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Annuario 2004-2005
p. 469
L’alleanza
ideale: appunti per la storia delle relazioni italo-romene nell’ambito
della Triplice Alleanza
(1883-1903)
Rudolf Dinu,
Università degli Studi di
Bucarest/
Istituto Romeno di Cultura e Ricerca
Umanistica di Venezia
Dopo il 1878, in seguito alla conquista dell’indipendenza
e alla cessazione della tutela – la garanzia collettiva delle sette Grandi
Potenze – creata dal Congresso di Pace di Parigi, la Romania dovette,
giustamente, definire una nuova strategia di politica estera[1].
Un’interpretazione facile dell’argomento potrebbe essere, e talvolta lo
è, quella secondo la quale l’ipotesi stessa di un’alleanza era
già ideata dai circoli dirigenti romeni, non appena acquistata
l’indipendenza; di conseguenza, le possibili scelte, teoricamente varie, si
ridussero ai due Imperi vicini, la Russia e l’Austria-Ungheria. Fu la seconda
ad essere preferita. Questa limitazione delle scelte si dovette tanto alle
condizioni geopolitiche e geostrategiche del paese, quanto al rapporto di forze
del momento. Infatti, il percorso della Romania verso l’alleanza con gli Imperi
Centrali rappresentò molto di più di una semplice scelta, e per
questo va considerato con tutte le sue sfumature e non in base alla dicotomia
rudimentale delle “simpatie” e delle “antipatie” verso gli Imperi Centrali o le
Potenze occidentali. Le esperienze successive alla Guerra d’Indipendenza
modificarono in modo sostanziale le relazioni della Romania con le Grandi
Potenze confinanti. Però, il trattamento destinato alla Romania in
occasione del Congresso di pace di Berlino e, soprattutto, l’obbligo di cedere
la Bessarabia meridionale alla Russia, contribuirono non tanto al “lastricare
la strada per avvicinarsi all’Austria-Ungheria”[2],
quanto ad impedire a lungo termine le probabilità di un’alleanza con la
Russia.
Nei mesi successivi al termine delle ostilità con
l’Impero Ottomano, la posizione di forza dell’Impero zarista nelle relazioni
con il suo ex alleato fu risentita come un forte trauma da una parte importante
della élite romena. Scattò un
forte risentimento che si domò solo con dopo scomparsa di un’intera
generazione. La Russia significò in concreto
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un’ossessione
per i dirigenti romeni, l’incubo di un’epoca che, a partire dal vecchio
Brãtianu, fu portato avanti dai membri del circolo politico-letterario
“Junimea”, dai conservatori e dai liberali, tramite Carp, Sturdza e Maiorescu,
fino alla Prima Guerra Mondiale. Dal punto di vista della politica estera, la
gran parte della storia di questi anni si riduce, in effetti, alla storia di
una fissazione, l’ossessione del pericolo russo.
Bisogna tuttavia ammettere che, per molto tempo ancora,
al livello dell’establishment non ci
sarà una maggiore disposizione neanche nei confronti delle altre Grandi
Potenze dell’epoca, una volta tanto corteggiate. La Francia era ancora,
all’inizio degli anni ‘80, la prediletta dell’opinione pubblica, dal punto di
vista soprattutto sentimentale, poiché la letteratura e la cultura francesi
godevano di un gran prestigio, e molti leader
politici romeni avevano studiato in Francia. Ma l’atteggiamento del governo
francese nei confronti della Romania durante il Congresso di Berlino e nel
periodo successivo fece diminuire considerevolmente l’entusiasmo romeno verso
la Francia. La percezione della Francia, in quanto paese isolato dal punto di
vista diplomatico, e perciò incapace di proteggere in alcun modo la
Romania[3],
era probabilmente determinante per i fattori di decisione romeni.
Infatti, l’idea di un’alleanza s’impose abbastanza
difficilmente in un ambiente politico dominato dalle idee e dagli elementi che
furono alla base del processo costitutivo dello Stato, così come fu
anche il caso dell’Italia. Anche la Romania si trovò nella situazione di
dover elaborare le strategie di politica estera proprio in un momento in cui
era ancora segnata dall’esperienza di quei quasi venticinque anni di
“neutralità garantita”, di politica d’equilibrio tra le Grandi Potenze
vicine. Dunque, la parola d’ordine continuò ad essere, per qualche tempo
ancora, la neutralità, la “politica indipendente”, e l’adesione quasi
unanime degli ambienti politici a questa scelta ostacolò qualsiasi
tentativo d’impegno politico-militare dei vertici dello Stato in uno o altro
degli schieramenti d’allora.
L’orientamento della politica estera della Romania
indipendente si delineò sotto l’influenza, da una parte, degli sviluppi
registrati a livello internazionale, subito dopo il Congresso di Berlino
(l’alleanza austro-tedesca, il Dreikaiserbund,
la questione danubiana), dall’altra parte, quale conseguenza delle mutazioni
prodotte nelle concezioni/strategie dei fattori decisionali autoctoni dello
stesso periodo. Questo orientamento si manifestò, in seguito ad un
processo complesso svoltosi per più di tre anni, nell’avvicinarsi
progressivo agli Imperi Centrali, ravvicinamento sancito tramite il trattato
secreto d’alleanza, firmato il 30 ottobre 1883 tra la Romania e
l’Austria-Ungheria, al quale lo stesso giorno aderì anche la Germania.
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Per questa scelta fu determinante, oltre a molte altre
circostanze, la presenza all’interno del gruppo politico direttivo autoctono,
tra altro molto contenuto, d’altronde, una caratteristica allora comune a quasi
tutti gli stati europei, di una componente filotedesca di maggioranza e
alquanto russofoba. Accanto al sovrano, Carlo I, un Hohenzollern, legato dalle
origini come dal punto di vista sentimentale alla Germania, nel cosiddetto decision making process furono implicati
alcuni insigni politici e diplomatici, quasi tutti ovviamente attirati da
questa Grande Potenza, di cui ammiravano la dinamica forza militare ed
economica. Alcuni di loro avevano un background
educativo tedesco (il ministro degli Affari Esteri, D. A. Sturdza; il ministro
della Romania a Vienna, Petre P. Carp), invece gli altri erano promotori del
cosiddetto “modello” di sviluppo tedesco (Carp)[4].
Tra le circostanze che stimolavano una tale scelta
c’erano anche quelle economiche. In quel periodo, la Romania dipendeva dal
punto di vista economico dagli Imperi Centrali. Là mandava ingenti
quantitativi di cereali e molte mandrie di bovini, mentre la Romania era
diventata un notevole importatore di beni manifatturieri, soprattutto di quelli
provenienti dall’Austria-Ungheria; il mercato finanziario tedesco costituiva
un’importante, se non la principale fonte dei prestiti statali in Romania. In
percentuale lorda risultava che, nel periodo tra il 1875 e il 1882, oltre 50 %
delle importazioni provenivano dall’Austria-Ungheria, e all’incirca 32 % delle
esportazioni venivano indirizzate verso la Duplice Monarchia[5].
Anche per quanto riguarda le reti di comunicazione terrestri, la Romania era
collegata soprattutto allo spazio austriaco-ungherese, grazie alle due linee di
ferrovia, Turnu Severin–Timiºoara e Piteºti–Predeal–Braºov, i lavori per la
costruzione di quest’ultimo incrocio ferroviario essendo ultimati nell’estate
del 1879.
È altrettanto importante ricordare anche il fatto
che le uniche Grandi Potenze che abbiano manifestato l’intenzione di stabilire
un rapporto stretto con la Romania, nel senso di un’alleanza politico-militare,
quasi contemporaneamente al riconoscimento dell’indipendenza di Stato, furono
appunto gli Imperi centrali. Il governo di Vienna, in particolare, riteneva
l’alleanza con la Romania non solo opportuna ma anche necessaria, per motivi di
sicurezza e a causa della sua strategia di politica balcanica. Dal punto di
vista strategico-militare, tale finalità era più che necessaria.
In quell’epoca, la frontiera romeno-russa aveva una lunghezza di oltre 900 km e
quella austro-romena oltre 1.300 km. Di conseguenza, se la Romania fosse
entrata nella guerra accanto agli Imperi Centrali, la frontiera russa si
sarebbe estesa più della sua metà; se, al contrario, la Romania
avesse partecipato alla guerra, come alleato della Russia, la frontiera
austriaca si sarebbe quasi raddoppiata, rispetto alla fase iniziale. Anche nel
caso di una neutralità assoluta, l’Austria-Ungheria sarebbe stata
costretta a mantenere delle forze importanti al confine con la Romania[6].
Era, dunque, fondamentale per il governo imperiale trasformare il piccolo
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principato
in qualcosa di più di un semplice Stato cuscinetto e promuoverlo
effettivamente nel glacis strategico
austro-ungherese.
In conformità ai consigli espressi dal Capo del
Grande Stato Maggiore austro-ungarico, il generale Beck, durante le trattative
per il rielaborazione del Dreikaiserbund
(1880) Vienna doveva avere il diritto assoluto di veto riguardo all’entrata
degli eserciti russi nella Romania, Stato ritenuto d’importanza strategica
essenziale per la monarchia. Allo stesso tempo, i termini della Duplice Alleanza
dovevano essere modificati, così che non solo la minaccia del territorio
dell’Austria-Ungheria costituisse motivo di casus
foederis, ma anche “la minaccia della sua capacità militare” – Kriegsmacht – in altre parole,
un’eventuale invasione russa nel territorio romeno si riteneva un’aggressione
diretta all’Impero[7]! L’idea di
stabilire dei rapporti “stretti” con il gabinetto di Bucarest continuò
ad essere prospettata anche nel periodo successivo, e la sua attuazione divenne
assolutamente necessaria dopo “l’incidente Skobelev”. Del resto, nel momento
della crisi, nel febbraio del 1882, lo Stato Maggiore austro-ungarico espresse
di nuovo al Ballhausplatz la sua
propensione per il rinforzo del sistema diplomatico e militare di difesa della
Monarchia tramite il rapido raggiungimento di un’alleanza con Roma e Bucarest[8]!
Sfortunatamente, il modo in cui si erano sviluppati i
rapporti politici romeno–austro-ungarici sin dal 1880 (o, meglio, il metodo in
cui Vienna intendeva gestirli), relazioni rese difficili dalle profonde
controversie economiche e politiche, nascevano delle perplessità circa
la possibilità di concludere un’alleanza. Dopo il 1878, soprattutto
quale conseguenza della violazione sistematica da parte del governo
austro-ungarico delle norme della convenzione commerciale bilaterale del 1875,
per limitare le esportazioni romene di bovini, le relazioni economiche e
commerciali tra i due stati divennero progressivamente una fonte di tensione
politica. Di conseguenza, un primo conflitto scoppiò nel novembre del
1881, con l’incidente diplomatico provocato dal Messaggio al Parlamento del re
Carlo I[9].
