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Ramiro Ortiz
Carmen Burcea,
Università di Bucarest
“Giunto
dall’Italia di Dante sulle terre sfiorate dalle onde del vecchio Istro”, Ramiro
Ortiz incarna un periodo cruciale nelle relazioni culturali italo-rumene,
divenendone il fulcro stesso.
Anche se ci limitassimo soltanto a richiamare alla memoria tre dalle
sue realizzazioni – il volume Per la storia della cultura italiana in Rumania (1916)[1] di
rilevanza basilare per la letteratura comparata in Romania, che lui stesso
preannuncia al lettore come libro d’amore e non d’erudizione (“Vai
libro mio, e a quanti vorran gabellarti per un libro d’erudizione, rispondi col
mesto sorriso di chi e solo a parte del proprio dolce segreto, che sei libro
d’amore”); l’esegesi della Divina Commedia nella traslazione di George
Coşbuc (1925)[2]; la versione
italiana della lirica di Eminescu (1928)[3]
– il nostro Ortiz nulla perderebbe della sua personalità di spicco. Il
seguace Alexandru Marcu andrebbe forse considerato suo emulo per eccellenza,
cosa che per un vero docente non può essere altro che motivo di
soddisfazione.
Dottore
honoris causa della R. Università di Padova, Professeur Agregè
dell’Università di Digione, Membro onorario dell’Accademia Romena e
Corrispondente della “Commissione per i Monumenti Storici” di Romania, Membro
effettivo dell’Arcadia, Socio corrispondente del Reale Istituto Veneto di
Scienze, Lettere ed Arti, Ortiz ebbe il “Diploma di Benemerenza” della “Dante
Alighieri”, fondò e diresse per 13 anni (1921-1933) la rivista “Roma”
per la diffusione della cultura italiana in Romania e l’Istituto di Cultura
Italiana di Bucarest (1924-1933)[4].
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Ricoperto
di onorificenze, ma privo di beni materiali e afflitto da molti tormenti lungo
l’arco della sua vita, Ramiro Ortiz viene il più delle volte dimenticato
dai nostri contemporanei, sebbene all’inizio del ventesimo secolo fosse il
simbolo dell’Italia alle foci del Danubio e l’ambasciatore spirituale della sua
terra natale in Romania[5].
Proviamo
ad individuare i suoi predecessori e gli amici fidati, a scoprire le tappe
della sua formazione e attività. Cerchiamo di ricostituire il percorso
di quest’intellettuale che non restò dietro alla sua cattedra – laddove
rappresentò l’apostolato del magistero italiano – ma divenne parte
integrante del movimento culturale e sociale della Romania nell’intervallo fra
le due guerre mondiali.
1. I precursori
La
cultura italiana è penetrata nei paesi romeni seguendo svariati
itinerari[6],
tanto diretti – tramite i contatti con le repubbliche marinare Genova e Venezia
nel lontano medioevo, quanto indiretti – attraverso la Polonia nel
Rinascimento; la Grecia nell’età fanariota (per mezzo delle traduzioni);
e la Francia.
Tali influssi si materializzano nelle
opere di linguistica e nella produzione letteraria (teatro, stampa, etc.).
Troviamo numerosi esempi: il libro di grammatica di Ienăchiţă Văcărescu –
Observaţii sau băgări de seama asupra regulilor şi rânduielilor gramaticii
româneşti (1787) – s’ispira a un modello italiano[7],
nella celebre biblioteca dei Mavrocordati, desiderata appassionatamente da
Clemente XII e Ludovico XV di Francia, i libri di glottologia, letteratura,
arte e storia italiana erano i più numerosi; riverberi della produzione
letteraria italiana emergono nei lavori di Vasile Alecsandri, Costache Negri,
Delavrancea, Duiliu Zamfirescu, ecc; le compagnie teatrali italiane mettono in
scena rappresentazioni tratte dalle opere di Goldoni, Alfieri, Metastasio, alle
quali Luigi Ademollo dedica apprezzabili cronache[8];
Luigi Cazzavillan dà vita ai periodici bilingui e al collegio italiano
“Regina Margherita” che svolgerà per svariati anni un’efficace
attività[9].
Il movimento italianista raffigurato da
Heliade Rădulescu[10]
in Valachia e Giorgio Asachi[11]
in Moldavia caratterizza il vertice dell’influsso culturale italiano in
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Romania.
Questo si sviluppa innanzitutto attraverso i quotidiani – Curierul Românesc
e Albina Românescă – che operano come strumenti ideali per la
divulgazione della cultura italiana.
Heliade, al quale Iorga fece un breve ma
affascinante ritratto, (“Eliad, coi suoi pregi cosi grandi e coi suoi
diffeti che talvolta lo situano nel risibile, resta un mito”) si era
schierato a favore dell’insegnamento dell’italiano in Romania. Di fronte alle
imputazioni di alcuni filologi, Aron Florian lo discolpava, rivelando che “Il
suo traguardo è quello di far penetrare le lettere latine (al posto di
quelle cirilliche), sotto una maschera, uno stratagemma: l’insegnamento della
lingua italiana”.
Nel piano d’insegnamento dell’Accademia
di Bucarest (creata secondo il consiglio dello Stolnic Cantacuzino, lo
storiografo formatosi a Padova) a parte “il gran dascăl” per il greco ne
era previsto uno anche per l’italiano[12].
Nell’ottocento
si assiste ad una vera espansione dell’italianistica – molti intellettuali
richiedono l’inserimento della lingua italiana nelle scuole rumene[13],
studiano (Simion Bărnuţiu, Al. Papiu Ilarian, Iosif Hodoş, Simion Marcovici),
peregrinano (Dinicu Golescu, Nicolae Bălcescu), oppure s’innamorano in Italia
(Asachi, Alecsandri).
I più rinomati promotori
dell’insegnamento di lingua italiana nella Romania del diciannovesimo secolo
sono Gerolamo Abbeatici, Orazio Spinazzolla e Gian Luigi Frollo.
Abbeatici, insegnante d’italiano a Galaţi
e Bucarest, “uno dei più attivi tra quelli che sono passati attraverso il
Danubio ed i Carpazi nell’epoca del nostro Romanticismo” è noto innanzi
tutto come autore di manuali (menzionati da Al. Marcu[14])
che testimoniano lo zelo col quale gli intellettuali di Bucarest seguivano le
lezioni d’italiano (e francese)[15].
Abbeatici si mise a disposizione dei principianti, organizzando dei corsi “le
domeniche dalle 10 alle due a Hanul Manuc, dove aveva la dimora”[16].
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Il napoletano Spinazzolla, “partecipante
al tumulto del 1848 nel suo paese, fu costretto ad esiliarsi, transitando Grecia
e Costantinopoli per giungere poi nei Principati Danubiani”. Qua compila
grammatiche e miscellanee per l’uso dei suoi seguaci[17],
ma anche per stimolare l’interesse per la letteratura italiana, in un momento
segnato dalla polemica filologica.
Spinazzolla, che è anche autore
dell’inno dedicato al Principe Al. I. Cuza nel 30 agosto 1865, chiese il suo
trasferimento dalla cattedra alla Scuola Santo Sava (1850-1870)
all’Università di Bucarest, di recente fondazione. Fu proprio lui il
primo ad ideare l’istituzione di una cattedra di lingua e letteratura italiana
nell’Università di Bucarest[18].
Una
relazione del console generale sardo nei Principati, Annibale Strambio a
Giuseppe Dabormida, ministro degli affari esteri nell’ amministrazione di La
Marmora, ci fornisce un altro elemento della biografia del pedagogo: sempre
concepita da Spinazzolla è l’idea di fondare un’analoga cattedra di
lingua romena in Italia. Strambio aveva infatti richiesto a Dabormida di
intercedere a favore di Spinazzolla per ottenere questa cattedra[19].
Tuttavia il progetto divenne realtà soltanto nel 1863
all’Università di Torino, grazie all’ intellettuale filorumeno Giovenale
Veggezzi Ruscalla[20].
Il veneziano Frollo (1832-1899)[21],
laureato in scienza del diritto all’Università di Padova, prima ancora
di compiere 24 anni, firmò un accordo con il grande negoziante greco di
Brăila, Domenico Zerman, che lo nomina precettore dei suoi figli. Più
tardi divenne professore al liceo Re Carlo I di Brăila (1863-1869) e Matei
Basarab di Bucarest (1869-1878). Nel frattempo elaborava grammatiche e
dizionari per fornire agli scolari strumenti di lavoro[22].
