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Back to Homepage Annuario 2003

 

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Ramiro Ortiz

 

Carmen Burcea,

Università di Bucarest

 

“Giunto dall’Italia di Dante sulle terre sfiorate dalle onde del vecchio Istro”, Ramiro Ortiz incarna un periodo cruciale nelle relazioni culturali italo-rumene, divenendone il fulcro stesso.

Anche se ci limitassimo soltanto a richiamare alla memoria tre dalle sue realizzazioni – il volume Per la storia della cultura italiana in Rumania (1916)[1] di rilevanza basilare per la letteratura comparata in Romania, che lui stesso preannuncia al lettore come libro d’amore e non d’erudizione (Vai libro mio, e a quanti vorran gabellarti per un libro d’erudizione, rispondi col mesto sorriso di chi e solo a parte del proprio dolce segreto, che sei libro d’amore”); l’esegesi della Divina Commedia nella traslazione di George Coşbuc (1925)[2]; la versione italiana della lirica di Eminescu (1928)[3] – il nostro Ortiz nulla perderebbe della sua personalità di spicco. Il seguace Alexandru Marcu andrebbe forse considerato suo emulo per eccellenza, cosa che per un vero docente non può essere altro che motivo di soddisfazione.

Dottore honoris causa della R. Università di Padova, Professeur Agregè dell’Università di Digione, Membro onorario dell’Accademia Romena e Corrispondente della “Commissione per i Monumenti Storici” di Romania, Membro effettivo dell’Arcadia, Socio corrispondente del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Ortiz ebbe il “Diploma di Benemerenza” della “Dante Alighieri”, fondò e diresse per 13 anni (1921-1933) la rivista “Roma” per la diffusione della cultura italiana in Romania e l’Istituto di Cultura Italiana di Bucarest (1924-1933)[4].

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Ricoperto di onorificenze, ma privo di beni materiali e afflitto da molti tormenti lungo l’arco della sua vita, Ramiro Ortiz viene il più delle volte dimenticato dai nostri contemporanei, sebbene all’inizio del ventesimo secolo fosse il simbolo dell’Italia alle foci del Danubio e l’ambasciatore spirituale della sua terra natale in Romania[5].

Proviamo ad individuare i suoi predecessori e gli amici fidati, a scoprire le tappe della sua formazione e attività. Cerchiamo di ricostituire il percorso di quest’intellettuale che non restò dietro alla sua cattedra – laddove rappresentò l’apostolato del magistero italiano – ma divenne parte integrante del movimento culturale e sociale della Romania nell’intervallo fra le due guerre mondiali.

 

1. I precursori

        La cultura italiana è penetrata nei paesi romeni seguendo svariati itinerari[6], tanto diretti – tramite i contatti con le repubbliche marinare Genova e Venezia nel lontano medioevo, quanto indiretti – attraverso la Polonia nel Rinascimento; la Grecia nell’età fanariota (per mezzo delle traduzioni); e la Francia.

        Tali influssi si materializzano nelle opere di linguistica e nella produzione letteraria (teatro, stampa, etc.). Troviamo numerosi esempi: il libro di grammatica di Ienăchiţă Văcărescu – Observaţii sau băgări de seama asupra regulilor şi rânduielilor gramaticii româneşti (1787) – s’ispira a un modello italiano[7], nella celebre biblioteca dei Mavrocordati, desiderata appassionatamente da Clemente XII e Ludovico XV di Francia, i libri di glottologia, letteratura, arte e storia italiana erano i più numerosi; riverberi della produzione letteraria italiana emergono nei lavori di Vasile Alecsandri, Costache Negri, Delavrancea, Duiliu Zamfirescu, ecc; le compagnie teatrali italiane mettono in scena rappresentazioni tratte dalle opere di Goldoni, Alfieri, Metastasio, alle quali Luigi Ademollo dedica apprezzabili cronache[8]; Luigi Cazzavillan dà vita ai periodici bilingui e al collegio italiano “Regina Margherita” che svolgerà per svariati anni un’efficace attività[9].

        Il movimento italianista raffigurato da Heliade Rădulescu[10] in Valachia e Giorgio Asachi[11] in Moldavia caratterizza il vertice dell’influsso culturale italiano in

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Romania. Questo si sviluppa innanzitutto attraverso i quotidiani – Curierul Românesc e Albina Românescă – che operano come strumenti ideali per la divulgazione della cultura italiana.

Heliade, al quale Iorga fece un breve ma affascinante ritratto, (“Eliad, coi suoi pregi cosi grandi e coi suoi diffeti che talvolta lo situano nel risibile, resta un mito”) si era schierato a favore dell’insegnamento dell’italiano in Romania. Di fronte alle imputazioni di alcuni filologi, Aron Florian lo discolpava, rivelando che “Il suo traguardo è quello di far penetrare le lettere latine (al posto di quelle cirilliche), sotto una maschera, uno stratagemma: l’insegnamento della lingua italiana”.

Nel piano d’insegnamento dell’Accademia di Bucarest (creata secondo il consiglio dello Stolnic Cantacuzino, lo storiografo formatosi a Padova) a parte “il gran dascăl” per il greco ne era previsto uno anche per l’italiano[12].

        Nell’ottocento si assiste ad una vera espansione dell’italianistica – molti intellettuali richiedono l’inserimento della lingua italiana nelle scuole rumene[13], studiano (Simion Bărnuţiu, Al. Papiu Ilarian, Iosif Hodoş, Simion Marcovici), peregrinano (Dinicu Golescu, Nicolae Bălcescu), oppure s’innamorano in Italia (Asachi, Alecsandri).

I più rinomati promotori dell’insegnamento di lingua italiana nella Romania del diciannovesimo secolo sono Gerolamo Abbeatici, Orazio Spinazzolla e Gian Luigi Frollo.

Abbeatici, insegnante d’italiano a Galaţi e Bucarest, “uno dei più attivi tra quelli che sono passati attraverso il Danubio ed i Carpazi nell’epoca del nostro Romanticismo” è noto innanzi tutto come autore di manuali (menzionati da Al. Marcu[14]) che testimoniano lo zelo col quale gli intellettuali di Bucarest seguivano le lezioni d’italiano (e francese)[15]. Abbeatici si mise a disposizione dei principianti, organizzando dei corsi “le domeniche dalle 10 alle due a Hanul Manuc, dove aveva la dimora”[16].

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        Il napoletano Spinazzolla, “partecipante al tumulto del 1848 nel suo paese, fu costretto ad esiliarsi, transitando Grecia e Costantinopoli per giungere poi nei Principati Danubiani”. Qua compila grammatiche e miscellanee per l’uso dei suoi seguaci[17], ma anche per stimolare l’interesse per la letteratura italiana, in un momento segnato dalla polemica filologica.

        Spinazzolla, che è anche autore dell’inno dedicato al Principe Al. I. Cuza nel 30 agosto 1865, chiese il suo trasferimento dalla cattedra alla Scuola Santo Sava (1850-1870) all’Università di Bucarest, di recente fondazione. Fu proprio lui il primo ad ideare l’istituzione di una cattedra di lingua e letteratura italiana nell’Università di Bucarest[18].

        Una relazione del console generale sardo nei Principati, Annibale Strambio a Giuseppe Dabormida, ministro degli affari esteri nell’ amministrazione di La Marmora, ci fornisce un altro elemento della biografia del pedagogo: sempre concepita da Spinazzolla è l’idea di fondare un’analoga cattedra di lingua romena in Italia. Strambio aveva infatti richiesto a Dabormida di intercedere a favore di Spinazzolla per ottenere questa cattedra[19]. Tuttavia il progetto divenne realtà soltanto nel 1863 all’Università di Torino, grazie all’ intellettuale filorumeno Giovenale Veggezzi Ruscalla[20].

        Il veneziano Frollo (1832-1899)[21], laureato in scienza del diritto all’Università di Padova, prima ancora di compiere 24 anni, firmò un accordo con il grande negoziante greco di Brăila, Domenico Zerman, che lo nomina precettore dei suoi figli. Più tardi divenne professore al liceo Re Carlo I di Brăila (1863-1869) e Matei Basarab di Bucarest (1869-1878). Nel frattempo elaborava grammatiche e dizionari per fornire agli scolari strumenti di lavoro[22].

         Sin dal 1871[23], il Frollo denunciò “la gallomania” dei coordinatori dell’istruzione pubblica che collocando la lingua francese tra le discipline obbligatorie ed istituendo una cattedra di francese in entrambe le università si rivelavano più cattolici del Papa.

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Secondo Frollo, la soluzione era appunto lo studio dell’italiano. Il professore richiedeva “che l’italiano fosse imposto dalle autorità come qualche anno fa e com’è tuttora nelle scuole commerciali, nel ginnasio di Brăila e  nel liceo di Bârlad”. Il suo suggerimento era quello di fondare nella Facoltà di Lettere una nuova cattedra: filologia comparativa delle lingue e letterature romanze.

          Con l’appoggio dei suoi amici – B. P. Hasdeu, Titu Maiorescu, Alexandru Odobescu – il Frollo inizia la carriera accademica nel 1878 alla cattedra di Storia delle Letterature Neolatine (rappresentata fino ad allora de Ulysse de Marsillac).