Dall’estate del 1880, alla controversia economica si aggiunse un’altra, ancora
più grave, scaturita dalla questione del controllo della navigazione sul
tratto meridionale del Danubio[10],
p. 473
il
che portò all’accentuarsi della conflittualità latente tra i due
paesi. Per i vertici romeni, la questione danubiana procedé a lungo termine, e
al pari della crisi tunisina per l’Italia, fu la massima prova che mise in
evidenza l’isolamento della Romania sul piano internazionale e la sua
impossibilità di attuare una politica di neutralità. Allo stesso
tempo la crisi spinse il ceto politico romeno a prendere quanto prima una decisione
per concludere un’alleanza assai necessaria al paese. Il percorso verso una
tale necessaria finalità, tuttavia, ritardò quasi tre anni,
periodo di scontri politico-economici diretti e duraturi con il gran vicino
occidentale, tra il 1881 e il 1883, che suscitarono un dibattito diventato in
breve tempo di livello internazionale.
In questo conflitto l’Italia, interessata ad accostarsi
agli Imperi Centrali, cominciò ad assecondare pienamente i progetti
austro-ungarici riguardanti la navigazione sul tratto meridionale del Danubio
e, in genere, la politica balcanica del governo di Vienna. La scelta di una
simile condotta, evidente a partire dall’estate del 1881, sarà
d’altronde dichiarata, con una certa amarezza, dallo stesso ministro italiano
degli Affari Esteri, Pasquale S. Mancini, nel 1884, nella sua corrispondenza
con l’Ambasciatore dell’Italia a Vienna, il conte Nicolis Di Robilant:
“[…] I consigli nostri, i
nostri officii hanno fedelmente fatto eco agli adoperamenti ed alle esortazioni
della Cancelleria viennese in Montenegro, in Serbia, in Bulgaria, in Rumelia
orientale, in ogni luogo insomma dove spuntasse o si svolgesse alcuno dei
multiformi fattori della politica balcanica dell’Austria-Ungheria; […] Né a
Vienna possono aver dimenticato il
segnalato servizio che al nostro alleato rendemmo quando, col nostro
atteggiamento nella questione danubiana, abbiamo contribuito a costituire la
Romania in quella condizione d’isolamento che, se non valse finora ad
assicurare la [sic!] effettiva soluzione del problema
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fluviale, ebbe, però,
per l’Austria-Ungheria, un ben più importante risultato, il radicale
mutamento dei rapporti suoi col giovane regno”[11].
In base a questa testimonianza documentaria, potrebbe
asserirsi che l’Italia, tramite il suo contributo all’azione d’isolamento
politico-diplomatico della Romania, determinò, almeno indirettamente, ma
consapevolmente, l’avvicinamento della Romania a Vienna e, finalmente,
l’alleanza romeno–austro-ungarica? Personalmente, sono propenso ad ammettere
questa ipotesi.
Le pratiche necessarie per collegare la Romania al
sistema di alleanze delle Potenze Centrali furono avviate nella prima
metà di agosto del 1883, dopo ripetuti accertamenti reciprochi. Senza
riprendere i ben noti dettagli, va detto solo che la visita in Germania e in
Austria del re Carlo I, avvenuta tra il 4/16[12]-17/29
agosto 1883, durante la quale furono esaminate le proposte di alleanza,
aprì la strada alle trattative concrete condotte dal Presidente del
Consiglio, I. C. Brãtianu, con il Principe Bismarck, il 6 settembre 1883[13]
a Gastein e, successivamente, a Vienna con il ministro austro-ungarico degli
Affari Esteri, Gustav Kalnoky[14].
L’aggregazione della Romania alla Triplice Alleanza fu
compiuta il 30 ottobre 1883, quando fu firmato il trattato di alleanza con
l’Austria-Ungheria, al quale la Germania acconsentì in modo
incondizionato lo stesso giorno. I dirigenti romeni ambivano, infatti, ad
un’alleanza diretta con Berlino, ma dovettero accontentarsi con un’alleanza “par ricochet”, pur rischiando “di essere
trattati come satelliti dell’Austria-Ungheria”, vista la politica promossa da
Bismarck al riguardo della Russia. L’alleanza aveva carattere difensivo (art. 2
– solo l’attacco non provocato avviava il casus
foederis, con la riserva che la Romania era obbligata a rispondere solo nel
caso degli attacchi non provocati contro l’Austria-Ungheria nelle aree
limitrofe), era segreta (art. 6), e con una validità di cinque anni
(art. 5)[15]. Per
l’Austria-Ungheria il patto del 30 ottobre significò, prima di tutto,
rendere definitivo il sistema di alleanza che proteggeva la sua frontiera
meridionale: “l’anno 1883 – scriveva il Capo del Grande Stato Maggiore
austro-ungarico, il generale Beck – ha portato con sé un vero cambiamento in
bene [del sistema difensivo della Monarchia]”[16].
Tramite l’accordo concluso, senza che ci fosse una disposizione espressa in
questo senso
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(proposta
da Kalnoky, però rifiutata da I. C. Brãtianu), Vienna poteva sperare che
il governo romeno non avesse appoggiato e non si fosse lasciato trascinare nei
movimenti irredentistici della Transilvania.
L’alleanza consentì alla Romania di uscire
dall’isolamento politico internazionale e di risolvere la questione danubiana
in modo favorevole ai propri interessi; essa conferì ai romeni valide
garanzie di sicurezza, nonché la possibilità di concentrarsi sullo
sviluppo economico, sociale e istituzionale interno. L’accordo non era
però privo di imperfezioni. La situazione dei romeni dell’Ungheria non
costituiva ancora un problema critico nelle relazioni romeno–austro-ungariche
ma, col tempo, il problema transilvano, che era già presente nella
coscienza pubblica della Romania, avrebbe raggiunto una fase difficile;
inoltre, il patto tra i due stati rischiava di non resistere ad un
peggioramento della sorte della popolazione romena oltre i Carpazi. Per il
momento, l’ostilità comune nei confronti della Russia poteva fungere da
legame. Il carattere segreto del trattato dimostrerà i suoi punti
deboli, poiché l’articolo 6, ostinatamente ripreso a ciascun rinnovo del
trattato, eliminava quasi totalmente l’impatto sull’opinione pubblica. Questo
fatto ebbe notevole significato per la Romania – mi avvalgo ora di un
frammento, datato verso la fine del 1882, tratto dal diario del Primo
Segretario di Bucarest, Alberto Pansa, il quale accennava, disapprovandola,
all’alleanza dell’Italia con gli Imperi Centrali: “il giorno in cui fossimo
invitati a marciare in nome del casus
foederis, non si marcierà [sic!]; e ciò con danno della nostra
reputazione”[17].
In questo processo d’integrazione politico-militare della
Romania, il dettaglio che colpisce inevitabilmente è l’assenza del
consenso dell’Italia, che non fu informata sulle trattative in corso, né
invitata a sottoscriverli e neppure consultata. Il colloquio tra i sovrani
della Germania e dell’Austria-Ungheria si era svolto a Ischl, nell’agosto del
1883, senza la partecipazione del re d’Italia; l’incontro Bismarck–Kalnoky,
avvenuto alla fine dello stesso mese, a Salisburgo, dove si decise, del resto,
l’avvio dell’alleanza con la Romania, fu organizzato senza la partecipazione
dell’alleato italiano (il ministro degli Affari Esteri Mancini). Questo fu un
motivo in più perché l’“errore originario” della Triplice, più
precisamente l’esistenza di un rapporto privilegiato austro-tedesco, fosse
risentito ancora più intensamente in Italia. E gli italiani non erano
gli unici ad avvertire la realtà del momento. Per esempio, le
annotazioni del Nunzio Apostolico a Vienna, redatte in occasione dell’arrivo di
Ion C. Brãtianu nella capitale dell’impero austro-ungarico, sono un’importante
testimonianza in questo senso:
“L’udienza data
jer l’altro dall’Imperatore al Signor Bratiano, capo del gabinetto rumeno,
prima del suo ritorno, può essere considerata come l’ultimo suggello
apposto alle trattative iniziate in queste ultime settimane per fare entrare la
Rumenia nel concerto austro-germanico. […] Checché ne sia della situazione
futura della Rumenia di rimpetto all’alleanza austro-germanica, se questa situazione
cioè sia o no del tutto identica a quella che anche l’Italia crede di
avere rispetto ai due imperi alleati certo è che, né al principe
Bismarck, né al conte Kalnoky, né al Bratiano è sorto neppur da lungi
pensiero di sentire l’avviso del
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Mancini e Depretis prima di
decidere se la Rumenia debba entrare nella lega e in qual modo e sotto quali
condizioni possa o debba essere ammessa. Il che prova che l’Italia occupa in
questo concerto un posto abbastanza secondario […]”[18].
Nel caso della Romania, le motivazioni che determinano i
vertici romeni di eludere il ruolo dell’Italia durante le trattative sono
difficili da determinare alla presenza di testimonianze coeve pressoché
circostanziali. Nei colloqui con Bismarck, a Gastein, il Primo Ministro romeno
I. C. Brãtianu pensa all’Italia, non per indicarla come potenziale alleato
della Romania, come probabilmente fosse stato naturale, vista la
“latinità” e la “fratellanza di sangue” che le accomunava, ma in quanto
“argomento” per sostenere le proprie richieste! Il Primo Ministro romeno era
convinto che l’Italia avesse accettato l’alleanza con gli Imperi Centrali solo
per la possibilità d’inglobare alcuni territori ritenuti parte
dell’italianità (Nizza, Savoia e Corsica) nel caso di una guerra
vittoriosa contro la Francia. Deluso dall’idea di una semplice alleanza
difensiva, promossa da Bismarck, Brãtianu provò, senza successo, a
servirsi di quello che egli considerava essere il precedente italiano per
ottenere un trattato offensivo e difensivo corredato di clausole riguardanti
gli eventuali acquisti territoriali[19].
Non c’è, però, nessuna testimonianza che attesti il fatto che
Brãtianu fu interessato dall’idea di stabilire rapporti di alleanza con il
governo italiano oppure che l’argomento sia stato discusso a Gastein o a
Vienna.
L’immagine negativa ed errata dei dirigenti romeni al
riguardo della realtà italiana – politica, economica e militare – spiega
in parte questa diffidenza. In realtà, i romeni non considerano l’Italia
una Grande Potenza, ma piuttosto la “cameriera di Franz Josef”, per adoperare
la dura formula foggiata dal quotidiano italiano “L’Osservatore Lombardo” nel
gennaio del 1883. Oppure, in altre parole, l’Italia fu vista come un elemento
ausiliare dei due imperi, dominato dalle decisioni dei suoi alleati più
potenti. Infatti, anche gran parte dei diplomatici e dei politici italiani
condividevano questa opinione, era ovvio che i romeni la ritenevano alquanto
verosimile [Cfr. Tornielli][20]!
Infine, forse il pro tempore
p.
477
padron del mondo, il cancelliere von Bismarck abbia dichiarato anche agli
ufficiali romeni, trovatisi in visita a Berlino o altrove, quello che
affermò spesso tra il 1879 e il 1882 circa le cinque Grandi Potenze
dell’epoca, ritenendo che l’Italia non poteva essere giudicata una di esse
nemmeno nei momenti più incerti per equilibrio europeo[21].
