Back
to Homepage Annuario 2003
p. 79
L’immagine della Bulgaria
in occidente
al tempo della quarta
crociata*
Francesco Dall’Aglio,
Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici,
Napoli
La cronaca della
quarta crociata è, anche, una storia di malintesi, di uno scontro di
culture che, sebbene fecondo in certi suoi aspetti1 fu, tuttavia, sostanzialmente tragico.
Tutti gli attori di questo dramma, crociati e bizantini, usurpatori e vittime,
cattolici e ortodossi, erano vittime di una visione
schematica, parziale e pregiudiziale dei loro avversari, cosa che impediva loro
di comprendere appieno i loro antagonisti e li obbligava a commettere errori
che sarebbero stati pagati a caro prezzo. Una delle incomprensioni più
importanti, e paradossalmente anche una delle più trascurate dalla
storiografia occidentale sulla crociata, fu quella che, in sintesi,
costò la sopravvivenza all’impero latino di Costantinopoli a un anno
appena dalla sua costituzione, ovvero l’atteggiamento tenuto dai crociati nei
confronti della Bulgaria2. I fatti
sono noti: i Latini sottovalutarono Kalojan di Bulgaria e i suoi alleati Cumani
e si fecero massacrare ad Adrianopoli, il cui assedio avevano intrapreso con
leggerezza e a corto di uomini. Le cause di questo atteggiamento sono
certamente meritevoli di analisi.
Nella scena
politica europea del XIII secolo il regno di Bulgaria era un’entità
sostanzialmente nuova. La Bulgaria non era, ovviamente, una nazione sconosciuta
in Europa occidentale, dato che la sua fondazione originaria risaliva al 681 d.
C., ma più di 150 anni di dominazione bizantina (1018-1185) avevano
naturalmente affievolito i suoi legami con il resto del continente. In quegli
anni le terre bulgare non erano state niente
p. 80
più che province
dell’impero, regioni di allevatori e contadini: questo stato di cose
cambiò repentinamente a seguito della rivolta del 1185/86, guidata dai
fratelli maggiori di Kalojan, Teodoro/Pietro3
e Asen, che riuscirono a restaurare l’indipendenza del loro paese4. Il primo contatto diplomatico del
rinnovato regno bulgaro con una potenza dell’Europa occidentale avvenne alla
fine del dicembre 1189, quando Federico Barbarossa, che conduceva le truppe
della terza crociata, si trovava ad Adrianopoli occupato nei preparativi per la
guerra contro Bisanzio, dato che i suoi rapporti con l’impero si erano guastati
in modo apparentemente irrimediabile5.
Un primo accordo tra il Barbarossa e la Bulgaria era già stato concluso
verso luglio, ma si trattava più che altro di una semplice dichiarazione
di amicizia. Adesso, invece, la lettera inviata dallo zar Peter al sovrano
tedesco prometteva 40000 soldati per le operazioni contro Bisanzio. Secondo
Ansbert, l’unica fonte contemporanea su questo particolare avvenimento, in
cambio dell’aiuto Peter chiedeva di essere incoronato re di Costantinopoli6; più verosimile invece che la
richiesta riguardasse soltanto la corona di Bulgaria. Federico rispose in
termini amichevoli, anche se non aveva perduto del tutto le speranze di
ricomporre in modo pacifico la crisi con Bisanzio: e infatti, il 24 febbraio
del 1190 l’imperatore Isacco acconsentì a tutte le richieste dei
crociati e si impegnò a fornire loro appoggio logistico, navi per il
passaggio in Asia Minore, foraggio e vettovaglie. Barbarossa poté partire alla
volta di Gerusalemme, dove però non giunse mai, e la proposta di Peter,
e soprattutto la sua richiesta, rimasero lettera morta.
Nel 1197 Kalojan
venne incoronato re di Bulgaria, dopo che entrambi i fratelli erano morti in
seguito a congiure, Asen nel 1195 e Peter l’anno dopo. Anche per lui si
presentava il problema che aveva afflitto i fratelli, ovvero il riconoscimento
p. 81
dell’indipendenza della
Bulgaria e del loro diritto a governarla. In effetti, dal punto di vista del
pensiero giuridico medievale, venire riconosciuti sovrani soltanto dal proprio
popolo non era sufficiente; c’era bisogno che questo ruolo venisse confermato e
sancito da un’investitura più solenne, mentre al contrario gli
ispiratori della rivolta venivano considerati nient’altro che ribelli,
rivoltatisi contro l’imperatore di Costantinopoli che regnava, per antico
diritto, sulle terre che loro avevano ingiustamente occupato. A nulla valeva la
considerazione che, in passato, la Bulgaria era stata indipendente e, in quanto
tale, pienamente riconosciuta e legittimata dall’impero bizantino con una lunga
serie di accordi e trattati, perché quello stato non esisteva più, ed i
trattati che lo riconoscevano cone soggetto giuridico avevano perso di validità.
L’indipendenza bulgara era tale solo de facto, ma non era riconosciuta
ufficialmente, e questo valeva naturalmente anche per la sfera religiosa:
nemmeno il vescovato creato a Trnovo all’indomani della ribellione del 1185 era
stato riconosciuto. Dunque il vescovo di Trnovo, la capitale del regno, non
essendo il primate di una chiesa nazionale non aveva alcun diritto di
incoronare un re. Kalojan era in cerca di una legittimazione, ed era
ragionevolmente sicuro di non poterla attendere dall’imperatore e dal patriarca
di Costantinopoli; era dunque obbligato a guardare ad occidente, verso il papa.
L’appartenenza
della Bulgaria alla sfera della cristianità orientale non costituiva un
ostacolo insormontabile; del resto già Boris, che aveva ricevuto il
battesimo da Bisanzio nell’864, aveva cercato per motivi di convenienza
politica l’appoggio del papato per poi tornare sotto l’influenza bizantina
quando gli era parso più conveniente. Kalojan
intendeva muoversi sulla stessa strada, sfruttando la rivalità esistente
tra Costantinopoli e Roma. Il suo obiettivo era chiaro: in cambio della
legittimazione papale per sé e per il vescovo di Trnovo, avrebbe accettato
l’autorità del papato disconoscendo quella del patriarcato di
Costantinopoli. A partire dalla fine del 1199, tra la cancelleria vaticana e la
corte bulgara ebbe vita un lungo carteggio grazie al quale ci è
possibile ricostruire integralmente lo sviluppo della vicenda7.
Il primo contatto
tra la cancelleria vaticana e la corte di Trnovo risale al periodo tra la fine
del 1199 ed il febbraio 1200, quando Innocenzo III inviò una lettera al
sovrano bulgaro, probabilmente in risposta ad un primo sondaggio effettuato da
Kalojan8; questa lettera era destinata,
semplicemente, al “nobili viro Johannitio”, senza che nessuna menzione fosse
fatta del suo rango, e costituisce un messaggio di natura essenzialmente
apostolica. Kalojan rispose a questa lettera molto in ritardo: la data
p. 82
esatta non ci è nota,
ma è conservata nei registri vaticani dell’anno 12029. Come infatti
afferma, con un certo imbarazzo, lo stesso sovrano bulgaro, il legato
pontificio all’inizio non venne creduto e
fu obbligato a soggiornare a Trnovo per oltre un anno. La ragione di
questa detenzione non è nota, anche se Kalojan parla del timore di non
meglio specificati inganni10;
è anche possibile che il clero bulgaro, non gradendo l’unione con Roma,
abbia espresso riserve sulla questione, o che Kalojan stesso abbia
temporeggiato tentando di inserire la questione della corona e del patriarcato
nei negoziati di pace che in quel periodo stava concludendo con l’impero
bizantino11.
Nella sua
risposta al papa Kalojan, che si definiva sia “Chaloioanni domini Bulgarorum
et Blachorum” che “Chaloioannes imperator Bulgarorum et Blacorum”,
dopo avere affermato che anche i suoi fratelli avevano tentato, senza successo,
di mettersi in contatto con la sede apostolica e dopo una doverosa professione
di gaudio e rispetto, spostò subito il discorso sulla questione
politica: “[…] come diletti figli chiediamo alla chiesa romana, nostra
madre, la corona e la dignità regale quali le ebbero i nostri antichi
sovrani. Uno fu Pietro, l'altro fu Samuele ed altri ancora, che precedettero il
loro regno, come abbiamo trovato scritto nei nostri libri”12.
Kalojan non si limitò dunque a proporre al papa un semplice
baratto, la corona in cambio dell’obbedienza, ma si propose come il successore
legittimo di quel regno bulgaro che era stato conquistato ed assorbito
dall’impero bizantino. Ne consegue dunque che lui stesso non è un
usurpatore, un capo barbaro che decide di elevare a regno il territorio che ha
razziato, ma il continuatore di una tradizione statale già esistente e
legittima, come prova il deliberato riferimento allo zar Pietro che con il
trattato del 927 venne riconosciuto da
Bisanzio re della Bulgaria. Nella stessa occasione veniva riconosciuta anche
l’autonomia del patriarcato bulgaro; quanto, dal punto di vista diplomatico, un
simile precedente fosse prezioso è testimoniato dal fatto che anche
anche il fratello maggiore di Kalojan, Teodoro, aveva scelto di assumerne il
nome di Pietro una volta proclamato re.
Innocenzo dovette
trovare sensate queste argomentazioni, e vantaggiose le prospettive che gli si
aprivano. Nella lettera successiva, inviata il 27 novembre del 120213, gli si rivolge infatti come al “nobili
viro Caloiohanni domino Bulgarorum et Blachorum”, e gli rende noto di aver
preso atto, dopo attente ricerche nei registri, che “in terra tibi subiecta
multi reges fuerant coronati”. Non manca però di sottolineare il
voltafaccia di Boris, quasi a volersi cautelare di fronte ad una
eventualità simile, e
p. 83
annuncia dunque a Kalojan
che non gli manderà un cardinale ma un legato di grado inferiore, che si
accerti e riferisca della sincerità delle sue
intenzioni: “[…] inoltre, riguardo alla corona data ai tuoi predecessori
dalla chiesa romana, gli abbiamo dato ordine di ricercare con diligenza la
verità, tanto nei libri antichi quanto negli altri documenti, e di
discutere con te di tutto ciò di cui bisogna discutere, affinché tramite
lui e i tuoi legati veniamo resi di ogni cosa più sicuri, più
decisi e più pronti a procedere come bisogna procedere”14. Dunque, sebbene temperata da
una certa cautela, la volontà di Innocenzo appare chiara. Il papa
è pronto a riconoscere le richieste di Kalojan e a farne il legittimo
sovrano di un legittimo stato legato alla chiesa di Roma da vincoli di
fedeltà ecclesiastica; non era di certo sfuggito ad Innocenzo il
vantaggio che poteva derivare da un’eventuale sottomissione della Bulgaria al
Vaticano in un momento in cui l’attività missionaria di Roma era
proiettata nell’intera penisola balcanica, dato che anche Bosnia e Serbia
sembravano rispondere positivamente alle attenzioni papali.
Il
messo destinato a Kalojan, il cappellano Giovanni da Casamari, venne mandato
prima che a Trnovo proprio in Bosnia, dove restò parecchio tempo per
ricondurre all’obbedienza la chiesa locale, pesantemente intaccata dall’eresia
bogomila; in seguito si trattenne anche in Ungheria, su invito di re Emerico15. Kalojan non era stato però
informato del ritardo e a fine giugno 1203, non avendo ancora ricevuto
risposta, scrisse ancora al papa ribadendo la sua posizione e i suoi desideri16. Il messo papale giunse a Trnovo
nell’agosto del 1203 e si accertò di quanto Innocenzo gli chiedeva. L’otto
settembre il metropolita di Trnovo, Vassili, venne unto con l’olio sacro e
rivestito del pallio inviato da Innocenzo17:
anche se Kalojan non era stato ancora incoronato, l’accordo poteva dirsi
sostanzialmente concluso.