        Dopo quattro decenni dedicati alla scuola romena, Frollo scompare nel 1899 e viene sepolto nel famoso Camposanto Bellu. Sono pochi quelli che lo commemorano, malgrado gli orientamenti dell’istruzione ricevano un aggiornamento proprio per merito delle sue fatiche. Poco tempo dopo emerge la necessità di assumere uno specialista di lingua italiana. Cosi giunge a Bucarest un italiano “con qualche gocciola di sangue spagnolo” – Ramiro Ortiz.

 

2. La formazione[24]

          Ramiro Ortiz nacque a Chieti (Pescara) il 1 luglio 1879, figlio di Filomena Ruzzi e dell’insegnante di lettere Giusto Ortiz. Studia al liceo “Antonio Genovesi”, poi alla Facoltà di Lettere di Napoli con i maestri Bonaventura Zumbini e Francesco d’Ovidio. Con la tesi di laurea[25] consegue una borsa di studio al Reale Istituto di Studi Superiori e di Perfezionamento di Firenze. Nella fase fiorentina dei suoi studi sarà guidato da Pio Rajna ed Ernesto Giacomo Parodi, che lasciano un’impronta decisiva sulla sua educazione. Sempre in questo periodo, segnato dal movimento de La Voce,  Ortiz lavora per diversi corrieri.

          A partire dal 1903 insegna nei ginnasi di Lucera, Salerno e Napoli. Nel 1909 arriva a Bucarest, dove organizza un insegnamento di prestigio che attraversa gli innumerevoli ostacoli di un’epoca difficile[26].

 

3. La prima cattedra accademica

          La necessità di apprendimento della lingua italiana si afferma per merito dei docenti Ion Bianu – ideatore della Biblioteca dell’Accademia Romena, Nicolae Iorga – maestro di Storia medioevale e moderna, Ovid Densuşianu – esponente della cattedra di Filologia Romanza. L’evento avviene all’epoca in cui lo scienziato Spiru Haret era ministro dell’Istruzione.

          Pio Rajna risponde alla richiesta di Ion Bianu, suo ex allievo a Milano e indica Ramiro Ortiz come possibile portavoce della cultura italiana a Bucarest.

         Ortiz stesso ricorda benissimo il momento: “Cosi fu che in una giornata piovosa dell’autunno 1909 ricevetti dal mio amato e venerato Maestro una lettera, che

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doveva cambiare il corso della mia vita e indirizzarla tutta a un fine ben chiaro: rafforzare e diffondere in Rumania la cultura italiana decaduta dopo i primi generosi tentativi di Ion Heliade Rădulescu e di Gheorghe Asaki, e nel contempo, informare i miei compatrioti intorno alla storia, la letteratura, l’arte, la cultura insomma, di questo popolo latino”[27].

          Dopo la morte di Rajna, Ortiz assegna al suo Seminario il titolo di “colonia scientifica di quel Reale Istituto di Firenze, perché era sorto sotto il patrocinio di Rajna” [28].

         Sormontati gli ostacoli burocratici, Ortiz si avvia verso Bucarest, in un mondo del tutto ignoto, non con un semplice incarico ma con una missione: quella di diffondere “il genio italiano”.

         Con la missiva no. 38438 dell’otto dicembre 1909, il Ministero dell’Istruzione notificò di aver concluso una convenzione della validità di 10 anni col signor Ramiro Ortiz, nel ruolo di maestro di conferenze di lingua e letteratura italiana, stipendiato con “350 lei mensili sottoposti alle tasse legali”[29].

         La cattedra dipendeva dal budget dello stato, registrata ogni anno nel bilancio del Ministero. Questo già di per sé la rendeva instabile. Inoltre, non essendo l’italiano disciplina obbligatoria per laurearsi in Filologia Romanza e visto lo scarso numero di cattedre nell’insegnamento secondario, non c’era l’interesse materiale a frequentare il corso. Il nostro Ortiz rimase perciò con un solo allievo – Al. Popescu Telega, futuro ispanista e dirigente della rivista Năzuinţa.

         Consapevole che “le piante con forti radici sono appunto quelle che si maturano più lentamente”, Ortiz dichiarava: “Non mi sono scoraggiato e per un anno intero ho fatto delle lezioni con quell’unico alunno, come se avessi dinanzi a me numerosi uditori”.

         Gli effetti non si fanno attendere. Nei prossimi anni il corso viene frequentato da Maria Serafim, Emanoil Bucuţa, ecc.

         I primi tempi a Bucarest Ortiz li dedica allo studio del rumeno e dopo circa un anno dimostra capacità di esprimersi tanto nella lingua scritta che in quella parlata come fosse un romeno.

         L’intervallo 1909-1913 è ricco d’iniziative, tutte portate a termine con eccellenza: insegna al liceo Matei Basarab, dove si suppone che reclutasse i suoi studenti; pubblica degli articoli nelle riviste dirette da Rădulescu Motru (Noua Revistă Romană, Ideea Europeană) e nella rinomata rivista Convorbiri Literare; prende parte al cenacolo Sburătorul di Lovinescu. Il grande amico Vasile Pârvan mette a sua disposizione la casa editrice da lui gestita, Cultura Naţională, per eventuali traduzioni dall’italiano. Tramite gli articoli e le traduzioni, Ortiz attira l’attenzione del pubblico romeno sul movimento culturale italiano.

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          L’orgoglio di Ortiz è perciò legittimato: “Sono stato il primo a parlare di Fogazzaro, Pascoli, Pappini, Graf, Prezzolini e il movimento La Voce“ scrive Ortiz in alcune cronache, successivamente collezionate in un volume, con un non trascurabile successo[30].

         Il 17 dicembre 1913, col decreto reale No. 6918 Ortiz viene proclamato docente titolare alla cattedra di Lingua e Letteratura Italiana. Si configurava quindi una cattedra distinta – dell’italianistica[31].

         Il Senato ed il Consiglio della Facoltà di Filosofia e Lettere avevano raccomandato Ramiro Ortiz come professore definitivo al Ministero dell’Istruzione e dei Colti, in seguito alla seduta del 20 novembre (con 11 voti a favore, due contro, un assente). Dal verbale redatto in seguito alle sedute preliminare, riportiamo qualche opinione:

         Secondo Iorga “possiamo rimandare l‘assegnazione, per dargli tempo di eseguire opere più grandi, come per esempio una storia della letteratura italiana in lingua romena, tanto utile per il nostro paese”. Lo stesso Iorga metteva in luce che “i lavori del signor Ortiz sono tutti particolari; da questi si constata l’assenza di uno studio generico, panoramico, com’è da esigere da uno studioso idoneo d’insegnare nella nostra facoltà”.  Il suo giudizio è contrastato da Pârvan che conclude con una sorta d’apprezzamento: “Ortiz possiede una vasta cultura, senza far caso della loquacità tanto caratteristica dei latini”.

          Coll’andar del tempo le tematiche dei corsi si diversificano[32] e il numero degli studenti aumenta da uno nel 1909 a 30 nel 1916, l’anno in cui Ortiz comincia un lungo pellegrinaggio.

         Però fino a questo momento Ortiz ha dato tutto se stesso allo studio, nella sala di lettura della Biblioteca dell’Accademia Romena. Lui stesso confessava:”Sono ormai sette anni dal giorno in cui per la prima volta entrai nella sala di lettura della Biblioteca dell’Accademia Rumena, e, da quel giorno, è diventata per me una cara abitudine il passar molte ore della mattina, e spesso anche del pomeriggio, a ricercar, nel silenzio delle cose, rotto soltanto da qualche scricchiolio di seggiola o dal rumore delle pagine smosse, le antiche orme, che dalla colonizzazione romana al Rinascimento, e dal Rinascimento fin quasi a giorni nostri, la civiltà italica ha lasciate nella vita, nella letteratura e nell’arte di questo popolo rumeno…”

         Proprio cosi se lo ricorda l’amico Lovinescu che scrive: “L’ho conosciuto nei primi giorni dal suo arrivo davanti all’Accademia, dove prima ancora di essere in grado di leggere Universul, decriptava le cirilliche da Curierul e Albina românescă[33].

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        Questa scelta di vita fu crudelmente interrotta dalla gran guerra.

 

4. 1916. Giorni di guerra.

          Nell’autunno del 1916, l’attività universitaria viene gravemente sconvolta a causa dell’invasione tedesca e della difficile situazione generata nel vecchio Regnato, costretto a trasferire le istituzioni rappresentative ad est dei Carpazi, nella Moldavia tormentata dalla fame e dalle malattie.

         “La guerra incominciata il 15 agosto 1916 con la nostra offensiva in Transilvania si è aggravata a causa dell’attacco della Bulgaria e della disfatta di Turtucaia. Le nostre forze armate della Transilvania hanno ritenuto opportuno ritirarsi e nonostante l’eroismo col quale hanno difeso i Carpazi ed il Danubio, il nemico è riuscito a sfondare le frontiere del paese conquistando Oltenia, Dobrogea e Muntenia. Il 22 novembre la capitale era già occupata. Di conseguenza 2/3 del numero totale dei professori si è rifugiata in Moldavia, alcuni costretti ad arruolarsi ed altri per non rimanere sotto il dominio dell’aggressore” [34].