Le realtà italiane rimasero sostanzialmente
incognite al sovrano romeno, benché egli ne abbia preso contatto diretto nel
1883 e, ulteriormente, nel 1891. Stando alle parole del leader conservatore Take Ionescu, Carlo I, in tutti questi anni,
non fece altro che protrarre l’immagine negativa dell’Italia, fondata
probabilmente sulle sue esperienze del primo periodo successivo all’unione del
regno: “[…] So che Sua Maestà ha – scriveva intorno al 1915 Take
Ionescu, raccontando una conversazione avvenuta tra lui e il re Carlo, due
settimane prima dello scoppio della guerra russo-giapponese – un’idea
abbastanza mediocre sull’esercito italiano. Allora, io non sono sicuro che nel
caso di un numero uguale l’esercito italiano abbatterebbe l’esercito austriaco.
[…] Non conosce la nuova Italia. La nostra disgrazia, quella di tutti, è
che rimaniamo con le idee della nostra prima gioventù, che non ci
adattiamo abbastanza rapidamente ai nuovi fatti che succedono intorno a noi.
L’Italia sta attraversando una rivoluzione morale di cui, in genere, noi non
abbiamo nessun’idea. La nuova generazione, cresciuta nell’Italia liberale,
è animata da un patriottismo, o proprio da un orgoglio, difficile da
sospettare dietro l’estrema cortesia italiana. La nuova Italia non può
più avere il ruolo di Cenerentola tra le Grandi Potenze”[22].
Alcuni anni dopo, nel 1911, uno dei ministri plenipotenziari romeni a Roma,
Constantin Diamandi, ammetterà, poco dopo il suo arrivo in Italia, di
fronte al ministro italiano degli Affari Esteri, Antonio di San Giuliano, “di essere
stato sorpreso dalla pulsazione di vita che ha trovato nelle due sole
città viste finora, Bologna e Roma. Non riuscì a dissimulare che
aveva dell’Italia moderna, come potenza militare ed economica, un’idea assai
inferiore a quella che ora si è improvvisamente formata [il corsivo
è nostro]”[23].
Informato su quel colloquio, il ministro italiano a Bucarest, il barone
Fasciotti, risponderà freddamente che: “la poca conoscenza dei progressi compiuti dal nostro Paese dalla E. V.
rilevata in codesto nuovo Ministro di Rumania è comune alla massima
parte dei uomini politici Rumeni, come riferii a V. E., ed è una delle
cause del contegno dell’opinione pubblica rumena verso di noi nella circostanza
attuale [il corsivo è nostro]”[24].
Concludendo, si nota che le relazioni
politico-diplomatiche tra l’Italia e la Romania non ebbero uno sviluppo
continuo e progressivo nel decennio successivo al Congresso di Berlino. Al
contrario, negli ultimi anni del periodo analizzato, si registrò un
peggiora
p. 478
mento
nei rapporti bilaterali, giacché i due stati adottano l’uno nei confronti
dell’altro un atteggiamento di evidente disinteresse. Tuttavia, nonostante tali
premesse, a dir poco favorevoli, alla fine degli anni ‘80 del XIX secolo i
rapporti politico-diplomatici tra i due governi conobbero un cambiamento
spettacolare, dovuto soprattutto all’adesione dell’Italia al trattato
d’alleanza austro-romeno, nel 1888. Le circostanze e gli argomenti che determinarono
questo avvicinamento sono difficilmente individuabili, ma l’alleanza
italo-romena non fu affatto il risultato di un imprevisto.
L’idea dell’accessione dell’Italia al trattato
austro-romeno, il 30 ottobre 1883, apparve nel contesto di un ampio progetto di
“trasformazione” della Triplice Alleanza, nel senso dell’allargamento della
collaborazione militare tra gli alleati tramite le convenzioni militari e
navali, progetto ideato dallo statista italiano Francesco Crispi, Presidente
del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri ad interim. La politica italiana impegnata nell’ottenere il
perfezionamento dei rapporti di alleanza con gli Imperi Centrali fu fortemente
legata alla gallofobia di Crispi, gallofobia alimentata dalle ambizioni di
primato culturale-morale, dal nazionalismo economico e da ragioni di ordine
ideologico. La gallofobia spinse il nuovo ministro italiano degli Affari
Esteri, Francesco Crispi, verso una politica fondamentalmente anti-francese, lo
determinò a stringere le relazioni con gli Imperi nordici e con la Gran
Bretagna, per creare intorno alla Francia una sorta di cordone sanitario
destinato ad impedire l’ulteriore espansione dell’imperialismo francese[25].
Dal punto di vista strategico-militare, la concezione dello statista siciliano,
benché alquanto semplicistica, aveva la sua logica. Nel caso di un potenziale
conflitto con la Francia, l’aiuto della Germania costituiva la garanzia del
successo nelle operazioni terrestri. Sul mare, invece, la flotta italiana non
era capace di affrontare ai pari la flotta francese, molto più forte, e
non poteva contare sull’aiuto dei vascelli tedeschi, bloccati nel Mar Nordico.
In tal senso, le preoccupazioni degli italiani furono confermate da una
valutazione stilata dal generale tedesco Caprivi[26]
a metà del novembre 1887. L’Italia, più precisamente il Crispi,
aveva bisogno di una garanzia nel Mediterraneo e il solo partner della Triplice Alleanza in grado di offrirgliela, sotto la
forma di una convenzione militare-navale, era l’Austria-Ungheria.
Verso la fine del dicembre 1887[27],
Crispi trasmette a Vienna la proposta di partecipazione di due corpi d’esercito
italiani sul fronte dell’est, nel caso di un’eventuale guerra contro i russi,
chiedendo invece la cooperazione della flotta austriaca nel Mediterraneo.
L’idea di indirizzare verso la Romania, considerata parte del fronte orientale,
p. 479
le
truppe assegnate dall’Italia appartenne però al conte Gustav Kalnoky. Il
ministro austro-ungarico degli Esteri la potenzia, argomentandola in una discussione
con l’ambasciatore tedesco a Vienna, von Reuss, il 7 gennaio 1888. Egli
riferisce all’interlocutore che nel caso di una prossima guerra con la Russia,
la maggior parte delle ferrovie austriache saranno occupate col trasporto delle
proprie truppe verso nord e verso est, e le sole disponibili rimarranno quelle
verso la Romania. Perciò, i due corpi d’esercito italiano potevano
essere trasportati solo verso la Romania[28].
Il 16 gennaio, l’ipotesi di lavoro formulata dal ministro degli Affari Esteri
austro-ungarico viene comunicata, nei medesimi termini, a Roma. “[…]
Così i romeni – notava l’ambasciatore austriaco, von Bruck – goderebbero
di un aiuto valido e l’ala destra dell’allineamento austriaco si appoggerebbe
su un bastione solido. Alla fine, le truppe italiane andrebbero d’accordo con i
romeni, “parenti di razza”, e avrebbero la soddisfazione di giocare un ruolo
molto più importante di quello di semplici satelliti dell’esercito
austriaco[29]”. Era ovvio
che dal punto di vista dei politici di Vienna l’eventuale presenza militare
italiana nell’Est andava regolamentata tramite l’adesione al trattato
d’alleanza austro-romeno, e che un simile modus
procedendi,
p. 480
grazie
al precedente tedesco, ridimensionava il rischio di una richiesta di
compensazioni dalla parte del governo italiano.
Senza seguire nei minimi particolari il percorso delle
trattative, dobbiamo riferire solo che, dopo un mese, il 19 febbraio 1888, la
proposta austriaca fu accettata ad
referendum da Francesco Crispi; si crearono così le premesse per
l’avvio delle trattative effettivi[30].
Vale la pena ricordare che l’intento del ministro italiano degli Affari Esteri
fu quello di realizzare un’alleanza diretta con la Romania e non un accordo che
sanciva l’assenso ad uno strumento politico-diplomatico già esistente.
Lo dimostra chiaramente il progetto autografo del trattato, nella stesura del
26 gennaio 1888:
“1. L’Italie et la
Roumanie se promettent mutuellement paix et amitié et le maintien de l’ordre
politique existant. 2. L’alliance des deux Etats ayant un but conservateur et
défensif, l’Italie s’engage de garantir au Roi de Roumanie l’intégrité de son
territoire. 3. dans le cas ou la Roumanie était menacée par la Russie, S. M. le
Roi d’Italie se concertera avec S. M. l’Empereur d’Autriche-Hongrie, dans le
but de défendre contre toute agression la puissance attaquée. 4. Dans le cas de
participation à une guerre commune, les hautes parties contractantes
s’engagent à ne conclure ni armistice ni paix que d’un commun accord
entre Elles. 5. Le présent traité est signé sous le sceau du secret sur son
contenu et sur son existence. 6. La durée de ce traité est de 5 ans à
partir du jour de l’échange des ratifications. 7. Les ratifications de ce
traité seront échangées à Rome dans un délai d’un mois, ou plus tôt si
faire se peut”[31].
Il progetto elaborato da Crispi, rispetto al trattato
austro-romeno – il cui testo gli era sconosciuto – non prevedeva un casus foederis immediato nel caso di
un’aggressione contro uno dei firmatari e, molto importante, garantiva
l’integrità territoriale della Romania il che, sicuramente, in altre
circostanze – nel caso in cui la Romania non sarebbe stata solo parte
informata, ma direttamente implicata in queste trattative – sarebbe stato
probabilmente accolto con più interesse a Bucarest. Non c’è
però nessun indizio che ci permetta di affermare che gli ufficiali
romeni avessero mai preso conoscenza della sua esistenza. Infatti, l’intervento
del governo romeno fu ulteriore alle prime discussioni italo-austro-tedesche e
perciò non ebbe alcun influsso sull’andamento complessivo delle
trattative.
Il progetto italiano non fu accolto tanto bene dal
governo di Vienna, che era interessato non all’integrità territoriale
della Romania o al perfezionamento del suo sistema di alleanze, ma piuttosto ad
ottenere – tramite l’accessione all’accordo austro-romeno – l’intervento
militare italiano, a fianco alle truppe delle Potenze Centrali, nel caso di un
attacco russo. Come già detto, il trattato austro-romeno implicava,
all’articolo 2, il reciproco obbligo d’aiuto militare nel caso dell’aggressione
dei terzi. In concreto, l’adesione a questo trattato avrebbe significato per
l’Italia un immediato casus foederis,
qualora la Romania o l’Austria (dunque non solo la Romania) fossero attaccate
dalla Russia o da
p. 481
un
altro Stato confinante. Ed è esattamente quello che si proponeva il
gabinetto di Vienna. Si spiega così il motivo per il quale, subito dopo,
il ministro austro-ungarico degli Affari Esteri, Kalnoky, fece tutti gli sforzi
possibili per persuadere Crispi a rinunciare all’idea di un’alleanza diretta
con la Romania a favore dell’adesione al trattato già in atto tra la
Romania e l’Austro-Ungheria. Per una simile formula opterà d’altronde
anche il cancelliere Bismarck, un po’ più tardi, il 30 marzo 1888, come
risulta da un dispaccio indirizzato all’Ambasciatore di Vienna, il principe
Reuss[32].