Sin
dal 1871[23], il Frollo
denunciò “la gallomania” dei coordinatori dell’istruzione
pubblica che collocando la lingua francese tra le discipline obbligatorie ed
istituendo una cattedra di francese in entrambe le università si
rivelavano più cattolici del Papa.
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Secondo Frollo, la soluzione era appunto
lo studio dell’italiano. Il professore richiedeva “che l’italiano fosse imposto
dalle autorità come qualche anno fa e com’è tuttora nelle scuole
commerciali, nel ginnasio di Brăila e
nel liceo di Bârlad”. Il suo suggerimento era quello di fondare nella
Facoltà di Lettere una nuova cattedra: filologia comparativa delle
lingue e letterature romanze.
Con
l’appoggio dei suoi amici – B. P. Hasdeu, Titu Maiorescu, Alexandru Odobescu –
il Frollo inizia la carriera accademica nel 1878 alla cattedra di Storia delle
Letterature Neolatine (rappresentata fino ad allora de Ulysse de Marsillac).
Dopo quattro decenni dedicati alla
scuola romena, Frollo scompare nel 1899 e viene sepolto nel famoso Camposanto
Bellu. Sono pochi quelli che lo commemorano, malgrado gli orientamenti
dell’istruzione ricevano un aggiornamento proprio per merito delle sue fatiche.
Poco tempo dopo emerge la necessità di assumere uno specialista di
lingua italiana. Cosi giunge a Bucarest un italiano “con qualche gocciola di
sangue spagnolo” – Ramiro Ortiz.
2.
La formazione[24]
Ramiro
Ortiz nacque a Chieti (Pescara) il 1 luglio 1879, figlio di Filomena Ruzzi e
dell’insegnante di lettere Giusto Ortiz. Studia al liceo “Antonio Genovesi”,
poi alla Facoltà di Lettere di Napoli con i maestri Bonaventura Zumbini
e Francesco d’Ovidio. Con la tesi di laurea[25]
consegue una borsa di studio al Reale Istituto di Studi Superiori e di
Perfezionamento di Firenze. Nella fase fiorentina dei suoi studi sarà
guidato da Pio Rajna ed Ernesto Giacomo Parodi, che lasciano un’impronta
decisiva sulla sua educazione. Sempre in questo periodo, segnato dal movimento
de La Voce, Ortiz lavora per diversi
corrieri.
A
partire dal 1903 insegna nei ginnasi di Lucera, Salerno e Napoli. Nel 1909
arriva a Bucarest, dove organizza un insegnamento di prestigio che attraversa
gli innumerevoli ostacoli di un’epoca difficile[26].
3.
La prima cattedra accademica
La
necessità di apprendimento della lingua italiana si afferma per merito
dei docenti Ion Bianu – ideatore della Biblioteca dell’Accademia Romena,
Nicolae Iorga – maestro di Storia medioevale e moderna, Ovid Densuşianu –
esponente della cattedra di Filologia Romanza. L’evento avviene all’epoca in
cui lo scienziato Spiru Haret era ministro dell’Istruzione.
Pio
Rajna risponde alla richiesta di Ion Bianu, suo ex allievo a Milano e indica
Ramiro Ortiz come possibile portavoce della cultura italiana a Bucarest.
Ortiz
stesso ricorda benissimo il momento: “Cosi fu che in una giornata piovosa
dell’autunno 1909 ricevetti dal mio amato e venerato Maestro una lettera, che
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doveva
cambiare il corso della mia vita e indirizzarla tutta a un fine ben chiaro:
rafforzare e diffondere in Rumania la cultura italiana decaduta dopo i primi
generosi tentativi di Ion Heliade Rădulescu e di Gheorghe Asaki, e nel
contempo, informare i miei compatrioti intorno alla storia, la letteratura,
l’arte, la cultura insomma, di questo popolo latino”[27].
Dopo
la morte di Rajna, Ortiz assegna al suo Seminario il titolo di “colonia scientifica
di quel Reale Istituto di Firenze, perché era sorto sotto il patrocinio di
Rajna” [28].
Sormontati
gli ostacoli burocratici, Ortiz si avvia verso Bucarest, in un mondo del tutto
ignoto, non con un semplice incarico ma con una missione: quella di diffondere
“il genio italiano”.
Con
la missiva no. 38438 dell’otto dicembre 1909, il Ministero dell’Istruzione
notificò di aver concluso una convenzione della validità di 10
anni col signor Ramiro Ortiz, nel ruolo di maestro di conferenze di lingua e
letteratura italiana, stipendiato con “350 lei mensili sottoposti alle tasse
legali”[29].
La
cattedra dipendeva dal budget dello stato, registrata ogni anno nel
bilancio del Ministero. Questo già di per sé la rendeva instabile.
Inoltre, non essendo l’italiano disciplina obbligatoria per laurearsi in
Filologia Romanza e visto lo scarso numero di cattedre nell’insegnamento
secondario, non c’era l’interesse materiale a frequentare il corso. Il nostro
Ortiz rimase perciò con un solo allievo – Al. Popescu Telega, futuro
ispanista e dirigente della rivista Năzuinţa.
Consapevole
che “le piante con forti radici sono appunto quelle che si maturano più
lentamente”, Ortiz dichiarava: “Non mi sono scoraggiato e per un anno intero ho
fatto delle lezioni con quell’unico alunno, come se avessi dinanzi a me
numerosi uditori”.
Gli
effetti non si fanno attendere. Nei prossimi anni il corso viene frequentato da
Maria Serafim, Emanoil Bucuţa, ecc.
I
primi tempi a Bucarest Ortiz li dedica allo studio del rumeno e dopo circa un
anno dimostra capacità di esprimersi tanto nella lingua scritta che in
quella parlata come fosse un romeno.
L’intervallo
1909-1913 è ricco d’iniziative, tutte portate a termine con eccellenza:
insegna al liceo Matei Basarab, dove si suppone che reclutasse i suoi studenti;
pubblica degli articoli nelle riviste dirette da Rădulescu Motru (Noua
Revistă Romană, Ideea Europeană) e nella rinomata rivista Convorbiri
Literare; prende parte al cenacolo Sburătorul di Lovinescu. Il grande
amico Vasile Pârvan mette a sua disposizione la casa editrice da lui gestita, Cultura
Naţională, per eventuali traduzioni dall’italiano. Tramite gli articoli e
le traduzioni, Ortiz attira l’attenzione del pubblico romeno sul movimento
culturale italiano.
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L’orgoglio
di Ortiz è perciò legittimato: “Sono stato il primo a parlare di
Fogazzaro, Pascoli, Pappini, Graf, Prezzolini e il movimento La Voce“ scrive
Ortiz in alcune cronache, successivamente collezionate in un volume, con un non
trascurabile successo[30].
Il
17 dicembre 1913, col decreto reale No. 6918 Ortiz viene proclamato docente
titolare alla cattedra di Lingua e Letteratura Italiana. Si configurava quindi
una cattedra distinta – dell’italianistica[31].
Il Senato ed il Consiglio della
Facoltà di Filosofia e Lettere avevano raccomandato Ramiro Ortiz come
professore definitivo al Ministero dell’Istruzione e dei Colti, in seguito alla
seduta del 20 novembre (con 11 voti a favore, due contro, un assente). Dal
verbale redatto in seguito alle sedute preliminare, riportiamo qualche
opinione:
Secondo Iorga “possiamo
rimandare l‘assegnazione, per dargli tempo di eseguire opere più grandi,
come per esempio una storia della letteratura italiana in lingua romena, tanto
utile per il nostro paese”. Lo stesso Iorga metteva in luce che “i lavori del
signor Ortiz sono tutti particolari; da questi si constata l’assenza di uno
studio generico, panoramico, com’è da esigere da uno studioso idoneo
d’insegnare nella nostra facoltà”.
Il suo giudizio è contrastato da Pârvan che conclude con una
sorta d’apprezzamento: “Ortiz possiede una vasta cultura, senza far caso della loquacità
tanto caratteristica dei latini”.
Coll’andar
del tempo le tematiche dei corsi si diversificano[32]
e il numero degli studenti aumenta da uno nel 1909 a 30 nel 1916, l’anno in cui
Ortiz comincia un lungo pellegrinaggio.