         I docenti di un'altra nazionalità ritornarono in patria nell’attesa di tempi migliori per riprendere l’attività. Fra loro c’era pure Ortiz, che patrocinava il debutto dell’insegnamento della lingua italiana in ambito accademico:

        “Dopo qualche mese di permanenza a Iassy, l’eroica capitale dei giorni tristi, partii diretto in Italia, ma fui costretto a fermarmi in Russia e a interrompere il mio viaggio per via della rivoluzione che scoppiò una settimana appena dopo il mio arrivo a Pietrogrado. Dopo otto mesi di peregrinazioni dalla Finlandia al Caucaso, riuscii finalmente a partir per l’Italia, dove giunsi dopo cinquantasette giorni di viaggio (da Soci nel Caucaso, a Napoli, attraverso Mosca, Pietrogrado, Arcangelo, il Mare di Norvegia, Aalesund, Montrose nella Scozia, Londra e Parigi) nel inverno del 1917”.

         Le impressioni di questa esperienza testimoniate in uno dei suoi brani presentano sciagure, abbondano di racconti e rievocazioni, ma quello che più colpisce è la malinconia che prova per la sua casa di Bucarest[35].

    

5. Un quarto secolo in Romania

          In seguito alla prima guerra mondiale tanto l’Università di Cluj, ora romena, che quella di Iasi inseriscono nei piani d’istruzione l’italiano (Giandomenido Serra, Iorgu Iordan e Giuseppe Petronio ne sono i rappresentanti). Nella capitale Ortiz riprende il corso dantesco. Le tematiche saranno sempre più diversificate[36]: “Non senza

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commozione ricomincio dopo una lontananza cosi prolungata il mio corso sulla Vita di Dante. Dolorosa fu la peregrinazione tra popoli stranieri, separato da quello che tanto amai su questa terra. Allorché siamo partiti da casa, in quel triste tramonto di novembre del 1916, nella sola valigia che l’autorità militare ci ha consentito di prendere con noi non siamo riusciti a infilare altri libri che due: la Sacra Scrittura e la Divina Commedia” [37].

         Nel 1919 Ortiz sarebbe potuto restare a Napoli oppure a Digione ma pare che Dio e Dante, le guide delle sue peregrinazioni, l’abbiano predestinato ai romeni.

         Intanto, nel 1920, la situazione dell’insegnamento dell’ italiano non era cambiata[38], neppure cinque anni più tardi, nonostante gli sforzi del Professore. In una lettera indirizzata al suo amico Tagliavini scriveva: “È un circolo vizioso. Gli studenti non si laureano in italiano (o se ci si laureano prendono poi altre vie) perchè mancano o son troppo poche le cattedre; le cattedre non si istituiscono o si sopprimono per mancanza di professori. C’è un po’ di cattiva volontà al Ministero e d’inerzia assoluta da parte del nostro governo che pretende di avere influenza all’estero, ma quando c’è da fare qualcosa si tira indietro e si lascia battere dalla propaganda francese” [39].

         Grazie all’ideazione dell’Istituto di Cultura Italiana (1924) lo stato dell’insegnamento d’italiano aveva avuto dei miglioramenti, ma era in ogni modo lontano dagli ideali di Ortiz, che intendeva agire per conto suo, intraprendendo un’effettiva campagna per sostenere la lingua e la cultura italiana in Romania. Il referendum da lui promosso sulle pagine di “Roma”[40]  ha un forte eco nei giornali del tempo, che pubblicano ampi commenti. Ne deriva chiaramente la conclusione che “l’insegnamento d’italiano non soddisfa soltanto un sentimentalismo”[41].

         La situazione si regolarizza man mano: la cifra degli studenti nell’anno accademico 1928/29 supera i 200.

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         Convinto che “il seminario ha per gli studenti della Facoltà di Lettere lo stesso significato del Laboratorio per quelli della Facoltà di Scienze”[42], Ortiz dà vita al Seminario di Lingua e Letteratura Italiana nel 1921, nel sesto centenario dalla morte del versificatore fiorentino Dante Alighieri [43]. Il braccio destro sarà Anita Linden Belciugăţeanu*.

         Un’aula per il Seminario d’Italiano non esisteva ancora (il palazzo dell’Università sarebbe stato costruito dopo qualche anno). Grazie a G. G. Antonescu il direttore dell’Istituto Pedagogico Romeno viene ottenuto un locale temporaneo.

          Poi nel 1922 organizza un ciclo di convegni sul Rinascimento “affidando al Maestro Alfonso Castaldi la parte concernente la musica, allo scultore F. Stork quella concernente la scultura, al pittore Arturo Verona la pittura, all’architetto Cristoforo Cerchez l’architettura e al prof. Nae Ionescu la filosofia”.

          In una piccola e modesta stanza, adornata con mappe, fiori, statuette, riproduzioni di famosi dipinti, vasi d’arte veneziana, litografie, manoscritti, gazzettini e rassegne italiane, Ortiz aveva creato un’atmosfera inebriante e gradevole, fatta apposta per l’esercitazione. L’intima atmosfera di uno studio privato per gli studenti che venivano a lezione.

          L’attività del Seminario sarà evocata anche da Alexandrina Mititelu: “assieme a circa venti studenti abbiamo decrittato, interpretato, glossato per amare per sempre le più caratteristiche pagine della letteratura italiana, sforzandoci insieme di trovare il testo più esatto, di eseguire la più bella versione”[44].

          Meridionale, poco alto, quieto, col viso sempre sereno, Ortiz si affacciava davanti al portone del suo seminario col mazzo di libri e riviste in mano. “Una barzelletta o una battuta spiritosa era il suo modo di distendere l’atmosfera, di introdursi nell’argomento. Il suo corso era ben distinto, lontano dal tipico corso universitario declamato dalla cattedra, al punto che, dopo averlo sentito, il corso letto sembrava privo di vita, del calore che emanava la sua presenza” [45].

         Il seminario era stato visitato durante gli anni da personalità come il ministro d’Italia a Bucarest Ugo Sola, il deputato Ezio Maria Gray, il professor Ettore Romagnoli dell’Università di Bologna e Giorgio del Vecchio dell’Università di Roma.

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          Sempre circondato dai giovani, Ortiz, “uomo di metodo e scienza tedesca, cosa mai vista da noi un italiano che non parlasse di fratellanza, dalla Lupa, di Traiano”[46], riesce ad inculcare nei suoi seguaci la passione per lo studio. Quelli che gli stanno attorno negli anni della formazione, diventeranno studiosi rinomati nel campo dell’italianistica.

         Ortiz crea la più importante rivista rumena di cultura italiana, Roma (1921-1933), col appoggio finanziario di Martin Franklin, Ministro d’Italia a Bucarest[47].

          Su stimolo personale dà vita all’Istituto di Cultura Italiana, inaugurato nel 7 aprile 1924 e trasformato in istituzione statale il 2 aprile 1933[48]. Così si consolidano efficaci collaborazioni, a livello istituzionale, col Università di Vălenii de Munte[49] e la Scuola Romena di Roma[50]. Tutto ciò trovava un’eco nella divulgazione dei giornali in Italia[51].

          Come diplomato della Società Dante Alighieri e incaricato per la Romania dell’Università di Perugia, Ortiz getta le basi della cooperazione coi fori di cultura italiana. La continuità dei rapporti verrà comprovata anche dopo il suo allontanamento.

          La Società Dante Alighieri eretta alla fine dell’ottocento con spirito irredentista, puntava alla diffusione della lingua italiana nel mondo. La succursale di Bucarest (coordinata, tra i tanti, da Benedetto de Luca, Luigi Mercali e Felice Felicioni, con un fervente alleato in persona d’Antonelli Pasquale, dirigente della scuola Regina Margherita) operava (fino il 1939) nella sede del Via Luigi Cazzavillan No. 28. Il 12 febbraio 1913 il comitato di Bucarest della società presieduta a Roma da Paolo Borselli

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consegna ad Ortiz un certificato di benemerenza per aver compiuto gratuitamente i corsi serali per gli studenti di livello avanzato[52].

          L’Università di Perugia, fondata nel 1926, organizzava corsi estivi ai quali partecipavano anche borsisti romeni. Gli studenti di Ortiz frequentavano i corsi di perfezionamento organizzati a Palazzo Galenga, un bel palazzo barocco situato nella Piazza Fortebraccio, nel cuore della capitale d’Umbria. Gli avvisi riguardanti le modalità d’iscrizione, la condizione di compartecipazione e il programma dei corsi erano diffusi in Roma, ma anche su altre gazzette romene[53].

Sempre Ortiz concepisce la Biblioteca del Seminario, dove fa conoscenza con suo amato discepolo, Călinescu, sorpreso mentre sistemava accuratamente i libri raccolti prima ancora della guerra[54]: ”Sono passati ormai 13 anni da quando sono stato sorpreso da Ortiz nella camera che serviva come sala di lettura, senza giacca e con le maniche della camicia tirate su, mentre collocavo i volumi pieni di polvere. Ortiz mi porse la mano e accanto a me cominciò la sistemazione dei libri. D’allora siamo rimasti amici” [55].

La loro amicizia si consolidò nel tempo, trovando vari modi di esprimersi. Ortiz impegna Călinescu nella redazione della rivista Roma, che si avvale di collaboratori di spicco; gli chiede di organizzare dei corsi, e più tardi, gli propone delle traduzioni che culmineranno col romanzo di Pappini – Un uomo finito*.