A partire dalla fine del febbraio, il Primo Ministro
Francesco Crispi lascerà l’iniziativa delle trattative all’ambasciatore
italiano a Vienna, il conte Costantino Nigra, dimostratosi sin dall’inizio
disposto ad accettare e a sostenere il
modus procedendi voluto dal governo austro-ungarico. Nigra fu, infatti,
quello che, secondato dal ministro italiano a Bucarest, Francesco Curtopassi,
insistette presso il titolare del Dicastero degli Affari Esteri per domare le
sue incertezze e ammettere la formula austriaca[33].
Crispi acconsentì il 7 aprile, trasmettendo all’ambasciatore di Vienna
l’ordine di redigere, insieme a Kalnoky, l’atto di adesione al trattato[34].
Intanto Nigra, a sua volta, capì – almeno in parte – la gravità
degli obblighi che l’Italia si preparava ad assumere, e pretese agli austriaci
l’introduzione di certi “limiti per ciò che riguarda le stipulazioni
degli articoli 2 e 3”, già contestate anche dal Presidente del Consiglio[35].
Il testo effettivo dell’atto di adesione fu redatto l’11 aprile 1888 e affidato
ad un corriere austriaco il giorno successivo[36].
Nigra allegò al progetto un ampio rapporto (12
aprile), tramite il quale cercava, da una parte, di limitare le dimensioni
degli obblighi assunti, e, da un’altra, di spiegare
p. 482
perché
era stata preferita una tale modalità di avvicinamento alla Romania, a
scapito di un’alleanza diretta:
“[…] Secondo questo progetto,
S. M. il Re d’Italia fa accessione al trattato del 30 ottobre 1883. Ma siccome
quel trattato contiene negli articoli 2 e 3 stipulazioni che non sono
applicabili all’Italia, così l’accessione è data con restrizioni
che limitano gl’impegni dell’Italia, dell’Austria-Ungheria e della Rumania all’obbligo
reciproco di concertarsi per un’azione comune, che sarà posteriormente e
a tempo utile determinata, semprecché si verifichino le eventualità che
possono dar luogo al casus foederis,
quale è contemplato nei detti articoli 2 e 3. […] Il progetto, quale fu
concordato fra il conte Kalnoky e me, salva la di lei approvazione, mi sembra
dover rispondere alle intenzioni dei quattro governi interessati. […] Ho detto
qui sopra che il progetto sembra dover rispondere alle intenzioni dei governi
interessati. Difatti non potrebbe ora essere questione, a mio avviso, d’un
trattato attuale ed effettivo d’alleanza fra l’Italia e la Rumania. Né potrebbe
trattarsi d’una guarentigia, né l’Austria-Ungheria sarebbe disposta a
stipularla, né la Germania l’ha promessa, né converrebbe all’Italia d’assumere
un tale impegno che non sarebbe facile a tenere e che sarebbe d’altronde
unilaterale. Quello che importa fare per ora, salvo sempre il di lei avviso, si
è che l’Italia affermi anch’essa l’intenzione pacifica e conservatrice
che guidò e inspirò le stipulazioni del 30 ottobre 1883 e se ne
renda partecipe e solidale, e nel tempo stesso si apra l’adito a stipulazioni
per un’azione effettiva comune se questa sia resa necessaria dagli eventi e
consigliata dal comune interesse”[37].
Qualsiasi esperto avrebbe potuto facilmente osservare –
in base al progetto e alle spiegazioni elencate nel rapporto allegato – che i
limiti imposti da Nigra non erano rilevanti e non facevano altro che sostituire
l’intervento immediato con uno mediato tramite una “convenzione speciale”.
Questo non significava però la cancellazione dell’obbligo dell’Italia
d’intervenire presso la parte contraente, qualora si fossero verificate le
condizioni previste all’articolo 2. Un’eccellente prova era costituita, in questo
senso, dalla facilità con la quale Vienna aveva accettato più
tardi la clausola “restrittiva” chiesta dalla parte italiana. Nonostante
questo, il testo, in questa stesura, fu presentato dal Preside del Consiglio
all’approvazione del re Umberto I, avvenuta il 19 aprile 1888[38].
Il trattato d’accessione dell’Italia all’alleanza austro-romena fu firmato dal
ministro italiano a Bucarest, Francesco Curtopassi, il 9 maggio 1888[39],
integrato in seguito, a Vienna, dall’atto corrispondente firmato
dall’ambasciatore Nigra e dal conte Gustav Kalnoky (15 maggio)[40].
Il cambio degli strumenti di ratifica avvenne a Sinaia, il 19 giugno 1888[41].
p. 483
Così, l’adesione dell’Italia al trattato
austro-romeno del 1883, per quanto paradossale potesse sembrare, accadde senza
che i vertici politici italiani avessero immaginato e desiderato una simile
estensione degli propri accordi ed obblighi nell’ambito della Triplice
Alleanza. Al posto del molto più desiderato perfezionamento della
Triplice Alleanza, nonché dell’ottenimento della collaborazione navale con
l’Austria-Ungheria contro la Francia, Crispi riuscì a coinvolgere
l’Italia in un settore del sistema politico-militare internazionale nel quale
non aveva interessi diretti ed immediati, decisione che procurò il vantaggio
esclusivo dell’Austria-Ungheria, della Romania e della Germania, senza
darglieli la certezza del dovuto compenso per l’impegno assunto. In seguito
all’accettazione di obblighi gravi ed inutili si annullavano, in gran parte, i
vantaggi ottenuti dal Di Robilant nel 1887, dopo il rinnovamento della Triplice
Alleanza. Creato come parte integrata degli altri strumenti della Triplice,
l’accordo e le sue previsioni avrebbero in sostanza gravato sull’Italia per
tutto il tempo in cui essa fu collegata a questo sistema politico-militare.
Dal punto di vista delle motivazioni del principale
artefice del trattato, Francesco Crispi, il passo fatto il 9/15 maggio 1888
sembrava iscriversi perfettamente nella logica generale del “crispianismo”, un
fenomeno complesso e diffuso all’epoca che tuttora dev’essere approfondito, ma
il quale, in linee generali, significò il primato della politica estera,
“il sogno del prestigio internazionale”[42],
il senso offensivo delle alleanze, protezionismo, rapida crescita delle spese
militari, colonialismo, ecc. Crispi fu il “crociato” disposto a combattere per
l’affermazione e il riconoscimento della posizione dell’Italia quale “Grande
Potenza”, e fu sempre lui a portare agli italiani le lettere patenti che confermavano questa prestigiosa collocazione, secondo
gli appunti dell’ambasciatore tedesco a Roma, Solms, al rientro dal viaggio a
Friedrichsruh (ottobre 1887)[43].
“Il signor Crispi non è solo disposto, ma desidera ardentemente che
l’Esercito italiano lotti accanto a noi, perché così la collaborazione militare
e politica dell’Italia sarà decisamente espressa nella zona orientale”,
aveva dichiarato il ministro austro-ungarico Kalnoky nel febbraio del 1888,
avendo intuito perfettamente le ambizioni e le aspirazioni di Crispi per
assicurare alla sua patria un vero status di Grande Potenza.
Da questo punto di vista, l’adesione dell’Italia al
trattato austro-romeno fu l’effetto scontato di una politica dominata
dall’incanto della grandezza. L’alleanza con la Romania, soprattutto
così com’era stata formulata, significò per Crispi un’importante
conferma, in termini politici, giuridici, morali e addirittura militari, della
posizione di Grande Potenza dell’Italia. Secondo i teorici del XIX secolo, una
“Grande Potenza” era lo Stato che, a differenza degli altri chiamati in causa
solo dai loro interessi diretti, si “trovava, attraverso la forza delle cose,
mescolato in tutti i grandi affari” ed “era in misura d’esercitare un’influenza
in tutte le deliberazioni comuni”[44].
Tramite quest’alleanza l’Italia s’inseriva,
p. 484
almeno
teoricamente, in maniera più precisa e altrettanto rafforzata nel
meccanismo di gestione degli affari sud-est europei, il trattato con la Romania
rappresentava una delle vie privilegiate attraverso quali l’influsso italiano
(politico, economico, culturale) poteva penetrare ed espandersi in quest’area.
Questi termini dell’alleanza indicavano, in senso largo,
l’Italia quale garante del status quo
nell’Europa Orientale, dell’ordine territoriale e, addirittura, politico-sociale,
mentre sul piano immediato la collocavano tra i “protettori alleati” del
piccolo regno romeno. Ovviamente, tutto questo si trovava nelle pagine dei
trattati il cui segreto fu gelosamente custodito. L’attuazione di quanto
pattuito fu però diversa dalle attese dei firmatari.
A breve termine, l’alleanza italo-romena, grazie al
carattere assolutamente segreto del patto sottoscritto, non determinò
modifiche essenziali nella cognizione reciproca del livello delle due
società. In altre parole, le due nazioni continuarono, almeno per un
periodo, ad ignorarsi allo stesso modo di prima; quanto allo Stato romeno, in
certi ambiti dell’opinione pubblica non mancavano gli atteggiamenti critici o
addirittura ostili nel confronto degli italiani. Dopo solo due anni dal
perfezionamento del trattato, nel dicembre del 1890, un osservatore molto
più imparziale dei diplomatici italiani, il ministro tedesco a Bucarest,
Bernhard von Bülow, accennando allo stato delle relazioni italo-romene,
menzionava: “Benché i romeni siano molto fieri della loro origine dalle legioni
di Traiano, qui esiste, almeno per ora, poca simpatia ed ancora meno interesse
per gli eventi italiani. L’attenzione e l’inclinazione dei romeni sono tanto
occupate con la Francia – o, più precisamente, con Parigi – che per
l’Italia, anche se geograficamente ed etnograficamente molto più vicina
alla Romania, non rimane granché. In più, dalla parte francese e russa
c’è uno sforzo affinché l’Italia sia abbassata negli occhi dei romeni
per ciò che riguarda le relazioni politiche, economiche e culturali”[45].
Anche al livello delle relazioni intergovernative, gli
inizi furono piuttosto timidi, le trasformazioni inerenti all’accordo del 1888,
sostanzialmente positive, essendo di breve portata. Del resto, non potevano
essere spettacolari considerati i limiti del trattato. Benché sia in gran parte
superfluo, dobbiamo precisare che l’alleanza conclusa tra i due stati era
mediata, par ricochet, e per
ciò, prima di agevolare lo sviluppo di relazioni bilaterali, nell’ambito
del sistema della Triplice Alleanza o al di fuori di essa, indicava soprattutto
una linea politico-diplomatica prefissata dai termini del trattato di base
austro-romeno e dalla politica generale della Triplice.
Ugualmente superflua, ma non meno necessaria, è
anche un’altra precisazione: nel 1888 lo statuto della Romania era lo stesso
del 1883, cioè di potenza associata alla Triplice Alleanza; associata
tramite trattati diretti ed indiretti che la situavano però nella
postura di satellite nei confronti delle tre Grandi Potenze. La Romania –
affermava nel febbraio del 1888 l’ambasciatore italiano a Berlino, De Launay –
era “l’avamposto” della Triplice Alleanza nell’Oriente; la Romania – scriveva
un anno più tardi un giornale di
p. 485
Venezia,
L’Adriatico – era “la sentinella
avanzata della Triplice Alleanza sul Danubio”[46].