Però
fino a questo momento Ortiz ha dato tutto se stesso allo studio, nella sala di
lettura della Biblioteca dell’Accademia Romena. Lui stesso confessava:”Sono
ormai sette anni dal giorno in cui per la prima volta entrai nella sala di
lettura della Biblioteca dell’Accademia Rumena, e, da quel giorno, è
diventata per me una cara abitudine il passar molte ore della mattina, e spesso
anche del pomeriggio, a ricercar, nel silenzio delle cose, rotto soltanto da
qualche scricchiolio di seggiola o dal rumore delle pagine smosse, le antiche
orme, che dalla colonizzazione romana al Rinascimento, e dal Rinascimento fin
quasi a giorni nostri, la civiltà italica ha lasciate nella vita, nella
letteratura e nell’arte di questo popolo rumeno…”
Proprio
cosi se lo ricorda l’amico Lovinescu che scrive: “L’ho conosciuto nei primi
giorni dal suo arrivo davanti all’Accademia, dove prima ancora di essere in
grado di leggere Universul, decriptava le cirilliche da Curierul
e Albina românescă”[33].
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Questa
scelta di vita fu crudelmente interrotta dalla gran guerra.
4.
1916. Giorni di guerra.
Nell’autunno
del 1916, l’attività universitaria viene gravemente sconvolta a causa
dell’invasione tedesca e della difficile situazione generata nel vecchio
Regnato, costretto a trasferire le istituzioni rappresentative ad est dei
Carpazi, nella Moldavia tormentata dalla fame e dalle malattie.
“La
guerra incominciata il 15 agosto 1916 con la nostra offensiva in Transilvania
si è aggravata a causa dell’attacco della Bulgaria e della disfatta di
Turtucaia. Le nostre forze armate della Transilvania hanno ritenuto opportuno
ritirarsi e nonostante l’eroismo col quale hanno difeso i Carpazi ed il
Danubio, il nemico è riuscito a sfondare le frontiere del paese
conquistando Oltenia, Dobrogea e Muntenia. Il 22 novembre la capitale era
già occupata. Di conseguenza 2/3 del numero totale dei professori si
è rifugiata in Moldavia, alcuni costretti ad arruolarsi ed altri per non
rimanere sotto il dominio dell’aggressore” [34].
I
docenti di un'altra nazionalità ritornarono in patria nell’attesa di
tempi migliori per riprendere l’attività. Fra loro c’era pure Ortiz, che
patrocinava il debutto dell’insegnamento della lingua italiana in ambito
accademico:
“Dopo qualche mese di permanenza a
Iassy, l’eroica capitale dei giorni tristi, partii diretto in Italia, ma fui
costretto a fermarmi in Russia e a interrompere il mio viaggio per via della
rivoluzione che scoppiò una settimana appena dopo il mio arrivo a
Pietrogrado. Dopo otto mesi di peregrinazioni dalla Finlandia al Caucaso,
riuscii finalmente a partir per l’Italia, dove giunsi dopo cinquantasette
giorni di viaggio (da Soci nel Caucaso, a Napoli, attraverso Mosca,
Pietrogrado, Arcangelo, il Mare di Norvegia, Aalesund, Montrose nella Scozia,
Londra e Parigi) nel inverno del 1917”.
Le
impressioni di questa esperienza testimoniate in uno dei suoi brani presentano
sciagure, abbondano di racconti e rievocazioni, ma quello che più
colpisce è la malinconia che prova per la sua casa di Bucarest[35].
5.
Un quarto secolo in Romania
In
seguito alla prima guerra mondiale tanto l’Università di Cluj, ora
romena, che quella di Iasi inseriscono nei piani d’istruzione l’italiano
(Giandomenido Serra, Iorgu Iordan e Giuseppe Petronio ne sono i
rappresentanti). Nella capitale Ortiz riprende il corso dantesco. Le tematiche
saranno sempre più diversificate[36]:
“Non senza
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commozione
ricomincio dopo una lontananza cosi prolungata il mio corso sulla Vita di
Dante. Dolorosa fu la peregrinazione tra popoli stranieri, separato da
quello che tanto amai su questa terra. Allorché siamo partiti da casa, in quel
triste tramonto di novembre del 1916, nella sola valigia che l’autorità
militare ci ha consentito di prendere con noi non siamo riusciti a infilare
altri libri che due: la Sacra Scrittura e la Divina Commedia” [37].
Nel
1919 Ortiz sarebbe potuto restare a Napoli oppure a Digione ma pare che Dio e
Dante, le guide delle sue peregrinazioni, l’abbiano predestinato ai romeni.
Intanto,
nel 1920, la situazione dell’insegnamento dell’ italiano non era cambiata[38],
neppure cinque anni più tardi, nonostante gli sforzi del Professore. In
una lettera indirizzata al suo amico Tagliavini scriveva: “È un circolo
vizioso. Gli studenti non si laureano in italiano (o se ci si laureano prendono
poi altre vie) perchè mancano o son troppo poche le cattedre; le
cattedre non si istituiscono o si sopprimono per mancanza di professori.
C’è un po’ di cattiva volontà al Ministero e d’inerzia assoluta
da parte del nostro governo che pretende di avere influenza all’estero, ma
quando c’è da fare qualcosa si tira indietro e si lascia battere dalla
propaganda francese” [39].
Grazie
all’ideazione dell’Istituto di Cultura Italiana (1924) lo stato
dell’insegnamento d’italiano aveva avuto dei miglioramenti, ma era in ogni modo
lontano dagli ideali di Ortiz, che intendeva agire per conto suo,
intraprendendo un’effettiva campagna per sostenere la lingua e la cultura
italiana in Romania. Il referendum da lui promosso sulle pagine di “Roma”[40] ha un forte eco nei giornali del tempo, che pubblicano
ampi commenti. Ne deriva chiaramente la conclusione che “l’insegnamento
d’italiano non soddisfa soltanto un sentimentalismo”[41].
La
situazione si regolarizza man mano: la cifra degli studenti nell’anno
accademico 1928/29 supera i 200.
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Convinto
che “il seminario ha per gli studenti della Facoltà di Lettere lo stesso
significato del Laboratorio per quelli della Facoltà di Scienze”[42],
Ortiz dà vita al Seminario di Lingua e Letteratura Italiana nel
1921, nel sesto centenario dalla morte del versificatore fiorentino Dante
Alighieri [43]. Il braccio
destro sarà Anita Linden Belciugăţeanu*.
Un’aula
per il Seminario d’Italiano non esisteva ancora (il palazzo
dell’Università sarebbe stato costruito dopo qualche anno). Grazie a G.
G. Antonescu il direttore dell’Istituto Pedagogico Romeno viene ottenuto un
locale temporaneo.
Poi
nel 1922 organizza un ciclo di convegni sul Rinascimento “affidando al Maestro
Alfonso Castaldi la parte concernente la musica, allo scultore F. Stork quella
concernente la scultura, al pittore Arturo Verona la pittura, all’architetto
Cristoforo Cerchez l’architettura e al prof. Nae Ionescu la filosofia”.
In
una piccola e modesta stanza, adornata con mappe, fiori, statuette,
riproduzioni di famosi dipinti, vasi d’arte veneziana, litografie, manoscritti,
gazzettini e rassegne italiane, Ortiz aveva creato un’atmosfera inebriante e
gradevole, fatta apposta per l’esercitazione. L’intima atmosfera di uno studio
privato per gli studenti che venivano a lezione.
L’attività
del Seminario sarà evocata anche da Alexandrina Mititelu: “assieme a
circa venti studenti abbiamo decrittato, interpretato, glossato per amare per
sempre le più caratteristiche pagine della letteratura italiana,
sforzandoci insieme di trovare il testo più esatto, di eseguire la
più bella versione”[44].
Meridionale,
poco alto, quieto, col viso sempre sereno, Ortiz si affacciava davanti al
portone del suo seminario col mazzo di libri e riviste in mano. “Una
barzelletta o una battuta spiritosa era il suo modo di distendere l’atmosfera,
di introdursi nell’argomento. Il suo corso era ben distinto, lontano dal tipico
corso universitario declamato dalla cattedra, al punto che, dopo averlo
sentito, il corso letto sembrava privo di vita, del calore che emanava la sua
presenza” [45].
Il
seminario era stato visitato durante gli anni da personalità come il
ministro d’Italia a Bucarest Ugo Sola, il deputato Ezio Maria Gray, il
professor Ettore Romagnoli dell’Università di Bologna e Giorgio del
Vecchio dell’Università di Roma.
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Sempre
circondato dai giovani, Ortiz, “uomo di metodo e scienza tedesca, cosa mai
vista da noi un italiano che non parlasse di fratellanza, dalla Lupa, di
Traiano”[46], riesce ad
inculcare nei suoi seguaci la passione per lo studio. Quelli che gli stanno
attorno negli anni della formazione, diventeranno studiosi rinomati nel campo
dell’italianistica.
Ortiz
crea la più importante rivista rumena di cultura italiana, Roma (1921-1933),
col appoggio finanziario di Martin Franklin, Ministro d’Italia a Bucarest[47].
