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La
“congrua” del clero nell’Impero Austro-Ungarico e l’identità
confessionale dei romeni greco-cattolici alla fine dell’Ottocento:
una
testimonianza inedita dagli archivi pontifici
Università “Babeş-Bolyai” di Cluj-Napoca,
Accademia di Romania, Roma
La
documentazione riguardante le relazioni ecclesiastiche romeno-ungheresi della
seconda metà del XIX secolo solleva un’insieme di problemi che hanno
costituito, in misura maggiore o minore, l’oggetto di ricerca della
storiografia romena. Tra essi si distinguono particolarmente le trattative
della gerarchia della Chiesa Cattolica ungherese indotte a definire il suo status
cattolico autonomo (l’Autonomia Cattolica), negoziati che impiegarono l’intero
periodo tra l’avvio del Dualismo (1868) e lo scoppio della Grande Guerra[1].
Le reazioni della Chiesa Romena Unita di fronte agli sforzi determinati di
fondamentale l’“Autonomia Cattolica” ungherese, senza essere unanimi, si
materializzarono in dibattiti, polemiche e controversie, sia tra il clero che
tra i laici. Il concetto ungherese di “autonomia cattolica” contravveniva
ampiamente alla prospettiva romena sul modo in cui erano intese la
conservazione, il consolidamento e l’affermazione della propria autonomia
ecclesiastica. La polemica sorta tra le due gerarchie intorno all’“Autonomia
Cattolica” costituisce il tratto dominante delle relazioni ecclesiastiche
romeno-ungheresi del suddetto periodo, che sono improntate dall’atteggiamento
diverso riguardo i problemi confessionali e politici, e di cui ne derivano anche
rapporti tesi richiamati dagli argomenti attinenti all’ideologia nazionale. A
ciò si aggiungono altri punti controversi riguardanti la politica dello
Stato laico, vale a dire l’imposizione della legislazione civile nei casi di
matrimonio e di divorzio, lo statuto delle scuole confessionali romene, i
diritti dei preti e degli insegnanti romeni. Uno di questi problemi –
l’incremento del tenore di vita del clero cattolico in Ungheria – sarà
brevemente analizzato nel presente testo. L’approccio a questo tema è
dovuto alla scoperta di un materiale documentario inedito che rende possibile
alcuni chiarimenti a tal proposito.
L’affare della “congrua”, come è stato nominato
all’epoca il problema dell’ottimizzazione dei redditi del clero, senza aver
raggiunto l’acutezza delle questioni riguardanti la costituzione
dell’“Autonomia Cattolica”, è stato un argomento arduo, sia al livello
del Ministero dei Culti in Ungheria, sia nelle conferenze vescovili con
svolgimento periodico, tramite la partecipazione del clero superiore di
entrambi i riti, latino e orientale. Per gli ultimi due decenni del XIX secolo,
come anche per l’inizio del secolo successivo, i documenti conservati negli
archivi pontifici rivelano appunto un maggiore interesse in questo senso, sia
da parte dello Stato sia da parte delle chiese. D’altronde, la situazione
materiale del clero cattolico in Ungheria era un problema non privo di
importanza per la Santa Sede. In una conferenza dei vescovi
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dell’Ungheria,
svolta a Buda, il 27 febbraio 1896, fu infatti una lettera del cardinale
Rampolla, segretario di stato pontificio, a comunicare un puntuale suggerimento
del pontefice Leone XIII, indirizzato al vescovato di Ungheria; il papa
consigliava i vescovi di affrontare in modo più deciso il problema della
situazione materiale e di passare alla sistemazione dei beni del clero, nel
senso di una loro distribuzione più equilibrata, oltre ai beni
propriamente concessi al clero dal fondo per le religioni ungheresi, e al di
là degli eventuali sostegni da parte dello Stato[2].
Un’inedita supplica-memoriale romena, da noi rinvenuta
negli archivi pontifici, contiene informazioni interessanti riguardo il
problema della “congrua” del clero e offre inoltre alcuni indiziati
sull’identità confessionale romena greco-cattolica e sul modo in cui
essa veniva intesa negli ambienti ungheresi romano-cattolici. Questo documento,
intitolato La Sacra Unione assomigliata
allo scisma ossia modeste riflessioni sopra il “Memorando” del 24 ottobre 1888,
No. 1729, di Sua Eminenza Dr. Ludovico Haynald Cardinale-Arcivescovo Colocense
nell’affare della “Congrua”[3] è stato elaborato e inviato
alla Nunziatura Apostolica di Vienna da Augustin Lauran, canonico del capitolo
del vescovado greco-cattolico di Oradea. Il testo, dal palese intento polemico,
è stato redatto e poi consegnato alla Nunziatura Apostolica come replica
al Memorandum del 24 ottobre 1888,
che fu scritto dal cardinale Ludovico Haynald, arcivescovo di Kalocsa[4].
