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Istituto Romeno’s Publications
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Quaderni 2004
p.
341
Ion
Cârja,
Università degli Studi “Babeş-Bolyai” di
Cluj-Napoca/
Accademia di Romania in Roma
La fondazione della diocesi greco-cattolica ungherese di
Hajdudorogh ha coinvolto in una maniera diversa e per interessi divergenti, o perfino
totalmente opposti, la Santa Sede, la Corte imperiale di Vienna, il governo
ungherese, la Chiesa Greco-Cattolica Rutena e, non per ultima, la Chiesa
Greco-Cattolica Romena. Numerose personalità dell’epoca sono intervenute
apertamente, pronunciandosi a favore oppure contro la creazione di una nuova
diocesi cattolica di rito orientale nell’Austria-Ungheria. Una voce autorevole
è stata quella dell’Arciduca Francesco Ferdinando, erede del trono della
“Duplice Monarchia”. La visione delle cose di colui che avrebbe trovato una
tragica fine a Sarajevo due anni più tardi è stata singolare
nella sua fermezza ma anche molto costante durante tutto il periodo del “caso
Hajdudorogh”, sin dal periodo antecedente la promulgazione della bolla Christifideles
graeci e fino alla nomina a vescovo di István Miklósy[1],
primo titolare della nuova diocesi. D’altronde, l’attenzione dell’Arciduca non
scemò nemmeno dopo che si presentò il problema di un’eventuale
revisione della bolla Christifideles graeci in conformità con le
rivendicazioni romene. La posizione dell’Arciduca, dichiarata in una maniera
molto esplicita e schietta in favore dei romeni, è una realtà
abbastanza poco conosciuta nella storiografia ecclesiastica romena,
realtà però molto interessante sia per una migliore conoscenza
della situazione della Chiesa Greco-Cattolica Romena nei suoi rapporti con la
nuova diocesi, ma anche in quanto riguarda i rapporti fra Chiesa e Stato
nell’Austria-Ungheria alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. La
corrispondenza dell’Arciduca Francesco Ferdinando con la Nunziatura di Vienna e
con la Santa Sede contiene delle informazioni molto interessanti riguardo a
questi anni tumultuosi e ricchi in eventi, 1912-1913[2].
p. 342
La lettera indirizzata al Sommo Pontefice Pio X il 12
maggio 1913 è un primo documento[3]
che prova il coinvolgimento dell’Arciduca Francesco Ferdinando nello sviluppo
degli eventi che hanno raggiunto l’apice con la creazione della nuova diocesi
cattolica di rito orientale in Ungheria. Con questa lettera l’Arciduca presentava
al Pontefice una parte dalla corrispondenza avuta con il nunzio Scapinelli[4]
sul tema della diocesi ungherese – si allegano due lettere per farle conoscere
al Pontefice. La prima è indirizzata dal nunzio Scapinelli all’Arciduca
(19 aprile)[5], mentre la
seconda è la risposta di Francesco Ferdinando[6].
Un altro documento estremamente significativo è la lettera indirizzata
allo stesso Pontefice il 20 agosto 1913[7],
contenente le principali obiezioni e preoccupazioni dell’Arciduca circa la
neoeretta diocesi di Hajdudorogh.
L’Arciduca prese costantemente posizione contro la
creazione di questa diocesi tramite interventi presso i diversi fori coinvolti
nell’applicazione della bolla, realtà confermata all’epoca anche dalla
corrispondenza della Nunziatura di Vienna con la Santa Sede. Insistente e
scomoda, magari soltanto tenace e persuasiva, l’opinione dell’Arciduca è
menzionata anche in altri documenti della corrispondenza intorno a questo caso:
le lettere del nunzio Scapinelli indirizzate al Segretario di Stato, cardinale
Merry del Val[8], il 23
settembre 1912[9], l’8 marzo
1913[10]
e l’8 maggio 1913[11],
le lettere dello stesso cardinale in risposta a Scapinelli, del 15 marzo 1913[12]
e dell’11 aprile 1913[13],
senza dimenticare una lettera mandata da Demetrio Radu[14],
vescovo romeno di Oradea Mare, alla Sezione per gli Affari del Rito Orientale
della Congregazione “De Propaganda Fide”, datata 23 novembre 1913[15].
Queste testimonianze documentarie non esauriscono la
protesta dell’Arciduca e non rappresentano nemmeno un inventario esauriente
delle fonti che evocano
p. 343
indirettamente
anche il suo punto di vista sulla diocesi di Hajdudorogh[16].
I documenti citati, però, contengono sufficienti informazioni per
permetterci di sottolineare l’argomentazione fondamentale di Francesco Ferdinando
su questo tema, argomentazione che raccoglie considerazioni ecclesiastiche e
politiche nello stesso tempo. Il dialogo sul caso Hajdudorogh contenuto in
questi materiali ci presenta due gruppi divergenti di argomenti: da una parte
l’arringa dell’Arciduca contro la creazione della diocesi o, dopo la
promulgazione della bolla, per la sua revisione, dall’altra parte la posizione
della Santa Sede espressa sia dalla Segreteria di Stato, sia dalla Nunziatura
di Vienna, posizione mirante a concretizzare un atto di politica ecclesiastica
che aveva lo scopo di instaurare l’ordine e la pace religiosa in Ungheria.