Intanto, a Bisanzio, la
situazione era gravissima. Alessio, figlio dell’imperatore Isacco II, che
Alessio III aveva spodestato e fatto accecare, era riuscito a fuggire da
Costantinopoli ed a raggiungere Zara, dove svernavano le truppe della IV
crociata che l’avevano conquistata su richiesta di Venezia; Alessio chiese loro
aiuto per restituire il trono a suo padre, promettendo quanto, in
realtà, non poteva promettere, e pur con qualche resistenza da parte dei
crociati l’accordo venne concluso. I fatti sono noti e non avrebbe senso riassumerli
qui18; basterà ricordare che il 24
giugno la flotta raggiunse Costantinopoli, che cadde il 17 luglio. Alessio
fuggì nella notte, dopo aver fatto caricare
p. 84
su una nave una parte consistente
del tesoro imperiale, e sbarcò a Debelto, un porto al confine con la
Bulgaria19. La destinazione era
stata scelta perché, in quel periodo, i rapporti tra Bisanzio e la Bulgaria erano singolarmente
buoni in virtù di un trattato di pace firmato tra le due potenze poco
più di un anno prima. La data esatta non ci è nota, poiché Niceta
Coniata, unica fonte contemporanea, non la fissa con esattezza limitandosi a
porre la stipula del trattato alla fine delle campagne cominciate
dall’imperatore bizantino nel 120120.
Nel trattato non erano state prese in considerazione né la questione della
legittimità regale di Kalojan né quella dello status del vescovo di
Trnovo, e ancora una volta l’indipendenza bulgara era accettata implicitamente
ma non sancita in maniera ufficiale; la tregua, nondimeno, fu bene accetta da
Kalojan, che pacificato il fronte meridionale poteva volgere le sue armate
contro Emerico d’Ungheria, che da tempo sottoponeva i confini nordoccidentali
bulgari a devastanti incursioni e che era riuscito ad annettersi la regione di
Belgrado e Braniãevo, allora sotto controllo
bulgaro. Kalojan fu dunque in grado di riprendere le terre che gli erano state
sottratte, ma lo stato di guerra con l’Ungheria non cessò. Anche
Emerico, infatti, considerava nulla l’autorità di Kalojan e si riteneva
pienamente legittimato a combatterlo, considerato anche il rapporto di
parentela che lo legava all’imperatore di Costantinopoli: vedremo più
avanti come queste dispute territoriali saranno dibattute a lungo
nell’epistolario di Innocenzo.
Sbarcando a Debelto,
Alessio intendeva certamente riparare in Bulgaria, o quantomeno sperava di
ricevere aiuto da parte di Kalojan al quale, alla fine, aveva promesso la
corona e l’autorizzazione a costituire un patriarcato indipendente. E’ lo
stesso Kalojan ad informare il papa di queste tardive concessioni nella lettera
spedita nel giugno 120321:
“[...] quando i greci seppero questo, il patriarca e l’imperatore mi
mandarono [a dire]: vieni da noi, ti incoroneremo re e ti daremo un
patriarca, perché non può esistere un regno senza patriarca. Ma io non
volli, al contrario feci ricorso alla tua santità, perché voglio essere
servo di san Pietro e della santità tua”22.
Non sappiamo se
queste promesse vennero fatte perché a Bisanzio si
era venuto a sapere dei contatti tra la Bulgaria ed il papato, come afferma
Kalojan, o se la causa risiedesse esclusivamente nel pericolo che minacciava
l’imperatore e nella necessità di allettare un potenziale alleato; fatto
sta che Kalojan non volle aiutare Alessio, che fu costretto a lasciare Debelto.
Bisanzio era ormai perduta e Kalojan non ritenne saggio legarsi a lui; inoltre,
era sua intenzione intrattenere rapporti cordiali con i Latini mentre aspettava
il riconoscimento papale, che sollecitò con una nuova lettera spedita
all’indomani del conferimento del pallio al vescovo di Trnovo23: “[…] chiedo
p. 85
alla tua santità che
mandi dei cardinali nel mio regno […] e dia loro la corona e lo scettro
secondo la benedizione della sede apostolica e del primo degli apostoli e che
mandi un privilegio bollato in oro simile a questo perché venga conservato in
perpetuo nella chiesa di Trnovo e che tutte queste cose vengano date al mio
regno e che consacrino ed incoronino il mio regno […] così
saprò assieme alla discendenza del mio regno e di tutti i bulgari e i
vlachi, che sono diletto figlio della santa chiesa ortodossa di Roma”24. Chiese poi ad Innocenzo di occuparsi delle dispute con
l’Ungheria, fissando con un arbitrato il giusto confine tra la sua terra e
quella di Emerico, e concluse la lettera firmandosi “Imperator Bulgarie
Caloihoannes”. Assieme a questa, da Trnovo partì anche una
crisobolla25, con la quale venivano
chiariti ancora meglio i termini dell’accordo e le richieste di Kalojan: “[...]
così anche il mio regno vuole la benedizione e il sostegno imperiale con
la corona sul capo del suo impero e la benedizione patriarcale dalla chiesa
romana […] e dal santissimo padre nostro e papa di tutti Innocenzo terzo
[…] Il mio impero dunque sottoscrive questa sua crisobolla per garantire
che mai esso si allontanerà dalla chiesa di Roma e dalla sede apostolica
del primo degli apostoli Pietro, ovvero che né il mio regno né altri principi
del mio regno se ne separeranno, ma io sarò chiamato diletto figlio
della santissima e apostolica sede romana del primo degli apostoli Pietro. E
d’ora in poi qualunque terra cristiana o pagana acquisterà il mio
impero, sarà sotto la potestà e il mandato della santissima ed
apostolica sede romana”26.
La frase sulle
terre conquistate era certamente una formula stereotipata, ma rifletteva anche
la preoccupazione di Kalojan circa i recenti avvenimenti che avevano sconvolto
Bisanzio: il sorprendente crollo di Costantinopoli lo poneva di fronte a
prospettive impreviste e, potenzialmente, molto pericolose. Sebbene, infatti,
Bisanzio fosse governata da Isacco II e Alessio IV, le truppe crociate che
soggiornavano nella capitale costituivano per lui una temibile novità:
Niceta Coniata ce ne dà conferma scrivendo che
Kalojan “aveva in sospetto l’indole insolente dei Latini, e temeva la loro
p. 86
lancia come una
spada di fuoco”27. Era chiaro dunque
che avrebbe voluto, almeno all’inizio, cercare di entrare in buoni rapporti con
loro: non si trattava di paura (aveva pur sempre combattuto con successo contro
l’impero bizantino, almeno sulla carta la maggiore potenza militare
dell’epoca), ma di semplice prudenza, una dote inestimabile in un militare.
Kalojan non aveva, probabilmente, alcuna conoscenza dei Latini, del loro modo
di combattere, della loro visione politica e della loro organizzazione sociale28; fu costretto ad imparare tutto sul
campo, in pochissimo tempo. In via teorica, invece, il compito dei Latini
sarebbe stato più semplice, dal momento che i Bizantini, com’è
ovvio, conoscevano benissimo la Bulgaria. Le loro conoscenze ed i loro
pregiudizi furono il filtro attraverso il quale i crociati, che ne avevano
invece un’idea del tutto approssimativa, si accostarono al loro vicino
settentrionale. Ma, in tanti secoli di frequentazione, il giudizio dei Bizantini,
sebbene filtrato attraverso le categorie loro care dei barbari incolti e degli
Sciiti brutali, non poteva prescindere da una giusta considerazione del valore
dell’avversario; questa equanimità mancava invece ai Latini, come gli
avvenimenti successivi testimonieranno.
Il
primo contatto tra la Bulgaria e la cavalleria crociata avvenne nella tarda
estate del 1203, poco dopo il conferimento al vescovo di Trnovo del pallio
speditogli da Innocenzo. Il 1° agosto del 1203 Alessio IV era stato incoronato
co-imperatore, e raggiungeva sul trono di Costantinopoli suo padre Isacco II;
la sua prima mossa politica fu quella di proporre ai crociati, che secondo i
termini dell’accordo sarebbero dovuti partire per la Terrasanta a settembre, di
rimanere ancora qualche tempo, in modo da permettergli di consolidare la sua
posizione. Nonostante alcune resistenze l’esercito crociato accettò,
stabilendo di partire a marzo. Verso la metà di agosto l’imperatore
organizzò una spedizione nelle terre a lui soggette “por l’empire
aquiter et metre a sa volenté”, come scrive Villehardouin29. La spedizione, alla quale partecipava
un nutrito contingente di cavalieri crociati, fu lunga e dispendiosa ma
raggiunse lo scopo prefissato, dato che le città ed i nobili bizantini
visitati da Alessio gli giurarono fedeltà. L’unico che si rifiutò
fu Kalojan, come ancora nota Villehardouin: “[…] tranne Johanis, che
era re della Vlachia e della Bulgaria. E questo Johanis
era un vlaco che si era ribellato contro suo padre e contro suo zio [di
Alessio IV], e aveva loro fatto guerra per venti anni, e aveva conquistato
così tanta della loro terra da essere diventato un ricco re. E sappiate
che è mancato poco che gli sottraesse quasi la metà [delle
terre] da
p. 87
questa parte del
braccio di S. Giorgio, verso occidente. Non si sottomise né al suo volere né
alla sua benevolenza”30.
Le
informazioni di cui dispone Villehardouin provengono naturalmente da fonte
bizantina e tendono a delegittimare Kalojan, presentato come un ribelle
arricchitosi saccheggiando le terre dell’impero. A parte questi pochi dettagli
sulla sua vita, perlopiù errati dato che sono attribuite a lui tutte le
imprese militari bulgare a partire dal 1185, Villehardouin non fornisce ai
lettori nessuna altra notizia sulla Bulgaria. Soltanto molto più avanti,
al tempo dell’incursione latina del 1207 in territorio bulgaro, la
descriverà come una terra di “mult forz montaignes”31, ricca di prodotti agircoli e,
soprattutto, di bestiame, “… bués et vaches et buffles a grant plenté, et
autres bestes”32; per
il resto, Villehardouin si limiterà solo a registrare la crudeltà
e la mancanza di cavalleria del sovrano bulgaro, e la brutalità pagana
dei suoi alleati cumani.
Piuttosto
differente è l’atteggiamento di Robert De Clari, che nella sua cronaca
sembra invece guardare in maniera più rispettosa a Kalojan, sebbene le
sue posizioni non si discostino di molto da quelle di Villehardouin e dei
bizantini che avevano fornito loro le informazioni di cui disponevano. De Clari
riferisce che nei primi mesi del 1204 Kalojan mandò un’ambasceria ai
latini di Costantinopoli, in un momento per loro molto delicato. All’epoca la
città era infatti governata da Alessio Ducas, detto Murzuflo, che si era
sbarazzato di Alessio IV e di Isacco ed era stato incoronato imperatore il 5
febbraio. Lo stato di tensione tra bizantini e latini era degenerato in guerra
aperta, e scontri e imboscate erano all’ordine del giorno: nel marzo del 1204 i
cavalieri crociati, convinti che il ricorso alle armi fosse ormai l’unica
alternativa, tennero consiglio ed elaborarono un pactum commune nel
quale regolarono sia la futura gestione delle terre conquistate che la
spartizione del bottino33.
Proprio in questo periodo giunsero loro le proposte dell’ambasceria bulgara. La
descrizione che De Clari fa del primo contatto tra Kalojan ed i crociati
è sostanzialmente favorevole al sovrano bulgaro, mentre la condotta dei
baroni latini, soprattutto alla luce di quanto accadrà in seguito, viene
stigmatizzata come irresponsabile e dissennata: “[...] Jehans il Vlaco
mandò a dire ai gran baroni dell’esercito che se l’avessero incoronato
re e l’avessero riconosciuto come signore della sua terra di Vlachia, lui
avrebbe tenuto per loro [come vassallo] la sua terra e il suo regno, e
sarebbe venuto in loro aiuto per aiutarli a prendere Costantinopoli con
p. 88
centomila uomini. […] i baroni dell’esercito […]
dissero che si sarebbero consigliati; e quando si furono consigliati
decisero un cattivo consiglio; risposero così, che non gli importava né
di lui né del suo aiuto; piuttosto che sapesse bene, che lo avrebbero
sottomesso, e che gli avrebbero fatto del male, se avessero potuto; e lui poi
si vendicò molto duramente su di loro! Fu dolore molto grande e danno
molto grande!”34.
