riusciti a sapere dal professor Lorenzo Renzi se intende curare anche
altri numeri degli Studi romeni e romanzi apparsi nel 1995, ma noi lo
auspichiamo e ci auguriamo anche che i suoi progetti, le sue iniziative mirate
alla diffusione della nostra letteratura diano al più presto i loro
frutti.
Il professor Roberto Scagno, l’attuale docente di lingua
e letteratura romena presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università
degli Studi di Padova si sta invece rendendo noto per la sua dedizione al
pensiero e all’opera di Mircea Eliade. Oltre a collaborare alla realizzazione
di due solidi volumi di esegesi eliadiana come Mircea Eliade e l’Italia[14]
e Confronto con Mircea Eliade. Archetipi mitici e identità storica[15],
Roberto Scagno ha curato l’introduzione e la traduzione italiana di alcune
opere del celebre scrittore. Spezzare il tetto della casa. La
creatività e i suoi simboli[16]
e Il romanzo dell’adolescente miope[17],
apparsi presso la stessa casa editrice, ne sono soltanto due esempi. Negli anni
Ottanta, ci racconta il professore nell’intervista concessa il 1 luglio 2003,
la Jaca Book aveva programmato di creare una sezione di prosa romena e i
romanzi brevi (per il rischio economico che possono correre, gli editori sono
spesso contrari alla pubblicazione di grosse narrazioni) che il professore
aveva pensato di proporre ai lettori italiani erano quelli di Sorin Titel,
Ştefan Agopian oppure del corrente della cosiddetta Scuola di Târgovişte. Il
progetto, però, fallì presso la Jaca Book e questa proposta non
fu accolta neanche dalla E/O, un’altra casa editrice specializzata nella
pubblicazione delle opere provenienti dall’Europa centrale. Un’altra occasione
perduta (sembra che ci sia stato un intervento da parte del regime per bloccare
l’uscita del libro) è stata quella di pubblicare presso la Feltrinelli
l’Ostinato di Paul Goma, impresa che avrebbe rappresentato un lancio
anche per la letteratura memorialistica dall’interno della Romania. La
traduzione italiana del libro, curata da Marco Cugno, docente di lingua e
letteratura romena presso l’Università degli Studi di Torino, noto
traduttore e romenista, aspetta tutt’ora, chiusa in un cassetto, un editore che
possa portarla alla luce.
Un aspetto che rende difficile la penetrazione della
prosa romena attuale nel contesto e nel dibattito culturale italiano è
anche la scarsa collaborazione con le varie istituzioni romene come l’Istituto
della Lingua Romena e l’Istituto Culturale Romeno, già Fondazione
Culturale Romena, che dovrebbero segnalare i migliori titoli pubblicati in
Romania. Inoltre, il professor Scagno avverte la necessità di
finanziamenti da parte romena per la traduzione di questi testi, il che
renderebbe possibile la loro pubblicazione da parte degli editori con cui i
romenisti italiani sono già in contatto.
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I corsi universitari del professor Roberto Scagno tendono
ad incentrarsi sulla prosa novecentesca romena, e non soltanto dell’esilio. Per
dimostrarlo ne riportiamo qui alcuni argomenti: “Vasile Voiculescu poeta e
prosatore: la dimensione religiosa dell’Oriente cristiano” (dell’anno
accademico 1995-1996), “La letteratura fantastica da Gala Galaction a Mircea
Eliade” (dell’anno accademico 1998-1999), “La letteratura fantastica da Mircea
Eliade ad Ana Blandiana” (1999-2000), “Il romanzo romeno interbellico: la
tradizione e i dilemmi della modernità” (2000-2001). La relazione
“autoctonismo-occidentalismo” nella cultura e nella letteratura romena
interbellica, i rapporti culturali italo-romeni sono altri temi affrontati dal
romenista di Padova. Con gli studenti dei primi due anni che non leggono ancora
romeno, egli preferisce affrontare la prosa romena tradotta, privilegiando i
classici come Liviu Rebreanu. Purtroppo, ci confessa il professore, il corso
finisce per essere molto tradizionale, basato sul passato, visto che per quanto
riguarda la letteratura contemporanea mancano le traduzioni e i commenti
critici che li accompagnino. L’anno scorso il professor Scagno ha realizzato
insieme al suo collega di neogreca, il professor Peri, un interessante
esperimento che ha coinvolto le letterature neogreca, serbo-croata, ungherese e
romena, dell’area balcanico-danubiana. Si è trattato di un’analisi di
teoria della narrazione prendendo esempi da alcuni romanzi classici dell’area,
che ha messo a fuoco alcuni punti in comune che caratterizzano questi tipi di
prosa come la sintassi libera, l’uso prevalente del discorso diretto.