La polemica del principe erede al trono della monarchia
danubiana con la Nunziatura e anche con la Santa Sede sul tema della nuova
diocesi s’iscrive nel dibattito generale ingaggiato dalle parti interessate:
infatti l’argomentazione portata avanti dall’Arciduca conteneva una serie di
elementi che lo mettevano in relazione di incontestabile solidarietà con
la Chiesa Romena Greco-Cattolica. L’idea che la diocesi di Hajdudorogh
costituisse un pericolo di destabilizzazione per la Chiesa cattolica e per la
dinastia rappresenta l’argomento centrale della corrispondenza svolta da
Ferdinando su questo tema. Lo affermava esplicitamente nei materiali firmati
lui stesso, ne facevano menzione poi quelli che presero atto del suo
atteggiamento, il nunzio Scapinelli e il Segretario di Stato, il cardinale
Merry del Val. Esprimendo il dispiacere perché le sue richieste “più
fondate” non avevano avuto nessuna eco, l’Arciduca ammoniva il nunzio sui
“gravi pericoli per la Chiesa, che sarebbero sorti dalla prevista fondazione
della diocesi di Hajdudorogh in un gran popolo fervente cattolico e fedele alla
dinastia”[17].
Riprendendo sulle “conseguenze negative” per la Chiesa e per la dinastia, che
potevano scaturire dalla fondazione della nuova diocesi, Ferdinando insisteva,
nella stessa lettera, sulla sua posizione dichiarando che egli non faceva altro
che servire gli interessi della Chiesa e della dinastia: “ripetendo la mia protesta
di prima, con ogni risolutezza contro la fondazione del nuovo vescovato, sono
persuaso di servir così non meno la Chiesa che la monarchia, delle
quali, ambedue, la salute e l’incremento mi devono essere poste in cuore in un
modo specialissimo”[18].
Nella lettera indirizzata l’8 maggio 1913 al cardinale
Merry del Val, il nunzio Scapinelli fa riferimento ad un scambio di lettere con
l’Arciduca ereditario sul problema della nuova diocesi ungherese di rito
orientale. Il nunzio afferma che aveva provato a spiegare i gravi motivi in
base ai quali la Santa Sede dovette nominare il primo vescovo di Hajdudorogh e
che ebbe come risposta da parte dell’Arciduca una lunga lettera nella quale
esso esprimeva il suo dispiacere per il fatto che non erano state prese in
p. 344
considerazione
le sue osservazioni, mantenendosi sulla ben conosciuta posizione dei fori
pontifici: “dichiara di ritenere questa istituzione come sommamente pericolosa
per gli interessi della Chiesa e della monarchia e protesta, come figlio devoto
della Chiesa, contro i gravi danni che, secondo lui, ne verranno”[19].
Nella lettera indirizzata a Pio X, il 20 agosto 1913,
Francesco Ferdinando elenca i principali argomenti al sostegno dell’idea
dell’inopportunità e dei rischi comportati dalla promulgazione della
bolla Christifideles graeci dell’8 giugno 1912. La lettera
è, nella sua essenza, una difesa della revisione della bolla pontificia
in conformità con le richieste indirizzate dai romeni. Ferdinando
considera la revisione parziale del documento pontificio come la soluzione
unica per risolvere questo “affare difficile”: “mi permetto di porgere alla
Vostra Santità i miei devotissimi ringraziamenti per la considerazione
delle mie continuate relative preghiere e d’aggiungere a queste il mio desiderio,
che la determinata revisione della suddetta bolla non venga ritardata, ma
bensì quanto prima effettuata”[20].
L’Arciduca sostiene il suo punto di vista in base ad alcuni argomenti veramente
interessanti per il problema che stiamo trattando. Il primo di questi riguarda
le relazioni interconfessionali e non soltanto; i sentimenti filo-russi
osservabili nel Regno di Romania di quel periodo si verificano anche nelle fila
dei romeni dall’Austro-Ungheria, i quali potevano essere propensi a ritornare
all’ortodossia: “Il rivolgimento subentrato momentaneamente nel contegno del
Regno di Romania in favore della Russia fa temere che le simpatie per la Russia
si estenderanno anche fra i Romeni dell’Ungheria, in qual caso l’estensione
dell’ortodossia fra questi troverebbe un maggior appoggio”[21].
Il secondo argomento mette in risalto una percezione molto realista da parte
dell’Arciduca circa il valore simbolico che ha l’identità nazionale nel
rapporto con l’appartenenza confessionale; Francesco Ferdinando afferma che il
rinvio della revisione della bolla allontanerà i romeni dalla fede
cattolica, questi volendo piuttosto la preservazione della propria
nazionalità: “ogni giorno di prolungazione allontana dalla Santa
Religione migliaia di fedeli, quali non vogliono sacrificare la loro
convinzione nazionale a nessun costo”[22].
Riprendendo il discorso sugli interessi della Chiesa cattolica l’Arciduca
ricordava al Pontefice che i rischi dell’allontanamento dei romeni dal
cattolicesimo diventavano sempre più grandi a causa dei piani del governo
magiaro di fondare una diocesi ortodossa “di nazionalità magiara”: “Del
danno, che soffrirebbero gl’interessi della Santa Chiesa nel caso in cui
l’ortodossia riuscirebbe a penetrare nell’Ungheria orientale, sono convinto che
la Vostra Santità è in piena cognizione, poiché anche
l’intenzione del governo ungherese di creare un Vescovato ortodosso di
nazionalità ungherese per scongiurare questo pericolo, potrebbe divenire
non meno pericoloso per la Chiesa cattolica”[23].