Per vari motivi, di ordine politico, militare, morale, e addirittura giuridico,
la Romania non era invece, e neanche più tardi lo sarebbe diventata, partner a pari diritti delle tre Grandi
Potenze.
Di conseguenza, è molto facile desumere la maniera
in cui l’Italia, membro della Triplice Alleanza, intendeva gestire
quest’alleanza: una maniera “alterata”, da una parte dal tipo di
rapporto–approccio scelto (Grande Potenza – Piccola Potenza), dall’altra dal
principio (sottinteso come uno dei regolatori dei rapporti all’interno della
Triplice Alleanza) costantemente sostenuto dal gabinetto di Vienna, del primato
degli interessi austro-ungarici tanto nel Sud-Est europeo quanto soprattutto in
Romania (quello cioè dell’interesse derivato
dell’Italia), principio generalmente accettato dai vertici politici italiani,
almeno fino allo scoppio della crisi bosniaca. Questa regola non scritta fu il
principio basilare delle relazioni italo-austriache ed ebbe un duplice impatto
negativo poiché imponeva non solo una serie di limiti alla strategia balcanica
dell’Italia, ma improntava un atteggiamento negativo dei vertici politici
romeni verso l’alleato italiano. Una simile “carenza”, associata ad altre
circostanze più o meno fortunate, già ricordate (la posizione
geografica dei due stati, la mancanza di legami dinastici, il potenziale
economico-finanziario limitato dell’Italia, l’idea che il governo romeno
gravitava – per volontà del sovrano e della maggioranza dei suoi
consiglieri – prevalentemente nella sfera d’influenza tedesco-austriaca, ecc.),
indicava sin da allora i limiti entro i quali si sarebbero sviluppati i
rapporti italo-romeni.
Nel periodo successivo allo compimento dell’alleanza
italo-romena, nell’ambito della Triplice, l’unico momento notevole della
politica italiana nei confronti della Romania, nel senso di una relazione
effettiva e diretta all’interno dell’alleanza, fu legato alla crisi
russo-romena dell’aprile-maggio 1889. All’origine di questa crisi fu
l’espulsione da parte del governo di Bucarest, nel marzo del 1889, di alcuni
sudditi russi (venditori ambulanti di icone) accusati di propaganda
panslavista. La decisione presa dal gabinetto romeno ebbe come conseguenza
l’inasprimento pericoloso dei rapporti russo-romeni, – già tesi da
alcuni anni – e l’imminente interruzione delle relazioni diplomatiche tra i due
stati, poiché il governo russo presentò un ultimatum chiedendo misure di
risarcimento per l’offesa subita. Allarmato dalla prospettiva di un’aggressione
russa contro la Romania – il che avrebbe costituito un casus foederis per l’Italia, nonostante tutte le limitazioni
introdotte nell’accordo d’adesione – il Crispi iniziò, tramite i
rappresentanti diplomatici italiani a Vienna e a Berlino, delle trattative per
stabilire una linea d’azione comune degli alleati, destinata ad evitare lo
scoppio del conflitto militare. La Germania, ammettendo la necessità di
mantenere la Romania nella sfera d’interessi delle Potenze Centrali, per impedire
“l’invasione russa verso il Mediterraneo, attraverso i Balcani”, rigettò
l’idea di un intervento comune degli alleati a favore del gabinetto di
Bucarest, argomentando che solo l’Austria-Ungheria, l’Italia e l’Inghilterra
avevano interessi diretti e fondamentali in quella zona. La scelta della
reazione compatta degli alleati fu però negata anche dai governi di
Vienna e di Londra, essendo preferita, in linea estrema, la variante della
“consulenza” e del sostenimento unilaterale. Dobbiamo ricordare anche la
soluzione non realistica, respinta
p. 486
d’altronde
dall’Austria-Ungheria, pensata dal Crispi per “assicurare” la sicurezza dello
spazio romeno e balcanico di fronte all’espansionismo russo, vale a dire la
fondazione di una confederazione militare serbo-bulgaro-romena sotto la
direzione del re di Romania, Carlo I[47]!
Il primo trattato di accessione dell’Italia all’accordo
austro-romeno scadeva il 1 novembre 1891, contemporaneamente al trattato
bilaterale austro-romeno, nel momento in cui il rinnovamento del patto divenne
impossibile per il sovrano romeno, Carlo I, a causa dell’ascesa al governo dei
conservatori, quali ignoravano l’esistenza degli accordi con le Potenze
Centrali. A Roma, la questione riguardante il rinnovamento del trattato
d’adesione dell’Italia all’accordo austro-romeno fu studiata dal nuovo
Presidente del Consiglio e ministro ad
interim degli Affari Esteri, il marchese Antonio Starabba Di Rudini
(1839-1908), colui che seguì le trattative già dal periodo
conclusivo delle negoziazioni riguardanti la proroga del trattato della
Triplice Alleanza (maggio 1891). A quell’epoca, nonostante le ripetute
spiegazioni fornite al nuovo Primo Ministro dall’ambasciatore italiano a
Vienna, Nigra, gli fu più che difficile capire “i criteri, […] le
intenzioni, […] le speranze” per i quali fu accettato nel 1888, senza nessuna
compensazione, “un così oneroso patto qual è quello di
trascinare, in Italia, popolo ed esercito ad una guerra contro la Russia a
beneficio dell’Austria-Ungheria, o della Rumania […]”[48].
Le conclusioni tratte da questa semplice analisi furono quasi negative: Rudini
riteneva che l’impegno assunto fosse uno “grave”, perché, qualora si fosse
materializzato il casus foederis,
all’Italia sarebbe stato impossibile evitare un intervento armato[49].
In altre parole, il nuovo governo italiano non solo considerava l’impegno preso
nel maggio del 1888 come inopportuno e dannoso, ma sperava anche di poter
evitare la sua proroga nel 1891/1893.
L’incarico di risolvere il nodo gordiano spettò,
alla fine, ad un altro gabinetto, quello presieduto da Giovanni Gioliti
(insediato il 15 maggio 1892), nel quale il Dicastero degli Affari Esteri fu
affidato all’ammiraglio Benedetto Brin. A causa di varie circostanze,
però, il mantenimento degli obblighi assunti nei confronti della Romania
diventò per il nuovo governo non tanto una libera scelta, quanto una
decisione necessaria. Tra queste circostanze, possiamo ricordare brevemente
innanzitutto il peggioramento progressivo delle relazioni austro-romene, in
seguito all’inasprimento della situazione sociale e politica dei romeni
abitanti nei confini della Duplice Monarchia. Inserita tra gli elementi
d’importanza europea all’inizio degli anni ‘90, la questione transilvana
divenne un vero “tallone d’Achille” per la Monarchia austro-ungarica, facendo
sorgere dei dubbi rispetto alla viabilità e all’efficienza effettiva
dell’alleanza tra il Regno Romeno e le Potenze Centrali. La politica ungherese
di assimilazione forzata dei romeni transilvani, concretizzata all’inizio del
1891 nella “Legge degli asili d’infanzia”, aveva generato in Romania
un’atmosfera così tesa che il ministro plenipotenziario tedesco, von
Bülow, riferiva il 1 marzo che era “esposta al pericolo non solo la dinastia
Hohenzollern ma anche le relazioni finora amichevoli con
p. 487
la
Germania e la Triplice Alleanza”[50].
Sotto la pressione dell’opinione pubblica, il re Carlo I ed i suoi ministri,
tramite la mediazione della Legazione tedesca a Bucarest, chiesero
ripetutamente tra 1890-1891 l’intervento di Berlino presso Vienna e Budapest
per migliorare le condizioni dei romeni della Transilvania e del Banato[51].
Gli interventi dell’imperatore Guglielmo II e del cancelliere Caprivi, nella
speranza auspicata di moderare i rapporti romeno–austro-ungarici non ebbero
tuttavia dei risultati concreti, poiché il gabinetto di Vienna rifiutò
d’accettare il problema dei romeni transilvani quale causa dell’allontanamento
della Romania dalle Potenze Centrali[52].
A partire dal gennaio 1891, la situazione della Romania
divenne ancora più agitata, in seguito allo scoppio di una crisi
dinastica generata dall’intenzione del principe ereditario Ferdinando di
sposare una delle damigelle d’onore della regina Elisabetta, la giovane Elena
Vãcãrescu, figlia del ministro romeno a Roma. Il progetto di matrimonio,
approvato e, probabilmente, ispirato dalla regina Elisabetta, incontrò
però quasi subito il dissenso assoluto del re e dei suoi consiglieri, il
che provocò un conflitto aperto all’interno della famiglia regnante.
Sofferente per una depressione nervosa acuta che la investì, Elisabetta,
accompagnata da Elena Vãcãrescu, lasciò la Romania, il 16 luglio 1891,
si trasferì a Venezia, e vi soggiornò a partire dal 18 luglio[53].
Poiché la soluzione conclusiva della crisi tardava, ai primi di settembre, Carlo
I, preoccupato dalla salute della regina, decise di andare personalmente a
Venezia. Prima di partire, il re espresse al ministro italiano a Bucarest “il
desiderio vivo di spostarsi – in quest’occasione – a Monza o in qualsiasi altra
parte, per rendere omaggi agli Augusti Sovrani” dell’Italia[54].
Il sovrano romeno arrivò a Venezia il 5 settembre 1891 e vi rimase fino
al 16 settembre quando, accompagnato da Elisabetta, andò a Pallanza,
stazione turistica montana nelle vicinanze di Milano, dove la regina proseguì
la sua convalescenza[55].
In queste circostanze, il governo tedesco decise di approfittare della presenza
del re romeno in Italia e, rifacendosi all’influsso benefico che Umberto I
poteva avere sul suo alleato orientale, chiese al sovrano italiano e al suo
governo d’intervenire a favore della proroga dei trattati che legavano ancora
la Romania alla Triplice Alleanza[56].
p. 488
La richiesta tedesca fu formulata in modo da avere una
duplice finalità: eliminare le esitazioni del sovrano romeno e, nello
stesso tempo, assicurare in anticipo il consenso del governo italiano per il
rinnovamento dell’accordo d’adesione al trattato austro-romeno. E tutto questo
perché era prevedibile l’obiettivo da raggiungere, poiché accettando
d’intervenire a favore della proroga del trattato austro-romeno, Umberto I si
metteva nella situazione di non poter ulteriormente rifiutare il rinnovo
dell’assenso italiano allo stesso patto. È molto probabile che il
marchese di Rudini, che doveva capire le vere ragioni della richiesta tedesca,
si fosse piegato alla fine alla decisione del suo sovrano, rinunciando alle
obiezioni già formulate circa l’opportunità dell’adesione
dell’Italia all’accordo austro-romeno. È la conclusione indicata dal
fatto che, il 26 settembre 1891, Umberto I, andando incontro al desiderio del
governo imperiale tedesco, accettò la richiesta del sovrano romeno (23
settembre), quindi lo ricevette a Monza[57].