Il chierico ungherese avanzava in questo “Memorandum”
alcune proposte per la soluzione dell’affare della “congrua” del clero. Le sue
riflessioni sulla situazione del clero greco-cattolico, riprese ed esaminate da
Lauran nelle proprie considerazioni, sono particolarmente interessanti, non
tanto per le soluzioni effettive che propone per assicurare un qualche
incremento del reddito del clero in Ungheria, ma piuttosto per i sapienti
ricorsi agli aspetti storici nel definire l’identità etnica e culturale
del clero della Chiesa Romena Unita.
La petizione del canonico di Oradea parte da una
questione puntuale, dal problema della “congrua” per i preti greco-cattolici
romeni e, rigettando i punti di vista esposti da Haynald nel suo Memorandum con altri argomenti, solleva
problemi che riguardano essenzialmente l’identità confessionale e nazionale
del clero della Chiesa Romena Unita. Il Memorandum
dell’arcivescovo di Kalocsa propone essenzialmente l’aggiustamento dei redditi
del clero greco-cattolico romeno, allo stesso tempo e in base agli stessi punti
di riferimento validi per il clero “scismatico” – vale a dire ortodosso romeno
– e non in funzione dei punti di riferimento ritenuti validi per i preti di
rito latino. Conformemente alla logica secondo quale lo standard materiale
influisce sul livello culturale e sulla prestazione sacerdotale del clero,
Haynald considera che l’aumento del reddito del clero greco-cattolico e una
maggiore efficienza nella divisione delle parrocchie uniate devono essere
affiancate, simultaneamente, da simili misure per quanto riguarda il clero
“scismatico” romeno in Ungheria: “Quelle molteplici riferenze e contatti
però – si recita
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nel
Memorandum – che, attesa la comunanza della loro origine, lingua, rito,
modo di vivere e consuetudini, sussistono fra i Greco-Cattolici e scismatici di
nazionalità Rumena, impediscono, che loro stato qualificazionale e
culturale dei preti Greco-Cattolici di nazionalità Rumena, anche dopo il
ammeglioramento di congrua, essenzialmente e radicalmente si trasformi,
finattanto che i preti scismatici si lasceranno nel loro presente stato”[5].
La premessa da cui parte l’arcivescovo Haynald può
essere accettata in quanto possiede elementi verificabili nella realtà:
il reddito, il livello di istruzione e la qualità della prestazione
sacerdotale del clero uniato parrocchiale erano uguali a quelli del clero
ortodosso transilvano. L’argomentazione, il discorso che proponeva il
miglioramento della situazione materiale dei preti uniati e di quelli
“scismatici” in base agli stessi criteri, sviluppa però, a nostro
avviso, una costruzione più complessa, fondata su elementi ideologici
associati a cliché e a stereotipi degli ungheresi nei confronti dei romeni.
Come risposta, Lauran perora per una reale appartenenza al cattolicesimo dei
suoi correligionari, preti romeni greco-cattolici; in tal modo, le affermazioni
del prelato ungherese e le opinioni del canonico romeno di Oradea si
presentano, in ultima analisi, sotto la forma di un’acerba controversia
sull’identità etnica e religiosa.
“La Sacra Unione assomigliata allo scisma”, è
questa l’espressione attraverso quale Lauran dà inizio alla sua polemica
con Haynald[6]. Il testo di
Haynald, dal quale Lauran cita o riassume alcuni brani, rappresenta, attraverso
le idee che professava il suddetto chierico magiaro, un eccellente esempio
della mentalità del clero cattolico ungherese nei confronti dei
greco-cattolici romeni. Mettendo in rilievo il fatto che l’appartenenza del
clero uniato romeno al cattolicesimo non avrebbe cambiato effettivamente il suo
statuto, paragonato a quello “riservato” al clero romeno “scismatico”, Haynald
“tradisce” se stesso e si dimostra, allo stesso tempo, esponente dell’abituale
percezione della gerarchia ecclesiastica ungherese di rito latino, di una
percezione quindi che suggerisce che i romeni uniati sono in primo luogo
“romeni”, cosa che determina anche l’identificazione del loro livello culturale
con quello del clero “scismatico” della stessa etnia. La costruzione discorsiva
di Haynald propone quindi come reperto fondamentale dell’identità della
comunità dei preti uniati, la nazionalità e non la sua
appartenenza al cattolicesimo e la comunione con la Sede Apostolica. Questo
aspetto ci introduce nell’immaginario collettivo ungherese e ci rivela un fatto
particolarmente interessante: i greco-cattolici romeni vengono percepiti non
soltanto come alterità confessionale rispetto al modello
romano-cattolico, quanto soprattutto come alterità nazionale: “l’altro”,
in questo caso il clero romeno uniato, rappresenta per Haynald innanzitutto una
parte dello stesso filone nazionale che riconduce ai preti “scismatici” romeni.