Tutti questi “fattori aggravanti” sostengono la necessità
dell’accelerazione della revisione della bolla Christifideles e la
p. 345
trasformazione
della diocesi di Hajdudorogh in conformità con i desideri espressi dai
romeni.
Agli interventi fatti presso il Sommo Pontefice e presso
la Nunziatura si aggiungono quelli intrapresi presso altri vertici, dai quali
si poteva sperare un cambiamento della situazione nel senso voluto
dall’Arciduca. Così, un altro documento che contrassegna l’implicazione
di Francesco Ferdinando nella vicenda, la lettera indirizzata dal nunzio
Scapinelli al cardinale Merry del Val il 23 settembre 1912 ci rivela che
l’Arciduca si era rivolto al primo ministro magiaro chiedendogli la
riorganizzazione della diocesi di Hajdudorogh in conformità con le
richieste della parte romena: “Pare che il Principe abbia scritto in proposito
al Presidente del Consiglio Ungherese, ma che ne abbia avuto risposta poco
soddisfacente, affermando il Governo essere impossibile tornare sopra ad una
decisione già sanzionata dalla S. Sede e dal Re”[24].
Anche l’ambasciatore dell’Austria-Ungheria presso la
Santa Sede era stato destinatario delle richieste dell’Arciduca. Ferdinando
scrisse al rappresentante diplomatico imperiale presso la Santa Sede, prima
della convocazione del Congresso mondiale eucaristico di Vienna (12-15
settembre 1912), chiedendo di procurargli, con questa occasione, un incontro
con il cardinale Segretario di Stato Merry del Val, “per potergli parlare delle
tristi condizioni ecclesiastiche che regnavano in Ungheria”[25].
I giorni del Congresso eucaristico, d’altronde, furono utilizzati dal vescovato
romeno unito e dalle comunità come una occasione favorevole per nuove
azioni di protesta. Nella lettera già citata, del 23 settembre 1912, il
nunzio Scapinelli scriveva al cardinale Merry del Val che i vescovi romeni
avevano chiesto l’aiuto dell’Arciduca Ferdinando durante il Congresso: “I
Vescovi romeni, in questi stessi giorni del Congresso, insistettero nuovamente
presso S. A. I. R. l’Arciduca ereditario, pregandolo ad interporsi ancora a
loro favore”[26]. Gli sforzi
dei vescovi furono rafforzati, in questo contesto, dalle azioni dei parroci e
delle comunità romene: “Intanto precisamente Domenica scorsa, giorno
della solenne processione Eucaristica, cominciarono ad arrivare alla Nunziatura
molti telegrammi di parrochi romeni, che coi loro fedeli protestavano vivamente
e con termini poco rispettosi ed anche insolenti verso la S. Sede e la
Nunziatura, contro l’erezione della nuova diocesi, dichiarando di non voler
assolutamente distaccarsi delle loro diocesi attuali”[27].
I telegrammi di protesta indirizzati alla Nunziatura (un vero “scandalo”,
nell’opinione del nunzio) cessarono soltanto dopo l’intervento del metropolita
Victor Mihalyi[28] e del
vescovo Radu, presenti anche loro a Vienna nel periodo 12-15 settembre 1912[29].
Francesco Ferdinando, però, continuò a scrivere
p. 346
all’ambasciatore
dell’Austria-Ungheria presso la Santa Sede “chiedendogli di fare tutto il
possibile per evitare la creazione di questo «vescovato sciovinista»”[30].
La corrispondenza tra la Nunziatura e la Segreteria di
Stato della Santa Sede menziona anche un argomento sollevato dall’Arciduca nel
dibattito sul “dossier di Hajdudorogh”, un punto di vista che si riferisce alla
nomina del primo vescovo di questa diocesi. La diocesi di Hajdudorogh, dalla
sua creazione tramite la bolla Christifideles graeci (8 giugno 1912),
fino alla nomina di István Miklósy come vescovo (nominato dall’imperatore il 21
aprile e dal Pontefice nel Concistoro del 23 giugno 1913[31])
fu governata da Anton Papp, vescovo della diocesi rutena di Mukačevo, in
qualità di amministratore apostolico. Durante questa
provvisorietà continuarono le azioni di protesta del vescovato, del
clero e delle comunità della Chiesa Romena Unita. D’altra parte, per
quello che riguardava la Nunziatura e la Santa Sede, l’organizzazione
incompleta della nuova diocesi significava instabilità e insicurezza,
una situazione che doveva rimediarsi tramite la nomina del primo vescovo
titolare. Anzi, l’Arciduca si pronunciò per la perpetuazione di tale
situazione, affermando che questo era preferibile al posto di un vescovo che
avrebbe strumentalizzato politicamente la sua carica e avrebbe condotto una
politica di magiarizzazione nei confronti dei suoi fedeli di nazionalità
romena. Così, il nunzio Scapinelli, nella lettera dell’8 marzo 1913,
esponeva al cardinale Merry del Val le discussioni avute con Francesco
Ferdinando il 15 febbraio intorno al tema della nomina del vescovo diocesano a
Hajdudorogh, riferendo che l’Arciduca aveva affermato in questa occasione che
“egli desidera si mantenga ancora la diocesi in amministrazione, non perché non
riconosca che un Vescovo si debba finalmente nominare, ma perché teme che il
governo ungherese proponga un magiarizzatore dei romeni”[32].