De Clari,
che scrive naturalmente dopo gli eventi narrati, ha ben presente le conseguenze
che derivarono ai Latini dall’aver rifiutato la pace con Kalojan (che di certo,
per inciso, non pensò mai di diventare loro vassallo). I motivi che
portarono i crociati a rispondere in modo così sprezzante a chi offriva
loro il suo aiuto sono spiegati dallo stesso cronista: “La Vlachia è
una terra che appartiene all’imperatore; e questo Jehans era un sergente
dell’imperatore, che gestiva una stazione di monta equina dell’imperatore; sicché quando
l’imperatrore gli faceva richiedere sessanta o cento cavalli, questo Jehans
glieli mandava e andava a corte ogni anno finché non cadde in disgrazia a
corte; fintanto che venne un giorno, che un eunuco, uno degli ufficiali
dell’imperatore, lo offese, perché lo ferì con una scudisciata al volto;
e lui lo considerò un grave insulto. E a causa dell’offesa che gli era
stata fatta, così Jehans di Vlachia se ne andò via dalla corte e
si rifugiò in Vlachia35. La Vlachia è
una terra molto possente, che è tutta racchiusa da montagne, sicché non
se ne può entrare né uscire se non per una gola. Quando Jehans vi
giunse, cominciò a riunire i grandi uomini della Vlachia, come fa chi
è ricco ed ha anche potere, e cominciò a promettere e a fare regali
agli uni e agli altri; e tanto fece che tutti quelli del paese gli prestarono
omaggio, tanto che fu loro signore”36.
p. 89
Viene qui
riproposta, dunque, la tesi enunciata precedentemente da Villehardouin, ovvero
che Kalojan fosse soltanto un feudatario ribelle, che non viene definito
nemmeno baron da De Clari, ma soltanto serjans: questa doveva
essere la teoria ufficiale bizantina sulla questione. Secondo De Clari, o
meglio secondo il suo informatore, la famiglia di Kalojan era stata al servizio
dell’imperatore prima di guidare la rivolta del 1185 che restituì alla
Bulgaria la sua indipendenza. Si potrebbe ipotizzare che il loro coinvolgimento
nell’amministrazione imperiale fosse superiore a quello di semplici gestori di
una stazione di monta; in effetti, a giudicare dalle fonti i due fratelli
maggiori di Kalojan sembravano dotati di ingenti mezzi finanziari, e non
è assurdo pensare che avessero terre in pronoia dalle quali
ricavavano un buon reddito, sufficiente, ad esempio, a costruire una chiesa in
onore di S. Demetrio e a finanziare le prime fasi della ribellione37. Questo spiegherebbe come mai fossero
stati ricevuti al campo dell’imperatore, che certo non si sarebbe scomodato per
due semplici allevatori di cavalli; e proprio la “villania” dell’imperatore Isacco,
che li aveva cacciati dopo aver fatto prendere a pugni Asen, aveva in ultima
analisi scatenato la rivolta. I Latini potevano dunque ben vedere lo schema dei
rapporti tra Bisanzio e la Bulgaria in chiave esclusivamente feudale: Petr e
Asen, e Kalojan con loro, erano legati da un giuramento all’imperatore di
Costantinopoli che, sebbene si fosse comportato villanamente nei loro
confronti, restava tuttavia il loro signore; la loro fedeltà era venuta
meno, ed avevano occupato territori imperiali; dunque erano ribelli, che
andavano ricondotti all’obbedienza da coloro che sarebbero stati i nuovi
padroni di Costantinopoli, e ai quali dunque le terre appartenevano.
A questa
interpretazione tendenziosa della figura di Kalojan, che preveniva i crociati
dal volersi accordare con lui, va aggiunto l’orrore che questi ultimi devono
aver sicuramente provato nell’apprendere che le truppe che Jehans
contava di mandar loro in aiuto erano composte da Cumani, i cui costumi non
potevano essere osservati senza un profondo disagio. Questa è la
descrizione che di loro fa De Clari: “Ora vi dirò che gente sono
questi cumani. Sono gente selvaggia, che né ara né semina né ha casolari né
case, hanno soltanto tende di feltro […]; e vivono di latte e di
formaggio e di carne […] Ognuno possiede almeno dieci o dodici cavalli;
li hanno addestrati in modo che li seguono ovunque li vogliono portare, e
montano ora sull’uno ed ora sull’altro. Ciascuno dei cavalli che posseggono ha
un sacchetto appeso al muso, dove c’è il suo cibo, così mangia
mentre segue il suo padrone, e non smette di andare né di notte né di giorno;
vanno avanti così velocemente che in una notte e in un giorno fanno ben
sei o sette o otto giornate di cammino. Finché avanzano, non portano e non
prendono nulla prima di tornare indietro; ma quando tornano, allora si mettono
a predare; allora fanno prigionieri; allora prendono tutto ciò che
trovano; non sono armati di null’altro che di una veste di pelle di montone e
portano con loro arco e frecce né venerano altro che il primo animale che
incontrano al mattino, e chi lo incontra lo venera per tutto il giorno,
qualunque animale sia. Questi Cumani aveva Jehans il Vlaco in suo aiuto…”38
p. 90
Le incomprensioni
ed il disprezzo non erano dunque limitati alla sola Bulgaria. Ancora più
alieni agli occhi dei latini erano i Cumani, che scontavano la colpa di
praticare la religione animista e totemica propria delle popolazioni nomadi
dell’Asia, e di vivere in tende piuttosto che in palazzi. Il fatto che Kalojan
si accompagnasse a simili personaggi non mancò di impressionare anche
Villehardouin, che noterà con una certa malizia come al suo fianco
cavalcassero soldati “qui n’estoiet mie baptezié”39, considerando quindi un sovrano che
utilizzava simili alleati tutto fuorché cristiano. Un’alleanza di barbari e
pagani capeggiata da un ex sergente arricchito: se questo era lo stato delle
conoscenze che i crociati avevano dei loro vicini settentrionali, non sembra
strano che si siano rifiutati di associarsi a loro.
De
Clari termina la sua descrizione dell’incidente diplomatico aggiungendo queste
frasi: “E quando non ebbe ottenuto nulla da loro, mandò [messi] a
Roma per richiedere l’incoronazione, e l’apostolo [il papa] gli
inviò un cardinale per incoronarlo; e così fu incoronato re”40. Il 25
febbraio del 1204, infatti, Innocenzo III, convinto dalla relazione del
cappellano Giovanni, aveva mandato in Bulgaria il cardinale Leone Brancaleone,
che giunse però a Trnovo soltanto il 15 ottobre, quando la battaglia per
la conquista di Bisanzio era terminata da sei mesi, mutando non poco i rapporti
di potere nei Balcani. Dopo qualche giornata di scontri, infatti, il 13 aprile
Costantinopoli era caduta nelle mani dei Latini e il 16 maggio Baldovino era
stato incoronato imperatore. Città e fortezze che facevano parte
dell’impero vennero divise tra i cavalieri crociati, che diedero immediatamente
il via all’opera di “latinizzazione” delle terre occupate.
Il
processo non fu privo di difficoltà, dal momento che non tutti i nobili
bizantini accettarono senza opporsi il nuovo stato di cose; inoltre non
mancarono contrasti tra gli stessi crociati, il più grave dei quali vide
opposti il marchese Bonifacio di Monferrato e l’imperatore Baldovino. Il motivo
del contendere era il ricco feudo di Salonicco, che Bonifacio voleva per sé
nonostante gli accordi gli avessero assegnato l’Asia Minore ed il Peloponneso.
Bonifacio aveva sposato Maria (o Margherita), la sorella di Emerico d’Ungheria,
vedova di Isacco II41:
avrebbe dunque preferito un territorio più vicino alle terre ungheresi e
propose uno scambio42, che
Baldovino,
p. 91
temendo la
formazione di una signoria troppo potente, non volle accettare. Nel mese di
luglio l’imperatore, come già Alessio IV prima di lui, intraprese una
“cavalcata” in Tracia e Macedonia, ed incontrò Bonifacio a Mosinopoli.
La proposta del marchese era di lasciargli Salonicco, e di partire assieme per
una spedizione contro Kalojan: “[…] andiamo, se così vi piace,
contro Johannis, che è re di Vlachia e di Bulgaria, che tiene gran parte
della terra ingiustamente”43. La
proposta venne rifiutata e i due si lasciarono in completo disaccordo,
componendo i loro contrasti solo molto più avanti.
Ritorna
qui il motivo dell’illegittimità di Kalojan, che anche se rois non
è fedele al suo imperatore; e nelle terre da lui “ingiustamente”
occupate non è improbabile che il marchese includesse anche quelle al
confine con l’Ungheria, in particolare le regioni di Belgrado e Branièevo, che
gli interessavano a titolo personale vista la sua recente parentela con
Emerico. Le parole di Bonifacio sorprendono per la loro leggerezza. Non era la
prima volta che, nei pochi mesi trascorsi dall’incoronazione, veniva
prospettata un’azione militare contro Kalojan; già all’inizio della
spedizione di Baldovino in Tracia, infatti, gli abitanti di Adrianopoli lo
avevano pregato di lasciare in città un presidio per difenderla dalle
scorrerie bulgare44. Non
si era però mai pensato di invadere la Bulgaria, un’impresa
asssolutamente irrealizzabile da parte delle esigue forze dei crociati. Non
sappiamo se questa proposta fosse soltanto un espediente per guadagnare tempo,
o se Bonifacio sia stato sollecitato dal re d’Ungheria; ci troviamo però
di fronte ad un’ulteriore grossolana sottovalutazione della forza bulgara, dopo
la scortese risposta all’ambasceria narrata da De Clari. Ad ogni modo la
proposta rimase senza seguito, e i primi atti ostili contro la Bulgaria furono
molto meno ambiziosi di quelli prospettati dal marchese. A novembre René de
Trith giunse a Filippopoli, terra concessagli in feudo da Baldovino, con
centoventi cavalieri, bene accolto dalla popolazione che subiva da tempo le
scorrerie delle truppe di Kalojan. Il cavaliere di Trith diede il via ad una
serie di scaramucce che raggiunsero qualche risultato, anche se non definitivo
a causa dei contrattacchi bulgari: “E anche qui fu grande la guerra tra loro”45.
Il 15
ottobre del 1204, finalmente, il cardinale Leone fece il suo ingresso a Trnovo.
Il suo ritardo era stato causato dal fatto che Emerico, le cui terre Leone
doveva attraversare, lo aveva fatto arrestare impedendogli di proseguire a meno
che Kalojan non inviasse messi per regolare, presumibilmente a vantaggio
dell’Ungheria, la questione delle terre contese tra i due regni. Leone si
rifiutò, sostenendo con ragione che non stava a lui occuparsi di simili
cose, e scrisse ad Innocenzo esponendogli i fatti. La risposta del papa fu
decisa: appena saputo dell’arresto inviò una dura lettera ad Emerico,
nella quale gli ingiunse di far ripartire imediatamente Leone46. Emerico rispose ai rimproveri del
papa dolendosi del fatto che Kalojan, che secondo lui regnava senza diritto,
occupava terre che erano appartenute al regno d’Ungheria. Questa lettera
è
p. 92
andata perduta,
ma non così la risposta di Innocenzo, che ricapitola anche gli argomenti
di Emerico. La risposta, che venne inviata il 15 settembre, con Leone ancora
prigioniero, ribalta in maniera definitiva la questione del titolo di Kalojan
definendone la completa legittimità47:
“[…] hai scritto che il nominato Gioannizio non è legalmente signore di alcuna
terra, sebbene fino adesso tenga occupata una parte del tuo regno e una parte
di un altro regno, per cui ti meravigli che senza averti consultato noi ci
siamo riproposti di incoronare tanto subitamente un tuo tanto manifesto nemico,
tuttavia d’altra parte è male, lo diciamo nel pieno tuo rispetto, che tu
non sappia del tutto la verità su questo fatto. Infatti in passato molti
re in Bulgaria furono incoronati in successione per l’autorità
apostolica48, come Pietro e
Samuele e qualche altro dopo di loro. E in verità per la predicazione
del nostro predecessore papa Niccolò di santa memoria il re dei bulgari,
alle cui domande [Niccolò] molto spesso rispondeva, volle farsi
battezzare con tutto il regno a lui affidato, ma alla fine, poiché prevalsero i
greci, i bulgari persero la dignità regale, anzi furono perfino
obbligati a servire sotto il pesante giogo costantinopolitano, finché
ultimamente due fratelli, ovvero Pietro e Gioannizio49, discendenti dalla precedente
stirpe regale, la terra dei loro padri riuscirono non tanto ad occupare, quanto
a recuperare, cosicché in un solo giorno ottennero una vittoria mirabile su
grandi principi ed innumerevoli popoli. Dunque non neghiamo che forse una parte
di terra l’hanno invasa con violenza, ma asseriamo con fermezza che la maggior
parte della terra l’hanno recuperata per diritto paterno. Per cui noi
intendiamo incoronarlo re non di una terra altrui, ma della propria….”50.