Una tale percezione risulta naturale per la fine dell’Ottocento, un periodo in
cui sussisteva il concetto di nazionalità, elemento che rappresentava il
più importante valore simbolico nell’aggregazione di un’identità
collettiva, mentre la religione o l’appartenenza confessionale venivano
minimizzate. In questo contesto, il problema di Lauran e allo stesso tempo la
finalità del suo approccio polemico presso la Nunziatura Apostolica di
Vienna tentava dimostrare non tanto “il carattere romeno” quanto l’appartenenza
al cattolicesimo dei chierici greco-cattolici e il fatto che tale comunione con
la Chiesa di Roma aveva avuto un effetto positivo sulla crescita del livello
culturale del clero uniato. È per questo che i contro
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argomenti
di Lauran si costituiscono in altrettante risposte alla stessa ossessiva
domanda: “perché siamo cattolici?”
Il Memorandum
di Haynald “non vuole considerare i Rumeni Greco-Cattolici dell’Ungheria qual
è parte costitutiva innestata ed inseparabilmente saldata all’università
del Cattolicesimo, ma come siffatta appartenenza dello ‘scisma’ li vuole
rappresentare, il grado di cultura della quale dipende dal grado di cultura
dello scisma medesimo, di maniera che, secondo il ‘Memorando’ la leva della
cultura dei Rumeni Greco-Cattolici dell’Ungheria non consista già tanto
nella virtù soprannaturale del Cattolicesimo, quanto piuttosto nella
cultura alla quale potesse arrivare lo scisma”[7].
Secondo il canonico Lauran, quest’affermazione sarebbe grave in quanto
rappresenta un’offesa per la cultura stessa di espressione cattolica, latina:
“E così l’accusa scagliata contro di loro nel ‘Memorando’, in ultima
analisi, ferisce proprio quella salutare cultura latina, che essi se l’hanno
acquistata congiuntamente coll’esemplarità del costume, per mezzo di una
diligenza indefessa”[8].
Senza essere particolarmente elaborata, la retorica dell’argomentazione tramite
la quale Lauran sostiene, in una maniera coerente, l’appartenenza dei romeni
uniati al cattolicesimo è tipica per il movimento di protesta dei romeni
cattolici di rito orientale della seconda metà dell’Ottocento, in quanto
produce degli elementi ampiamente presenti anche in altre relazioni con
carattere di rappresentatività identitaria redatti dalla Chiesa Romena
Unita. Si tratta innanzitutto del riferimento al Concilio fiorentino, momento
simbolico e fondamentale per la comunione dei romeni uniati con Roma, in quanto
vi furono decisi i punti fondamentali dell’unione religiosa assunti anche dai
transilvani nel 1700[9].
L’intervento di Pio IX, il 19 settembre 1853, il secondo argomento mosso da
Lauran nella sua argomentazione, fu ricordata – un brano è addirittura
riportato[10] – anche per
il significato del tutto speciale che questo sommo pontefice ebbe nell’immagine
che si creò nel seno del cattolicesimo romeno di rito orientale; Pio IX
fu un vero e proprio “papa fondatore”, in quanto ha approvato lo statuto con
cui venne costituita la Metropoli di Blaj e della Provincia di Alba Iulia e
Făgăraş.
Con riferimento specifico al caso della diocesi di
Oradea, Lauran afferma in seguito che il clero di questa diocesi, in mancanza
di un seminario teologico proprio, si forma nelle stesse istituzioni di
insegnamento, e quindi si avvale della stessa preparazione come il clero di
rito latino: “per non occuparmi se non della Diocesi Greco-Cattolica di
Gran-Varadino, i preti di questa Diocesi in tutto ricevono la medesima
educazione coi preti di rito latino”[11].