L’Arciduca era convinto che il governo ungherese trovatosi allora al potere
avrebbe imposto nella nuova diocesi un prelato avente un simile atteggiamento,
sperando però, in conformità con le opinioni del nunzio, che
insieme alla sostituzione del ministro dei culti dell’Ungheria la situazione
sarebbe mutata. Commentando la posizione di Ferdinando, il nunzio sosteneva con
buona ragione che la sostituzione del ministro dei culti non avrebbe
significato anche un cambiamento di direzione nella politica del governo ungherese
in questo affare, in quanto il vescovo era già stato scelto nella
persona di István Miklósy. Il nunzio, inoltre, per mettere maggiormente in
rilievo la posizione dell’Arciduca, aggiungeva che le sue opinioni erano ben
diverse da quelle del governo di Budapest, quindi qualsiasi proposta ungherese
di risolvere il “dossier Hajdudorogh” avrebbe avuto difficilmente il consenso
di Francesco Ferdinando[33].
p. 347
Le opinioni dell’Arciduca nei confronti della nuova
diocesi magiara greco-cattolica ebbero eco e vennero ritenute assi importanti
presso la Nunziatura e la Santa Sede, sebbene Ferdinando non fosse un
personaggio con potere politico effettivo. Lo testimonia in primo luogo il
fatto che, senza raggiungere la finalità desiderata, i suoi interventi ebbero
parte di repliche e contro-argomenti da parte dei fori già ricordati.
Aggiungendosi all’azione di protesta del vescovato e delle comunità
romene, la corrispondenza di Francesco Ferdinando col Pontefice, con il
cardinale Merry del Val, con il nunzio Scapinelli o con il governo ungherese
costituisce un insieme di documenti che permettono la ricostruzione dell’intero
dibattito, in ciò che riguarda le idee e gli argomenti contrastanti
sollevati dalla fondazione di questa diocesi.
Nelle risposte date agli interventi dell’Arciduca, tanto
quanto possono essere rilevate nel limite del materiale documentario
disponibile, il nunzio di Vienna e il cardinale Segretario di Stato sollevano
un’idea leit-motiv intorno alla quale
si accentra l’intera argomentazione: la fondazione della diocesi di Hajdudorogh
era un fatto deciso dalle autorità ecclesiastiche, di conseguenza la
nomina del vescovo era vitale per superare una situazione di crisi provvisoria
che rischiava di degenerare.
Così, nella lettera indirizzata a Ferdinando il 19
aprile 1913, il nunzio affermava che la nomina del vescovo titolare della nuova
diocesi era quanto più urgente possibile, giustificandosi con varie
motivazioni. La nomina del vescovo avveniva già con grande ritardo, dopo
la promulgazione della bolla Christifideles graeci e del Decreto di
esecuzione di quella, emesso dalla Nunziatura (17 novembre 1912)[34].
Senza esporli necessariamente nell’ordine dell’importanza, il nunzio elencava
all’Arciduca i motivi esenziali, tra i quali quelli di maggiore rilevanza erano
il superamento della situazione di provvisorietà nella diocesi ed
evitare il fenomeno dell’utilizzo della lingua ungherese nella liturgia,
intollerabile nella prospettiva della Santa Sede: “pour empêcher que
l’ordre et la discipline ecclésiastique souffrant d’une situation incertain et
provisoire, et que le déplorable abus de l’usage et de la langue hongroise dans
la liturgie sacrée continue et s’agrandisse, contre la volonté et les
prescriptions absolues du St. Siège”[35].
Questo fatto non si può realizzare
efficacemente “sans d’abord régler d’une manière définitive le régime
diocésain avec la nomination d’un évêque propre, qui réside dans le
diocèse”[36]. L’amministratore
apostolico della nuova diocesi, Anton Papp, non riusciva affatto di tenere
sotto controllo la situazione, fatto dovuto alla necessità di esercitare
l’autorità vescovile in una diocesi così grande come Mukačevo[37].
Il movimento di protesta di alcune parrocchie romene
destinate alla giurisdizione della diocesi di Hajdudorogh non faceva altro che
sottolineare il bisogno di nominare un vescovo residente: “certaines paroisses
roumaines ont exprimé le désir
p. 348
d’être
détachée de l’Evêché de Hajdudorogh et d’être à nouveau
incorporées dans leurs diocèses d’origine”[38].
La Santa Sede, stando alle affermazioni comprese nell’arringa del nunzio
Scapinelli, doveva salvare il prestigio e la sua autorità nell’area e,
di conseguenza, non poteva prendere in considerazione le richieste romene prima
di esaminarle e anzitutto prima di nominare il nuovo vescovo: “le St.
Siège, pour sauvegarder sa dignité et le prestige de son autorité,
surtout après les inconvénients derniers, juge qu’il ne pourra prendre
en examen ces désires avant que la nomination de l’évêque soit accomplie.