Raffinate interpretazioni e riflessioni sulla letteratura romena impreziosiscono anche i corsi di Adone Brandalise, docente di Teoria della letteratura presso l’Università degli Studi di Padova. RingraziandoLa anche in questa sede per la disponibilità di parlarci della sua esperienza di studioso della letteratura romena, illustreremo di seguito alcuni aspetti emersi nell’intervista che ci è stata concessa il 24 febbraio 2004. Ancora in epoca d’infanzia, il riferimento letterario romeno faceva in qualche modo corpo per lui con l’immagine della cultura romena comunicatagli attraverso la presenza musicale di Dinu Lipatti, George Enescu, “a maggior ragione suggestiva perché si percepiva una particolarità culturale romena nella qualità singolarissima con cui veniva in realtà restituita una letteratura musicale che era quella della classicità moderna”. La Romania ha cominciato così a configurarsi per Adone Brandalise come “luogo in cui la cultura europea viene risentita con una particolare vicinanza a sue dimensioni vitali che nelle sue manifestazioni più centrate può in qualche modo sfuggire”. È rimasta costante per lui questa percezione di “una sensibilità culturale romena che evidenzia dimensioni immerse, non esplicitate ma rilevanti nella cultura dei grandi fari europei”. Si ricorda in questo senso la relazione con il mondo culturale francese e parigino che è sempre stato per la Romania una sorte di terminale privilegiato verso l’Occidente europeo, per cui, nel caso di tutta una serie di personalità romene, “è esemplare un’esistenza più che mai romena in quanto parigina”. Anche Ion Luca Caragiale viene ricordato come una figura abbastanza assimilata ad un clima parigino tardo-ottocentesco come una sorte di “autore da teatro boulvardier sul Mar Nero”. I rappresentanti di una Romania diasporica, come Eugen Ionesco ed Emil Cioran sono stati presenti in posizione non secondaria in alcuni
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dei suoi corsi, ci tiene a precisare il nostro intervistato. Su di un altro versante, la letteratura romena gli si è manifestata attraverso l’intensità dell’elaborazione di un patrimonio tradizionale romeno di alcuni percorsi, come quelli intrapresi da Eliade e Culianu, tra i più importanti e anche tra i più discussi per ciò che riguarda quel grande ripensamento della dimensione religiosa, simbolica, una delle componenti importantissime della cultura europea del Novecento.
In questo scenario, “prevalentemente segnato da alcune
nervature concettuali, ma di una concettosità ipersensibile e tutta
tessuta di condensazioni letterarie” si inseriscono poeti come Tudor Arghezi,
Lucian Blaga. Lo studioso italiano pensa che, in qualche misura, potesse
entrare in rapporto con la mescola problematica romena anche il rappresentante
di una zona di confine nel sentimento di una patria cancellata, come Paul Celan
che sentiva vicino il flusso cosmopolita proveniente da Bucarest. C’è da
notare che alcune opere degli scrittori già ricordati sono state lette
dall’illustre ricercatore nella versione originale, il che spiega anche la
forte suggestione che esse hanno avuto su di lui.
In seguito, abbiamo chiesto ad Adone
Brandalise di parlarci delle possibilità che le opere letterarie romene
hanno d’inserirsi con particolare efficacia nell’ambito di un mercato
letterario come quello italiano che non è caratterizzato da
quantità adeguate a quanto potrebbe essere associato al nome d’Italia.
Si penserebbe, in definitiva, che in Italia si dovrebbe leggere molto di
più di quanto in realtà si legge. Nello stesso tempo, a suo
avviso, l’editoria italiana non si può definire un’editoria disattenta,
vista nel complesso la moltitudine di traduzioni da lingue straniere anche
culturalmente non dominanti. Per ciò che riguarda la Romania, “fino ad
oggi è mancato un movimento centripeto di riconduzione a qualcosa che
rinviasse all’insieme della cultura romena nell’appropriazione di singoli
fenomeni della cultura romena. Una certa suggestione mioritica trapela,
sicuramente, da Mircea Eliade, da Cioran e incoraggia, però c’è
una maggior propensione a sfruttare una pensosità indisciplinata e
acuminata, uno sguardo sorprendente sull’orizzonte europeo, piuttosto che una
dimensione più radicata in un mondo poco noto come quella che
caratterizza la narrativa”. Inoltre, aggiunge il nostro intervistato, negli
ultimi decenni, la Romania non ha più espresso un cinema capace di fare
da traino a questo interesse per la letteratura.
Un aspetto a sfavore della ricezione della nostra
letteratura in Italia, che abbiamo riscontrato nelle nostre ricerche[18],
è la quasi mancanza di studi di comparatistica. Riteniamo molto
importante, in merito a questo aspetto, l’opinione di un maestro della
comparatistica come Adone Brandalise, che spazia nei suoi corsi per una
moltitudine di aree tematiche letterarie[19].