Emerico
non poté fare altro che liberare Leone, che giunse a Trnovo, come già ricordato,
il 15 ottobre. Recava con sé numerose lettere: tre di queste erano indirizzate
a Kalojan51, cinque al vescovo di
Trnovo Vassili52 e una al vescovo di
Veležbud
p. 93
Anastasio53. Basilio venne nominato da Leone
soltanto primate della Bulgaria, e non patriarca, ma Kalojan fu, finalmente,
incoronato. La prima lettera a lui destinata54
è inviata, infatti, “A Kalojan illustre re dei Bulgari e dei Vlachi e
ai suoi discendenti, che gli succederanno in perpetuo tanto nel regno quanto
nella devozione alla fede apostolica”55.
“[…] volendoci occupare con cura patrena delle vicende spirituali e
temporali del popolo dei bulgari e dei vlachi”, scrive Innocenzo, “[…] ti
nominamo re sopra di loro e […] ti inviamo lo scettro del regno e la
corona regale, che lui [Leone] ti imporrà come dalle nostre mani,
ricevendo da te un giuramento che assicuri che resterai devoto e ubbidiente a
noi ed ai nostri successori […] ti concediamo la piena facoltà,
nel tuo regno, di battere moneta che rappresenti la tua effigie”56. In un’altra lettera57 gli comunica l’invio della bandiera:
“[…] decidemmo di mandare alla tua serenità […] il vessillo
che userai contro quelli che con le labbra onorano il crocifisso, ma che col
cuore ne sono distanti. Esso rappresenta, non senza mistero di fede, la Croce e
le chiavi […] Ammoniamo dunque la regale serenità […] che
usi questo vessillo con cuore umile e che nelle battaglie ti mostri memore
della passione del Signore…”58.
Kalojan venne incoronato l’otto novembre e scrisse subito al papa59: oltre ai ringraziamenti, aveva una
preghiera da fargli: “Scrivo alla vostra santità anche riguardo ai
Latini che sono entrati a Costantinopoli, perché scriviate loro di stare
lontani dal mio regno, e così il mio regno non farà loro nulla di
male, né loro assaliranno noi. Nel caso che tentino qualcosa contro il mio
regno e lo assalgano e uccidano di quelli [che lo abitano], che la
vostra santità non abbia il mio regno in sospetto…”60.
p. 94
Immediatamente
dopo essere stato incoronato dal legato pontificio, Kalojan aveva effettivamente
tentato un’ultima volta di accordarsi con i Latini, forse anche per compiacere
il papa presentandosi come un amante della pace e dell’unità tra i
cristiani; di certo sperava che, dopo l’incoronazione, il loro atteggiamento
nei suoi confronti potesse essere cambiato. Così non fu, ed è lo
stesso Kalojan a comunicarlo ad Innocenzo in una lettera scritta all’indomani
della battaglia di Adrianopoli, lettera che non è stata conservata nei Regesta
ma che appare nella compilazione nota come Gesta Innocentii61:
“[…] lui, udito della cattura della città regale, mandò nunzi e
lettere ai Latini per stare in pace con loro; ma loro gli risposero in maniera
molto superba, dicendo che non sarebbero stati in pace con lui se non avesse
restituito la terra che apparteneva all’impero di Costantinopoli e che lui
aveva invaso con violenza. Ai quali lo stesso rispose: che quella terra era
più giustamente posseduta da lui che Costantinopoli posseduta da loro,
perché lui aveva ripreso la terra che i suoi progenitori avevano perduto, ma
loro occupavano Costantinopoli che non gli apparteneva per niente: inoltre lui
aveva ricevuto legittimamente la corona del regno dal sommo pontefice; ma lui [Baldovino], che chiamava se stesso basileo di Costantinopoli,
aveva sconsideratamente usurpato la corona dell’impero da lui; per cui,
l’impero apparteneva piuttosto a lui che a quello, e perciò sotto la
bandiera che aveva ricevuto dal beato Pietro, adornata delle sue chiavi,
avrebbe combattuto con fiducia contro quelli che mostravano sulle loro spalle
false croci; provocato dunque dai Latini, fu obbligato a difendersi da loro; e
gli diede una vittoria insperata Dio, che resiste ai superbi e agli umili
invece dà la grazia”62.
Anche
Niceta Coniata riporta l’episodio, scrivendo che “[Kalojan] ricevette
l’ordine di rivolgersi loro non come un re a degli amici, ma come un suddito a
dei padroni […], oppure di aspettarsi che prendessero le armi contro di
lui e devastassero
p. 95
senza indugio la
Mesia, dalla quale traeva indebiti vantaggi essendosi ribellato ai signori
romei, e che l’avrebbero fatto ritornare alla precedente sorte”63.
E’
interessante notare come, tra le fonti francesi, soltanto De Clari dia conto
dei tentativi diplomatici di Kalojan; al contrario Villehardouin, che per la
sua posizione e per l’accuratezza della sua cronaca potremmo definire lo
storico ufficale della crociata, non vi fa mai cenno. Ovviamente questo
silenzio è deliberato, visto che in virtù della sua carica non
poteva ignorare i tentativi di accordo. Villehardouin sceglie, piuttosto, di
far passare l’impero come la vittima delle invasioni e delle razzie bulgare:
secondo la sua interpretazione, Baldovino lascia un presidio ad Adrianopoli per
proteggerla, René de Trith si limita a contrastare le scorrerie nemiche nella
regione di Filippopoli e quando la battaglia si combatterà in campo
aperto, ad Adrianopoli, Villehardouin la presenterà come un attacco alle
spalle da parte di un esercito invasore che ha sobillato i cittadini contro
l’imperatore.
Nemmeno la legittimazione conferita a
Kalojan dal papa, dunque, aveva convinto i crociati a cambiare idea sul conto
del sovrano bulgaro. Né del resto questi riservavano il loro disprezzo soltanto
a lui ed ai suoi alleati cumani: anche gli
aristocratici bizantini, indipendentemente dal contegno tenuto durante
il passaggio di potere tra il basileus e Baldovino, vennero mortificati
in più riprese dall’alterigia dei conquistatori, che non vollero
associarli in alcun modo all’amministrazione dei territori assoggettati
sebbene, nella maggioranza dei casi, ne abbiano rispettate le proprietà.
Perduta ogni speranza di accordarsi con i crociati Kalojan decise di passare
all’offensiva, e nell’inverno 1204-1205 bulgari e bizantini si allearono per
combattere il nemico comune. Villehardouin, lietissimo di poter associare
Kalojan ai suoi pregiudizi anti-greci, dà la colpa di questo accordo
alla felonie dei bizantini, i cui cuori mult estoient desloial64, e non fa cenno al fatto che alcuni di
loro, in precedenza, avevano invano tentato di entrare al servizio del latini,
che li avevano invece respinti. L’episodio è riportato da Niceta
Coniata: “I romei che erano scappati […] vollero anch’essi allearsi
con il marchese [Bonifacio] ed aiutarlo per quanto possibile. Ma quello,
dicendo di non aver bisogno di truppe romee, li mandò via. Allora quelli
rivolsero la richiesta di essere accolti all’imperatore Baldovino. Poiché, come
si dice, supplicarono di nuovo inutilmente, si recarono da Ioannes […]”65.
La
situazione dei Latini, nonostante la gran sicurezza che ostentavano, era in
realtà molto difficile a causa della sostanziale scarsità di
uomini, che per di più erano sparsi sul territorio in gruppi troppo
esigui per poter essere utili a qualcosa. Oltretutto, un’altra infausta
sottovalutazione della pericolosità di Kalojan aveva convinto Baldovino
a destinare un gran numero di cavalieri alla campagna contro Lascari in Asia
Minore, senza pensare a coprirsi le spalle in Tracia dove il numero di armati
presenti nelle piazzeforti era del tutto inadeguato. I Latini non erano in
grado di combattere su due fronti. Se si fosse trattato di scendere in campo
aperto con tutti gli effettivi, contro un’armata che utilizzava lo stesso stile
di combattimento, l’esercito crociato avrebbe
p. 96
avuto
sicuramente buone possibilità di successo: ma Kalojan non aveva
intenzione di provocarli ad una battaglia campale, né il suo esercito
combatteva allo stesso modo di quello crociato.
La
strategia scelta dai nuovi alleati fu quella delle imboscate e degli attacchi
di sorpresa, nei quali un esercito armato alla leggera era in grado di
infliggere danni pesantissimi ad un’armata che aveva il suo nerbo nella
cavalleria pesante; i bizantini avrebbero programmato una serie di insurrezioni
nelle città e nelle fortezze che più facilmente potevano essere
sottratte al nemico per l’esiguità delle truppe che le tenevano,
l’esercito bulgaro avrebbe atteso la primavera per presentarsi in forze e la
cavalleria cumana avrebbe continuato le sue devastanti incursioni in Tracia. Le
prime piazze a cadere furono Adrianopoli, Didimotico, Arcadiopoli, Zurolo ed
altri centri minori; Filippopoli riuscì a resistere, ma presi dal panico
trenta dei cavalieri che la difendevano tentarono la fuga e vennero catturati
dai bizantini, che “li consegnarono al re di Vlachia, che gli fece tagliare
la testa”66. Baldovino fu costretto
a richiamare in Europa i contingenti che, in Asia Minore, combattevano contro
Lascari, che ebbe così mano libera per riorganizzare le proprie forze.
L’arrivo di parte dei rinforzi richiamati permise ai latini di recuperare gran
parte del territorio perduto, a testimonianza del valore e della potenza della
cavalleria crociata: soltanto Adrianopoli e Didimotico rimasero in mano
bizantina, ma proprio ad Adrianopoli, che Baldovino tentò
sciaguratamente di riprendere, si consumò la peggior tragedia
dell’impero.
La battaglia del
14 aprile 1205 rimane uno dei più colossali esempi di miopia strategica
e tattica dell’intera storia delle crociate, sia per il numero di perdite
subito che per le conseguenze pratiche che la sconfitta ebbe sull’impero. I
numerosi errori di prospettiva commessi fino allora dai latini, sia in campo
diplomatico che militare, trovarono ad Adrianopoli l’ovvia conseguenza.
Nonostante
Baldovino avesse a disposizione poche truppe, decise di muovere contro la
città senza aspettare l’arrivo degli altri rinforzi che sarebbero giunti
dall’Asia di lì a poco. Giunto ad Adrianopoli il 29 marzo la
trovò ben munita di truppe, e vide sventolare sulle torri le bandiere di
Kalojan67. Pose il campo e diede inizio alle
operazioni, ma l’esiguo numero delle sue forze si rivelò inadeguato allo
scopo, mentre la scarsità di viveri imponeva il ricorso a spedizioni di
approvvigionamento nel circondario che sottraevano unità ad uno
schieramento già molto povero; inoltre, dopo pochi giorni giunse a
minacciarlo l’armata bulgaro-cumana guidata da Kalojan, che si dirigeva
velocemente contro di lui dal nord.
Il
campo di Baldovino stava dunque per trovarsi tra la città assediata e
l’esercito che giungeva in suo soccorso, una situazione non inusuale nelle
guerre medievali. Una realistica valutazione delle forze in campo, e
soprattutto delle conseguenze di una battaglia che difficilmente si sarebbe
potuto vincere, avrebbero consigliato ad un comandante esperto di allontanarsi
fintanto che ne aveva la possibilità.
p. 97
Baldovino non fu
di questo avviso, e si preparò a difendere l’accampamento mentre
l’esercito nemico si trincerava a cinque leghe di distanza.