Le nouvel évêque étant sur place, aidé s’il est
nécessaire par une commission spéciale, pourra prendre connaissance exacte des
plaintes des Roumains et en référer au St. Siège, pour les dispositions
du cas. Je crois que le gouvernement Royal Hongrois est dans ce même
ordre d’idées”[39]. Esprimendo
la sua fiducia nella “saggezza” dell’erede al trono, e nel suo spirito “di
devozione agli interessi della Chiesa”, il nunzio, alla fine della sua lettera
esprimeva la speranza che Francesco Ferdinando avrebbe apprezzato i motivi che
imponevano alla Santa Sede la nomina immediata del vescovo di Hajdudorogh[40].
Nella lettera indirizzata al cardinale Merry del Val l’8
maggio 1913, il nunzio Scapinelli affermava che avrebbe chiesto per iscritto
all’Arciduca di accettare la nuova realtà ecclesiastica come un fatto
deciso dalle autorità competenti: “che la istituzione della diocesi
è ormai un fatto compiuto dalle competenti autorità; che in
conseguenza è necessario venire finalmente alla nomina del proprio
vescovo”[41]. Nello
stesso tempo le parrocchie rutene che rappresentavano, secondo il nunzio, la
maggioranza nella nuova diocesi, avevano richiesto esse stesse la creazione
della nuova realtà ecclesiastica e allora reclamavano la nomina del
vescovo residente. Per quello che riguarda le rivendicazioni delle parrocchie
dei fedeli romeni, che rappresentavano una minoranza nella nuova diocesi,
Scapinelli valuta nella sua lettera che la Santa Sede le avrebbe preso in
considerazione se ritenute fondate[42].
Nella lettera speditagli dalla Segreteria di Stato della
Santa Sede, il 15 marzo 1913, come risposta alla corrispondenza ricevuta dalla
Nunziatura di Vienna, si chiedeva al nunzio Scapinelli di spiegare all’Arciduca
“i gravi motivi” che determinavano la Santa Sede di eseguire la nomina di un
vescovo nella sede vescovile di Hajdudorogh. Come replica immediata ai dubbi di
Francesco Ferdinando la Segreteria di Stato considerava che, al contrario,
ritardare la nomina del vescovo contribuiva ad aumentare il pericolo di una
possibile magiarizzazione della popolazione romena incorporata nella nuova
diocesi; il fatto era dovuto anche all’impossibilità del vescovo Papp di
Mukačevo di prevenire questi inconvenienti o qualsiasi altro fenomeno negativo
nei confronti degli stessi fedeli[43].
Per quello che riguardava l’utilizzo abusivo dell’ungherese come lingua
p. 349
liturgica,
la Santa Sede impose al nuovo vescovo di Hajdudorogh di mettere fine a questo
stato di cose: “Aggiungerà pure che la Santa Sede, la quale ha sempre
escluso dalla liturgia la lingua ungherese, si propone di dare precise e
categoriche istruzioni al nuovo Vescovo, affinché faccia rispettare le
prescrizioni già emanate in proposito e tante volte confermate e tolga
qualunque abuso in contrario”[44].
In una lettera successiva inviata dalla Segreteria di
Stato al nunzio, l’11 aprile dello stesso anno, epistola firmata dal cardinale
Merry del Val, si comunicava al nunzio Scapinelli un incarico preciso,
condizionato però dall’atteggiamento di Francesco Ferdinando: “Circa
prevista Hajdu–Dorogh, se V. S. non teme qualche seria difficoltà da
parte Arciduca, L’autorizzo comunicare Sig. Ministro che nomina Miklósy
può seguire suo corso”[45].
Anche se alla fine la posizione dell’Arciduca nel periodo
della creazione della nuova sede vescovile di Hajdudorogh si è
dimostrata una vox clamantis in deserto, il suo dialogo con la
Nunziatura di Vienna, con la Segreteria di Stato della Santa Sede o con i
governi di Budapest ci presentano i tratti di una figura singolare, quasi
fossimo davanti ad un Don Quijote moderno. Certamente gli sforzi dell’Arciduca
non portarono al risultato desiderato e Hajdudorogh divenne una realtà
ecclesiastica ufficiale, essendo nominato anche il primo vescovo: István
Miklósy. Il vescovato greco-cattolico di Hajdudorogh contava 215.000 fedeli
distribuiti in 162 parrocchie (83 provenienti dalle diocesi romene, 78 dalle
rutene) e la parrocchia plurietnica di Budapest, già sotto la
giurisdizione dell’Arcivescovato di Esztergom)[46].
L’azione di protesta del vescovato greco-cattolico romeno non determinò
nessun cambiamento radicale della situazione. Come conseguenza delle visite a
Roma del canonico Vasile Suciu (gennaio 1912) e dei vescovi Dumitru Radu e
Vasile Hossu[47] (marzo
1912), il Sommo Pontefice Pio X dispose l’inizio del processo della revisione
della bolla che consacrò la creazione della diocesi di Hajdudorogh[48].
Anche dopo la nomina del primo vescovo di Hajdudorogh la revisione della bolla
rappresentò una rivendicazione costante dei romeni, esigenza sostenuta,
come sopramenzionato, anche da Francesco Ferdinando. Un argomento di questa
rivendicazione era la falsificazione da parte del governo ungherese delle
statistiche della popolazione cui la bolla Christifideles aveva
circoscritto il territorio della nuova diocesi, mentre le richieste romene del
1913 e 1914 proponevano il riordino di questa diocesi e la restituzione alla
Provincia greco-cattolica romena di alcune parrocchie con fedeli a maggioranza
di lingua romena. Una delle proposte di
p. 350
riorganizzare
questa diocesi fu anche quella di Nicolae Iorga, che aveva suggerito l’utilizzo
del principio della doppia giurisdizione e di costituire parrocchie nella
diocesi di Hajdudorogh dove ancora una parte dei romeni parlavano solo romeno[49].