“Una tradizione comparatistica esiste in Italia, manca piuttosto una
propensione a concepire lo studio della letteratura come uno studio che insegua
temi e problemi, grandi unità mitiche, grandi appuntamenti della
riflessione, e non uno studio costruito su oggetti delimitati e omogenei. La
nostra cultura accademica
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è
una cultura di singole letterature. Da noi gli studi letterari hanno sempre
avuto una forte caratterizzazione filologica e conseguentemente la
specificità della lingua ha finito per rappresentare un elemento di
confine molto marcato. Al di là della specifica disciplina comparatistica
manca la dimensione di uno studio in cui la letteratura sta al centro e
conseguentemente sono percorribili più letterature all’inseguimento di
un unico obiettivo e questo, indubbiamente, non giova alla conoscenza della
letteratura romena e in genere, delle letterature straniere. Lo studioso
italiano ritiene che ci debba essere un’assoluta specializzazione per dedicarsi
ad un’altra letteratura”. Questo è un limite, ci confessa Adone
Brandalise, così come può avere i suoi limiti anche un approccio
enciclopedico della letteratura. Sarebbe invece saggio, a suo parere, su basi
diversi, giustificare “una curiosità armata di rigore” per tutta una
serie di dimensioni del fatto letterario che non sono quelle necessariamente
corrispondenti alle zone della letteratura italiana o interni alle lingue
più conosciute sulle quali si può aver acquisito maggior
sicurezza.
Adone Brandalise è anche il direttore del Master
in Studi interculturali istituito presso l’Ateneo patavino, che si configura
come una dimensione formativa di sicura e impegnativa attualità, viste
le recenti trasformazioni economico-sociali che incidono sulle attività
culturali e sulla vita degli individui e delle comunità nel loro
complesso. “È un’esperienza che continuamente si rimotiva”, ci comunica
il nostro intervistato, nonostante la fatica e le difficoltà a
concentrare le risorse su quanto è emergente. L’ambito delle
attività del Master è un ambito che richiederebbe un cospicuo
investimento nella ricerca per poter collegare i momenti della formazione a
momenti particolarmente vivi in atto di ricerca senza i quali si rischia di
costruire un nuovo complesso di convenzioni non aggiornate. Proprio perché
questo non avvenga si tenta di innovare il patrimonio concettuale che il Master
propone. Un altro problema con cui si devono confrontare i conducenti di questo
corso è la mancanza di tempo e di spazio, che impedisce
l’approfondimento delle tematiche rientranti nella struttura curricolare del
Master. Per questo lo spazio specifico accordato all’ambito romeno è
molto modesto, come d’altronde avviene per tutte le altre aree europee, ci
confessa con rammarico Adone Brandalise. L’ideale sarebbe poter trasformare
questo Master della durata di un anno in un corso biennale e poter organizzare
più corsi di lingua, fra cui anche un corso di lingua romena. Il
potenziamento del Master è però in gran parte condizionato anche
dalla qualità complessiva delle politiche che verranno adottate in
questo paese. Si tratta di scelte che possono determinare un atteggiamento di
maggiore o minore disponibilità nei confronti della valorizzazione delle
presenze umane. Un paese che riesca a valorizzare il proprio tessuto umano e
culturale avrà sicuramente una naturale propensione a coinvolgere i
flussi migratori in questo suo sforzo in positivo, facendo crescere
consapevolezza, esperienze culturali, qualità dell’accoglienza. Verso la
fine dell’intervista, Adone Brandalise auspica la costruzione di uno sviluppo
più sostanzioso per ciò riguarda i rapporti con la cultura romena,
all’interno di un ripensamento della realtà centro-europea-balcanica
determinato anche dalla valorizzazione della diversità delle risorse e
dei percorsi storici dei singoli paesi, che possa creare momenti per una
riflessione originale.
p. 469
Un potente organismo di promozione della letteratura
romena e della cultura romena, in genere, è l’Associazione italiana di
romenistica che raduna le migliori forze della romenistica italiana, fra cui
anche i romenisti dell’Università degli Studi di Padova. L’esistenza di questa
Associazione ha reso possibile il mantenimento dello statuto di disciplina
autonoma alla Lingua e letteratura romena, che rischia di essere riassorbita a
livello ministeriale nella classe di concorso di Filologia romanza. La
coscienza di gruppo ha permesso anche di concepire una ricerca
interuniversitaria svolta in cinque sedi (anche a Padova), con 15 collaboratori
coinvolti, che è stata assai lusinghevolmente accolta a livello
nazionale: fondi MIUR di cofinanziamento hanno sostenuto il progetto. Il titolo
di questa ricerca scientifica di rilevante interesse è Geografia e
storia della civiltà letteraria romena nel contesto europeo.