Se da un lato Ortiz apprezzava Marcu e nei confronti di Călinescu provava un autentico sentimento di affetto, d’altro canto, come un vero maestro spirituale di entrambi, cerca  di mitigare la tensione scaturita tra loro. Significativa è la lettera che fa riferimento a questo incidente: ”Marcu è dispiacente del malinteso e mi ha spiegato tutto chiaramente. Siate amici.  Se incominciate a far sorgere dissidi fra voi, siate cosi pochi che il danno sarà vostro. Come vede, scrivo sub specie aeternitatis, e, senza volerlo, questa lettera ha preso colore di testamento ideale” [56].

          Călinescu gli sarà sempre vicino, grato, fedele, e pur essendo noto il suo carattere ribelle, poneva sempre in risalto i meriti di Ortiz nella sua formazione: “Il Signor Ortiz ha provato a convincere tutto il mondo che c’è qualcosa nella mia testa. Tutto quello che ho imparato nell’università l’ho imparato da lui. Con lui mi sono abituato a scrivere dei libri, con lui ho appreso i metodi d’informazione letteraria e di costruzione critica su sostrato storico, da lui so tutto quello che so”.

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          Nel 1925, la scomparsa della moglie colpisce troppo il Professore, che dall’Italia si confessa a Călinescu: ”Caro Sig. Călinescu, finalmente ho ricevuto Roma, che pero non ho potuto che scorrere, le condizioni di salute di mia moglie essendo inquietanti si da non concedermi la calma per poter pensare alla … letteratura. Prevedo nella mia vita tristi avvenimenti, per cui molte cose che prima brillavano innanzi agli occhi si oscureranno”[57].

         Dopo un anno di amarezza e solitudine, durante il quale trova difficoltà a ritornare ai livelli di attività di un tempo, Ortiz ritrova le energie per ricominciare a vivere con pienezza.

          Il 28 novembre 1926, nella cancelleria del Consolato Italiano a Bucarest avviene un avvenimento felice nella vita di Ortiz: il matrimonio con Dora Ferero (nata nel 1885 in Calabria) residente anch’essa a Bucarest, che gli sarà accanto fino all’ultimo respiro.

          Le cose cambiano non solo nella sua vita privata ma anche nell’ambito del lavoro. Dal 1 ottobre 1926 Al. Marcu è nominato conferenziere[58]. Un anno dopo, la presentazione per il nuovo anno accademico avrà luogo nel nuovo Palazzo universitario. Ortiz aveva ritrovato la gioia e sentiva il bisogno di condividerla. In un breve articolo scrive: “ con l’ampiezza dello spazio e la ricchezza dei mezzi posti a nostra disposizione, tanti nuovi orizzonti si aprono largamente davanti al nostro proficuo lavoro per la ricerca della Verità e della Bellezza. Le più autorevoli riviste dall’estero cominciano a parlare con stima e rispetto della scuola di letteratura comparata dell’Università di Bucarest, la quale, senza falsa modestia è appunto la mia scuola: Ortiz, Belciugăţeanu, Marcu, Călinescu, Radu” [59].

          Nel 1929 viene alla luce la stampa del volume in omaggio a Ramiro Ortiz[60] al quale collaborano I. Andrieşescu, A. Belciugăţeanu, Ion Bianu, N. Cartojan, N. N. Creţu, Iorgu Iordan, Leon Diculescu. Il sostegno materiale proviene anche in questa occasione da parte della legazione italiana rappresentata da Gabriele Preziosi, del consolato italiano rappresentato da Giacomo Garzoni, della Camera di Commercio italo-romeno di Bucarest, riconosciuta come istituzione finanziatrice di tante azioni di propaganda culturale.

          Il volume è recensito in Boabe de Grâu e l’autore, che deve essere stato Bucuţa, ci lascia intravedere che i 20 anni di professorato sono stati spesso anni di delusioni e che al di là della manifestazione di stima c’è stata ingratitudine e

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dimenticanza, malgrado “i tanti che hanno fatto carriera (n.n. – la formazione dei quali era dovuta ad Ortiz) che dimenticano di presentarsi a celebrazioni tipo questa” [61].

          Anita Belciugăţeanu l’ideatrice dei festeggiamenti assieme ad Al. Marcu, lascia trasparire dal suo discorso il tono dell’atmosfera politica. Parlando dei principi del professore, tra i quali quello di scegliere sempre tra tutte le vie quella più difficile, la riuscita più faticosa”, afferma: “Lei è entrato in quello spirito del gran fabbro della nuova Italia di Benito Mussolini, che con profonda perspicacia ha detto: La vittoria non è una comoda poltrona nella quale ci si adagia durante le solenni commemorazioni; No; è un aculeo, è uno sprone che ci spinge alle vette più faticose[62].

          C. N. Negoiţă parlando della tecnologia che tende ad atrofizzare la sensibilità, mette in risalto un altro lato della personalità del professore: “In questa gran capitale, asfaltata, elettrificata e sconvolta, le nostre anime hanno sentito il bisogno di un’affinità calda e protettiva di genitore che abbiamo sempre trovato in lei”[63].

          G. Călinescu firma anche lui nell’omaggio e pubblica in occasione un articolo in cui evoca pieno d’affetto l’attività d’Ortiz, ponendo l’accento sulla sua capacità di fondare una scuola: “Il festeggiato di oggi ha sviluppato sotto i nostri occhi un’attività di ricercatore cosi ampia, che si può parlare non soltanto di una bibliografia italianista nell’ultimo decennio, ma di una scuola di ricerche letterarie il cui epilogo è la serie d’italianisti della Scuola Romena di Roma” [64].

          Per Iorga, questo omaggio rappresenta l’occasione di un rimprovero nei confronti del governo di Roma. Lui riconosce che “se oggi abbiamo un’intera scuola d’italianisti, capaci di trattare qualsiasi argomento di letteratura italiana, è dovuta al signor Ortiz, ma, “più degli articoli, lui attende quello che noi tutti attendiamo, ossia quello che non è arrivato finora da Roma, non so per quale mancanza d’orizzonte: l’Istituto Italiano di Bucarest” [65].

          Un efficace mezzo di diffusione della cultura italiana in Romania, fu rappresentato fin da questo periodo dalla radio. Ortiz sostenne qualche conferenza al microfono, incluse le parole d’addio pronunciate nel 1933 [66].

          Nel 1933 si celebrava il semicentenario della fondazione della cattedra di Lingue e Letterature Neolatine inaugurata da Vincenzo Crescini, distinto specialista di

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lingue provenzali a Padova, dopo un breve insegnamento del prof. Ugo Canello (1848-1883)[67].

          Il 2 giugno 1932 il reputato filologo muore e la cattedra resta vacante. Nella seduta del 15 novembre 1932, dopo un attento esame della situazione degli studi neolatini in Italia e dopo che si è preso in considerazione il punto di vista dei due egregi professori – Giulio Bertoni dall’Università di Roma e Vincenzo De Bartholomeis dall’Università di Bologna, si delibera di suggerire al Ministero dell’Educazione Nazionale che Ramiro Ortiz venga assunto come professore ordinario di Letterature Neolatine nell’Università di Padova.

          Di conseguenza il Senato dell’Università di Bucarest decide che il signor Al. Marcu occupi la cattedra d’italiano vacante, in seguito alle dimissioni dell’Ortiz (novembre 1933)[68]. Il 1 dicembre Marcu riceve la nomina di titolare della cattedra[69] e, al contempo, il successore di Ortiz alla dirigenza dell’Istituto Italiano, Bruno Manzone, prende il posto di lettore[70] (creato nel 1930 e occupato da Piero Ruggeri[71]).

               

6. “Allontanamento”

Domenica, 3 settembre Ortiz è partito dalla stazione di Bucarest indirizzandosi verso Padova. In un’intervista aveva dichiarato: “prenderò con me come simbolo un vaso con la buona terra romena; porterò dei tappeti e tessuti romeni; il canto popolare romeno ed il film Drăguş di Gusti”[72].

Il professore italiano si separa con difficoltà da amici, studenti, da tutto quello che aveva realizzato in Romania. Desiderava restare a Bucarest e varie testimonianze convergono su questo fatto, anche se dalla corrispondenza del professore traspare soltanto in modo quasi mai esplicito. La partenza per Padova viene spiegata dal professore sulle pagine di Roma: “Dopo un periodo di dubbio, motivi familiari e di salute mi hanno spinto ad accettare l’onore d’essere professore a Padova, di lasciare un paese amato, dove sono vissuto 24 anni, i più belli e fruttuosi della mia vita. Ma la vita è cosi”[73].

         Studenti vecchi e nuovi, per i quali la casa in Via Bonaparte 10 era sempre aperta, gli comunicarono i loro pensieri: ”Sono stata tra le prime sue studentesse! A lui devo la mia italianizzazione (Mia Frollo); “In lui il professore è nato; per lui il professorato è una magistratura, un’arte, un segreto” (Napoleon Creţu); “Avevi l’impressione di assistere ad una risurrezione visionaria del passato (M. Skeletti); “Ci siamo plasmati un’anima nell’ambiente pieno di nobiltà del Seminario d’italiano” (Edgar Pappu).