Alla fine la nuova diocesi non sarebbe riuscita ad accontentare pienamente,
così come aveva preso forma, nemmeno i suoi “beneficiari”: i governi
ungheresi pretendevano che, al contrario, c’era un alto numero di fedeli
cattolici di rito orientale e di lingua ungherese che erano rimasti al di fuori
dei confini della nuova entità ecclesiastica[50].
Le proteste romene e l’intero dibattito sull’eventuale riorganizzazione di
questa diocesi furono sopraffate dai problemi sollevati agli inizi della Prima
Guerra Mondiale, ciò che portò sia la Santa Sede che l’Impero
Austro-Ungarico ad avere altre priorità e interessi[51].
La creazione della diocesi ungherese a Hajdudorogh nel
1912 è soltanto l’apice di un evoluzione complessa, al limite fra il
politico, l’identità nazionale e il lato ecclesiastico, fatto che spiega
la difficoltà di trovare una soluzione definitiva in quell’epoca; oggi
probabilmente possiamo ancor di meno permetterci di dare attraverso una
prospettiva storica una ricostruzione univoca e semplicistica del caso, pur
prendendo in considerazione l’argomentazione certamente valida dei romeni o il
discorso sulla stessa linea dell’Arciduca Ferdinando. Il processo di
magiarizzazione graduale di alcune comunità di origine slava ma anche di
alcune di quelle romene del Nord-Est dell’odierna Ungheria, comunità che
avevano professato la loro comunione ecclesiastica con Roma nel Seicento, e che
praticavano il bilinguismo o addirittura già parlavano principalmente
ungherese, portò nel corso dell’Ottocento a una sorta di bisogno di
istituzionalizzare questa realtà: i greco-cattolici di lingua ungherese.
Nelle chiese di questa comunità l’ufficio liturgico continuava ad essere
in romeno o in slavo, pur imponendosi in una maniera sempre più
persistente una nuova lingua liturgica, cioè l’ungherese. Il movimento
per la creazione di un’entità ecclesiastica propria per i
greco-cattolici di lingua ungherese, movimento sistematico durante il dualismo
austro-ungarico, registrerà un primo successo istituzionale con la
creazione del vicariato di Hajdudorogh nel 1873. Nel periodo successivo si
cercò di ottenere di più, e più precisamente due cose: la
creazione di una diocesi e il riconoscimento ufficiale della lingua liturgica
ungherese, ufficializzando una realtà già esistente. Il movimento
dei greco-cattolici di lingua ungherese per la lingua liturgica e per la
creazione di una nuova diocesi era qualcosa di facilmente strumentalizzabile in
maniera politica dai governi di Budapest, che di conseguenza gli hanno dato
tutto il sostegno necessario. Per i governanti ungheresi “il caso Hajdudorogh”
ha costituito un’altra via per arrivare ad una nazione politica ungherese, un
tutt’uno in cui dovevano essere incluse anche le minoranze dell’Ungheria.
Per la Chiesa Greco-Cattolica Romena, la creazione della
nuova diocesi di lingua ungherese poteva significare una possibile diminuzione
della propria autonomia,
p. 351
riconosciuta
dalla stessa Sede Apostolica con la bolla Ecclessiam Christi del 25
novembre 1853, documento che stabiliva la creazione della Provincia
metropolitana greco-cattolica romena di Alba Iulia e Făgăraş. Ancora di
più il fatto di dover rinunciare a 83 parrocchie, a favore della diocesi
di Hajdudorogh, poteva significare per i romeni la prospettiva quasi certa del
pericolo di perdere la propria individualità, il rischio di vedersi
privati dalla loro identità anche sul piano ecclesiastico. Tutto questo
avveniva nella misura in cui il rapporto nazione-confessione era un elemento
importante nella coscienza dei romeni di Transilvania, che dovevano il loro
sviluppo in età moderna anche alla Chiesa.
La Sede Apostolica ha manifestato continuamente le sue
incertezze e perplessità riguardo la creazione di una diocesi
greco-cattolica ungherese, dubbi dovuti a varie ragioni. Prima di tutto
accettare una nuova lingua –l’ungherese– tra le lingue liturgiche,
rappresentava una vera difficoltà per il Papato, che non aveva
incontrato una simile situazione dal Cinquecento in poi, cioè dai tempi
della Riforma; questo fatto, contrario ai canoni della Chiesa cattolica,
poteva, una volta approvato, diventare un precedente pericoloso e una
prospettiva non desiderata – la rivendicazione da parte degli stessi cattolici
di rito latino dell’Ungheria di utilizzare la propria lingua come lingua
liturgica. Non bisogna dimenticare un altro motivo “aggravante” della vita
ecclesiastica ungherese: il movimento per l’Autonomia Cattolica, non
particolarmente ben visto dalla Santa Sede, che temeva che una simile formula
avrebbe potuto portare ad una sorta di “Chiesa nazionale” ungherese. Non per ultimo
esisteva anche il pensiero che una diocesi ungherese a Hajdudorogh poteva
alimentare le tensioni nazionali nella regione e questo faceva sì che
non di rado la Santa Sede bloccasse simili iniziative. Comunque dopo le
insistenze ripetute della parte ungherese assisteremo finalmente alla creazione
di una nuova diocesi cattolica in Ungheria, diocesi di rito orientale e, in
teoria, di lingua liturgica greca (lingua liturgica ufficialmente indicata per
questa diocesi dalla bolla Christifideles).