La visita si svolse tra il 18/30 settembre e il 21
settembre/3 ottobre 1891. Il re Carlo I fu ricevuto a Monza con tutti gli onori
dovuti alla sua carica, alla presenza della maggior parte dei membri della Casa
di Savoia[58]. Durante
gli incontri privati avuti con Umberto I e con il Presidente del Consiglio, il
marchese di Rudini, avvenuti il 30 settembre e il 1 ottobre, accennando ai suoi
disegni in materia di politica estera, il sovrano romeno assicurò gli
interlocutori della decisione di mantenere saldamente gli impegni assunti con i
trattati che legavano la Romania alla Triplice Alleanza; la sua politica estera
– dichiarava senza mezzi termini il re della Romania – non sarebbe cambiata
nemmeno di una virgola[59].
Dobbiamo ancora approfondire la retroscena di questo
episodio dei rapporti italo-romeni. Non si deve tuttavia esagerare il peso che
ebbero gli incontri avvenuti in Italia nella mentalità del sovrano
romeno, del resto abbastanza rigido per quanto riguardavano gli stimoli che lo
spingevano a rivalutare la situazione internazionale ed a costruire la propria
strategia di politica estera. Non dobbiamo dimenticare che la visione dei
politici romeni e dello stesso sovrano sui rapporti internazionali si formava
soprattutto in base ai contatti diretti, quasi esclusivamente con le
autorità di Berlino e di Vienna, contatti stabiliti e perseguiti dal re,
dal Presidente del Consiglio o dal ministro degli Affari Esteri, anche in base
ai legami dinastici diretti con la famiglia imperiale tedesca e ai rapporti
personali del re Carlo I con l’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe,
nonché alla fitta corrispondenza del re con alcuni membri della casa imperiale
tedesca (il principe, poi Kaiser Federico Guglielmo) e con i membri della
propria famiglia, i Hohenzollern, specialmente con suo padre Carlo-–Anton.
La strategia politico-diplomatica romena si fonda,
dunque, nel periodo che precedette lo scoppio della Prima Guerra Mondiale,
sulla collaborazione costante e privilegiata con la Germania e
l’Austria-Ungheria. L’Italia non poteva avere che un ruolo secondario in questa
formula di collaborazione, e di fatto, per la Romania, fu proprio un
p. 489
interlocutore
di secondo piano nel suddetto periodo[60].
È vero che in circostanze speciali questa gerarchia si rovescia, in un
certo senso, a favore dell’Italia, il che si può verificare almeno in
un’occasione prima dello scoppio della conflagrazione mondiale. Possiamo
però considerare l’incontro dei due monarchi, l’unico del resto nella
storia prebellica dei rapporti bilaterali italo-romeni, una simile circostanza?
Per ora, la documentazione conosciuta non ci consente un’analisi concludente.
È molto probabile che l’intervento del sovrano italiano abbia avuto in
quel momento un significato speciale, proprio dal punto di vista delle ultime
evoluzioni registrate nei rapporti austro-romeni: quando i movimenti
irredentistici s’intensificavano, l’Italia acquistava sempre di più un
ruolo importante di passivo positivo
tra le Potenze Centrali – l’atteggiamento dei vertici italiani diventava per i
politici romeni l’unica ragione per far accettare all’opinione pubblica romena
l’associazione de facto alla Triplice
Alleanza. Il sovrano romeno aveva un simile concetto sul ruolo dell’Italia,
idea che esprimerà ripetutamente dopo il 1900 ai ministri
plenipotenziari italiani accreditati presso il governo a Bucarest.
Il secondo trattato d’alleanza austro-romeno fu firmato
il 25 luglio 1892 a Sinaia, località di residenza estiva dei reali
romeni, conservando quasi interamente la formula stipulata nel 1883. La sola
modifica aggiunta riguardava la validità del patto, e all’art. 5 si
precisava che il nuovo trattato sarebbe rimasto in atto per quattro anni invece
di cinque; nel caso in cui non fosse denunciato un anno prima della scadenza,
la proroga s’intendeva attivata per altri tre anni[61].
L’Italia aderì al trattato il 28 novembre 1892, rispettando ad literam i termini stabiliti nel 1888.
Il nuovo accordo sarebbe rimasto in vigore durante il periodo di
validità del trattato austro-romeno (25 luglio 1896 e 25 luglio 1899, a
meno che non fosse stato annullato prima)[62].
Nemmeno dopo il 1892 l’alleanza italo-romena, riassestata
nella classica formula indiretta, non si dimostrò più feconda di
quanto lo fosse stata fino allora per le relazioni politico-diplomatiche
bilaterali. Furono poche, anche in seguito a questa data, le occasioni in cui
la Romania poté avvalersi del sostegno italiano nell’ambito dei problemi di
carattere internazionale o zonale. Infatti, l’Italia continuò ad essere
doppiamente condizionata nei suoi rapporti con la Romania, da una parte dalla
contingenza o non contingenza dei suoi interessi rispetto a quelli del regno
danubiano, dall’altra dall’intento di essere, possibilmente, in consonanza con
Vienna e Berlino nel suo dialogo con il governo di Bucarest.
La mancanza reciproca d’iniziative bilaterali ostacola,
anche dopo il 1892, l’evoluzione dei rapporti italo-romeni verso una normale
collaborazione diretta e coerente, le relazioni fra i due stati continuarono a
svilupparsi nei limiti stabiliti negli anni precedenti. L’Italia, in mancanza
d’iniziative concrete, interferirà raramente con il suo alleato orientale,
rispondendo a volte alle richieste di sostegno politico-diplomatico del governo
di Bucarest,
p. 490
però
soltanto nella misura in cui i suoi interessi coincidevano con quelli romeni o comunque
non fossero dannosi agli interessi strategici del regno italiano. Nell’autunno
del 1892, per esempio, nel contesto della rottura intervenuta nei rapporti
diplomatici tra la Romania e la Grecia, in seguito al conflitto scoppiato per
l’affare Zappa[63], il governo
Giolitti–Brin accettò con prontezza e simpatia di difendere gli
interessi dei sudditi romeni di Grecia. Il ministro italiano degli Affari
Esteri considerava “di essere opportuno offrire al governo romeno la prova
dell’interesse e dell’amicizia che il governo del re d’Italia nutriva verso
loro”[64].
Il favore richiesto dalle autorità romene, era però abbastanza
facile da accettare perché non comportava alcun obbligo speciale nei confronti
dello Stato romeno, giacché l’Italia voleva mantenere un atteggiamento alquanto
prudente nella controversia romeno-greca. Lo stesso governo tuttavia, qualche
mese dopo, nel marzo del 1893, durante i lavori della Conferenza sanitaria
internazionale svoltesi a Dresda, si riteneva in impossibilità
d’intervenire a favore del governo alleato romeno, che era in dissidio con la
Russia a causa del regime sanitario sul canale danubiano di Sulina. Per
l’Italia, come d’altronde anche per gli altri due partner della Triplice, era “più importante di non
scontentare la Russia in una controversia in cui non era implicato nessuno dei
suoi interessi diretti”[65].
Le relazioni italo-romene seguirono lo stesso percorso
sterile anche dopo il ritorno al potere di Francesco Crispi, nell’inverno del
1893 (15 dicembre 1893-5 marzo 1896). Confrontato con gravi difficoltà
interne, lo statista siciliano dovette concentrarsi questa volta, per
più di un anno e mezzo, sull’attività di bonifica dei problemi
sociali ed economici, dimostrando così poca attenzione per gli affari
internazionali, in genere, e per le questioni dell’Oriente europeo, in
particolar modo. Quindi, in queste circostanze, la relazione speciale
dell’Italia con la Romania rimase ancora in uno stato di letargo, quasi
dimenticata dal governo italiano. E sarebbe rimasta così a lungo, se un
incidente di carattere tragicomico non avesse turbato il percorso dei rapporti
italo-romeni.
Come ricordato, il trattato italo-romeno firmato nel
maggio 1888 aveva un carattere volutamente segreto, al pari dell’atto
principale austro-romeno. Questa alleanza con la Romania era tanto secreta che,
agli inizi del 1895, il titolare della Consulta,
il savoiardo Alberto Blanc, non solo ne ignorava l’esistenza, ma avanzava delle
proposte d’intesa politico-militare al governo di Bucarest[66].
E tutto ciò succedeva nel contesto di un’ascensione quasi sincrona dei
movimenti irredentistici in Italia e in Romania[67].
È ovvio che,
p. 491
alla
fine, l’intero affare diventò una semplice discussione “accademica”.
Tuttavia, l’iniziativa del ministro italiano – notevole soprattutto per lo
scioglimento dell’immobilità che Italia aveva dimostrato fino allora nei
confronti della Romania – merita essere ricordata per i termini in cui fu
ideata l’alleanza: Blanc, come lo fece Crispi nel 1888, propose un accordo
diretto tra i due stati e, in più, un patto di carattere pubblico
(pensato così proprio per fare più noto il legame raggiunto tra i
due stati e gli Imperi Centrali). Con la Romania legata al Blocco centrale
tramite un trattato diretto con la “madrepatria”,
il peso dell’Italia sarebbe incrementato in maniera più che evidente
nell’ambito della Triplice Alleanza.
Le considerazioni del ministro romeno a Roma, Emanuele
Lahovari, relative ai motivi che determinavano un simile progetto del ministro
Blanc, sembrano confermare questa interpretazione: il momento prescelto –
credeva il diplomatico romeno – era legato alla vicinanza della scadenza della
Triplice Alleanza e alle trattative successivi per il rinnovamento. Però
quello che aveva spinto il ministro italiano degli Affari Esteri a questa
iniziativa non era l’interesse comune della Triplice Alleanza, perché in questo
caso la proposta non giungesse da Roma; il motivo non poteva essere nemmeno la
preoccupazione per gli interessi romeni poiché l’Italia non promuoveva una
politica della fratellanza latina. L’Italia – notava Lahovari – rappresentava
l’elemento meno importante nella Triplice Alleanza, ma era anche il più
ambizioso; la situazione economica e le capacità militari limitate del
Regno d’Italia non potevano però sostenere, nell’ambito delle trattative
con gli alleati, il ruolo voluto dai suoi vertici politici, quindi legittimare
i suoi ideali. Il governo italiano poteva dunque essere interessato a fornire
alla Triplice Alleanza un’equipollente morale che compensasse la propria inferiorità
materiale: “Une entente préalable avec la
Roumanie lui assurerait l’appoint dont elle a besoin pour obtenir voix égale au
chapitre”[68]! È
facile intuire che il ministro romeno degli Affari Esteri, Alessandro Lahovari,
“abbastanza sorpreso” dalle proposte del suo omologo, le rifiutò con
delicatezza, comunicando al rappresentante diplomatico romeno a Roma che i
motivi di questo diniego furono chiariti al Barone Blanc dal messaggio del
conte Curtopassi, il suo agente di Bucarest[69]!