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          Alexandru Ciorănescu, anche lui ex studente e collaboratore dell’Ortiz, aveva intuito che il vero motivo della partenza (anzi, dell’allontanamento) poteva essere il desiderio smisurato provato da Marcu di conquistare la cattedra. Tagliavini però nella sua commemorazione non ha accennato nemmeno a quest’aspetto. Presi col dovuto equilibrio analitico, i ricordi di Ciorănescu meritano tutta l’attenzione, in quanto lui ha effettivamente vissuto l’episodio e lo evoca anni dopo, mettendo in gioco il proprio bagaglio emotivo  e  cercando di esprimere la sensazione provata in quelle circostanze.

          “Ortiz è partito per l’Italia in circostanze molto sgradevoli. La Sua cattedra disponeva a parte di un assistente e di un conferenziere, nella persona di Marcu, uomo ben preparato […] ma dotato di un carattere detestabile. Poiché era anche molto ambizioso, ha fatto tutto quello che gli è stato possibile per obbligare Ortiz ad andarsene. E alla fine c’è riuscito. Quando sono venuto a sapere che la sua partenza era imminente, mi sono recato nel suo appartamento, allora pieno di libri e valigie*. Stava partendo per Padova, dove gli era stato dato in consegna un posto come professore ordinario di Filologia romanza, tramite il Tagliavini. Non era più l’uomo vivace e tondo che credevo di conoscere. Ho parlato con lui, pero non si è lamentato di nessuno e di niente. Mi disse soltanto che accusava assai il cambio di contesto e di vita. Da allora non l’ ho più rivisto. Quando sono stato a Venezia, la seconda volta, sono andato a vedere la sua tomba nel cimitero di Padova. Un uomo dimenticato ingiustamente”[74].

          Numerosi articoli sono apparsi sulla stampa romena (Calendario, Ordine, Futuro, Mattino, Giustizia, Rampa, Verità, Epoca); il 31 agosto 1933 Gusti, Ministro Dell’Istruzione organizza un banchetto in suo onore; l’Istituto di Cultura Italiana lo festeggia il due di settembre; il principe Sanseverino, primo segretario della Legazione Italiana a Bucarest, leggendo il telegramma del Ministro Ugo Sola annuncia che “una medaglia d’oro sarà regalata al professore e un certo numero di medaglie in argento col viso suo sarà consegnato agli studenti del seminario per le loro migliori esecuzioni”.

          Tutte queste manifestazioni d’affetto lo avranno ricompensato per la tristezza dell’allontanamento. Dalla corrispondenza del periodo padovano non sembrerebbe affatto.  Il 5 marzo del 1937 I. Minius, dirigente della rivista Lotus, scriveva a Pimen Constantinescu che si trovava a Sibiu: “Ortiz mi ha scritto che vuole comperarsi una casa e un terreno qui in Romania, in campagna”[75].

         È forse andato via più ricco di com’era un quarto di secolo fa? Dai documenti d’archivio dell’Università di Padova si riscontra come Ortiz non abbia avuto delle soddisfazioni materiali. In uno di questi il professore richiede un contributo per il trasloco da Bucarest a Padova (i mobili e la biblioteca di circa tre mila volumi). Oltretutto, il mantenimento delle due sorelle, nubili e gravemente malate, era a suo carico.

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         Ha forse acquisito qualche ricchezza dopo l’attività a Padova? Al 1947 risalgono alcuni documenti della fase preliminare al pensionamento, documenti che dopo 36 anni di servizio dimostrano la sua inquietudine in questo senso. Le prassi burocratiche volgevano ormai al termine. Ma alla fine del luglio 1947 Ramiro Ortiz si spegne[76].

        

7. “Nel nido di tutti gli insegnanti”

          Il 10 ottobre 1933 è la data del giuramento all’ Università di Padova e il 21 quella del discorso inaugurale[77]. Stava per cominciare una nuova tappa della vita di Ortiz. Pochi mesi dopo l’arrivo a Padova Ortiz scriveva: “Riprendo il lavoro da capo e mi congratulo per questo come se fosse un segno di gioventù”[78]. Spesso dimenticava di trovarsi davanti agli studenti italiani e dalle labbra gli sfuggivano parole rumene. “I miei alunni mi guardano con una meraviglia piena di ammirazione ma io ne resto un po’ confuso”, si confessa Ortiz alla Faςon[79].

          Nella cittadella universitaria, la città di San Antonio e del caffè Pedrocchi, Ortiz getta le basi del Seminario di Letteratura romena e di una biblioteca. Se oggi a Padova c’è una consistente biblioteca romena il fatto è dovuto a Ortiz, che ha raccolto il fondo più importante negli anni trenta.

          Giunto a Padova, dopo aver pubblicato l’articolo sulla letteratura romena nell’Enciclopedia Treccani e alcune “Note sulla letteratura romena contemporanea”, organizza sistematicamente le informazioni ed elabora un corso che verrà pubblicato in seguito, nel 1941[80]. Per mettere alla disposizione degli studenti gli strumenti di lavoro, Ortiz si assume il difficile incarico di comporre una bibliografia[81] ed un Manualetto rumeno[82] (con un glossario di Nina Faςon) stampato dalla casa editrice Bucovina, diretta da Torouţiu (la spedizione dei libri sarà resa difficile a causa delle sanzioni applicate all’Italia in seguito alla guerra in Etiopia).

          Nel 1937 viene creato un lettorato di lingua romena, rappresentata da Nina Faςon e Al. Mititelu.

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          L’episodio non può essere trattato senza far riferimento all’ articolo pubblicato in Porunca Vremii, giornale con una forte impronta antisemita sulle cui pagine vengono aggrediti Nina Faςon, per le sue origini ebraiche e, al contempo, Ortiz per averla chiamata come collaboratrice a Padova. Ortiz era accusato di aver dimenticato le sue origini ebree nonostante gli anni in cui “ha mangiato in abbondanza il pane rumeno”. Il fatto di aver scelto la Faςon come sua assistente equivale, nell’ opinione del giornalista che si nasconde dietro l’anonimato, a un atto di provocazione nei confronti dei rumeni[83].

          In replica all’attacco, Torouţiu pubblica un articolo nel quale racconta la visita appena fatta in Italia, durante la quale viene a conoscenza diretta dell’ attività di Ortiz: “la sala del Seminario di filologia romanza in cui Ortiz insegna il corso di rumeno è allestita con tappeti e tessuti romeni. Le lezioni che anch’io ho ricevuto, testimoniano che nella persona di Ortiz si trova un elemento forte del legame fra Italia e Romania. Il servizio che ci rende attraverso il calore con cui parla di noi e la cordialità del suo verbo in varie conferenze, come fu quella di Venezia nella primavera scorsa, non potrà mai esser ricambiato abbastanza dal nostro paese, che tanto deve a questo ambasciatore della nostra cultura in un momento in cui dobbiamo sostenere una lotta con i magiari che cercano con ogni mezzo di allontanare le simpatie dell’ Italia nei nostri confronti per conquistarle poi a favore dei loro interessi” [84].

          Nel 1940, l’anno in cui Marcu consegue il premio San Remo come autore straniero, Ortiz viene gratificato per le sue realizzazioni col premio Mussolini[85], a dimostrazione che ovunque lui vada porta con sé la sua naturale superiorità.

          Nel Palazzo del Bo’, dove si sforza di accendere un focolaio di cultura rumena insieme al Tagliavini*, Ortiz viene visitato da giornalisti, studenti e amici della Romania[86]. Sempre in seguito ad una sua iniziativa, nella primavera del ‘42, in una solenne seduta dell’Università di Padova, il busto di Cantacuzino – donato dall’Accademia di Romania –  viene collocato nell’Aula Magna.

 

8. La scomparsa

La lettera indirizzata all’editore Torouţiu il 13 ottobre rivela un Ortiz del tutto cambiato, molto diverso rispetto ai ritratti schizzati dagli amici di Bucarest[87]: “Scrivo con difficoltà, con una macchina che non funziona più bene; lei si è rotta e io pure; ho

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66 anni e sento tutto il loro peso”. Nel maggio del ‘47 scriveva alla Faςon: “Sento che la vita mi abbandona; sono stato allegro in Romania; nessuno può esserlo due volte.”

         Alla fine del luglio ’47, nella stampa padovana appare un annuncio: Muore improvvisamente il filologo Ramiro Ortiz”. In questo modo si ebbe notizia della scomparsa di Ramiro Ortiz.

 Il 28 luglio la processione funebre parte dalla sua casa per poi fermarsi nell’antico cortile del palazzo universitario, dove viene celebrato il tradizionale rito accademico.

 L’8 marzo del 1948 viene commemorato nell’ anfiteatro “Bogdan Petriceicu Hasdeu” della Facolta di Lettere e Filosofia, sembrerebbe su iniziativa di Umberto Cianciolò, che chiese cortesemente a Călinescu di partecipare*: “So che lei non apprezza le cerimonie formali e preferirebbe  coltivare nell’ intimità del suo spirito il ricordo delle persone care, però so anche che  in certe circostanze si deve rinunciare alle leggi dell’interiorità per accompagnare  i  desideri comuni”[88].

 

9 . Il seme ha dato i suoi frutti.