Su
stimolo personale dà vita all’Istituto di Cultura Italiana,
inaugurato nel 7 aprile 1924 e trasformato in istituzione statale il 2 aprile
1933[48].
Così si consolidano efficaci collaborazioni, a livello istituzionale,
col Università di Vălenii de Munte[49]
e la Scuola Romena di Roma[50].
Tutto ciò trovava un’eco nella divulgazione dei giornali in Italia[51].
Come
diplomato della Società Dante Alighieri e incaricato per la Romania dell’Università
di Perugia, Ortiz getta le basi della cooperazione coi fori di cultura
italiana. La continuità dei rapporti verrà comprovata anche dopo
il suo allontanamento.
La
Società Dante Alighieri eretta alla fine dell’ottocento con spirito irredentista,
puntava alla diffusione della lingua italiana nel mondo. La succursale di
Bucarest (coordinata, tra i tanti, da Benedetto de Luca, Luigi Mercali e Felice
Felicioni, con un fervente alleato in persona d’Antonelli Pasquale, dirigente
della scuola Regina Margherita) operava (fino il 1939) nella sede del Via Luigi
Cazzavillan No. 28. Il 12 febbraio 1913 il comitato di Bucarest della
società presieduta a Roma da Paolo Borselli
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consegna
ad Ortiz un certificato di benemerenza per aver compiuto gratuitamente i corsi
serali per gli studenti di livello avanzato[52].
L’Università
di Perugia, fondata nel 1926, organizzava corsi estivi ai quali partecipavano
anche borsisti romeni. Gli studenti di Ortiz frequentavano i corsi di
perfezionamento organizzati a Palazzo Galenga, un bel palazzo barocco situato
nella Piazza Fortebraccio, nel cuore della capitale d’Umbria. Gli avvisi
riguardanti le modalità d’iscrizione, la condizione di compartecipazione
e il programma dei corsi erano diffusi in Roma, ma anche su altre
gazzette romene[53].
Sempre Ortiz concepisce la Biblioteca
del Seminario, dove fa conoscenza con suo amato discepolo, Călinescu,
sorpreso mentre sistemava accuratamente i libri raccolti prima ancora della
guerra[54]:
”Sono passati ormai 13 anni da quando sono stato sorpreso da Ortiz nella camera
che serviva come sala di lettura, senza giacca e con le maniche della camicia
tirate su, mentre collocavo i volumi pieni di polvere. Ortiz mi porse la mano e
accanto a me cominciò la sistemazione dei libri. D’allora siamo rimasti
amici” [55].
La
loro amicizia si consolidò nel tempo, trovando vari modi di esprimersi.
Ortiz impegna Călinescu nella redazione della rivista Roma, che si avvale
di collaboratori di spicco; gli chiede di organizzare dei corsi, e più
tardi, gli propone delle traduzioni che culmineranno col romanzo di Pappini –
Un uomo finito*.
Se
da un lato Ortiz apprezzava Marcu e nei confronti di Călinescu provava un
autentico sentimento di affetto, d’altro canto, come un vero maestro spirituale
di entrambi, cerca di mitigare la
tensione scaturita tra loro. Significativa è la lettera che fa
riferimento a questo incidente: ”Marcu è dispiacente del malinteso e mi
ha spiegato tutto chiaramente. Siate amici.
Se incominciate a far sorgere dissidi fra voi, siate cosi pochi che il
danno sarà vostro. Come vede, scrivo sub specie aeternitatis, e,
senza volerlo, questa lettera ha preso colore di testamento ideale” [56].
Călinescu
gli sarà sempre vicino, grato, fedele, e pur essendo noto il suo
carattere ribelle, poneva sempre in risalto i meriti di Ortiz nella sua
formazione: “Il Signor Ortiz ha provato a convincere tutto il mondo che
c’è qualcosa nella mia testa. Tutto quello che ho imparato
nell’università l’ho imparato da lui. Con lui mi sono abituato a
scrivere dei libri, con lui ho appreso i metodi d’informazione letteraria e di
costruzione critica su sostrato storico, da lui so tutto quello che so”.
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Nel
1925, la scomparsa della moglie colpisce troppo il Professore, che dall’Italia
si confessa a Călinescu: ”Caro Sig. Călinescu, finalmente ho ricevuto Roma, che
pero non ho potuto che scorrere, le condizioni di salute di mia moglie essendo
inquietanti si da non concedermi la calma per poter pensare alla … letteratura.
Prevedo nella mia vita tristi avvenimenti, per cui molte cose che prima
brillavano innanzi agli occhi si oscureranno”[57].
Dopo
un anno di amarezza e solitudine, durante il quale trova difficoltà a
ritornare ai livelli di attività di un tempo, Ortiz ritrova le energie
per ricominciare a vivere con pienezza.
Il
28 novembre 1926, nella cancelleria del Consolato Italiano a Bucarest avviene
un avvenimento felice nella vita di Ortiz: il matrimonio con Dora Ferero (nata
nel 1885 in Calabria) residente anch’essa a Bucarest, che gli sarà
accanto fino all’ultimo respiro.
Le
cose cambiano non solo nella sua vita privata ma anche nell’ambito del lavoro.
Dal 1 ottobre 1926 Al. Marcu è nominato conferenziere[58].
Un anno dopo, la presentazione per il nuovo anno accademico avrà luogo
nel nuovo Palazzo universitario. Ortiz aveva ritrovato la gioia e sentiva il
bisogno di condividerla. In un breve articolo scrive: “ con l’ampiezza dello
spazio e la ricchezza dei mezzi posti a nostra disposizione, tanti nuovi
orizzonti si aprono largamente davanti al nostro proficuo lavoro per la ricerca
della Verità e della Bellezza. Le più autorevoli riviste
dall’estero cominciano a parlare con stima e rispetto della scuola di
letteratura comparata dell’Università di Bucarest, la quale, senza falsa
modestia è appunto la mia scuola: Ortiz, Belciugăţeanu, Marcu,
Călinescu, Radu” [59].
Nel
1929 viene alla luce la stampa del volume in omaggio a Ramiro Ortiz[60]
al quale collaborano I. Andrieşescu, A. Belciugăţeanu, Ion Bianu, N. Cartojan,
N. N. Creţu, Iorgu Iordan, Leon Diculescu. Il sostegno materiale proviene anche
in questa occasione da parte della legazione italiana rappresentata da Gabriele
Preziosi, del consolato italiano rappresentato da Giacomo Garzoni, della Camera
di Commercio italo-romeno di Bucarest, riconosciuta come istituzione
finanziatrice di tante azioni di propaganda culturale.
Il
volume è recensito in Boabe de Grâu e l’autore, che deve essere
stato Bucuţa, ci lascia intravedere che i 20 anni di professorato sono stati
spesso anni di delusioni e che al di là della manifestazione di stima
c’è stata ingratitudine e
p. 467
dimenticanza,
malgrado “i tanti che hanno fatto carriera (n.n. – la formazione dei quali era
dovuta ad Ortiz) che dimenticano di presentarsi a celebrazioni tipo questa” [61].
Anita
Belciugăţeanu l’ideatrice dei festeggiamenti assieme ad Al. Marcu, lascia
trasparire dal suo discorso il tono dell’atmosfera politica. Parlando dei
principi del professore, tra i quali quello di scegliere sempre tra tutte le
vie quella più difficile, la riuscita più faticosa”, afferma:
“Lei è entrato in quello spirito del gran fabbro della nuova Italia di
Benito Mussolini, che con profonda perspicacia ha detto: La vittoria non
è una comoda poltrona nella quale ci si adagia durante le solenni
commemorazioni; No; è un aculeo, è uno sprone che ci spinge alle
vette più faticose”[62].
C.
N. Negoiţă parlando della tecnologia che tende ad atrofizzare la
sensibilità, mette in risalto un altro lato della personalità del
professore: “In questa gran capitale, asfaltata, elettrificata e sconvolta, le
nostre anime hanno sentito il bisogno di un’affinità calda e protettiva
di genitore che abbiamo sempre trovato in lei”[63].
G.
Călinescu firma anche lui nell’omaggio e pubblica in occasione un articolo in
cui evoca pieno d’affetto l’attività d’Ortiz, ponendo l’accento sulla
sua capacità di fondare una scuola: “Il festeggiato di oggi ha
sviluppato sotto i nostri occhi un’attività di ricercatore cosi ampia,
che si può parlare non soltanto di una bibliografia italianista
nell’ultimo decennio, ma di una scuola di ricerche letterarie il cui epilogo
è la serie d’italianisti della Scuola Romena di Roma” [64].