L’impeto dimostrato dal governo italiano diede inizio ad
un lieve aumento dell’interesse dell’Italia per il suo alleato danubiano,
ciò che si fece sentire nel 1895. Nel febbraio del 1895, Blanc disponeva
la sostituzione del Curtopassi, trovato in fin di vita a Bucarest, con uno dei
suoi protetti, il marchese Emanuele Beccaria Incisa. Il nuovo incaricato
diplomatico arrivava nella capitale romena alla metà del mese di maggio
(!), provveduto di istruzioni precise per lavorare in vista del “ravvivamento
delle simpatie verso l’Italia”, così “vive ed espansive negli anni successivi all’ultima guerra
nell’Oriente” (1877), “ombreggiate però d’allora, poco a poco, a favore
della Francia”! Sul piano politico, il “Rappresentante del Re d’Italia in Romania
doveva agire in comune accordo con i suoi
p. 492
colleghi
austriaci e tedeschi per far penetrare meglio negli spiriti dei romeni la
convinzione che gli interessi del loro paese esigono l’unione con la Triplice
Alleanza il cui unico scopo era quello di mantenere la pace e l’indipendenza in
generale, e di assicurare lo sviluppo tranquillo e regolare degli Stati
Balcanici, in particolare”[70].
Il nuovo ministro italiano a Bucarest doveva inoltre
prestare una maggiore attenzione allo sviluppo delle relazioni economiche
bilaterali, perché la presenza commerciale ed industriale italiana in Romania
era, da molto tempo ormai, superata da quella francese (dobbiamo ricordare che
il savoiardo Blanc sentiva un odio viscerale per la Francia e per i francesi,
in conseguenza dell’annessione della provincia natale[71])!
Il linguaggio utilizzato nelle istruzioni affidate al marchese Beccaria
dimostrava che la strategia del governo di Roma al riguardo della Romania aveva
registrato un notevole cambiamento, almeno sul piano teorico. Così,
secondo il ministro degli Affari Esteri, Blanc, l’Italia doveva superare la
posizione di semplice alleato della Romania, diventando, per l’insieme di
motivi sopraelencati, nientemeno che il principale partner, il collaboratore privilegiato del governo romeno[72].
Dal punto di vista della Romania, il ritorno al governo dei liberali,
nell’autunno dello stesso anno, sembrava una garanzia in questo senso[73].
La volontà politica di entrambe le parti, alquanto ottimistica, almeno
in apparenza, preannunciava la disponibilità per le prossime
discussioni. Così le “occasioni multiple ed appropriate”, ricordate nel
gennaio dal ministro Blanc durante il suo colloquio con l’inviato romeno a
Roma, dovevano rendere in tal modo che l’accordo cordiale stabilito tra i due
governi potesse dimostrare la sua forza ed efficacia.
Per il momento, gli effetti positivi dell’alleanza erano
più manifesti in altri settori, e meno nei rapporti politici. La
presenza dell’industria italiana nella Romania perlomeno sembrava essere in
crescita, grazie alle relazioni cordiali esistenti tra i due governi. Nel
settore dell’edilizia pubblica e privata, per esempio, le imprese italiane
avevano verso il 1895 il primato per il volume d’affari, riuscendo ad
aggiudicarsi la maggior parte delle
p. 493
opere
pubbliche avviate e finanziate dallo Stato romeno. Stando alle stime del
ministro Beccaria Incisa, tra il 1890 e il 1895, il costo totale di questi
lavori, eccetto quelli eseguiti per il Ministero romeno di Guerra, ammontava a
21,5 milioni di franchi francesi[74].
La direzione che Alberto Blanc tentò di dare alle
relazioni italo-romene forse sarebbe diventata proficua se il governo italiano
fosse sopravvissuto alla crisi politica interna. Il secondo gabinetto Crispi
crollò poco dopo il disastro militare di Adua (1 marzo 1896),
disavventura che segnava l’epilogo infausto dell’inizio delle mire
espansionistiche italiane in Africa. Per gli anni successivi, non si può
asserire che la politica orientale del governo italiano abbia avuto una componente
romena e … viceversa. Dopo Adua, i contatti bilaterali italo-romeni furono
quasi inesistenti. Nell’estate del 1896, il governo Rudini–Caetani intervenne
abbastanza favorevolmente al sostegno della Romania nella controversia con la
Grecia, dando un apporto, accanto all’Austria-Ungheria e alla Russia, al
ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due stati[75].
Poco dopo però, l’Italia si dimenticò rapidamente dei romeni.
Nella politica moderata, di “contenimento” del marchese Visconti Venosta
(ministro degli Esteri nel periodo 1896-1898 e 1899-1901), furono prese ancora
meno iniziative legate alla Romania o a favore di questa.
Del resto, i vertici politici romeni scoprirono in breve
tempo l’atteggiamento immutato del governo italiano. Nella primavera del 1897, il
governo di Bucarest, in seguito alle notizie riguardanti le pratiche
dell’ambasciatore russo a Costantinopoli, al sostegno delle iniziative del
governo di Sofia, per ottenere un nuovo berat
per i vescovi bulgari, si rivolse al gabinetto italiano alleato domandando
l’uso della sua influenza presso la Porta per il riconoscimento ufficiale di
Monsignor Antim, il metropolita scelto dai romeni della Turchia europea.
Comunicando la richiesta ufficiale inviata dal gabinetto romeno, il ministro
italiano a Bucarest ritenne naturale di sostenerla calorosamente, affermando
che, “aderendo alla richiesta del Primo Ministro romeno D. A. Sturdza, l’Italia
avrebbe fatto un atto di politica giusta. Grazie ai vecchi legami di sangue
(!), grazie alle tradizioni storiche e all’inclinazione
naturale [il corsivo è nostro], tra tutti gli Stati balcanici la
Romania era sicuramente quello dove esistevano le simpatie più diffuse e
sincere per l’Italia. Rendendo tali servizi, Italia non faceva che farsi
crescere in modo efficiente l’influenza”[76].
Nonostante il parere del Beccaria, il ministro italiano degli Affari Esteri,
dopo un’accoglienza favorevole del messaggio arrivato da Bucarest[77],
cambiò pensiero seguendo il consiglio dell’ambasciatore a
Costantinopoli, Alberto Pansa, il quale riteneva che per l’Italia sarebbe stato
meglio non intromettersi in questo affare, soprattutto da sola, poiché il
problema non la riguardava direttamente[78].
Dunque, possiamo sostenere che la politica estera italiana non trascurava del
tutto i romeni, ma comunque i rapporti italo-romeni non superavano i limiti di
un’amicizia passiva. Infatti, l’anno 1897 segnò l’inizio di un lungo
periodo di discesa nei rapporti politico-diplomatici italo-romeni, e i contatti
fra i due governi furono,
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negli
anni successivi e fino alla vigilia della crisi bosniaca, quasi esclusivamente
di stampo informale. Il trattato bilaterale di alleanza mantenne la
validità, essendo prorogato senza difficoltà il 5 giugno 1899[79].
L’inizio del nuovo secolo portò alla Romania
alcuni gravi problemi esteri. Le azioni dei comitagi
bulgari nella Macedonia arrecarono un’irritazione considerevole al governo di
Bucarest, dove la causa dei Kutzo-Vallachi era tanto risentita. La scontentezza
diventò molto intensa nel momento in cui il leader aromeno ªtefan Mihãileanu, caporedattore del giornale Peninsula Balcanicã, fu assassinato, il
22 luglio 1900, in un agguato messo in atto da un nazionalista bulgaro, ªtefan
Dimitrov, che sembrava aver eseguito una disposizione precisa del comitato
macedo-bulgaro di Sofia. L’omicidio scatenò subito delle gravi tensioni
nei rapporti romeno-bulgari, seguite dai preparativi militari da entrambe le
parti. I bulgari fecero edificare fortificazioni lungo il Danubio,
concentrarono delle truppe in più punti del confine con la Romania,
specialmente lungo la frontiera nella Dobrugia. I romeni replicarono con simili
azioni eseguendo una serie di consolidamenti del ponte di Cernavodã,
così da rendere scorrevoli le comunicazioni tra le province di Valacchia
e la Dobrugia. La situazione divenne difficile a causa dell’atteggiamento del
governo russo. I vertici politici di Pietroburgo chiesero agli omologhi bulgari
di manifestare prudenza e calmo, ma, nello stesso tempo, inviarono armi e
munizioni per il rafforzamento dell’esercito di Sofia. In più, il
governo russo ritenne opportuno protestare con energia contro l’esecuzione
delle fortificazioni di Cernavodã, invocando in questo senso l’articolo 52 del
trattato di Berlino, ma senza aver inviato in precedenza simili obiezioni alla
Bulgaria, anch’essa colpevole per aver infranto le regole previste nel trattato
del 1878[80].
L’affare, mitigato alla fine, provocò l’amarezza
dei politici romeni, i quali si resero conto, almeno per il momento, del fatto
che nelle questioni di politica internazionale la Romania non poteva contare
sul sostegno efficace delle potenze della Triplice Alleanza. Nell’ottobre, il
Presidente del Consiglio, D. A. Sturdza, senza usare mezze parole,
rimproverò questo atteggiamento al ministro italiano a Bucarest, Beccaria
Incisa, e, probabilmente, non solo a lui, dichiarando esplicitamente che
durante la crisi bulgaro-romena “la Germania non aveva fatto niente, e l’Italia
con l’Austria-Ungheria quasi niente a favore della Romania”[81].
Siccome il governo di Bucarest non aveva alcuna intenzione di sottovalutare “il
pericolo bulgaro”[82],
in breve tempo decise di analizzare la
p. 495
possibilità
di riconfigurare il sistema d’alleanza del paese allo scopo di ottenere delle
garanzie supplementari destinate ad assicurare la sicurezza della Romania anche
nel caso dello scoppio di un eventuale guerra con la Bulgaria. Il 20 aprile
1901, in un memoria presentata al cancelliere tedesco von Bülow dal ministro
plenipotenziario della Romania a Berlino, Alexandru Beldiman, il governo romeno
cercò di modificare il fondamento del trattato d’alleanza, sollecitando
l’estensione delle condizioni di casus
foederis anche per un eventuale conflitto militare romeno-bulgaro. La
risposta però fu negativa, il governo tedesco dichiarò che un
simile eventuale conflitto era sottinteso nel trattato in vigore, ma solo nel
caso di un attacco non provocato venuto dalla parte del principato bulgaro.
Nella stessa memoria, la Romania chiese la possibilità di firmare nel
prossimo futuro trattati separati d’alleanza con l’Austria-Ungheria, la
Germania e l’Italia, il che avrebbe significato, praticamente, la
trasformazione della Triplice in una quadruplice alleanza[83].
Il cancelliere tedesco respinse anche questa richiesta del governo romeno
perché considerava che il riassestamento dei rapporti pattuiti fra la Romania e
la Triplice Alleanza potesse portare non poche difficoltà e altrettante
discussioni inutili che in quel momento andavano evitate, e che, del resto, la
forma vigente del trattato corrispondeva perfettamente all’interesse indiretto
della Germania per l’alleanza con la Romania. “[…] la Romania era
principalmente coperta, come se avesse firmato un trattato d’alleanza
direttamente con la Germania e l’Italia, e dovrebbe continuare a rimanere
così[84]”.