Di conseguenza, il problema non sta nell’inferiorità culturale del clero
uniato nei confronti di quello di rito latino, quanto nel dislivello materiale
ed economico, fatto che va rimediato attraverso “l’affare della congrua”,
conclude Lauran. Il nocciolo delle accuse riassunte nel Memorandum di Haynald, secondo il quale lo statuto qualificativo e
culturale del clero romeno uniato non sarebbe stato affatto influenzato
dall’unione con Roma e dall’appartenenza al cattolicesimo, ma dalle
somiglianze, ivi comprese quelle culturali, con gli scismatici, venne
decisamente criticato dal canonico di Oradea. Egli afferma che Roma non aveva
condiviso quest’opinione e lo dimostra con la lettera apostolica che Pio IX
indirizzò ai vescovi della Provincia di Alba Iulia e Făgăraş, il
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25
agosto 1859[12]. Tutto
ciò la usa per dimostrare “la cattolicità” della Chiesa Cattolica
Romena di rito orientale, che era stata soggetta ad affermazioni disonoranti da
parte del citato arcivescovo ungherese, “come se la S. Unione fosse un
appendice dello scisma”[13].
Nell’ambito dei rapporti romeno-ungheresi della seconda
metà dell’Ottocento, i pregiudizi che facevano rimando agli “altri” in
base al criterio dell’identità etnica si moltiplicarono, e in seguito fu
raggiunta la confluenza dell’ideologia nazionale con le divergenze di tipo
ecclesiastico. Una ricerca recente dimostra che, conseguentemente
all’atteggiamento diverso dei romeni greco-cattolici in rapporto alle azioni
della gerarchia ecclesiastica latina dell’Ungheria, volte ad ottenere
l’“Autonomia Cattolica”, si creò un nuovo tipo di alterità:
l’identità cattolica di rito orientale versus quella di rito latino. Una
percezione che si aggiunge ad altre più antiche del tipo
“romeno”-“straniero”, “greco-cattolico”-“gesuita”,
“greco-cattolico”-“ultramontano” e che, dall’ambiente ecclesiastico slitteranno
progressivamente nella zona dei rapporti interetnici[14].
La relazione polemica di Lauran contiene però
delle novità al livello delle percezioni reciproche romeno-ungheresi, e
di quelle con connotati di appartenenza religiosa: “cattolico”-“scismatico”,
“cattolico di rito latino”-“cattolico di rito orientale”. L’identificazione
degli ultimi con gli “scismatici” dimostra innanzitutto, in ambito più
generico, la persistenza nel tempo dei pregiudizi reperibili negli ambienti
cattolici latini nei confronti delle comunità cattoliche di rito
orientale. A dispetto della comunione con Roma del clero “uniato”, la sua
derivazione dalla “scisma” non può eliminare i sospetti del clero di
rito latino, il quale si considerava l’unico di stampo cattolico “genuino”.
Purtroppo, la mancanza di un dialogo effettivo tra i due “polmoni della
cristianità”, occidentale e orientale – dialogo che, d’altronde, si
sarebbe manifestato più tardi con il pontificato di Giovanni XXIII e con
il Concilio Vaticano II –, ha permesso la manifestazione di numerosi cliché, stereotipi, percezioni
sbagliate da una parte e dall’altra[15].
Il rispetto degli “orientali” per i propri riti, allora poco noti negli
ambienti cattolici occidentali, generò una certa distanza e diffidenza
del clero di rito latino, e allo stesso tempo consentì un’assimilazione
pressappochista dei cattolici di rito orientale con gli “scismatici”. Cirillo
Korolevskij ricordava, per esempio, che il clero di rito latino attivo
nell’area orientale ai tempi di Leone XIII si era formato una strana opinione
secondo la quale i riti orientali sarebbero stati prima di tutto delle
“vestigia archeologiche” del passato, “che si tollerano perché difficilmente si
potrebbero sopprimere, ma deve rimanere inteso che le nuove conquiste debbono
farsi nel rito latino, più cattolico, più sicuro”[16].