Obiettivo della ricerca è stato quello di studiare i tratti distintivi
della civiltà letteraria romena in rapporto con i modelli delle culture
dell’Occidente europeo. L’ipotesi di lavoro che un asse simbolico fondamentale
attraversi l’intera civiltà romena, l’asse Oriente/Occidente è
stato confermato dai contributi che i componenti delle cinque unità di
ricerca hanno prodotto. Per quanto riguarda la prosa, il lavoro svolto
dall’Università degli Studi di Torino ha messo a fuoco alcuni aspetti
delle più recenti manifestazioni letterarie romene con particolare
riguardo alla narrativa postmodernista e all’esplosione, successiva all’89,
della memorialistica fino a quel momento non pubblicabile. I responsabili
scientifici di questa ricerca sono convinti che il confronto di metodologie e
approcci disciplinari diversi possano offrire agli studiosi e agli studenti un
sicuro strumento di interpretazione critica della civiltà letteraria
romena, aggiornato nei dati e nelle prospettiva. I risultati della ricerca
sembrano, infatti, confluire verso una visione nuova, più moderna,
costruita secondo una prospettiva diversa da quella delle storie della letteratura
romena già esistenti che intendono l’evoluzione letteraria ancora come
uno sviluppo lineare e progressivo della storia. Ci si aspetta, dunque, che
questa sintesi originale della civiltà letteraria romena venga al
più presto pubblicata, il che sta anche nelle intenzioni dei suoi
compilatori[20]. Da simili
personalità, che coltivano con perseveranza il pensiero che quello che
è vero è anche utile, ci aspettiamo che continuino a promuovere
l’identità romena concepita anche come una mise en abyme di una
sintesi culturale europea.
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narrativa romena del Novecento apparsi in Italia
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(2004) (a cura di Ioan-Aurel Pop e Cristian Luca), Bucarest: Casa Editrice dell’Istituto
Culturale Romeno, 2004
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Bucharest, Romania
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[1] Per maggiori dettagli su questo libro si veda Maria
Bulei, Studi critici sulla narrativa romena del Novecento apparsi in Italia,
in “Annuario dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia”,
V. no. 5, 2003, pp. 415-425.
[2] Si veda A. Monteverdi, Ricordo di Ramiro Ortiz,
estratto da “Cultura neolatina”, VIII, fasc. 1-2, 1948, pp. 91-94.
[3] Cfr. R. del Conte, Profilo di Ramiro Ortiz, in
“Cultura neolatina”, XXVII, 1967, pp. 152-170.
[4] Si veda R. Ortiz, Varia romanica, La Nuova
Italia, Firenze 1932, p. 287.
[5] Cfr. A. Monteverdi, op. cit., p. 94.
[6] Cfr. C. Isopescu, Ricordo di Ramiro Ortiz,
estratto dall’“Osservatore romano”, no. 8, 1948, p. 3.
[7] Si veda la Commemorazione di R. Ortiz tenuta dal
Prof. Carlo Tagliavini , in “Annuario dell’Università degli Studi di
Padova”, 1948-1949, p. 279.
[8] Ibidem, p. 272.
[9] Cfr. R. Ortiz, op. cit., p. 465.
[10] Cfr. Idem, Introduzione, in Idem, Le poesie di
Mihail Eminescu, Firenze 1927, p. LXII.
[11] Ibidem.
[12] Si vedano Lorenzo Renzi, Osservazioni sulla metrica
di “Luceafarul”, in Mihai Eminescu. Antologia critica, a cura di
Doina Derer, CIRSS–Anima, Milano–Bucarest pp. 209-215 e L. Renzi, Cioran
trasfigurato in L’Indice dei libri del mese, no. 10, novembre 1995,
p. 16.
[13] Alcune di queste considerazioni saranno riportate
esattamente, come citazioni, e allo stesso modo si procederà con alcune
risposte delle interviste che seguiranno.
[14] Jaca Book, Milano, 1987.
[15] Jaca Book, Milano, 1998.
[16] Jaca Book, Milano, 1997 (Introduzione, pp. IX-XXI, e
traduzione dal francese di Roberto Scagno; Ia edizione italiana
1988).
[17] Jaca Book, Milano, 1992 (Introduzione, pp. 5-22, di
Roberto Scagno, e traduzione dal romeno di Celestina Fanella).
[18] Si veda M. Bulei, op. cit.
[19] Siamo stati anche noi testimoni, durante il percorso
universitario padovano, ad uno dei suoi affascinanti corsi.
[20] Per maggiori dettagli si veda il sito internet seguente:
www3.humnet.unipi.it/air/ricerca.html.