Per la prima volta Kalojan si trovava
davanti ad un contingente di cavalleria crociata, che verosimilmente non aveva
mai visto in azione dato che gli scontri con René di Trith, stando alla
descrizione di Villehardouin, furono poco più che azioni di guerriglia,
così come l’insurrezione dei suoi alleati bizantini. Gli era necessario
tentare di capire quale specie di soldati avesse davanti, e mandò un
drappello di cavalieri cumani in ricognizione offensiva. All’apparire della
squadra nei pressi dell’accampamento latino, “nel campo si levò il
grido, e [i cavalieri] uscirono in disordine. E inseguirono i Cumani per
una lega abbondante in maniera molto dissennata. E quando vollero tornare, i
Cumani cominciarono a tirare molte frecce su di loro, e ferirono molti dei loro
cavalli”68. Baldovino e i baroni
si resero conto della pericolosa inutilità del gesto, e del fatto “che
era stata una gran follia avere inseguito così a lungo gente armata
così alla leggera”69, e
decisero, se mai si fosse presentata un’altra schiera di cumani ad
infastidirli, di attenderli ben trincerati nel campo, senza più uscirne.
Kalojan aveva compreso che i suoi avversari, per quanto temibili, erano in
verità abbastanza sprovveduti e che proprio la potenza e l’impeto della
loro stessa cavalleria potevano essere utilizzate contro di loro; diede dunque
ordine ai cumani, il giorno seguente, di dirigersi nuovamente all’accampamento
latino e, in caso fossero stati nuovamente inseguiti, “di rifare la stessa
strada di prima”70, in
modo da condurli “in posti nei quali erano state preparate trappole, insidie
ed agguati”71, mentre il grosso
dell’esercito attendeva nascosto nelle vicinanze. Purtroppo per i latini lo
stratagemma ebbe pieno successo. Anche se avevano verificato con i loro occhi
che la cavalleria cumana era troppo veloce perché avesse senso inseguirla,
nuovamente le si slanciarono dietro; il primo fu Luis de Blois, che oltre a
contravvenire alle sue stesse disposizioni ebbe anche l’imprudenza di lanciarsi
all’attacco solo con i suoi uomini, e “mandò a dire all’imperatore
Baldovino che lo seguisse”72, cosa
che quello fece. I due gruppi di inseguitori vennero attirati nel luogo
dell’imboscata, e distrutti uno dopo l’altro; il resto della schiera
riuscì fortunosamente a fare ritorno a Costantinopoli dopo alcuni giorni
di fuga. Il conto dei caduti fu pesante, non soltanto per il numero quanto per
l’importanza delle vittime; Baldovino venne preso prigioniero e non fece
più ritorno, e in attesa di notizie certe sulla sua sorte suo fratello
Enrico venne nominato reggente dell’impero.
p. 98
Villehardouin,
seppure affermando chiaramente e con rammarico che la colpa del disastro fu
l’insensato inseguimento, non può fare a meno di rimarcare, nella sua
descrizione dello scontro, il grande coraggio e il gran valore dei latini73; è evidente che, per lui,
l’esercito era stato preso di sorpresa da un nemico irrispettoso delle leggi
della guerra e della cavalleria, che non aveva avuto il coraggio di affrontare
l’imperatore in campo aperto e che aveva vinto solo grazie alla forza del numero.
Molto più critico, e diremmo quasi compiaciuto, è invece De
Clari, che dà tutta la colpa dell’accaduto alla superbia e
all’inettitudine dei baroni: “Quando quelli dell’armata videro quei Cumani vestiti
di pelli, non ne ebbero timore e non se ne diedero pensiero, come se non
fossero stati altro che una banda di ragazzi. E quei Cumani e quella gente
vennero loro incontro a gran velocità; e corsero contro i Francesi, e ne
uccisero molti, e li sconfissero tutti in quella battaglia […]. E
così si vendicò su di loro Domineddio
per il loro orgoglio e per la malafede con cui si erano comportati verso la
povera gente dell’armata, e per i peccati orribili che avevano compiuto nella
città, dopo che l’avevano conquistata”74.
Sconfitto
l’esercito latino, Kalojan si trovò, sostanzialmente, padrone della
Tracia, che al di fuori di Rodosto e Selimbria era tutta sotto il controllo
delle sue forze. Decise di spostare la sua attività in Macedonia, nelle
terre controllate dal marchese Bonifacio, e pose l’assedio alla città di
Serre. Riuscì ad avere la meglio sulle sue difese, e i latini superstiti
si asserragliarono nella rocca rifiutando di arrendersi. Secondo Villehardouin,
Kalojan fu pronto a ricorrere al tradimento per impossessarsene. In cambio
della resa “[…] Johanis fece giurare da venticinque dei suoi più
importanti nobili che li avrebbe fatti condurre al sicuro, con tutti i loro
cavalli e tutte le loro armi, a Salonicco o a Costantinopoli o in Ungheria, in
qualunque dei tre posti desiderassero andare. In questo modo fu consegnata
Serre. E Johanis li fece uscire e mettere nei campi vicino a lui, e fu molto
gentile, e mandò loro doni. E così li tenne per tre giorni; poi
li tradì su tutto ciò che aveva detto loro, e li fece arrestare,
e spogliare di tutti i loro beni, e mandare in Vlachia nudi e scalzi e a piedi.
I poveri e quelli che non valevano niente li fece condurre in Ungheria, a
quelli illustri fece tagliare la testa. Tale mortale tradimento fece il re di
Vlachia, come avete sentito”75.
p. 99
In
realtà, l’unica altra fonte che abbiamo sulla presa di Serre, Niceta
Coniata, presenta i fatti in maniera molto diversa: “[…] decisero di
consegnargli la rocca se fosse sceso a patti e avesse concesso loro che
uscissero incolumi, con le armi e con i cavalli che avevano. Poiché quello non
accettò l’accordo a queste condizioni, chiesero di essere rimandati a
casa insieme a guide per la strada fino ai territori della Pannonia. E fatti i
patti a queste condizioni, quello occupò la rocca ed essi ottennero di
allontanarsi senza pericolo”76. Non abbiamo
modo di sapere quale delle due versioni sia quella esatta; ci limiteremo ad
osservare che mai, in tutta la sua cronaca, Niceta ha taciuto un’azione
malvagia di Kalojan, nemmeno quando questa era stata compiuta a danno dei
latini.
Secondo
Villehardouin, dunque, di Kalojan è impossibile fidarsi anche quando
sembra che si comporti secondo le regole della cavalleria e della cortesia:
conosce il senso dell’ospitalità, pratica il dono e la gentilezza verso
i prigionieri, ma la sua innata malizia fa sì che si serva di queste
regole per fini malvagi, sfruttandole solo per raggiungere il suo scopo, per
poi calpestarle senza vergogna. In questo è simile ai bizantini desloial,
o ai pagani, di cui del resto era alleato. Né manca di suscitare sdegno in Villehardouin
il fatto che siano i nobili ad essere giustiziati, mentre “quelli che non
valevano niente” ebbero salva la vita77;
possiamo supporre che De Clari, se avesse narrato quest’episodio, lo avrebbe
fatto con toni ben differenti. Proprio De Clari, in effetti, ci presenta il
sovrano bulgaro in un episodio del tutto in contrasto, per l’ambientazione e lo
sviluppo narrativo, con l’immagine che i latini si erano fatta di lui.
L’episodio, che avviene al tempo della prima controffensiva di Enrico, quindi nel
1206, descrive l’incontro tra Kalojan e Pierre de Bracheux: “[…] l’imperatore
Enrico era accampato e Jehans il vlaco ed i Cumani avevano fatto una scorreria
nelle terre dell’imperatore e avevano messo il campo a due leghe, o meno,
dall’armata dell’imperatore, e avevano molto sentito parlare di messer Pierron
di Bracheux e della sua buona cavalleria; e allora un giorno mandarono
messaggeri a messer Pierron de Bracheux, per dirgli che gli avrebbero parlato
molto volentieri e per dargli un salvacondotto; e messer Pierre rispose, che se
avesse avuto il salvacondotto, sarebbe andato molto volentieri a parlare con
loro; e i Vlachi e i Cumani mandarono buoni ostaggi al campo dell’imperatore,
fintanto che messer Pierre non avesse fatto ritorno sano e salvo. Allora
partì messer Pierre, quarto di [tre] cavalieri; e montò su
un gran
p. 100
cavallo. Quando giunse vicino al campo dei Vlachi e Jehans di
Vlachia seppe che stava arrivando, gli andò incontro, con i grandi
uomini di Vlachia. Lo salutarono e gli diedero il benvenuto e lo guardarono con
stupore molto grande, perché era molto alto. E parlarono con lui di questo e
quello, e alla fine gli dissero: “Signore, noi ci meravigliamo molto della
vostra gran cavalleria, e ci meravigliamo molto che siete qui in questo paese,
perché siete di terre molto lontane, e che siete qui per conquistare terra. Non
avete”, dissero, “terre di cui vivere nel vostro paese?”. E messer Pierre
rispose: “Bé!” fece, “non avete udito come Troia la grande venne distrutta, e
in che modo?”. “Bé certo”, fecero i Vlachi e i Cumani, “noi abbiamo ben sentito
dire quello che è successo, molte volte”. “Bé” fece messer Pierre,
“Troia era dei nostri antenati, e quelli che ne fuggirono, se ne andarono ad
abitare là da dove noi siamo venuti; e visto che era dei nostri
antenati, noi siamo venuti qui a conquistare terra!” Qui prese congedo; e se ne
tornò indietro”78. Qui De Clari fa agire il
sovrano bulgaro e la sua corte in pieno accordo con i moduli cavallereschi,
mettendoli al pari, per signorilità, con i nobili francesi, dai quali
sono indistinguibili per comportamento, lealtà e cortesia. Si tratta
però di una voce isolata, che non scalfisce, né mira a farlo, il
pregiudizio latino nei confronti della Bulgaria, allo stesso modo in cui i
racconti sulla “cavalleria” del Saladino non impedivano ai crociati di
sentirsi, comunque, superiori alla sua gente.
Fortunatamente
per l’impero, Enrico, meno avventato e più pragmatico del fratello,
riuscì a salvare la situazione, approfittando anche del fatto che
l’alleanza tra bulgari e bizantini era giunta alla fine, vista la campagna di
distruzione che Kalojan aveva scatenato anche contro le loro città;
Enrico fu incoronato imperatore il 20 agosto del 1206, ma già
all’indomani della sconfitta di Adrianopoli si ritrovò di fatto a
governare l’impero. La sua prima mossa fu quella di chiedere aiuto al papa,
p. 101
mandandogli una
lettera che partì da Bisanzio il 5 giugno 120579. Nella lettera, oltre a descrivere la
battaglia e la situazione dell’impero dopo di essa, e a chiedere che gli fosse
mandato con urgenza un contingente dall’Europa, Enrico cercò di mettere
Kalojan in cattiva luce con Innocenzo, riferendogli che il re di Bulgaria
meditava un’alleanza “con i turchi e con altri nemici della croce di Cristo”80. Probabilmente Enrico si riferisce qui
a Teodoro Lascari, con il quale Kalojan pare fosse effettivamente entrato in
trattative; ad ogni modo, lo stesso Enrico si alleò con i Selgiuchidi
nel 1209, proprio contro Lascari. Innocenzo fu certamente molto colpito dalla
disfatta patita dai latini, e decise di impegnarsi perché le due potenze
concludessero la pace. Temeva, infatti, che un perdurante stato di guerra
avrebbe messo in pericolo tutte le conquiste fatte dalla chiesa di Roma nella
regione, e scrisse immediatamente sia ad Enrico che a Kalojan. La lettera
inviata ad Enrico è brevissima e secca81;
in essa, Innocenzo gli ingiunge di stabilire “[…] una pace
vera e ferma con il nostro carissimo figlio in Cristo l’illustre Kalojan re dei
bulgari e dei vlachi, affinché d’ora in poi tra bulgari e latini prosegua
un’amicizia sincera e stabile. Scriviamo in breve, perché c’è più
bisogno di opere che di sermoni. Infatti l’amicizia potrebbe essere molto
fruttuosa per entrambi”82. La
missiva mandata a Kalojan è più articolata, il tono più
cortese83: Innocenzo, che ben ricordava come il
re bulgaro lo avesse pregato di impegnarsi per la pace tra i due stati, non
poteva rivolgersi a lui che in modo gentile, come se fosse stato la vittima di
un’aggressione: “[…] ti amiamo fino al punto che aspiriamo attivamente al
tuo vantaggio ed al tuo onore, sperando per certo che tu debba procedere
incessantemente nella devozione alla santissima chiesa di Roma, per merito
della quale conseguisti un glorioso trionfo contro coloro che cercavano di
molestarti grandemente […] vogliamo provvedere con diligenza a che,
liberato da ogni parte dalle incursioni dei nemici, ti rallegri in tranquilla
pace”84. Era però
necessario che Kalojan, che in quel momento si trovava in
p. 102
una posizione di grandissima
superiorità, non abusasse del vantaggio di cui disponeva, non mettesse
ulteriormente in pericolo l’impero e, soprattutto, non interpretasse le parole
gentili del papa come una licenza per continuare le ostilità; per
raggiungere lo scopo, Innocenzo non esitò a ricorrere a larvate minacce:
“Sappi dunque, figlio carissimo, che un grande esercito sta per partire da
occidente diretto in Grecia85 […]
Per questo devi preoccuparti con ogni cura di te e della tua terra, per fare
finché puoi pace con i latini, perché se mai loro da una parte e gli ungheresi
dall’altra decidano di attaccarti, non ti sarà facile resistere ai
tentativi di entrambi. Per questo suggeriamo e
consigliamo in fede alla tua serenità che, poiché sostengono che tieni
prigioniero Baldovino imperatore di Costantinopoli, tu pensi a te stesso,
affinché tramite la sua liberazione tu faccia una pace vera e stabile con i
latini, perché desistano completamente dall’assalire te e le tue terre. Giacché
noi comandiamo per lettera apostolica ad Enrico, il fratello dello
stesso imperatore, che a Costantinopoli comanda l’esercito dei latini, che
spinga i latini a far pace con te in cambio della liberazione dello stesso
imperatore e di smetterla del tutto di molestarti. Dunque che Dio ti ispiri,
affinché tu ascolti i nostri moniti e consigli, perché il tuo regno, che hai
devotissimamente consacrato al beato Pietro ed alla chiesa romana, tu lo
conservi illeso da ogni turbamento…”86.