Al. Marcu fu titolare della cattedra dal 1933 al 1944. I suoi collaboratori sono stati A. Belciugăţeanu; Bruno Manzone, Umberto Cianciolò e Paolo Soldati; Leon Diculescu e C. H. Niculescu. Accanto a loro Marcu è riuscito ad imporre definitivamente la scuola di italianistica di Bucarest. Delle successive generazioni di studenti fanno parte Maria Elena Coandă, Alexandru Balaci, George Lăzărescu, Ştefan Crudu, C. H. Niculescu, Alexandru Niculescu, D. Panaitescu.ecc.

          La tematica dei corsi, le modalità di organizzazione, il programma delle lezioni e i lavori pratici del seminario, i nomi delle personalità italiane che visitano il seminario, tutto ciò è rintracciabile sulle pagine di Studi Italiani, rubrica di Cultura italiana in Romania, sezione dedicata all’Insegnamento.

Marcu cerca di proporre delle tematiche nuove: Medio Evo italiano (1935), Dante e Petrarca (1936), Ritratti dal Rinascimento italiano (1937), Epica del Rinascimento (1938), Ugo Foscolo e il Rinascimento a Ferrara (1940), Valore dell’arte nel Rinascimento (1942) ecc.

         Rosa Del Conte[89] tenne l’incarico dal ’45 al ’47, puntando soprattutto sulla poesia contemporanea italiana: Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti ecc. Dopo che lasciò Bucarest, insegnò lingua rumena a Milano e dal ‘57 a Roma. Peraltro la Del Conte viene apprezzata non soltanto per essere un’erudita professoressa, ma anche come eccellente traduttrice dell’opera di Eminescu[90].

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         Nina Faςon, studentessa nel Seminario di Ortiz e per breve tempo sua assistente a Padova, dopo la tesi di dottorato su “Michelangelo poeta” (nel gennaio 1938)[91] lavora come assistente alla cattedra universitaria di Bucarest. Per assicurare gli strumenti di lavoro ai suoi studenti (dizionari bilingui, corsi di letteratura, corsi di lingua) sacrifica i suoi interessi nel campo della ricerca. Il suo lavoro più rilevante lavoro rimane “L’intelletuale e sua epoca” (1966)[92].

         Al. Balaci è un italianista che ha percorso tutte le tappe universitarie possibili – studente, custode della biblioteca del Seminario, collaboratore della rivista Studi italiani, lettore, dottore, per essere infine nominato direttore dell’Accademia di Romania a Roma. Ha cercato di essere un degno continuatore del suo professore, pubblicando quattro volumi d’autore, proprio con il titolo Studi Italiani[93].

 Attualmente la cattedra viene tenuta dalla egregia professoressa Doina Condrea Derer alla quale devo le mie prime conoscenze sulla cultura italiana.

Questi nomi – e tanti altri che meritano ognuno per sé un ampio studio (Eta Boeriu, Haritina  Gherman, George Lăzărescu, Mihaela Cârstea Romaşcanu, ecc.) – confermano quello che un tempo aveva affermato Ortiz: “Il seme ha dato i suoi frutti e questa è la dimostrazione che la terra era fertile. Per quanto riguarda colui che ha gettato il seme, non era altro che un umile e onesto aratore, con l’amore per il suo mestiere”[94].

 

10. Conclusioni

         La cattedra di lingua italiana dell’Università di Bucarest, e le pubblicazioni dei professori che l’ hanno valorizzata, l’Istituto Italiano di Cultura, tutte queste realtà nell’insieme, sono state manifestazioni di una generazione attiva, dotata di quella grande capacità di iniziativa e realizzazione in campo culturale che ha aperto il cammino verso una reciproca conoscenza italo-rumena, che altre epoche non hanno dato. O almeno non allo stesso livello e con la medesima forza di espressione. Qui nasce e da qui si diffonde l’interesse per l’Italia.

          La cattedra si costituisce come il nucleo dal quale si irradiano tutte le ulteriori iniziative. E in questo caso cattedra vuol dire Ramiro Ortiz.

 

 

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[1] R. Ortiz, Per la storia della cultura italiana in Rumania, Bucarest: Sfetea, 1916, VIII + 335 p. (pubblicato nel 1942 a cura del noto Istituto per l’Europa Orientale). Vincenzo Crescini, Di un recente contributo alla storia della cultura italiana in Rumania, Venezia: Premiate Oficine Grafiche di Carlo Ferrari, 1917 considerava l’opera di Ortiz come “testimonianza di molto amore e di laboriosa preparazione”.

[2] Divina Comedie a lui Dante (tradusă de George Coşbuc şi comentată de Ramiro Ortiz), vol. I: Infernul, Bucarest: Cartea Româneasca, 1925, XV + 301 p.;  vol. II: Paradisul, 1932.

Nel 1915, a Tismana, Ortiz incontra il poeta G. Coşbuc (1866-1918) del quale diventa amico. L’autore del commento era consapevole del difficile incarico che si assumeva (Cfr. alla lettera inviata a Tagliavini, dell’ 11 febbraio 1920). Suo compito – di stabilire il testo della versione rumena, priva di qualche parte – sarà eseguito coll’ aiuto di E. Bucuţa e Panaitescu-Perpessicius.

G. Călinescu scrive una cronaca sul “Paradiso dantesco” nella versione rumena (Adevărul literar şi artistic, 1932, no. 587) in cui richiama l’attenzione al gesto di gran rilevanza culturale fatto da Ortiz.

[3] Poesie, Mihai Eminescu (prima versione italiana dal testo rumeno, con introduzione e note a cura di R. Ortiz), Firenze: Sansoni, LXXI + 1927, 163 p.

G. Călinescu elogia queste traduzioni nella stampa romena: “Eminescu în italieneşte”; “Presa italiană despre Eminescu”, Viaţa Literară, 1927, no. 67; 1928, no. 85.

[4] “Ramiro Ortiz”, Romana 6 (1942), 8-9: 607.

[5] Dumitru D. Panaitescu, pubblicista e insegnante di lingua italiana, ha scritto proprio una tesi di dottorato intitolata Ramiro Ortiz, prietenul din Italia, di cui un frammento è presentato in Anuarul Universităţii Bucureşti. Literatură universală şi comparată 22 (1973), 1: 51-60.

[6] Ortiz, Per la storia, cit.: 3.

[7] Nicolae Iorga, “De unde a învăţat italieneşte Ienachiţă Văcărescu”, in Omaggio a Ramiro Ortiz, Bucarest, 1929: 100-105.

[8] L. Ademollo, insegnante pure lui (Iorga confessa di aver studiato la lingua italiana proprio secondo i suoi manuali), pubblicava nel 1860 a Iaşi un giornale di teatro – Il fulmine; poi, a Bucarest - Eco musicale di Romania. Giornale di musica, belle arti, teatri e varietà (1869-1871).

[9] Fraternitatea italiano-română (1881); dal 20 agosto 1884 esce Universul.

[10] Ion Heliade Rădulescu (1802-1872). Secondo lui, la lingua romena letteraria doveva essere “purificata” dalle parole non latine (si veda Paralelism între limba româna şi italiană, 1840; Vocabular de vorbe streine în limba română, adică slavone, ungureşti, turceşti, nemteşti, greceşti, etc., 1847).

[11] Asachi fu il primo rumeno che collaborò ad un giornale italiano – Giornale del Campidoglio (Roma, 26 dicembre 1811), con il sonetto “In occasione del volo aerostatico dell’illustre Donne la signora Blanchard”.

[12] Elena Gorunescu, “Câteva momente ale italienisticii romaneşti”, in Momente din istoria învăţământului limbilor străine la Universitatea Bucureşti, Bucarest: Universităţii, 1980: 205-212.

[13] Al. Marcu, “Simion Bărnuţiu despre nevoia învăţământului italian în şcolile româneşti (1854)”, Studii Italiene 4 (1937): 161-162.

[14] I. Al. Abbeatici, Gramatica Italiano-Romanu, intitulată Instructorul Italian, pubblicata a Galaţi e Bucarest, 1848; idem, Dialogu Italiano-Romanu, cu începuturi de Gramatica, în Lecţiuni. Dedicatu nobilei naţiuni române, Bucarest: Imprimeria Statului, numită Nifon, 1860-1862.

[15] Vestitorul românesc 10 (1846), 101: 404, apud Florea Stănciulescu, “Învătământul particular în limbi străine din Ţara Românească în epoca paşoptistă”, Analele Universităţii Bucureşti, Istorie 31 (1982), 31: 114.

[16] Al. Marcu,Profesorul G. Al. Abbeatici la Bucureşti (1848-1862)”, Studii Italiene 5 (1938): 177-180.

[17] Orazio Spinazzola, Grammatica romena e di dialoghi romeni-italiani, 1863.

[18] Alice Marcu, “Pentru istoricul catedrei de italiană de la Universitatea din Bucureşti”, Studii Italiene 4 (1937): 145-146; Al. Marcu, “Întregiri despre Spinazzolla”, Studii Italiene 7 (1940): 201-202.

[19] Dimitrie Bodin, “I consolati del Regno di Sardegna nei Pricipati Romeni all'epoca del Risorgimento”, Rassegna Storica del Risorgimento 23 (1936): 163-164.