Su un piano più generale l’iniziativa di Francesco
Ferdinando contro la creazione della diocesi di Hajdudorogh e più tardi
per la revisione della bolla Christifideles da una parte, e la posizione
della Nunziatura e dalla Santa Sede dall’altra, ci presentano due concezioni
politico-ecclesiastiche distinte. Senza dimenticare l’incontestabile simpatia
dell’Arciduca per la situazione dei romeni greco-cattolici, possiamo concludere
che l’erede al trono capiva benissimo la forza del sentimento nazionale
nell’epoca. Di conseguenza, come “figlio obbediente della Chiesa” come si
considerava, Francesco Ferdinando voleva evitare un conflitto fra la coscienza
nazionale e l’appartenenza al cattolicesimo dei romeni della Provincia di Alba
Iulia e Făgăraş. Non bisogna sottovalutare, però, che l’Arciduca era
notoriamente conosciuto per la sua visione federalista che ideava la
riorganizzazione dell’Impero proteggendo le autonomie e le individualità
nazionali[52]. Tutto
questo, probabilmente, lo induceva ad una certa
p. 352
antipatia
per le strategie politiche dei governi di Budapest, metodi che si basavano sui
principi centralistici e di assimilazione della minoranze.
Il nunzio Scapinelli e il cardinale Merry del Val nel
loro dialogo con l’Arciduca sostennero il desiderio della Santa Sede di
normalizzare al più presto possibile la situazione religiosa
dell’Ungheria Nord-Orientale. Nello stesso tempo la Santa Sede non voleva
soltanto rimettere a posto un equilibro religioso e diminuire le tensioni fra
romeni e ungheresi, ma intendeva anche salvaguardare il suo prestigio e la sua
autorità nella regione e voleva difendere la sua immagine che, in
qualche misura, poteva aver sofferto a causa del “caso Hajdudorogh”.
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(a cura di
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Romeno, 2004
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Bucharest, Romania
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[1] Nato a Rákócz, nella regione di Zemplén, in Austro-Ungheria,
il 22 agosto 1857, István Miklósy fu ordinato sacerdote il 17 aprile 1884, poi
seguì una brillante carriera ecclesiastica raggiungendo la nomina a
vescovo di Hajdudorogh (1912-1937).
[2] La corrispondenza dell’Arciduca Francesco Ferdinando su
questo tema è stata pubblicata da Ion Dumitriu–Snagov, Le Sainte-Siège et la Roumanie moderne,
1866-1914, Roma 1989, pp. 921-923, pp. 926-927; invece la corrispondenza
tra il nunzio Scapinelli ed il cardinale Segretario di Stato della Santa Sede,
Merry del Val, che fa riferimenti alla partecipazione dell’Arciduca al
dibattito sulle ragioni della fondazione della diocesi di Hajdudorogh, è
in gran parte inedita, quindi faremo in quello che segue i riferimenti a tali
fondi archivistici.
[3] I.
Dumitriu–Snagov, op. cit., p. 921.
[4] Raffaele Scapinelli di Leguigno (1858-1933), nunzio
apostolico a Vienna (1912-1915), ebbe la porpora cardinalizia il 6 dicembre
1915.
[5] I. Dumitriu–Snagov, op. cit., pp. 921-922.
[6] Ibidem, pp. 922-923. A questa lettera stilata da Francesco Ferdinando mancano il passaggio
finale, il luogo e la data di stesura, nonché la firma del mittente. Il
documento è pubblicato da I.
Dumitriu–Snagov in conformità con l’originale esistente
nell’archivio; si veda il testo originale conservato presso l’Archivio Segreto
Vaticano, fondo archivistico: Segreteria di Stato. Epoca Moderna (in seguito sarà citato ASV, SSEM),
Anno 1913, Rubbrica 247, fascicolo 11, ff. 91r-91v.
[7] I. Dumitriu–Snagov, op. cit., pp. 926-927.
[8] Raffaele Merry del Val (1865-1930), nato a Londra il 10
ottobre 1865, diventò cardinale il 9 novembre 1903 per volontà
del Sommo Pontefice Pio X, quindi fu nominato Segretario di Stato il 12
novembre 1903.
[9] ASV, SSEM,
Anno 1913, Rubbrica 247, fascicolo 5, ff. 19r-22v.
[10] ASV, SSEM,
Anno 1914, Rubbrica 247, fascicolo 5, ff. 29r-32r.
[11] I. Dumitriu–Snagov, op. cit., pp. 918-920.
[12] ASV, SSEM,
Anno 1914, Rubbrica 247, fascicolo 5, ff. 35r-38r.
[13] Ibidem, f. 45r.
[14] Dumitru Radu, vescovo della diocesi romena greco-cattolica
di Lugoj (1897-1903), quindi vescovo della diocesi greco-cattolica di Oradea
Mare (1903-1920).