La risposta di Kalojan a questa lettera è stata citata in precedenza, e
lasciava poco spazio alla diplomazia87.
Baldovino restò prigioniero fino al giorno della sua morte, e di pace
con i latini non si parlò affatto.
La reazione
latina, che a partire dall’estate del 1206 si concretizzò in una serie
di contrattacchi, di cui due si spinsero in
profondità in territorio bulgaro, risolse la situazione al meglio per i
crociati. Innocenzo, rinfrancato dalle buone notizie che gli giungevano
da Costantinopoli, e convinto a ragione che la sopravvivenza dell’impero fosse
assicurata, scrisse nuovamente a Kalojan il 24 maggio del 1207. Sebbene il tono
fosse sempre gentile, questa volta non gli “suggeriva e consigliava” di
concludere un accordo di pace, ma glielo ordinava: “[…] il trionfo
concessoti dal Signore avresti dovuto ascriverlo non alla tua virtù, ma
piuttosto ai peccati di quelli che si meritarono di cadere […]. In
verità tu, ascrivendo a te stesso la vittoria riportata sui nemici, non
p. 103
hai dato a Dio, nelle cui
mani sono i cuori dei re, la gloria come avresti dovuto. […] Dunque
sebbene tu ti sia esaltato tra te e te più del dovuto per la predetta
vittoria, poiché tuttavia ti amiamo sinceramente nella carità del
Signore come carissimo figlio in Cristo, sperando per te salute e pace […]
Ammoniamo dunque la regale serenità e la esortiamo in nome del Signore
comandandoti per lettera apostolica, che tu voglia ed osservi la pace o una
tregua col nostro carissimo figlio in Cristo E[nrico] illustre
imperatore di Costantinopoli, e con gli altri latini che si trovano nell’impero
di Romania”88.
Questa
è l’ultima lettera che Innocenzo e Kalojan si scambiarono. Nell’autunno
del 1207, infatti, il sovrano bulgaro morì misteriosamente durante
l’assedio di Salonicco89,
mentre poco prima Bonifacio di Monferrato, l’ultimo grande rappresentante della
fase “eroica” della crociata, aveva trovato la morte in un’imboscata. La
difficile successione al trono di Bulgaria marcò una nuova fase nelle
relazioni tra i due stati: Enrico, che si era già dimostrato in grado di
rintuzzare gli attacchi di Kalojan, si oppose con forza anche al suo successore
Boril, che venne sconfitto duramente a Filippoli nel 1208. Enrico
tenterà ancora di spostare lo scontro con la Bulgaria sul piano
religioso, chiamando Boril, in una lettera destinata ad Innocenzo, “iniquissimum
persecutorem ecclesie Dei”90.
Tenterà però, soprattutto, di normalizzare i rapporti con il suo
vicino setttentrionale, in virtù del fatto che né lui né Boril erano in
grado di ottenere una vittoria decisiva, e continuare il lento stillicidio di
scorrerie, imboscate ed assedi non era conveniente per nessuno. Anche la
Bulgaria, stremata da più di venti anni di guerra ininterrotta, era
oramai disposta a relazioni più pacifiche; i due stati si legheranno
l’un l’altro con una serie di trattati, accordi, alleanze matrimoniali; nessuno
più dubiterà dela legittimità del sovrano di Trnovo,
finché l’impero latino di Costantinopoli non verrà spazzato via dalla
reazione bizantina. La Bulgaria tornò ad occupare il posto che le
spettava sulla scena politica europea, fin quando non venne anch’essa
annientata dall’invasione ottomana, facendo ritorno, per più di quattro
secoli, nel limbo della storia.
For this material, permission is granted for electronic copying,
distribution in print form for educational purposes and personal use.
Whether you intend to utilize it in scientific purposes, indicate the
source: either this web address or the Annuario. Istituto Romeno di cultura
e ricerca umanistica 5 (2003), edited by ªerban Marin, Rudolf Dinu, Ion
Bulei and Cristian Luca, Bucharest, 2004
No permission is granted for commercial use.
© ªerban Marin, March 2004, Bucharest, Romania
* L’uso della terminologia specifica, cioè “Bulgaria” e “bulgari”, riguarda ovviamente lo Stato medievale della dinastia Assenida; è doveroso aggiungere che abbiamo scelto questa terminologia senza alcuna intenzione di strumentalizzarla in senso etnico e nazionalistico. Per quanto riguarda il dibattito in tal senso e, specialmente, per la sua (in)utilità, si veda il testo di ªerban Marin, “A Humanist Vision regarding the Fourth Crusade and the State of the Assenides. The Chronicle of Paul Ramusio (Paulus Rhamnusius)”, Annuario. Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica 2 (2000): 51-120 (in particolare, 57-60) [= http://www.oocities.org/serban_marin/ramusioindex.html].
1 Cfr. A. Carile,
Per una storia dell’impero latino di Costantinopoli (1204-1261),
Bologna: Pàtron, 1978: 258 ssg.
2
L’argomento è stato, naturalmente, molto trattato dalla storiografia
bulgara: cfr. V. Zlatarski, Istorija
na Bãlgarskata drzava prez sredinte vekove, 3, Sofia: Akademichno
isdatelstvo “Marin Drinov”, 1994: 211 ssg; G. Cankova
Petkova, Bãlgaro-grâcki i bãlgaro-latinski otnowenija pri Kalojan i
Boril, Izvestia na Instituta za Istoria, 21, Sofia 1970: 149-171; A. Danèeva-Vasileva, Bãlgarija
i Latinskata Imperija (1204-1261), Sofia: Isdatelstvo na B. A. N., 1985
(cfr. in particolare la ricchissima bibliografia); B. Primov, “The Third and Fourth Crusades and Bulgaria”, Etudes
Historiques 7 (1975): 43-67; Idem,
“Geofroa
djo Vilarduen, Hetvãrtijat krãstonosen poxod i Bãlgarija”, Godiºnik na
Sofiiski Universitet 45 (1948-1949), 2: 3-141; Idem, “Robert djo Klari i otnowenijata mezhdu Bãlgarija i
Latinskata imperija”, Godiºnik na Sofiiski Universitet 43 (1946-1947):
1-39.
3
Pietro era il nome che assunse dopo l’incoronazione a re della Bulgaria. Cfr.
più avanti, p. 4.
4
Sulla dinastia degli Asenidi, cfr. in particolare I. Božilov, Familijata na Asenevci (1186-1460),
isd. 'Marin Drinov', Sofia, 1994: 27-40 (Asen), 40-42 (Pietro), 43-68
(Kalojan).
5
Sul passaggio del Barbarossa nei Balcani e sulle sue relazioni con la Bulgaria
cfr. G. Ostrogorsky, Storia
dell’impero bizantino, Torino: Einaudi, 1993: 365 sgg.; Zlatarski, Istorija, cit., III:
1-59; S. Georgiev, Imperator
Fridrix Barbarosa na Balkanskija poluostrov i v bãlgarskite zemi, Bãlgarska
Istorièeska Biblioteka, III, 2, Sofia, 1930: 103-149; Primov, The Third and Fourth Crusades, cit.;
Idem, “Vãzstanovjavaneto i
ukrepvaneto na bãlgarskata dãržava i srednovekovna Evropa (kraq na XII-nahaloto
na XIII v.”, Istorièeski Pregled 35 (1979), 3: 3 ssg.; Cankova Petkova, “Friedrich I Barbarossa
und die sozial-politischen Vernältnisse auf dem Balkan zur Zeit der III
Kreeuzzuges”, Paleobulgarica 6 (1982): 69-74. Riguardo alle fonti, cfr. Ansbert, Historia de expeditione
Friderici Imperatoris, in A. Chroust,
Quellen zur Geschichte des Kreuzzuges Kaiser Friedrichs I, MGH, SS (n.
s.), V, Berlino, 1928: 15-70 (di seguito: Ansbert).
6
Cfr. Ansbert: 58, 12-18: “Kalopetrus
Blacorum et maxime partis Bulgarorum in hortis Tracie domnus, qui se
imperatorem […] et coronam imperialem regni Grecie ab eo sibi imponi
efflagitabat seque ei circa initium veris quadraginta milia Blacorum et
Cumanorum tenentium arcus et sagittas adversus Constantinopolim transmissurum
constanter asseverabat. Quem nuntium domnus imperator benigne a se pro tempore
remisit et Kalopetro placentia rescripsit”.
7
Queste lettere, di cui purtroppo, nei registri vaticani, sono conservate
soltanto le copie, sono state oggetto di numerose edizioni: per questioni di
praticità si farà di seguito riferimento soltanto a quella di J.
P. Migne, Patrologiae cursus
completus, Series Latina, Parigi, 1844 ssg; di seguito, PL). Per una
trattazione completa dell’epistolario di Innocenzo III in relazione alla
Bulgaria ed alle altre nazioni balcaniche, comprensivo di testi e commento,
cfr. F. Dall’Aglio, Innocenzo
III e i Balcani: fede e politica nei Regesta pontifici, Napoli:
Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale, Università degli Studi di
Napoli “L’Orientale”, 2003: 1-176; per le lettere che riguardano la Bulgaria,
cfr. I. Dujèev, “Prepiskata na
papa Inokentij III s bãlgarite. Uvod, tekst i komentar”, Godiºnik na
Universiteta "Sv. Kliment Ohridski", Ist.-fil. fak. 38 (1942), 3,
la cui lezione è stata utilizzata per le citazioni del testo originale
delle lettere.
8
PL vol. CCXIV: 825, ep. 266.
9
PL vol. CCXIV: 1112-1113, ep. 115.
10
“[…] nec miremini, quod nuntius vester cito non rediit, quia nos
suspicati fuimus aliquid contra eum, quia multi venerunt in imperium nostrum
nos decipere cogitantes; sed nos ad omnibus bene nobis novimus precavere” /
“[…] e non chiedetevi, dato che il vostro nunzio non fece presto ritorno, se
l’abbiamo sospettato di qualcosa, perché molti vennero nel nostro regno
cercando di ingannarci; ma noi sappiamo bene come difenderci da tutti”.
11
Cfr. più avanti, p. 5.
12
“[…] petimus ab ecclesia Romana matre nostra coronam et honorem
tamquam dilectus filius, secundum quod imperatores nostris veteres habuerunt.
Unus fuit Petrus, alius fuit Samuel et alii, qui eos imperio precesserunt,
sicut in libris nostris invenimus esse scriptum”.
13
PL vol. CCXIV: 1113-1115, ep. 116.