[20] All’Università di Torino si insegnò per la prima volta un corso di lingua rumena, docente essendo Ruscalla (1863-1879), l’animatore della Società Neolatina e membro dell’Accademia Romena. Suo corso sarà ripreso solo più tardi da Mario Ruffini (1930-1966).

Nel periodo fra le due guerre c’erano cattedre di lingua rumena a Milano, Venezia, Padova, Roma. Il Governo di Bucarest mandò in Italia ex-soci della Scuola Romena di Roma per insegnare la lingua romena: Gheorghe Caragaţă a Firenze, Teodor Onciulescu a Napoli, Petre Ciureanu a Genova, Alexandrina Mititelu a Padova, Petre Iroaie a Palermo, R. Moldovan a Bologna. Si veda Mario Ruffini, “L’insegnamento del rumeno in Italia”, Il Veltro 13 (1969), 1-2.

[21] C. H. Niculescu, “Gian Luigi Frollo (1832-1899)”, Studii Italiene 4 (1937): 93-120.

[22] G. L. Frollo, Lecţiuni de limba şi literatura italiană. Elemente de Gramatică, Lecturi şi traducţiuni, Brăila, 1868; idem, Limba româna şi dialectele  italiene, 1869.

[23] Idem, Limba naţională şi limbile străine în şcoalele României. Observaţiuni şi propuneri, Bucarest, 1871.

[24] Notizie sulla bio-bibliograpfia di Ortiz si trovano in Carlo Tagliavini, “Ramiro Ortiz (1879-1947). Commemorazione tenuta il 16 dicembre 1948”, in Annuario per l’anno accademico 1948-49, Padova: Tipografia del Seminario di Padova, 1949.

[25] Ortiz, “Le imitazioni dantesche e la questione cronologica nelle opere di Francesco Barberino”, Atti della Reale Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli 23 (1904).

[26] Vedi Nina Façon, “Lo studio dell’italiano negli Istituti Superiori e nelle Università”, Il Veltro 13 (1969), 1-2: 281-285.

          [27] Ortiz, “Una cattedra di lingua e letteratura italiana all'Università di Bucarest”, L’Europa Orientale 3 (1923), 9-11: 828-831.

[28] Idem, “Comemorarea lui Pio Rajna”, Roma 10 (1930), 4: 40-42.

[29]Cronica anului şcolar 1909-1910”, in Anuarul Universităţii din Bucureşti pe anul şcolar 1909-1910, al XVIII-lea anuar publicat de secretariatul Universităţii, Bucarest: Noua Tipografie Profesională, Dimitrie C. Ionescu, 1910: 3-4.

[30] Ortiz, Cronici italiene, Bucarest: Carmen Sylva, 1921, 199 p. Idem, Italia modernă, Bucarest: Ancora, 1925, 288 p.

[31] A U B, 1915/16-1923/24, Bucarest: Tipografiile Române Unite, 1924: 89.

[32] Le tematiche dei corsi dal 1909 al 1916: G. Parini e il rinnovamento della letteratura italiana; Alessandro Manzoni e il Romanticismo; Lorenzo de Medici ed Angelo Poliziano; Ugo Foscolo; La scuola siciliana e il “dolce stil novo” [si veda Il “Dolce stil nuovo”, Bucarest, 1913]; Vita di Dante e commento all’ “Inferno” [si veda Cântul al XXVI-lea din Infernul lui Dante cetit la Facultatea de Litere din Bucureşti, Bucarest, 1915]; Umanità e modernità di Dante. “Vita Nuova” [si veda “Umanitatea lui Dante”, Noua Revistă Română, 1916].

[33] Eugen Lovinescu, Memorii (a cura di Gabriela Omăt), Bucarest: Minerva, 1998: 194-195.

[34] AUB, 1915/16-1923/24, Acţiunea Universităţii în răsboiul pentru întregirea neamului”: 166 -167.

[35] Ortiz, “În ciuda submarinelor. Ziarul unui pribeag român de la Arhanghelsk la Montrose”, Ideea europeană, 1919, e alla casa editrice Alcalay, 1920, 95 p.

           [36] Le tematiche dei corsi  fra 1919-1929:

Umanità e modernità di Dante (II. “Canzonierul”). La poesia di G. Carducci [si veda Umanità e modernità di Dante (Prolusione a un corso sulla Divina Commedia, letta all’Università di Bucarest), Roma, 1921].

Il Rinascimento a Firenze. La Poesia di D’Annunzio [si veda Renaşterea la Florenţa în timpul lui Lorenzo dei Medici şi Poliziano, Bucarest: Cultura Naţională, 1922, 229 p.; una serie di articoli sul Rinascimento appare in Flacăra; “Renaşterea”, Roma 1 (1921)].

          Dello svolgimento della poesia lirica italiana dalle origini a Dante; La poesia di Giovanni Pascoli [si veda il corso su Dante pubblicato in Neamul Românesc dal 22 gennaio 1922].

Caratteri del secolo XVIII. Goldoni e la Francia (parte prima); “Poetae minores”: Guido Gozzano e i “crepuscolari” [si veda “Goldoni e la Francia (I-V)”, Analele  Academiei Române, Bucarest: Cultura Naţională, 1927, 168 p.]

          “Fortuna Labilis”: Storia di un motivo poetico da Ovidio al Leopardi; La poesia di Giacomo Leopardi [si veda Fortuna Labilis. Storia di un motivo poetico da Ovidio al Leopardi, Bucarest: Cultura Naţională, 1927, 168 p.]

I capolavori della  lirica italiana.

[37] Ortiz, “O manifestare latină”, Ideea Europeană 1 (1919), 25: 2-3.

[38] “Regulamentul Facultăţii de Filosofie şi Litere din Bucureşti”, Monitorul Oficial, no. 169 din 29 oct. 1921, Bucarest: Imprimeria Statului, 1921.

[39] Tagliavini, op. cit: 279.

[40] Ortiz, “Trebuie păstrată italiana în liceele noastre? Câteva răspunsuri”, Roma 6 (1926), 2: 1; idem, “Italiana în liceele noastre II”, Roma 6 (1926), 4: 14.

[41] Si veda Revista Datina 4 (1926), 1-2: 39-40.

[42] Ortiz, “Către Studenţi, despre ceva de pe acest pământ”, Arhiva pentru ştiinţă şi reformă socială, 1923.

[43] Anita Belciugăţeanu, Anuarul Seminarului de literatură italiană. Cu ocazia împlinirii a XX de ani de activitate, Bucarest, 1929.

* Anita Belciugăţeanu (n. Linden) nata nel 1892 a Focşani; laureata in lettere a Sorbonna, dottoressa in lettere e filosofia dell’Università di Bucarest; dal 1921 è assistente provvisorio e definitivo apenna nel 1929 (D. R. no. 1801, adr. no. 78863/ 926). Ha pubblicato: Istoria literaturii italiene, Bucarest, 1923; Poezia lui G. Leopardi, Bucarest, 1928; Carpe Rosam, Bucarest, 1931. È presente nelle pagine di Roma con studi sulla letteratura italiana, come per esempio: “Elementul pozitiv în pesimismul leopardian”, Roma 7 (1927), 1; “Pesimismul voluptăţii d’annunziene”, Roma 7 (1927), 2; “Secentismul italian”, Roma 12 (1932), 1 e 2.

[44] Alexandrina Mititelu, “Seminarul de Literatură Italiană în anii 1920-1922”, Roma 13 (1933), 3: 13-14.

[45] M. Skeletti, “Ramiro Ortiz la catedră”, Roma 13 (1933), 3: 22-23.

[46] Lovinescu, op. cit.

[47] Mensile (gennaio 1921-dicembre 1927) e poi semestrale, Roma era rivista del Cerchio di Studi Italiani presso Facoltà di Lettere e Filosofia. Si veda Claudio Isopescu, La stampa periodica romeno-italiana in Romania e in Italia, Roma: Istituto per l’Europa Orientale, 1937: 51-66; Dumitru Cârstocea, “Periodici di cultura italiana in Romania nell'intervallo fra le due guerre mondiali”, Studii Italo-Române 1 (1997), 1: 151-167.

[48] “Comitetul de Patronaj”, Roma 4 (1924), 3: 11; “Cuvântul de deschidere al D-lui Ramiro Ortiz, Directorul Institutului de Cultură Ialiană”, Roma 4 (1924), 4: 1-3; Ortiz, “L’Istituto di Cultura Italiana di Bucarest”, Europa Orientale, 1924: 833-835; idem, “Institutul de Cultură Italiană”,  Roma 7 (1927), 1: 42-45; si veda conferenza  inaugurale tenuta da Ettore Romagnoli intitolata “Virgiliu”, Roma 13 (1933), 2: 1-4, come pure la rubbrica “Însemnări” dello stesso numero.

[49] Ramiro Ortiz presenta due conferenze a Vălenii de Munte: 1924 – Lupta împotriva tradiţiei şi întoarcerea la tradiţie în literatura italiană contemporană; 1928 – Cultura italiană în România.

[50] Cfr. Revista Istorică 20, 4-6: 187, Ortiz coopera all’elaborazione del Regolamento della Scuola di Roma. I borsisti erano reclutati pure dai suoi studenti (basta nominare a Marcu e Călinescu).