Per Iorga, questo omaggio rappresenta
l’occasione di un rimprovero nei confronti del governo di Roma. Lui riconosce
che “se oggi abbiamo un’intera scuola d’italianisti, capaci di trattare
qualsiasi argomento di letteratura italiana, è dovuta al signor Ortiz,
ma, “più degli articoli, lui attende quello che noi tutti attendiamo,
ossia quello che non è arrivato finora da Roma, non so per quale
mancanza d’orizzonte: l’Istituto Italiano di Bucarest” [65].
Un
efficace mezzo di diffusione della cultura italiana in Romania, fu
rappresentato fin da questo periodo dalla radio. Ortiz sostenne qualche
conferenza al microfono, incluse le parole d’addio pronunciate nel 1933 [66].
Nel
1933 si celebrava il semicentenario della fondazione della cattedra di Lingue e
Letterature Neolatine inaugurata da Vincenzo Crescini, distinto specialista di
p. 468
lingue provenzali
a Padova, dopo un breve insegnamento del prof. Ugo Canello (1848-1883)[67].
Il
2 giugno 1932 il reputato filologo muore e la cattedra resta vacante. Nella
seduta del 15 novembre 1932, dopo un attento esame della situazione degli studi
neolatini in Italia e dopo che si è preso in considerazione il punto di
vista dei due egregi professori – Giulio Bertoni dall’Università di Roma
e Vincenzo De Bartholomeis dall’Università di Bologna, si delibera di
suggerire al Ministero dell’Educazione Nazionale che Ramiro Ortiz venga assunto
come professore ordinario di Letterature Neolatine nell’Università di
Padova.
Di conseguenza il Senato
dell’Università di Bucarest decide che il signor Al. Marcu occupi la
cattedra d’italiano vacante, in seguito alle dimissioni dell’Ortiz (novembre
1933)[68].
Il 1 dicembre Marcu riceve la nomina di titolare della cattedra[69]
e, al contempo, il successore di Ortiz alla dirigenza dell’Istituto Italiano,
Bruno Manzone, prende il posto di lettore[70]
(creato nel 1930 e occupato da Piero Ruggeri[71]).
6.
“Allontanamento”
Domenica,
3 settembre Ortiz è partito dalla stazione di Bucarest indirizzandosi
verso Padova. In un’intervista aveva dichiarato: “prenderò con me come
simbolo un vaso con la buona terra romena; porterò dei tappeti e tessuti
romeni; il canto popolare romeno ed il film Drăguş di Gusti”[72].
Il
professore italiano si separa con difficoltà da amici, studenti, da
tutto quello che aveva realizzato in Romania. Desiderava restare a Bucarest e
varie testimonianze convergono su questo fatto, anche se dalla corrispondenza
del professore traspare soltanto in modo quasi mai esplicito. La partenza per
Padova viene spiegata dal professore sulle pagine di Roma: “Dopo un
periodo di dubbio, motivi familiari e di salute mi hanno spinto ad accettare
l’onore d’essere professore a Padova, di lasciare un paese amato, dove sono
vissuto 24 anni, i più belli e fruttuosi della mia vita. Ma la vita
è cosi”[73].
Studenti
vecchi e nuovi, per i quali la casa in Via Bonaparte 10 era sempre aperta, gli
comunicarono i loro pensieri: ”Sono stata tra le prime sue studentesse! A lui devo
la mia italianizzazione (Mia Frollo); “In lui il professore è nato; per
lui il professorato è una magistratura, un’arte, un segreto” (Napoleon
Creţu); “Avevi l’impressione di assistere ad una risurrezione visionaria del
passato (M. Skeletti); “Ci siamo plasmati un’anima nell’ambiente pieno di
nobiltà del Seminario d’italiano” (Edgar Pappu).
p. 469
Alexandru
Ciorănescu, anche lui ex studente e collaboratore dell’Ortiz, aveva intuito che
il vero motivo della partenza (anzi, dell’allontanamento) poteva essere il
desiderio smisurato provato da Marcu di conquistare la cattedra. Tagliavini
però nella sua commemorazione non ha accennato nemmeno a quest’aspetto.
Presi col dovuto equilibrio analitico, i ricordi di Ciorănescu meritano tutta
l’attenzione, in quanto lui ha effettivamente vissuto l’episodio e lo evoca
anni dopo, mettendo in gioco il proprio bagaglio emotivo e
cercando di esprimere la sensazione provata in quelle circostanze.
“Ortiz
è partito per l’Italia in circostanze molto sgradevoli. La Sua cattedra
disponeva a parte di un assistente e di un conferenziere, nella persona di
Marcu, uomo ben preparato […] ma dotato di un carattere detestabile. Poiché era
anche molto ambizioso, ha fatto tutto quello che gli è stato possibile
per obbligare Ortiz ad andarsene. E alla fine c’è riuscito. Quando sono
venuto a sapere che la sua partenza era imminente, mi sono recato nel suo
appartamento, allora pieno di libri e valigie*.
Stava partendo per Padova, dove gli era stato dato in consegna un posto come
professore ordinario di Filologia romanza, tramite il Tagliavini. Non era
più l’uomo vivace e tondo che credevo di conoscere. Ho parlato con lui,
pero non si è lamentato di nessuno e di niente. Mi disse soltanto che
accusava assai il cambio di contesto e di vita. Da allora non l’ ho più
rivisto. Quando sono stato a Venezia, la seconda volta, sono andato a vedere la
sua tomba nel cimitero di Padova. Un uomo dimenticato ingiustamente”[74].
Numerosi
articoli sono apparsi sulla stampa romena (Calendario, Ordine, Futuro,
Mattino, Giustizia, Rampa, Verità, Epoca); il 31 agosto 1933 Gusti,
Ministro Dell’Istruzione organizza un banchetto in suo onore; l’Istituto di
Cultura Italiana lo festeggia il due di settembre; il principe Sanseverino,
primo segretario della Legazione Italiana a Bucarest, leggendo il telegramma
del Ministro Ugo Sola annuncia che “una medaglia d’oro sarà regalata al
professore e un certo numero di medaglie in argento col viso suo sarà
consegnato agli studenti del seminario per le loro migliori esecuzioni”.
Tutte
queste manifestazioni d’affetto lo avranno ricompensato per la tristezza
dell’allontanamento. Dalla corrispondenza del periodo padovano non sembrerebbe
affatto. Il 5 marzo del 1937 I. Minius,
dirigente della rivista Lotus, scriveva a Pimen Constantinescu che si
trovava a Sibiu: “Ortiz mi ha scritto che vuole comperarsi una casa e un
terreno qui in Romania, in campagna”[75].
È
forse andato via più ricco di com’era un quarto di secolo fa? Dai
documenti d’archivio dell’Università di Padova si riscontra come Ortiz
non abbia avuto delle soddisfazioni materiali. In uno di questi il professore
richiede un contributo per il trasloco da Bucarest a Padova (i mobili e la
biblioteca di circa tre mila volumi). Oltretutto, il mantenimento delle due
sorelle, nubili e gravemente malate, era a suo carico.
p. 470
Ha
forse acquisito qualche ricchezza dopo l’attività a Padova? Al 1947
risalgono alcuni documenti della fase preliminare al pensionamento, documenti
che dopo 36 anni di servizio dimostrano la sua inquietudine in questo senso. Le
prassi burocratiche volgevano ormai al termine. Ma alla fine del luglio 1947
Ramiro Ortiz si spegne[76].
Nina
Faςon, studentessa nel Seminario di Ortiz e per breve tempo sua
assistente a Padova, dopo la tesi di dottorato su “Michelangelo poeta”
(nel gennaio 1938)[91]
lavora come assistente alla cattedra universitaria di Bucarest. Per assicurare
gli strumenti di lavoro ai suoi studenti (dizionari bilingui, corsi di
letteratura, corsi di lingua) sacrifica i suoi interessi nel campo della
ricerca. Il suo lavoro più rilevante lavoro rimane “L’intelletuale e sua
epoca” (1966)[92].
Al.
Balaci è un italianista che ha percorso tutte le tappe universitarie
possibili – studente, custode della biblioteca del Seminario, collaboratore
della rivista Studi italiani, lettore, dottore, per essere infine
nominato direttore dell’Accademia di Romania a Roma. Ha cercato di essere un
degno continuatore del suo professore, pubblicando quattro volumi d’autore,
proprio con il titolo Studi Italiani[93].
Attualmente la cattedra viene tenuta dalla
egregia professoressa Doina Condrea Derer alla quale devo le mie
prime conoscenze sulla cultura italiana.