[15] ASV, SSEM,
Anno 1914, Rubbrica 247, fascicolo 7, ff. 154r-156v.
[16] Oltre quelle che abbiamo scelto per la nostra analisi ci
sono ancora due lettere che fanno riferimento agli interventi di Francesco
Ferdinando a favore dei romeni; queste lettere furono inviate dal cardinale
Nagl al cardinale Merry del Val, il 9 aprile e il 1 maggio 1912; si veda in tal
senso I. Dumitriu–Snagov, op. cit.,
pp. 861-862, pp. 875-876.
[17] Ibidem, p. 922.
[18] Ibidem, p. 923.
[19] Ibidem, p. 920.
[20] Ibidem, p. 926.
[21] Ibidem.
[22] Ibidem, p. 927.
[23] Ibidem.
[24] ASV, SSEM,
Anno 1913, Rubbrica 247, fascicolo 5, f. 20r.
[25] Cfr. Gábor Adriányi, Lo Stato ungherese ed il
Vaticano (1848-1918), in Mille anni di cristianesimo in Ungheria, a
cura di Pál Cséfalvay e Maria Antonietta De Angelis, Budapest 2001, p. 120.
[26] ASV, SSEM,
Anno 1913, Rubbrica 247, fascicolo 5, f. 20r.
[27] Ibidem, ff. 20r-f. 20v.
[28] Victor Mihályi de Apşa, vescovo della diocesi
greco-cattolica romena di Lugoj (1875-1895), metropolita della Chiesa Romena
Greco-Cattolica (1895-1918).
[29] ASV, SSEM,
Anno 1913, Rubbrica 247, fascicolo 5, f. 20v.
[30] Cf. G. Adriányi, op. cit., p. 120.
[31] Cyrille Korolevskij, Liturgie en langue vivante (Orient
et Occident), Parigi 1955, p. 62; si veda anche István Pirigyi, A
Hajdúdorogi Egyházmegye története, in Jubileumi emlokkonyve 1912-1987: a
Hajdudorogi bizanci katolikus Egyhazmegye, Nyregyhaza 1987, p. 22.
[32] ASV, SSEM,
Anno 1914, Rubbrica 247, fascicolo 5, f. 31r.
[33] Ibidem, ff. 31r-31v.
[34] Si veda il testo del Decreto della Nunziatura in Brevis
notitia historica dioecesis Hajdudorogensis, in Schematismus venerabilis cleri Dioecesis graeci rit. cath.
Hajdudorogensis ad Annum Domini 1918, Nyiregyháza 1918, pp. 40-42.
[35] I.
Dumitriu–Snagov, op. cit., p. 921.
[36] Ibidem.
[37] Ibidem, p. 922.
[38] Ibidem.
[39] Ibidem.
[40] Ibidem.
[41] Ibidem, p. 920.
[42] Ibidem.
[43] ASV, SSEM, Anno 1914, Rubbrica 247,
fascicolo 5, ff. 35v-36r.
[44] Ibidem, ff. 36r-36v.
[45] Ibidem, f. 45r.
[46] Si veda l’elenco delle parrocchie che componevano la
diocesi di Hajdudorogh nel testo della bolla Christifideles, pubblicato
nell’allora rivista greco-cattolica di Blaj “Cultura creştină”, II, no. 13,
1912, pp. 390-404 (testo latino con traduzione romena); si veda Schematismus venerabili cleri dioecesis greci
rit. cath. cit., pp.
31-40.
[47] Vasile Hossu, vescovo della diocesi greco-cattolica
romena di Lugoj (1903-1912), quindi di quella di Gherla (1912-1916).
[48] C. Korolevskij, op. cit., pp. 59-60; si veda anche
Ioan Georgescu, La diocesi magiara di
Hajdudorogh, Blaj 1940, pp. 19-22.
[49] C. Korolevskij, op. cit., p. 61.
[50] G. Adriányi, op. cit., p. 120, afferma che dopo
la creazione del vescovato di Hajdudorogh sono rimasti nelle diocesi romene
120.000 fedeli greco-cattolici ungheresi.
[51] Sulla riorganizzazione della diocesi di Hajdudorogh alla
fine della Prima Guerra Mondiale e nel periodo seguente, si vedano C.
Korolevskij, op. cit., pp. 63-66; I. Georgescu, op. cit., p. 63.
[52] L’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este
(1863-1914), erede al trono austro-ungarico, era favorevole alla
riorganizzazione della Duplice Monarchia su principi federali, riconoscendo
l’autonomia e l’individualità delle entità nazionali che la
componevano; questo orientamento lo avvicinò all’élite delle
nazionalità non-ungheresi dell’Ungheria, élite molto sensibile ai
progetti di riforma dello Stato che avrebbe permesso una maggiore affermazione
delle diverse identità nazionali. L’attentato di Sarajevo impedì
all’Arciduca di mettere in atto i suoi progetti, che saranno in qualche misura
riproposti troppo tardi dal futuro imperatore Carlo I; è ben nota
l’amicizia tra Francesco Ferdinando e il politico romeno Aurel Popovici,
teorico del federalismo dell’Impero, autore del libro Die Vereinigten
Staaten Gross-Österreichs (Gli Stati Uniti della Grande Austria),
Vienna 1906.