Nell’ambito dei rapporti romeno-ungheresi che, rimandando
alle considerazioni di stampo nazionale ed ecclesiastico, il Memorandum di Haynald e la risposta
polemica di Lauran offrono un taglio espressivo dell’immaginario collettivo
ungherese dell’epoca. Al di là dei presumibili interessi materiali del
clero latino ungherese, della volontà di non distribuire dei
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redditi
dal patrimonio ecclesiastico al clero cattolico di rito orientale attraverso
l’affare della congrua, l’assimilazione della “Santa Unità” con lo
“Scisma” mette in risalto anche una chiara diversità al livello delle
percezioni. Data la sua comunanza di origine, lingua, rito e costume con gli
ortodossi, il clero uniato romeno assume, nell’immaginario degli ungheresi,
l’appartenenza etnica come caratteristica primaria e solo in secondo luogo
quella cattolica; come per certificare che, in fondo, l’adesione al
cattolicesimo non aveva modificato affatto la sua identità e il suo
statuto. Da questo punto di vista, quindi, l’analisi della relazione di
Augustin Lauran sta a confermare la preminenza del paradigma nazionale, la sua
precedenza di fronte a quella della confessione nell’epoca moderna e nel
contempo contribuì a rafforzare le conclusioni, già formulate
nell’ambito della storiografia romena, sull’evidente esistenza, nella
mentalità collettiva romena ed ungherese dell’Ottocento, dei due modelli
di alterità: “cattolico di rito latino” rispettivamente
“greco-cattolico”.
See
Appendix. La Sacra Unione assomigliata
allo scisma ossia modeste riflessioni sopra il “Memorando” del 24 Ottobre 1888,
No. 1729, di Sua Eminenza Dr. Ludovico Haynald Cardinale-Arcivescovo Colocense
nell’affare della “Congrua”. Lo scrisse: Dr. Augustino Lauran, Canonico
Greco-Cattolico di Gran-Varadino*.
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source: either this web address or the Annuario. Istituto Romeno di cultura
e ricerca umanistica 5 (2003), edited by Şerban Marin, Rudolf Dinu, Ion
Bulei and Cristian Luca, Bucharest, 2004
No permission is granted for commercial use.
© Şerban Marin, March 2004, Bucharest, Romania
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[1] Su questo argomento si veda Adriányi Gábor, “Lo Stato ungherese ed il
Vaticano (1848-1918)”, Mille anni di cristianesimo in Ungheria (a cura
di Pál Cséfalvay e Maria
Antonietta De Angelis), Budapest,
2001: 111-127 passim.
[2] Cfr. Ziarul întâmplărilor mai momentoase din viaţa
Episcopului Victor Mihályi al Lugojului, scris cu mâna-i proprie în următoarele
..., originale conservato presso la Direzione
Distrettuale Alba degli Archivi Statali Nazionali di Romania, Mitropolia
Unită cu Roma. Arhiva Generală: 137-138, 148-149 (edizione in corso di
stampa, a cura di Nicolae Bocşan
e Ion Cârja).
[3] L’originale si conserva presso l’Archivio Segreto Vaticano, Archivio della Nunziatura di Vienna, vol. 707 A,
Vanutelli S.-Taliani E., nunzi, Tit. VI/12, XIV/b-Varia, 1896-1903:
580-586 (in seguito sarà citato ASV,
ANV-V. T., vol. 707 A); si veda l’Appendice, in chiusura del presente
testo.
[4] Purtroppo, tale documento non è stato da noi
individuato nel fondo archivistico menzionato, però Augustin Lauran
riproduce alcuni brani significativi di questo Memorandum e riassume il
suo contenuto.
[5] ASV, ANV-V. T., vol. 707 A: 583v.
[6] Ibidem: 580v.
[7] Ibidem: 582r-582v.
[8] Ibidem:
583r.
[9] Ibidem: 581r-581v.
[10] Ibidem: 582r.
[11] Ibidem: 582 v-583r.
[12] Ibidem: 584r-584v.
[13] Ibidem: 585r.
[14] Bocşan, “Alterităţi în relaţiile interconfesionale
din Transilvania în a doua jumătate a secolului al XIX-lea
(romano-catolic–greco-catolic)”, Identitate
şi alteritate. Studii de imagologie (a cura di Bocşan e Valeriu Leu),
Reşita, 1996: 98.
[15] Cfr. l’analisi di Rosario F. Esposito, Leone XIII e
l’Oriente cristiano. Studio storico-sistematico, Milano, 1961: 498-517.
[16] Chiril Korolevskij,
apud Esposito, op. cit.: 501.
* La
trascrizione del testo è maggiormente conforme alla scrittura originale,
tranne che qualche lieve normalizzazione di alcuni passi; gli errori di
italiano conservati nel testo appartengono all’autore, Augustin Lauran, e
mantengono viva l’individualità della scrittura e la specificità
del linguaggio dell’epoca in cui il memoriale fu redatto.