Questi
nomi – e tanti altri che meritano ognuno per sé un ampio studio (Eta Boeriu,
Haritina Gherman, George Lăzărescu,
Mihaela Cârstea Romaşcanu, ecc.) – confermano quello che un tempo aveva
affermato Ortiz: “Il seme ha dato i suoi frutti e questa è la
dimostrazione che la terra era fertile. Per quanto riguarda colui che ha
gettato il seme, non era altro che un umile e onesto aratore, con l’amore per
il suo mestiere”[94].
10. Conclusioni
La cattedra di lingua italiana
dell’Università di Bucarest, e le pubblicazioni dei professori che l’
hanno valorizzata, l’Istituto Italiano di Cultura, tutte queste realtà
nell’insieme, sono state manifestazioni di una generazione attiva, dotata di
quella grande capacità di iniziativa e realizzazione in campo culturale
che ha aperto il cammino verso una reciproca conoscenza italo-rumena, che altre
epoche non hanno dato. O almeno non allo stesso livello e con la medesima forza
di espressione. Qui nasce e da qui si diffonde l’interesse per l’Italia.
La cattedra si costituisce come il nucleo dal quale si irradiano tutte
le ulteriori iniziative. E in questo caso cattedra vuol dire Ramiro Ortiz.
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e ricerca umanistica 5 (2003), edited by Şerban Marin, Rudolf Dinu, Ion
Bulei and Cristian Luca, Bucharest, 2004
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© Şerban Marin, March 2004, Bucharest, Romania
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[1] R. Ortiz, Per
la storia della cultura italiana in Rumania, Bucarest: Sfetea, 1916, VIII +
335 p. (pubblicato nel 1942 a cura del noto Istituto per l’Europa Orientale).
Vincenzo Crescini, Di un
recente contributo alla storia della cultura italiana in Rumania, Venezia:
Premiate Oficine Grafiche di Carlo Ferrari, 1917 considerava l’opera di Ortiz
come “testimonianza di molto amore e di laboriosa preparazione”.
[2] Divina Comedie a lui Dante (tradusă de George Coşbuc şi comentată de Ramiro Ortiz), vol. I: Infernul, Bucarest: Cartea Româneasca, 1925, XV + 301 p.; vol. II: Paradisul, 1932.
Nel 1915, a Tismana, Ortiz incontra il poeta G. Coşbuc (1866-1918) del quale diventa amico. L’autore del commento era consapevole del difficile incarico che si assumeva (Cfr. alla lettera inviata a Tagliavini, dell’ 11 febbraio 1920). Suo compito – di stabilire il testo della versione rumena, priva di qualche parte – sarà eseguito coll’ aiuto di E. Bucuţa e Panaitescu-Perpessicius.
G. Călinescu
scrive una cronaca sul “Paradiso dantesco” nella versione rumena (Adevărul
literar şi artistic, 1932, no. 587) in cui richiama l’attenzione al gesto
di gran rilevanza culturale fatto da Ortiz.
[3] Poesie, Mihai Eminescu (prima versione
italiana dal testo rumeno, con introduzione e note a cura di R. Ortiz), Firenze: Sansoni, LXXI +
1927, 163 p.
G. Călinescu
elogia queste traduzioni nella stampa romena: “Eminescu în italieneşte”; “Presa
italiană despre Eminescu”, Viaţa Literară, 1927, no. 67; 1928, no. 85.
[4] “Ramiro Ortiz”, Romana 6 (1942), 8-9: 607.
[5] Dumitru D. Panaitescu, pubblicista e insegnante di
lingua italiana, ha scritto proprio una tesi di dottorato intitolata Ramiro
Ortiz, prietenul din Italia, di cui un frammento è presentato in Anuarul
Universităţii Bucureşti. Literatură
universală şi comparată
22 (1973), 1: 51-60.
[6] Ortiz, Per la storia,
cit.: 3.
[7] Nicolae Iorga,
“De unde a învăţat italieneşte Ienachiţă Văcărescu”, in Omaggio a
Ramiro Ortiz, Bucarest, 1929: 100-105.
[8] L. Ademollo, insegnante pure lui (Iorga confessa di aver
studiato la lingua italiana proprio secondo i suoi manuali), pubblicava nel
1860 a Iaşi un giornale di teatro – Il fulmine; poi, a Bucarest - Eco
musicale di Romania. Giornale di musica, belle arti, teatri e varietà
(1869-1871).
[9] Fraternitatea
italiano-română (1881); dal 20
agosto 1884 esce Universul.
[10] Ion Heliade Rădulescu (1802-1872). Secondo lui, la lingua romena letteraria doveva essere “purificata” dalle parole non latine (si veda Paralelism între limba româna şi italiană, 1840; Vocabular de vorbe streine în limba română, adică slavone, ungureşti, turceşti, nemteşti, greceşti, etc., 1847).
[11] Asachi fu il primo rumeno che collaborò ad un
giornale italiano – Giornale del Campidoglio (Roma, 26 dicembre 1811),
con il sonetto “In occasione del volo aerostatico dell’illustre Donne la
signora Blanchard”.
[12] Elena Gorunescu,
“Câteva momente ale italienisticii romaneşti”, in Momente din istoria
învăţământului limbilor străine la Universitatea Bucureşti, Bucarest:
Universităţii, 1980: 205-212.
[13] Al. Marcu,
“Simion Bărnuţiu despre nevoia învăţământului italian în şcolile româneşti
(1854)”, Studii Italiene 4 (1937): 161-162.
[14] I. Al. Abbeatici,
Gramatica Italiano-Romanu, intitulată Instructorul Italian, pubblicata a
Galaţi e Bucarest, 1848; idem,
Dialogu Italiano-Romanu, cu începuturi de Gramatica, în Lecţiuni. Dedicatu
nobilei naţiuni române, Bucarest: Imprimeria Statului, numită Nifon,
1860-1862.
[15] Vestitorul
românesc 10 (1846), 101:
404, apud Florea Stănciulescu,
“Învătământul particular în limbi străine din Ţara Românească în epoca
paşoptistă”, Analele Universităţii Bucureşti, Istorie 31 (1982), 31:
114.
[16] Al. Marcu,
“Profesorul G. Al. Abbeatici la
Bucureşti (1848-1862)”, Studii Italiene 5 (1938): 177-180.
[17] Orazio Spinazzola,
Grammatica romena e di dialoghi romeni-italiani, 1863.
[18] Alice Marcu,
“Pentru istoricul catedrei de italiană
de la Universitatea din Bucureşti”, Studii Italiene 4 (1937):
145-146; Al. Marcu, “Întregiri despre Spinazzolla”, Studii
Italiene 7 (1940): 201-202.
[19] Dimitrie Bodin, “I consolati del Regno di Sardegna nei
Pricipati Romeni all'epoca del Risorgimento”, Rassegna Storica del
Risorgimento 23 (1936): 163-164.
[20] All’Università di Torino si insegnò per la
prima volta un corso di lingua rumena, docente essendo Ruscalla (1863-1879),
l’animatore della Società Neolatina e membro dell’Accademia Romena. Suo
corso sarà ripreso solo più tardi da Mario Ruffini (1930-1966).
Nel periodo fra le due guerre c’erano cattedre di lingua
rumena a Milano, Venezia, Padova, Roma. Il Governo di Bucarest mandò in
Italia ex-soci della Scuola Romena di Roma per insegnare la lingua romena:
Gheorghe Caragaţă a Firenze, Teodor Onciulescu a Napoli, Petre Ciureanu a
Genova, Alexandrina Mititelu a Padova, Petre Iroaie a Palermo, R. Moldovan a
Bologna. Si veda Mario Ruffini,
“L’insegnamento del rumeno in Italia”, Il Veltro 13 (1969), 1-2.
[21] C. H. Niculescu,
“Gian Luigi Frollo (1832-1899)”,
Studii Italiene 4 (1937): 93-120.
[22] G. L. Frollo,
Lecţiuni de limba şi literatura italiană. Elemente de Gramatică, Lecturi şi
traducţiuni, Brăila, 1868; idem,
Limba româna şi dialectele italiene,
1869.
[23] Idem, Limba naţională şi
limbile străine în şcoalele României. Observaţiuni şi propuneri, Bucarest,
1871.
[24] Notizie sulla bio-bibliograpfia di Ortiz si trovano in
Carlo Tagliavini, “Ramiro Ortiz
(1879-1947). Commemorazione tenuta il 16 dicembre 1948”, in Annuario per
l’anno accademico 1948-49, Padova: Tipografia del Seminario di Padova,
1949.
[25] Ortiz, “Le imitazioni
dantesche e la questione cronologica nelle opere di Francesco Barberino”, Atti
della Reale Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli 23
(1904).