14
“[…] mandavimus quoque ipsi, ut de corona progenitoribus tuis ab ecclesia
Romana collata tam per libros veteres, quam alia documenta inquirat diligentius
veritatem et de omnibus tecum tractet, quen fuerint pertractanda, ut cum per
ipsum et nuntios tuos de omnibus redditi fuerimus certiores, consultius et
maturius, prout procedendum fuerit, procedamus”. Naturalmente, nessuna
corona era mai stata data ad un re bulgaro da Roma.
15
PL vol. CCXV: 153- 55, ep. 140-141.
16
PL vol. CCXV: 155-156, ep. 142.
17
PL vol. CCXV: 288-289, ep. 5. Questa lettera, nella quale è il
vescovo Vassili ad informare il papa degli avvenimenti, figura nei Regesta
del 1204 ma risale certamente al 1203.
18
Tra i titoli che compongono la sterminata bibliografia sulla IV crociata, cfr.
D. Queller, The Fourth
Crusade. The conquest of Constantinople (1201-1204), Leicester: Leicester
University Press, 1978, e bibliografia citata.
19
Cfr. Nicetae Choniatae Historia (rec. Ioannes Aloysius van Dieten, ap.
Walter de Gruyter et socios), Berlino-Nuova York, 1975: 547, 76-80 (di seguito:
Coniata).
20
Ibidem: 535, 96-97.
21
Cfr. supra, nota 16.
22
“[…] ex quo sciverunt istud Graeci, miserunt michi patriarcha et
imperator: Veni ad nos, coronabimus te in imperatorem et faciemus tibi
patriarcham, quia imperium sine patriarcha non staret. Sed ego non volui, immo
recurri ad sanctitatem tuam, quia volo esse servus sancti Petri et tue sanctitatis”.
23 PL
vol. CCXV: 290-292, ep. 6.
24
“[…] peto ad sanctitate tua, ut mittas cardinales ad imperium meum […]
et des eis diadema et sceptrum secundum apostolice sedis et apostolorum
principis benedictionem, et mittas privilegium bullatum auro ad exemplar ipsius
servandum perpetuo in ecclesia Tirnove, et hec omnia dent imperio meo et
consecrent et coronent imperium meum […] ita reputabo cum prosapia
imperii mei et omnium Bulgarorum et Blachorum, quod sum dilectus filius
orthodoxe sancte ecclesie Romane”.
25
PL vol. CCXV: 287-288, ep. 4.
26
“[…] imperium meum voluit benedictionem et imperiale firmamentum
corone capitis imperii sui suscipere et patriarchalem benedictionem ab ecclesia
Romana […] et a sanctissimo patre nostro et universali papa tercio Innocentio
[…]. Subsigat autem imperium meum ad securitatem chrysobolum suum, quod
numquam ab ecclesia Romana et ab apostolica sede, principe apostolorum Petro,
ipsum videlicet imperium meum discedet, neque alii imperii mei principes
disgregabuntur, sed ut vocatus dilectus filius sacrosancte et apostolice sedis
Romane principis apostolorum Petri ero. Et deinceps quascumque terras
christianorum seu paganorum meum acquisierit imperium, sub potestate et mandato
eiusdem sacrosancte et apostolice sedis Romane erunt”.
27
Coniata: 612, 55-613, 58.
28
Sappiamo che Kalojan non conosceva il latino e che alla corte di Trnovo nessuno
parlava questa lingua. La prima lettera spedita da Kalojan al papa venne
infatti, secondo la nota della cancelleria apostolica, “translate de
bulgarico in grecum et de greco postea in latinum” (cfr. supra, nota
9); allo stesso modo, nella lettera spedita dopo l’incoronazione (cfr.
più avanti, nota 59) Kalojan informa Innocenzo di avergli inviato due
ragazzi “ut addiscant in scolis litteras latinas”, perché a Trnovo non
vi era nessuno che potesse tradurre le lettere del papa.
29
Villehardouin, La
Conquête de Constantinople (E. Faral
ed.), 2 voll., Parigi: Les Belles Lettres, 1961, par. 201 (di seguito: Villehardouin).
30
“[…] fors solement Johanis, qui ere rois de Blaquie et de Bougrie. Et
cil Johanis si ere uns Blas qui ere revellez contre son pere et contre son
oncle, et si les avoit guerroiez .XX. anz, et avoit tant de la terre conquis
sor als que rois s’en ere fait riches. Et sachiez que de cele partie del Braz
Sain George devers occident poi en faloit que il ne l’en avoit tolu prés de la
moitié. Icil ne vint pas a sa volenté ne a sa merci”: idem, 202.
31
Villehardouin 493; questa
sintetica descrizione riecheggia quella fatta da R. De Clari, La prise de Constantinople, in C. Hopf, Chroniques
greco-romaine inedites ou peu connues, Berlino, 1873 (di seguito: De Clari) (cfr. più avanti, nota
36): “Si est Blakie une moult fort tere, qui toute est enclose d’unes
montaignes…”.
32
Villehardouin 492.
33
Per il testo di quest’accordo, cfr. Carile,
“Partitio Terrarum Imperii Romaniae”, Studi Veneziani 7 (1965):
125-305.
34
“[…] Jehans
li Blakis manda as haus barons de l’ost que se il voloient coroner a roi a
estre sires de se tere de Blakie, que il tenroit se tere et sen roiaume d’aus,
et qu’il venroit en leur aiwe pour aidier a prendre Coustantinoble a tout C. M.
hommes a armes. […] li baron de l’ost […] si
disent qu’il s’en conselleroient; et quant il se furent consellie, si eurent
malvais consel; si respondirent, que ne de lui ne de s’aiwe n’avoient il cure;
mais bien seust il, que il le greveroient, et que il mal li feroient, s‘il
pooient; et il leur vendi puis moult kier! Che fu moult grans deus et moult
grans domages!”: De Clari:
51-53, LXIV-LXV.
35
Questo episodio, che naturalmente non vide protagonista Kalojan ma i suoi
fratelli, è descritto anche da Niceta Coniata (Coniata: 369). Secondo il cronista Asen e Peter si recarono a
Cipsella, dove si trovava Isacco, chiedendo un appezzamento di terreno in cambio
dell’arruolamento nell’esercito imperiale. Ricevuta una risposta negativa si
sarebbero comportati con sfrontatezza, in particolare Asen, che venne preso a
pugni.
36
“Or est Blakie une tere qui est du demaine l’empereur; et estoit chus Jehans
uns serjans l’empereeur, qui wardoit une huiriere l’empereeur; si que quant li
emperteur mandoit LX. chevaus ou C., que chis Jehans li envoioit et venoit a
court cascun an devant chou qu’il fust par mal de le court; et tant qu’il vint
a un jour, et que uns escoullies uns des vissiers l’empereur li fist un lait
fait, qu’il feri d’unes corgies parmi le vissage; dont il eut moult grant duel.
Et pour chu lait fait que on li fist, si s’en parti Jehans li Blakis par
mautalent de le court et s’en rala en Blakie. Si est Blakie une moult fort
tere, qui toute est enclose d’unes montaignes, si que on n’i puet entrer ne
issir fors par un destroit.
LXV.
Quant Jehans fu venus, si commenche a atraire les haus homes de Blakie, comme
chis qui estoit rikes hons et qui auques pooir i avoit, si leur commencha a
prametre et douner et an uns et as autres; et fist tant que tout chil dou pais
furent tot subjet a lui, et tant que il fu sires d’aus”:
De Clari: 51-52, LXIV-LXV.
37
Coniata: 371-372.
38
“Si vus dirai quel gent chil Commain sont. Che sont une gent sauvage, qui
ne erent ne ne semment ne n’ont borde ne maison; ains ont unes
tentes de feutre […]; et se vivent de lait et de formage et de char […].
Cascuns d’aus a bien X. chevax ou XII.; si les ont si duis qu’il les sivent par
tout la ou il les voellent mener, si montent puis seur l’un et puis seur
l’autre. Si a cascuns des chevax quant il orrient, un sakelet pendu au musel,
la ou se viande est; si menjue si comme il siut sen maistre, ne ne cessent
d’esrer et par nuit et par jour; si vont si durement que il vont bien en une
nuit et en un jor VI. journees ou VII. ou VIII. d’esrure. Ne ja tant comme il
vont, riens ne carkeront ne ne prenderont devant au repairier; mais quant il
repairent, donc si acuellent proies; si prennent hommes; si prenent chou qu’il
pueent ataindre; ne ja n’iront autrement arme fors qu’il ont unes vesteures de
piax de mouton et portent ars et saiets avec aus, ne ne croient autrement fors
en le premiere beste qu’il encontrent le matinee, et chis qui l’encontre si i
croit toute jour quele beste che soit. Iches Commains avoit Jehans li Blabis en
s’aiwe…”; De Clari: 52, LXV.
39
Villehardouin 352.
40
“Et quant il eut fali a aus, si envoia a Rome pour se corone, et li
apostoiles y envoia un cardounal pour lui coroner; si fu corones a roi”: De Clari: 52-53, LXV.
41
Villehardouin 262.
42
Ibidem: 264.
43
“[…] alomes, se vostre plaisirs est, sor Johannis, qui est rois de Blaquie
et de Bogrie, qui tient grant partie de la terre a tort”: ibidem:
276.
44
Ibidem: 273.
45
“Enqui endroit refu la guerre grant entr’als”: ibidem: 311.
46
PL CCXV: 410-412, ep. 126.
47
PL CCXV: 413-417, ep. 127.
48
In realtà dal patriarca di Costantinopoli.
49
Innocenzo ignora qui Asen, attribuendo il suo ruolo a Kalojan.
50
“[…] scripseris, quod prefatus Joannitius nullius terre de iure sit dominus,
licet aliquam partem tui et aliam alterius regni ad tempus detineat occupatam,
unde miraris, quod tam manifestum inimicum tuum, te inconsulto, tam subito in
regem proposuerimus coronare, secus est tamen ex aliqua parte, ut salva tui
pace loquamur, cum super hoc non plene noveris veritatem. Nam antiquitus in
Bulgaria multi rege succesive fuerunt auctoritate apostolica coronati, sicut
Petrus et Samuel et alii nonnulli post illos. Nam et ad predicationem sancte
memorie Nicolai pape predecessoris nostri rex Bulgarorum, ad quorum consulta
sepissime respondebat, cum toto regno sibi commisso meruit baptizari, sed
tandem prevalentibus Grecis Bulgari perdiderunt regiam dignitatem, quin immo
compulsi sunt gravi sub iugo constantinopolitano servire, donec novissime duo
fratres, Petrus videlicet et Joannitius, de priorum regnum prosapia
descendentes, terram patrum suorum non tam occupare, quam recuperare ceperunt,
ita quod una die magnis principibus et innumeris populis mirabilem sunt
victoriam consecuti. Non ergo negamus, quin forsan aliquam partem terre
violenter invaserint, sed constanter asserimus, quod plurimam terre parte de iure
recuperavere paterno. Unde nos eum non super alienam terram, sed super propriam
[…] regem intendimus coronare…”.
51
PL CCXV: 277-280, ep. 1; 292-294, ep. 8; 295-296, ep. 12.
52
PL CCXV: 280-287, epp. 2-3; 294-295, epp. 9-11.
53
PL CCXV: 292, ep. 7. Una lettera identica a questa venne mandata anche
al metropolita di Preslav Sava, altre ai prelati di Ungheria e Serbia, terre
che Leone doveva attraversare per giungere in Bulgaria.
54
PL CCXV: 277-280, ep. 1.
55
“Caloiohanni illustri Bulgarorum et Blachorum regi eiusque posteris ei tam
in regno quam in devotione sedis apostolice successuris in perpetuum”.
56
“[…] populis Bulgarorum et Blachorum […] in spiritualibus et
temporalibus paterna sollicitudine providere volentes […] regem te
statuimus super eos et […] sceptrum regni ac regium tibi mittimus
diadema, eius quasi nostris tibi manibus imponendum, recipiendo a te iuratoriam
cautionem, quod nobis et successoribus nostris […] devotus et obediens
permanebis […] publicam in regno tuo cudendi monetam tuo caractere
insignitam liberam tibi concedimus facultatem”.
57
PL CCXV: 295-296, ep. 12.