[51] Romania. Rassegna degli interessi italo-romeni diretta da Michele A. Silvestri (Roma, 1920-31 gennaio 1922): Note Italo-Romene. Una rivista italiana a Bucarest (Roma diretta dal prof. Ramiro Ortiz); La cattedra di lingua e letteratura italiana all’Università di Bucarest; Note Italo-Romene. Gli studenti dell’Università di Bucarest visitano Roma (sotto la guida del prof. Ramiro Ortiz).

[52] Archivio della Società Dante Alighieri di Roma, Dossier Romania, ff.

[53] “Perugia şi Universitatea ei pentru străini”, Boabe de Grâu 5 (1934), 3: 192; Al. Marcu, “Studenţii noştrii la Perugia”, Viaţa Literară 4 (1929), 117: 2; “Un institut de Înalăa Cultură Italiană pentru streini la Perugia”, Roma 4 (1924), 4: 16.

[54] C. N. Negoiţă, “O prietenie literară. George Călinescu-Ramiro Ortiz”, Almanahul literar, 1969: 259-260; Micaela Şchiopu, “Amintirea unui profesor”, Revista de Istorie şi Teorie Literară, 1997, 3-4: 247-256.

[55] Călinescu, “La o despărţire”, Roma 13 (1933), 3: 8-10.

* Traduzione alla quale lavorava al contempo Marcu, senza aver pero conoscenza dei progetti di Călinescu.

[56] Călinescu şi contemporanii săi (Corespondenţa primită), II (a cura di Nicolae Mecu), Bucarest: Minerva, 1984, lettera di Ortiz inviata a  Călinescu, 30 luglio 1924, Napoli: 205-208.

[57] Ibidem.

[58] Veronica Turcuş, Alexandru Marcu (1894-1955) şi cultura italiană în România interbelică (Profil bio-bibliografic), Cluj-Napoca: Presa Universitară clujeană, 1999, 455 p. Italianista formatosi alla scuola di Ortiz, laureato della Facoltà di Lettere di Bucarest (1919), dottore del Istituto di Firenze (1922); socio della Scuola Romena di Roma (1923-1924), docente in “Lingua e letteratura italiana” dal 1 luglio 1925 (adr. Nr. 68 301/925); conferenziere dal 1926  (adr. nr. 118402/926), e dal 1933 titolare della cattedra patrocinata fino a quel momento da Ortiz.

[59] Ortiz, “Şcoala veche, casa nouă”, Viaţa literară 1 (1927), 36: 1.

[60] Omagiul lui Ramiro Ortiz cu prilejul a douăzeci de ani de învăţământ în România, Bucarest: Bucovina, 1929.

[61] “Omagiul lui Ramiro Ortiz”, Boabe de Grâu 1 (1930): 248.

[62] “Cuvântarea Doamnei Dr. Anita Belciugăţeanu”, Roma 10 (1930), 2: 34.

[63] “Cuvântarea D-lui C. N. Negoiţă”, Roma 10 (1930), 2: 36.

[64] Călinescu, “Un sărbătorit: Ramiro Ortiz”, Vremea 3 (1930), 115.

[65] Iorga, “Ramiro Ortiz”, Neamul Românesc 25 (1930), 117: 1.

[66] 1930: “Umanitatea şi modernitatea lui Dante”, l’emissione “Universitatea Radio”, 15 ott., ora 19.00, in Radio şi Radiofonia 3 (1930), 108: 17; “Italia şi poporul român”, l’emissione “Program pentru şcolari”, 22 nov., ora 16.00, in Radio şi Radiofonia 3 (1930), 113: 20; “Poeţi români traduşi în limba italiană”, 2 dic., ora 21.30, in Radio şi Radiofonia 3 (1930), 115: 13.

1931: “Poezii de Eminescu – traduceri în limba italiană”, 6 genn., ora 21.30, in Radio şi Radiofonia 4 (1931), 120: 11; “Legende medievale despre români”, 19 maggio, ora 21.30, in Radio şi Radiofonia 4 (1931), 139: 11; “Il animatore – N. Iorga”, 19 giugno, ora 21.00, in Radio şi Radiofonia 4 (1931), 143: 14.

1933: “Cuvânt de rămas bun”, 27 agosto, ora 19.00, in Arhiva SRR, 13/1933: 1.

[67] Vedi “Ugo Angello Canello e gli inizi della filologia romanza in Italia”, Firenze, 1987, Centro per la storia dell’Università di Padova 25 (1992).

[68] AUB 1932-1933: 17.

[69] AUB  1933-1934: 73.

[70] Ibidem: 74.

[71] AUB  1930-1931: 65.

[72] Al. Robot, “Interviu cu R. Ortiz”, Rampa (3 settembre 1933).

[73] Ortiz, “Despărţire”, Roma 13 (1933), 3: 3-4.

* Nel ottobre 1929, Ortiz lascia l’appartamento della villa situata in Via Argentina 42 (gia Aleea Blank B.) e trasloca in una casa in Via Bonaparte 10.

[74] Alexandru Ciorănescu, Amintiri fără memorie, I: 1911-1934, Bucarest: Editura Fundaţiei Culturale, 1995: 103-105.

[75] G. Nistor, “Un mare şi consecvent prieten al românilor: Ramiro Ortiz”, Steaua, 1972, 23: 10-11.

[76] Archivio Storico dell’Università di Padova, “Ramiro Ortiz ord. Filologia romanza”, Dossier 210/XII, f.f.

[77] Ortiz, Lineamenti di un’ interpretazione critica della corrente “italianista” in Rumania. Padova: Soc. Coop. Tipografica, 1933, 28 p.

[78] Lettera del 12 gennaio 1934, apud a Nina Faςon, “În amintirea profesorului Ramiro Ortiz”, Analele Universităţii Bucureşti, Literatura universală şi comparată 18 (1969), 1: 12.

[79] Lettera del 6 gennaio 1934, in ibidem.

[80] Ortiz, Breve storia della letteratura romena, Padova, 1936, 264 p.; idem, Letteratura romena, Roma: Signorelli, 1941, 260 p.

[81] Idem, Italia e Rumania. Un cinquantennio di studi sulla Letteratura italiana (1886-1936). Saggi raccolti a cura della Società Filologica Romana e dedicati a Vittorio Rossi, II, Firenze: G.C. Sansoni, 1937: 97-113; estratto, Firenze: Sansoni, 1937, 17 p.

[82] Ortiz, Manualetto rumeno, Bucarest: Bucovina, 1936, 240+XXXIV p.

Călinescu faceva la recensione del Manualetto di Ortiz (Adevărul literar şi artistic, 1936, 824, 20 settembre), e, pur essendo consapevole degli sforzi del professore per fare un’efficace propaganda culturale per la Romania, si dimostrava piutosto scettico.

[83] “Fapta foarte urâtă”, Porunca Vremii 6 (1937), 874: 4.

[84] Torouţiu, “Învăţăminte dintr-o călătorie la Padova. Pe marginea unei controverse”, Porunca Vremii 6 (1937), 885: 2.

[85] Ştefan Pascu, “Două premii italiene”, Convorbiri Literare, 73 (1940), 6: 598-599; Iorga, “O distincţie pentru amicul nostru Ortiz”, Neamul Românesc 35 (1940), 132: 1.

* C. Tagliavini - professore all’Università di Bologna, socio dell’Accademia Romena, direttore della sezione romena del Istituto per l’Europa Orientale e della rivista Studi Rumeni.

[86] La missione dei 12 giornalisti romeni in Italia, insieme a Liviu Rebreanu, ospiti del Minculpop, nel 1942. Si veda L. Petreanu, “Cultura românească la universitatea din Padova”, Universul, dicembre 1942.

[87] Dumitru D. Panaitescu, “O prietenie literară: Ramiro Ortiz-I. E. Torouţiu”, Manuscriptum, 1971, 3: 164-170.

* Umberto Cianciolò (1914-1969), autore del volume Testimoninaze di cronisti romeni intorno a Roma e all’Italia, insegnò tanto nel Istituto di Cultura Italiana di Bucarest che all’università.

[88] Lettera del 5 marzo 1948, in G. Călinescu şi contemporanii săi, cit.: 167.

[89] Rosa Del Conte (n. 1907) critico letterario, socio dell’Accademiei Romena (8 novembre 1994); Doctor honoris causa delle università di Bucarest (1972) e Cluj (1991).

[90] Rosa Del Conte, Mihai Eminescu o dell’Assoluto, Modena: Modenese, 1962 [versione romena: Eminescu sau Despre Absolut (a cura di Marian Papahagi, premessa di Zoe Dumitrescu Buşulenga, postfazione di Mircea Eliade), Cluj Napoca: Dacia, 1990, 463 p.].

[91] Studii Italiene, Varie: 208.

[92] N. Façon, Intelectualul şi epoca sa: Studii de istorie literară italiană, Bucarest: Editura pentru Literatură universală, 1966, 272 p. Si veda Doina Condrea-Derer, “Profesoara Nina Faςon despre intelectualul şi epoca sa”, in Momente din istoria învaţământului limbilor străine la Universitatea Bucureşti, 1980: 159-166.

[93] Al. Balaci, Studii Italiene, Bucarest: Editura de Stat pentru Literatură şi artă, Editura pentru Literatură universală, 1958-1968, 4 vol.

[94] Ortiz, O profesiune de credinţă, Roma 7 (1927), 1: 44.