[26] Vedi Nina Façon,
“Lo studio dell’italiano negli Istituti Superiori e nelle Università”, Il
Veltro 13 (1969), 1-2: 281-285.
[27] Ortiz, “Una cattedra di lingua e letteratura italiana all'Università di
Bucarest”, L’Europa Orientale 3 (1923), 9-11: 828-831.
[28] Idem, “Comemorarea
lui Pio Rajna”, Roma 10 (1930), 4: 40-42.
[29] “Cronica anului şcolar 1909-1910”, in Anuarul Universităţii din Bucureşti pe anul şcolar 1909-1910, al XVIII-lea anuar publicat de secretariatul Universităţii, Bucarest: Noua Tipografie Profesională, Dimitrie C. Ionescu, 1910: 3-4.
[30] Ortiz, Cronici italiene,
Bucarest: Carmen Sylva, 1921, 199 p. Idem,
Italia modernă, Bucarest: Ancora, 1925, 288 p.
[31] A U
B, 1915/16-1923/24, Bucarest: Tipografiile Române Unite, 1924: 89.
[32] Le tematiche dei corsi dal 1909 al 1916: G. Parini e il rinnovamento della letteratura italiana; Alessandro Manzoni e il Romanticismo; Lorenzo de Medici ed Angelo Poliziano; Ugo Foscolo; La scuola siciliana e il “dolce stil novo” [si veda Il “Dolce stil nuovo”, Bucarest, 1913]; Vita di Dante e commento all’ “Inferno” [si veda Cântul al XXVI-lea din Infernul lui Dante cetit la Facultatea de Litere din Bucureşti, Bucarest, 1915]; Umanità e modernità di Dante. “Vita Nuova” [si veda “Umanitatea lui Dante”, Noua Revistă Română, 1916].
[33] Eugen Lovinescu,
Memorii (a cura di Gabriela Omăt),
Bucarest: Minerva, 1998: 194-195.
[34] AUB, 1915/16-1923/24, “Acţiunea Universităţii în răsboiul pentru
întregirea neamului”: 166 -167.
[35] Ortiz, “În ciuda submarinelor. Ziarul unui pribeag român de la Arhanghelsk la
Montrose”, Ideea europeană,
1919, e alla casa editrice
Alcalay, 1920, 95 p.
[36]
Le tematiche dei corsi
fra 1919-1929:
Umanità e modernità di Dante (II.
“Canzonierul”). La poesia di G. Carducci [si veda Umanità e
modernità di Dante (Prolusione a un corso sulla Divina Commedia, letta
all’Università di Bucarest), Roma, 1921].
Il Rinascimento a Firenze. La
Poesia di D’Annunzio [si veda Renaşterea
la Florenţa în timpul lui Lorenzo dei Medici şi Poliziano, Bucarest: Cultura Naţională, 1922, 229 p.; una serie di articoli sul
Rinascimento appare in Flacăra; “Renaşterea”, Roma 1 (1921)].
Dello svolgimento della poesia lirica italiana dalle origini
a Dante; La poesia di Giovanni Pascoli [si veda il corso su Dante pubblicato in
Neamul Românesc dal 22 gennaio 1922].
Caratteri del secolo XVIII.
Goldoni e la Francia (parte prima); “Poetae minores”: Guido Gozzano e i
“crepuscolari” [si veda “Goldoni e la Francia (I-V)”, Analele Academiei
Române, Bucarest: Cultura Naţională, 1927, 168 p.]
“Fortuna Labilis”: Storia di un motivo poetico da Ovidio al
Leopardi; La poesia di Giacomo Leopardi [si veda Fortuna Labilis. Storia di un motivo poetico da Ovidio al Leopardi, Bucarest: Cultura Naţională, 1927, 168 p.]
I capolavori della lirica italiana.
[37] Ortiz, “O manifestare latină”,
Ideea Europeană 1 (1919), 25: 2-3.
[38] “Regulamentul Facultăţii de Filosofie şi Litere din
Bucureşti”, Monitorul Oficial, no. 169 din 29 oct. 1921, Bucarest:
Imprimeria Statului, 1921.
[39] Tagliavini, op. cit: 279.
[40] Ortiz,
“Trebuie păstrată italiana în liceele noastre? Câteva răspunsuri”, Roma 6 (1926), 2: 1; idem, “Italiana în liceele noastre II”, Roma 6 (1926), 4:
14.
[41]
Si veda Revista Datina 4 (1926), 1-2: 39-40.
[42] Ortiz, “Către Studenţi, despre ceva de
pe acest pământ”, Arhiva pentru ştiinţă şi reformă socială, 1923.
[43] Anita Belciugăţeanu, Anuarul Seminarului de literatură italiană. Cu ocazia împlinirii a XX
de ani de activitate, Bucarest, 1929.
* Anita
Belciugăţeanu (n. Linden) nata nel 1892 a Focşani; laureata in lettere a
Sorbonna, dottoressa in lettere e filosofia dell’Università di Bucarest;
dal 1921 è assistente provvisorio e definitivo apenna nel 1929 (D. R.
no. 1801, adr. no. 78863/ 926). Ha pubblicato: Istoria
literaturii italiene, Bucarest, 1923; Poezia
lui G. Leopardi, Bucarest, 1928; Carpe
Rosam, Bucarest, 1931. È presente nelle pagine di Roma con studi sulla letteratura
italiana, come per esempio: “Elementul
pozitiv în pesimismul leopardian”, Roma 7 (1927), 1; “Pesimismul voluptăţii d’annunziene”, Roma
7 (1927), 2; “Secentismul italian”,
Roma 12 (1932), 1 e 2.
[44] Alexandrina Mititelu,
“Seminarul de Literatură Italiană în anii 1920-1922”, Roma 13 (1933), 3:
13-14.
[45] M. Skeletti,
“Ramiro Ortiz la catedră”, Roma 13 (1933), 3: 22-23.
[46] Lovinescu, op. cit.
[47] Mensile (gennaio 1921-dicembre 1927) e poi semestrale, Roma
era rivista del Cerchio di Studi Italiani presso Facoltà di Lettere e
Filosofia. Si veda Claudio Isopescu, La stampa periodica
romeno-italiana in Romania e in Italia, Roma: Istituto per l’Europa
Orientale, 1937: 51-66; Dumitru
Cârstocea, “Periodici di cultura italiana in Romania
nell'intervallo fra le due guerre mondiali”, Studii Italo-Române
1 (1997), 1: 151-167.
[48] “Comitetul de Patronaj”, Roma 4 (1924), 3: 11; “Cuvântul de
deschidere al D-lui Ramiro Ortiz, Directorul Institutului de Cultură Ialiană”, Roma 4 (1924), 4: 1-3; Ortiz, “L’Istituto di Cultura Italiana
di Bucarest”, Europa Orientale, 1924: 833-835; idem, “Institutul de Cultură
Italiană”, Roma 7 (1927), 1: 42-45; si veda conferenza inaugurale tenuta da Ettore Romagnoli intitolata “Virgiliu”, Roma
13 (1933), 2: 1-4, come pure la rubbrica “Însemnări” dello stesso
numero.
[49] Ramiro Ortiz presenta due conferenze a Vălenii de Munte: 1924 – Lupta împotriva tradiţiei şi întoarcerea la tradiţie în literatura italiană contemporană; 1928 – Cultura italiană în România.
[50] Cfr. Revista Istorică 20, 4-6: 187, Ortiz coopera
all’elaborazione del Regolamento della Scuola di Roma. I borsisti erano
reclutati pure dai suoi studenti (basta nominare a Marcu e Călinescu).
[51] Romania.
Rassegna degli interessi italo-romeni diretta da Michele A. Silvestri (Roma, 1920-31 gennaio
1922): Note Italo-Romene. Una rivista italiana a Bucarest (Roma diretta dal
prof. Ramiro Ortiz); La cattedra di lingua e letteratura italiana
all’Università di Bucarest; Note Italo-Romene. Gli studenti
dell’Università di Bucarest visitano Roma (sotto la guida del prof.
Ramiro Ortiz).
[52] Archivio
della Società Dante Alighieri di Roma, Dossier Romania, ff.
[53] “Perugia şi Universitatea ei pentru străini”, Boabe
de Grâu 5 (1934), 3: 192; Al. Marcu,
“Studenţii noştrii la Perugia”, Viaţa Literară 4 (1929), 117: 2; “Un
institut de Înalăa Cultură Italiană pentru streini la Perugia”, Roma 4
(1924), 4: 16.