58
“[…] tue serenitati dirigimus per eundem vexillum, quo contra illos utaris,
qui honorant labiis crucifixum, cor autem eorum est longinquum ab ipso […] tibi
duximus destinando. Pretendit autem non sine misterio crucem et claves […].
Monemus igitur serenitatem regiam […] quatenus eodem vexillo in
humilitate cordis utaris et inter acies bellicas memor dominice passionis
existas…”.
59
PL CCXV: 551-553, ep. 230.
60
“De Latinis quoque, qui Constantinopolim introierunt, scribo sanctitati
vestre, ut eis scribatis, quatinus distent ab imperio meo et sic imperium meum
nullum malum eis facit, neque ipsi nobis parvipendant. Si forte ipsi conati
fuerint contra imperium meum et parvipenderint et occidetur ex eis, non habeat
sanctitas vestra imperium meum suspectum, sed sint universa libera”.
61
PL CCXIV: 17-228.
62
“[…] ipse audita captione regiae civitatis, miserat nuntios et litteras ad
Latinos, ut cum eis pacem haberet; sed ipsi ei superbissime responderunt,
dicentes, quod pacem non haberent cum illo, nisi redderet terram ad
Constantinopolitanum imperium pertinentem quam ipse invaserat violenter. Quibus
ipse respondit: quod terra illa justius possidebatur ab ipso, quam
Constantinopolis possideretur ab illis, nam ipse recuperaverat terram quam
progenitores ejus amiserant, sed ipsi Constantinopolim occupaverant, quae ad
eos minime pertinebat: ipse praeterea coronam regni legitime receperat a summ
pontefice; sed ipse, qui se appellabat Constantinopolitanum basileum, coronam
imperii temere usurpaverat a se ipso: quare, potius ad ipsum quam ad illum
imperium pertinebat, ideoque sub uno vexillo, quod a beato Petro receperat,
ejus clavibus insignito, pugnaret fiducialiter contra illos qui falsas cruces
suis humeris praeferebant: provocatus igitur a Latinis, compulsus fuit ut
defenderet se ab illis; deditque sibi victoriam insperatam Deus, qui superbis
resistit, humilibus autem dat gratiam…”. PL CCXIV: 147-148, CVIII.
63
Coniata: 613, 58-63.
64
Villehardouin 333.
65
Coniata: 612, 46-55.
66
“[…] les rendirent le roi de Blakie, qui puis aprés lor fit les testes
trencier”: Villehardouin 345.
67
“[…] la troverent mult bien garnie; et virent les confalons Jeanisse, le roi
de Blaquie et de Bougrie, sor les murs et sor les tors; et la vile fu mult fort
et mult riche et mult plaine de gent”: ibidem 350.
68
“[…] et li criz lieve en l’ost, et s’en issent a desroi. Et chacierent les Conmains une mult bone lieue molt
folement. Et quant il s’en voldrent venir, li Conmain conmencierent a traire
sor als molt durement, si lor navrerent de lor chevals assez”: ibidem
355. Secondo Niceta Coniata, i latini si lanciarono all’inseguimento “pieni
di slancio entusiasta” (Coniata:
615, 28-29).
69
“[…] mult avoient fait grant folie qu’il avoient tant chacié tel gent qui
estoient si ligierement armé”: Villehardouin
356.
70
Coniata: 616, 42
71
Ibidem: 616, 47-48.
72
“[…] et mande l’empereor Baudoin que il le perseüst”: Villehardouin 358.
73
Tra gli episodi riportati, il conte de Blois che, benché ferito, si rifiuta di
lasciare il suo imperatore (ibidem 359), e la descrizione della strenua
resistenza di Baldovino contro le forze soverchianti del nemico (ibidem
360).
74
“Quant chil de l’ost virrent ches Commains a ches plichons vestus, si ne les
douterent ne ne prisierent nient plus que un trope d’enfants. Et chil Commain
et chele gent venoient grandesme a l’eure; si keurent il sus as Franchois, si
en ochisent mout, si les desconfissent tous en chele batalle […]. Ensi
faitement se venja Damedieu d’aus pour leur orguel et pour le male foi qu’il
avoient portee a le poure gent de l’ost, et les oribles pekies qu’il avoient
fais en la chite, apres chou qu’il l’eurent prise”: De Clari: 82-83, CXII.
75
“Et Johannis lot fist jurer a .XXV. des plus halz homes que il avoit que il
les conduroit salvement a toz lor chevaus et a totes lor armes a Salenique ou
en Constantinople ou en Hongrie, lequel que il voldroient des trois. En ceste
maniere fu rendu la Serre. Et Johannis les fist issir fors et logier lés lui as
champs, et lor fist mult bel semblant, et lor envoia ses presens. Et si les
tint par trois jorz; puis lor menti de quanque il lor ot couvent, ainz les fist
prendre, et tolir tot lor avoir, et mener en Blakie nuz et deschauz et a pié.
Les povres et les menuz qui ne valoient gaires fist mener en Hungrie, et les
autres qui auques valoient fist les testes colper. Ensi mortel traïson
fist li rois de Blakie com vos oez”: Villehardouin
393-394.
76
Coniata: 620, 38-43.
77
Villehardouin non manca mai di addossare ai “poveri” la colpa delle sconfitte
patite dai latini; così, ad esempio, in riferimento alla battaglia di
Adrianopoli (“Et il oirent bataille d’autre gent que de chevaliers, qui ne
savoient mie assez d’armes; si s’escomencient a esfreer et desconfire”: Villehardouin 359) e all’imboscata che
costò la vita a Bonifacio di Monferrato nel 1207 (ibidem 499).
Secondo Villehardouin, anche in occasione della successiva conquista di Nauplio
Kalojan si comportò allo stesso modo, facendo uccidere i nobili e
graziando i poveri che però, in questo caso, vennero deportati in
Bulgaria (ibidem 414). Questa volta la strage è confermata da
Coniata, che non fa distinzione tra illustri e non illustri: “[…] una parte
la uccisero gli sciti, e una parte la vendettero dopo aver loro legato le mani”
(Coniata: 629, 31-33).
78
“[…] li empereur Henris estoit en ost, et Jehans li Blaks et li Commain si
estoient corut en le tere l’empereeur et s’estoient logie bien II. liwes ou
mains loins de l’ost l’empereeur, et avoient mult oi parler de monseigneur
Pierron de Braiechoel et de se boine chevalerie; et tant qu’il manderent un
jour monseigneur Pierron de Braiechoel
par messages, qu’il parleroient moult volentiers a lui un jor et par
conduit; et mesires Pierres respondi, que s’il avoit sauf conduit, qu’il i
iroit volentiers parler a aus; et tant que li Blake et li Commain
envoierent boins ostages a l’ost l’empereeur, tant que mesires Pierres fust
revenus. Adont si i ala mesires Pierres lui quart de chevaliers; si monta sour
un grant cheval. Si comme il vint pres de l’ost as Blaks, et Jehans li Blaks
seut qu’il venoit, si ala encontre lui, et les haut hommes de Blakie
avec. Si le saluerent et bienvignierent et si l’eswarderent a moult grant
paine, car il estoit moult grans. Et parlerent a lui d’unes coses et d’autres,
et tant qu’il li disent: “Sire, nous nous merveillons moult de vo boine
chevalerie, et si nous merveillons moult que vous estes quis en chest pais, qui
de si longtaines teres estes, qui chi estes venu pour conquerre tere. De n’aves
vous”, fisent il, “teres en vos pais dont vous vous puissies warir?” Et
mesire Pierres respondi: “Ba” fist il, “de n’aves vus oi comment Troies le
grant fu destruite, ne par quel tor?” “Ba ouil”, fisent li Blak et li Commain,
“nous l’avons bien oi dire, mout a que che ne fu”. “Ba!” fist mesires Pierres,
“Troies fu a nos anchisieurs, et chil qui en escaperent, si s’en vinrent manoir
la dout nous sommes venu; et pour che que fu a nos anchisieurs, sommes nous chi
venu conquerre tere!” Atant si prist congie; si s’en revint ariere”: De Clari: 79-80, CVI.
79
PL CCXV: 706-710, ep. 131.
80
“[…] cum Turcis et ceteris Crucis Christi inimicis”. Non è questa
l’unica volta in cui Enrico fa riferimento a Kalojan come a un nemico della
fede; in una lettera spedita al fratello Goffredo, nel settembre del 1206, lo
chiama infatti “sancte Crucis inimico” e “curiae et sancte Romane
ecclesiae inimico”. Il testo completo della lettera si trova in J. A. C. Buchon, Recherches et matériaux pour
servir à l’histoire de la domination française aux 13-e, 14-e et 15-e
siècles dans les provinces demembrée de l’empire grec à la suite
de la IV-e croisade, II, Parigi, 1840: 153-156; nei Gesta Innocentii
(PL CCXIV: 146-147, 106) è contenuto un brano di questa lettera,
leggermente modificato, che fa riferimento alla sconfitta patita dai latini a
Rusio nel gennaio 1206, in cui persero la vita centodieci cavalieri.
81
PL CCXV: 710, ep. 132.
82
“[…] veram et firmam pace stabilias cum karissimo in Christo filio nostro
Kaloiohann rege Bulgarorum et Blacorum illustri, ut inter Bulgaros et Latinos
fidelis et stabilis amicitia de cetero perseveret. Breviter scribimus, quia
opus est magis opere, quam sermone. Multum enim utrimque poterit esse amicitia
fructuosa”.
83
PL CCXV: 705-706, ep. 129.
84
“[…] usque adeo te diligimus, ut ad tuum commodum et honorem efficaciter
aspiremus, pro certo sperantes, quod tu in devotione sacrosante Romane ecclesie
matris tue proficere debeas incessanter, per cuius merita gloriosum acquisisti
triumphum adversos eos, qui te nitebantur graviter molestare […] providere
volumus diligenter, ut ab hostium undique liberatus incursibus, tranquilla pace
leteris”.
85
In realtà nessun esercito era pronto a recarsi in aiuto all’impero
latino di Costantinopoli.
86
“Noveris ergo, fili karissime, quod ingens exercitus de occidentalibus
partibus est in Greciam profecturus […] Unde tibi et terre tuedebes
summopere providere, ut, dum potes, pacem ineas cum Latinis, ne si forte ipsi, ex
una parte, et Ungari, ex altera, te studerint impugnare, non facile possis
resistere conatibus utrorumque. Quocirca serenitati tue suggerimus et
consulimus recta fide, quatinus, cum Balduinum Constantinopolitanum imperatorem
dicaris tenere captivum, ita tibi provideas, ut per liberatione ipsius veram et
firmam pacem facias cum Latinis, ut ab impugnatione tua et terre tue penitus
conquiescat. Nos enim Henrico fratri eiusdem imperatoris, qui Constantinopoli
preest exercitui Latinorum, per apostolica scripta mandamus, ut ad pacem tuam
pro liberatione ipsius imperatoris Latinos inclinet et a tua molestatione
cesset omnino. Inspiret itaque tibi Deo, ut nostris minitis et consiliis
acquiescas, quatinus regnum tuum, quod beato Petro et ecclesie Romane devotissime
dedicasti, ab omni perturbatione servetur illesum…”.
87
Cfr. supra, nota 62.
88
“[…] a Domino tibi triumphum concessum, non tue virtuti ascribere debuisti,
sed potius illorum imputare peccatis, qui suis exigentibus meritis ceciderunt
[…] Verum tu tibi ascribens triumphum de hostibus reportatum, Deo, in cuius
sunt manibus corda regum, prout debueras, gloriam non dedisti […] Licet
ergo ex prefata victoria intra te ipsum fueris plus debito exaltatus, quia
tamen te sicut carissimum in Christo filium sincera diligimus in Domino
caritate, optantes tibi salutem et pacem […] Monemus igitur serenitatem
regiam et exhortamur in Domino per apostolica tibi scripta mandantes quatenus
cum carissimo in Christo filio nostro H. Constantinopolitano imperatore
illustri et aliis Latinis in Romanie imperio commorantibus pacem vel treguam
inhias et observes”.
89
Cfr. Dall’Aglio, “The Bulgarian
siege of Thessaloniki in 1207: between history and hagiography”, Eurasian
Studies 1 (2002), 2: 263-282; in particolare cfr. 265-266 riguardo ai
commenti di De Clari sulla morte di Kalojan.
90
PL CCXV: 1522-1523, ep. 207.