[54] C. N. Negoiţă,
“O prietenie literară. George Călinescu-Ramiro Ortiz”, Almanahul literar,
1969: 259-260; Micaela Şchiopu, “Amintirea unui profesor”, Revista de Istorie şi Teorie
Literară, 1997, 3-4: 247-256.
[55] Călinescu, “La o despărţire”,
Roma 13 (1933), 3: 8-10.
* Traduzione alla quale lavorava al contempo Marcu, senza
aver pero conoscenza dei progetti di Călinescu.
[56] Călinescu
şi contemporanii săi (Corespondenţa primită), II (a cura di Nicolae Mecu),
Bucarest: Minerva, 1984, lettera di Ortiz inviata a Călinescu, 30 luglio 1924, Napoli: 205-208.
[57] Ibidem.
[58] Veronica Turcuş,
Alexandru Marcu (1894-1955) şi cultura italiană în România interbelică
(Profil bio-bibliografic), Cluj-Napoca: Presa Universitară clujeană, 1999,
455 p. Italianista formatosi alla scuola di Ortiz, laureato della
Facoltà di Lettere di Bucarest (1919), dottore del Istituto di Firenze
(1922); socio della Scuola Romena di Roma (1923-1924), docente in “Lingua e
letteratura italiana” dal 1 luglio 1925 (adr. Nr. 68 301/925); conferenziere
dal 1926 (adr. nr. 118402/926), e dal
1933 titolare della cattedra patrocinata fino a quel momento da Ortiz.
[59] Ortiz, “Şcoala veche, casa nouă”, Viaţa literară 1 (1927), 36: 1.
[60] Omagiul lui Ramiro Ortiz cu prilejul a douăzeci de ani de
învăţământ în România, Bucarest: Bucovina, 1929.
[61] “Omagiul lui Ramiro Ortiz”, Boabe de Grâu 1
(1930): 248.
[62] “Cuvântarea Doamnei Dr. Anita Belciugăţeanu”, Roma
10 (1930), 2: 34.
[63] “Cuvântarea D-lui C. N. Negoiţă”, Roma 10 (1930),
2: 36.
[64] Călinescu, “Un sărbătorit: Ramiro Ortiz”, Vremea 3 (1930), 115.
[65] Iorga, “Ramiro Ortiz”, Neamul
Românesc 25 (1930), 117: 1.
[66] 1930: “Umanitatea şi modernitatea lui Dante”,
l’emissione “Universitatea Radio”, 15 ott., ora 19.00, in Radio şi Radiofonia 3 (1930), 108: 17; “Italia şi poporul
român”, l’emissione “Program pentru şcolari”, 22 nov., ora 16.00, in Radio şi Radiofonia 3 (1930), 113: 20; “Poeţi români traduşi în
limba italiană”, 2 dic., ora 21.30, in Radio şi Radiofonia 3
(1930), 115: 13.
1931: “Poezii de Eminescu – traduceri
în limba italiană”, 6 genn., ora 21.30, in Radio şi Radiofonia 4 (1931), 120: 11; “Legende medievale
despre români”, 19 maggio, ora 21.30, in Radio şi Radiofonia 4 (1931), 139: 11; “Il animatore – N.
Iorga”, 19 giugno, ora 21.00, in Radio şi Radiofonia 4 (1931), 143: 14.
1933: “Cuvânt de rămas bun”, 27 agosto, ora 19.00, in Arhiva SRR, 13/1933: 1.
[67] Vedi “Ugo
Angello Canello e gli inizi della filologia romanza in Italia”, Firenze, 1987, Centro
per la storia dell’Università di Padova 25 (1992).
[68] AUB
1932-1933: 17.
[69] AUB
1933-1934: 73.
[70] Ibidem: 74.
[71] AUB 1930-1931: 65.
[72] Al. Robot, “Interviu cu R. Ortiz”, Rampa (3 settembre 1933).
[73] Ortiz, “Despărţire”, Roma
13 (1933), 3: 3-4.
* Nel ottobre 1929,
Ortiz lascia l’appartamento della villa situata in Via Argentina 42 (gia Aleea
Blank B.) e trasloca in una casa in Via Bonaparte 10.
[74] Alexandru Ciorănescu, Amintiri fără memorie, I: 1911-1934, Bucarest: Editura
Fundaţiei Culturale, 1995: 103-105.
[75] G. Nistor,
“Un mare şi consecvent prieten al românilor: Ramiro Ortiz”, Steaua,
1972, 23: 10-11.
[76] Archivio Storico dell’Università di Padova, “Ramiro Ortiz ord. Filologia romanza”,
Dossier 210/XII, f.f.
[77] Ortiz, Lineamenti di un’
interpretazione critica della corrente “italianista” in Rumania. Padova:
Soc. Coop. Tipografica, 1933, 28 p.
[78] Lettera del 12 gennaio 1934, apud a Nina Faςon, “În
amintirea profesorului Ramiro Ortiz”, Analele Universităţii
Bucureşti, Literatura universală şi comparată 18 (1969), 1: 12.
[79] Lettera del 6 gennaio 1934, in ibidem.
[80] Ortiz, Breve storia della
letteratura romena, Padova, 1936, 264 p.; idem,
Letteratura romena, Roma: Signorelli, 1941, 260 p.
[81] Idem, Italia e Rumania. Un
cinquantennio di studi sulla Letteratura italiana (1886-1936). Saggi raccolti a
cura della Società Filologica Romana e dedicati a Vittorio Rossi,
II, Firenze: G.C. Sansoni, 1937: 97-113; estratto, Firenze: Sansoni, 1937, 17
p.
[82] Ortiz, Manualetto rumeno,
Bucarest: Bucovina, 1936, 240+XXXIV p.
Călinescu faceva
la recensione del Manualetto di Ortiz (Adevărul literar şi artistic, 1936, 824, 20 settembre), e, pur
essendo consapevole degli sforzi del professore per fare un’efficace propaganda
culturale per la Romania, si dimostrava piutosto scettico.
[83] “Fapta foarte urâtă”, Porunca Vremii 6 (1937),
874: 4.
[84] Torouţiu, “Învăţăminte
dintr-o călătorie la Padova. Pe marginea unei controverse”, Porunca Vremii
6 (1937), 885: 2.
[85] Ştefan Pascu,
“Două premii italiene”, Convorbiri Literare, 73 (1940), 6: 598-599; Iorga, “O distincţie pentru amicul
nostru Ortiz”, Neamul Românesc 35 (1940), 132: 1.
* C. Tagliavini - professore all’Università di
Bologna, socio dell’Accademia Romena, direttore della sezione romena del
Istituto per l’Europa Orientale e della rivista Studi Rumeni.
[86] La missione dei 12 giornalisti romeni in Italia, insieme a Liviu Rebreanu, ospiti del Minculpop, nel 1942. Si veda L. Petreanu, “Cultura românească la universitatea din Padova”, Universul, dicembre 1942.
[87] Dumitru D. Panaitescu, “O prietenie literară: Ramiro Ortiz-I. E. Torouţiu”, Manuscriptum,
1971, 3: 164-170.
* Umberto Cianciolò (1914-1969), autore del volume Testimoninaze di cronisti romeni intorno a Roma e
all’Italia, insegnò tanto nel Istituto di Cultura Italiana di
Bucarest che all’università.
[88] Lettera del 5 marzo 1948, in G. Călinescu şi contemporanii săi, cit.:
167.
[89] Rosa Del Conte (n. 1907) critico letterario, socio
dell’Accademiei Romena (8 novembre 1994); Doctor honoris causa delle
università di Bucarest (1972) e Cluj (1991).
[90] Rosa Del Conte,
Mihai Eminescu o dell’Assoluto, Modena: Modenese, 1962 [versione romena: Eminescu
sau Despre Absolut (a cura di Marian Papahagi,
premessa di Zoe Dumitrescu Buşulenga,
postfazione di Mircea Eliade),
Cluj Napoca: Dacia, 1990, 463 p.].
[91] Studii
Italiene, Varie: 208.
[92] N. Façon, Intelectualul
şi epoca sa: Studii de istorie literară italiană, Bucarest: Editura pentru
Literatură universală, 1966, 272 p. Si veda Doina Condrea-Derer, “Profesoara Nina Faςon despre
intelectualul şi epoca sa”, in Momente din istoria învaţământului limbilor
străine la Universitatea Bucureşti, 1980: 159-166.
[93] Al. Balaci,
Studii Italiene, Bucarest: Editura de Stat pentru Literatură şi artă,
Editura pentru Literatură universală, 1958-1968, 4 vol.
[94] Ortiz, O profesiune de
credinţă, Roma 7 (1927), 1: 44.