Per ciò che riguarda questi negoziati del governo
romeno, gli autori dello studio, già diventato un classico
sull’argomento, România ºi Tripla Alianþã[85]
[La Romania e la Triplice Alleanza],
affermavano, citando un documento tedesco [GP, XVIII/2, no. 5805], che “il Re
Carlo I voleva appoggiarsi all’Italia, contando sui suoi interessi nella
Penisola Balcanica”. Però i nostri tentativi di ritrovare nell’ASDMAE le
informazioni che confermino l’ipotesi di un’azione comune italo-romena nel
1901, non hanno conseguito un risultato positivo. Dai documenti conservati
nell’Archivio Segreto di Gabinetto,
non risulta l’esistenza, negli anni 1900-1902, di trattative italo-romene
riguardanti la modifica dei termini dell’alleanza, e neanche la prova
dell’intento del governo di Roma di firmare un trattato diretto d’alleanza con
la Romania. È vero che Giulio Prinetti, il successore di Visconti
Venosta alla guida del Ministero italiano degli Affari Esteri (febbraio 1901)
si dimostrò abbastanza interessato alla situazione del regno nord-danubiano,
disponendo al ministro accreditato a Bucarest, Beccaria Incisa, nell’autunno
del 1901, “di rapportare dettagliatamente a Roma tutto quello che ha qualche
attinenza con l’azione della Russia nella Romania e d’informarsi sempre su
questo problema, più esattamente possibile”; il Prinetti incaricò
Beccaria “di assicurare [il governo romeno, n. n.], al momento giusto,
p. 496
che
l’Italia s’interessa calorosamente alla Romania e allo sviluppo indipendente di
questo paese”[86]. Questo
episodio fu, però, successivo ai colloqui avviati dai romeni a Berlino
e, inoltre, non si riscontra in nessuna fonte coeva che attesti la precedenza o
almeno il seguito di uno scambio di pareri, su argomenti generali o specifici,
tra i governi di Roma e di Bucarest.
Le azioni promosse dal governo romeno furono però
rapportate, specialmente a Berlino, alle disposizioni innovative manifestate
dall’Italia nella politica di alleanze, con l’avvento al trono del re Vittorio
Emanuele III e la nomina del governo Zanardelli–Prinetti (febbraio 1901-ottobre
1903)[87].
Il rifiuto del governo tedesco alle richieste inviateli dalle autorità
romene fu dovuto, nella nostra opinione, soprattutto alla paura che tali
domande avrebbero potuto costituire un pretesto e, nello stesso tempo, il
supporto per le eventuali richieste italiane di trasformare l’alleanza. Del
resto, nel 1901, il Sottosegretario di Stato del Dicastero tedesco degli Affari
Esteri, von Mühlberg, in una nota inviata al Cancelliere del Reich, von Bülow,
giustificò il suo atteggiamento al riguardo del problema sollevato dalle
richieste romene: “[…] Per la Germania e l’Austria-Ungheria la situazione
attuale è totalmente inadeguata, per portare in discussione un’alleanza
romena modificata ed estesa. Perché in un simile caso non potremmo più
scegliere, dovremmo implicare l’Italia nelle discussioni e allora l’Italia
potrebbe contare sull’idea che nel futuro, nella sua politica d’espansione [nei
Balcani, n. n.], avrà la possibilità di erigersi sulla protezione
delle Triplice Alleanza. L’accetterebbe con entusiasmo [la trasformazione
dell’accordo con la Romania, n. n.] e introdurrebbe [a sua volta, n. n.] nel
trattato [della Triplice Alleanza, n. n.] una clausola riguardante l’Albania
(!). Ma l’Austria accetterebbe difficilmente una simile clausola e così
sarebbe messa in discussione proprio l’esistenza della Triplice Alleanza”[88].
L’alleanza austro-romena fu rinnovata il 4/17 aprile
1902, in base ad un testo analogo a quello del trattato precedente, con
l’aggiunta di una sola modifica, anch’essa di poca rilevanza: su richiesta
dell’Austria-Ungheria, fu introdotta una clausola riguardante il rinnovamento
d’ufficio, ogni tre anni, in mancanza della denuncia del trattato da una o
più parti[89]. In seguito
la Germania aderì al trattato, che fu prorogato il 12/25 luglio 1902[90].
Ai primi di novembre, il ministro romeno degli Affari Esteri, Ionel Brãtianu,
durante un incontro con il suo omologo austro-ungarico, il conte Goluchovski,
fu informato dell’invito presentato al governo di Roma per il rinnovo
dell’assenso al trattato austro-romeno; il governo di Vienna si augurava che
l’adesione fosse firmata a Bucarest dal ministro italiano Beccaria Incisa, il
quale, insieme ai suoi colleghi tedeschi e
p. 497
austro-ungheresi,
era informato minutamente sull’affare. Il 10 novembre 1902, Brãtianu
comunicò al marchese Beccaria che il governo romeno preferiva un tale modus procedendi perché così non
avrebbe dovuto comunicare l’esistenza dell’alleanza al ministro romeno a Vienna[91].
Il 30 novembre/12 dicembre 1902, nella sede dell’Ambasciata austro-ungarica a
Bucarest, Beccaria, il marchese Pallavicini e il Primo Ministro romeno D. A.
Sturdza, firmarono gli accordi italo-romeno e italo-austriaco, parte dei patti
della Triplice[92]. Lo scambio
degli strumenti di ratifica ebbe luogo a Vienna, il 5 gennaio 1903, e il 10
gennaio 1903 a Bucarest[93].
Negli anni seguenti, il mandato di Tommaso Tittoni
(1903-1909), il successore di Prinetti alla Consulta
ed uno dei ministri degli Affari Esteri più apatici, non fu molto
rilevante per il percorso dei rapporti dell’Italia con la Romania. Poco si
può menzionare di queste relazioni bilaterali: un nuovo trattato
commerciale (5 dicembre 1906), negoziato a lungo tra il 1904 e il 1906, la
difficile[94] nascita di
una Camera di Commercio italiano a Bucarest (1904), destinata a rimanere in
piena oscurità fino alla Grande Guerra, la mediazione italiana del
secondo conflitto diplomatico greco-romeno (1906-1911), e i riferimenti
sporadici e generici ai “rapporti eccellenti” con la Romania, inseriti nelle
stesure delle sintesi annuali presentate alla Camera dei Deputati[95].
L’ultimo rinnovo del trattato di alleanza italo-romeno
avvenne il 14/27 febbraio 1913[96],
in piena crisi balcanica, dopo un periodo in cui i rapporti fra i due stati
trascorsero un periodo abbastanza instabile, tra avvicinamento e indifferenza.
La sostanza degli obblighi reciprochi restò immutata, la sola modifica
aggiunta fu collegata alla scadenza dell’accordo. In tal senso, per
semplificare l’assetto delle trattative, in seguito al suggerimento degli
alleati austro-ungarico e tedesco, fu previsto che la durata degli accordi
d’adesione tedesca e italiana coincidesse con quella del trattato della
Triplice Alleanza[97].
Il patto politico-militare che legò i due paesi
cessò de facto, insieme al
trattato primario austro-romeno e all’assenso tedesco, in meno di un anno e
mezzo dall’ultima proroga. È ben noto anche il fatto che nel giugno del
1914 i governi di Vienna e di Berlino abbiano invocato la presenza del casus foederis previsto nei trattati
d’alleanza. L’Italia
p. 498
e
la Romania respinsero però quest’interpretazione, dimostrando tramite le
dichiarazioni di neutralità quasi simultanee le tendenze centrifughe
recentemente manifestate nell’ambito dell’alleanza con gli Imperi Centrali.
L’accordo italo-romeno non fu mai completato da una
convenzione militare scritta o verbale, le sole discussioni di tale natura,
meramente teoriche, essendo quelle avvenute nella primavera del 1888 tra Roma,
Vienna e Berlino, riguardanti i due corpi d’esercito italiani che stavano per
essere concentrati nel Veneto e, in caso di guerra, indirizzati sul fronte
dell’est. Di questi preparativi non vi è traccia nella documentazione
conservata presso l’Ufficio Storico dello
Stato Maggiore dell’Esercito, a Roma, dove non si riscontra neanche
l’esistenza di ulteriori negoziati diretti tra la parte italiana e quella
austro-ungarica.
Quest’alleanza rimase, per varie ragioni e per più
di 25 anni, piuttosto ideale che effettiva. La mancanza d’iniziativa da ambedue
le parti, romena ed italiana, rese impossibile qualsiasi perfezionamento
dell’accordo raggiunto nel 1888. Senza interessi speciali da difendere in una
zona considerata, d’altronde, tradizionalmente soggetta all’influsso
politico-economico austro-ungarico, i vertici del governo italiano evitarono
costantemente di assumere obblighi supplementari, e la strategia
politico-diplomatica promossa nei confronti della Romania fu, nella maggior
parte dei casi, in chiave di sostegno delle iniziative austro-ungariche e
tedesche.
Dobbiamo ammettere però che l’alleanza
italo-romena ebbe anche degli effetti positivi. Col tempo, essa condusse ad una
certa familiarità nei rapporti tra i due governi e a volte alla
convergenza d’interessi in campi e nei momenti bene determinati (le questioni
balcaniche, i rapporti con l’Austria-Ungheria, con la Russia ecc.). I “frutti”
di questa collaborazione furono indubbi, in modo alquanto paradossale, non
tanto nell’ambito delle iniziative politico-diplomatiche, quanto in altri
settori, più o meno connessi: quello delle relazioni economiche, dello
sviluppo dell’“italianità” nella Romania (l’emigrazione italiana
temporanea e permanente, presente nella Romania prebellica); nel campo della
collaborazione militare-accademica, con speciale riferimento al ruolo notevole
delle Scuole e delle Accademie militari italiane nella formazione della élite militare romena, fino alla Prima
Guerra Mondiale: si tratta, innanzi tutto, della Scuola Superiore dello Stato
Maggiore di Torino, dell’Accademia Militare Navale di Livorno, ma anche della
Scuola di Meccanici Navali di Venezia! Centinaia di giovani romeni conseguirono
o completarono i loro studi militari in queste scuole, a cominciare dai tempi
di Cavour, e fra questi basta menzionare il nome del futuro Maresciallo di
campo e comandante degli eserciti romeni nella Prima Guerra Mondiale, Alexandru
Averescu.
Sarebbe però inutile cercare una costante
convergenza degli interessi italo-romeni poiché non vi fu. Certo, i rapporti
dei due Stati ebbero i loro momenti di rilievo ma anche periodi di distacco, di
tensione, di raffreddamento, generalmente ignorati dalla storiografia romena
(si veda, ad esempio, l’evoluzione dei rapporti italo-romeni nell’intervallo
1881-1883, in occasione del dibattito della questione danubiana[98]
oppure l’aggressiva campagna di stampa iniziata in Romania contro l’Italia nel
1912, durante la guerra italo-turca[99]).
Other articles published in
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Documents regarding
the History of the Italian Legation in Bucharest 1879-1914
Giuseppe
Tornielli-Brusati di Vergano. Notes regarding his Diplomatic Mission in Romania
1879-1887
Note e documenti
riguardanti la storia della Legazione italiana a Bucarest (1879-1914)
Romanian-Italian
Relationship inside of the Triple Alliance. The 1888 Agreement
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[1] Cfr. Ernst Ebel, Rumänien
und die Mitelmächte von der russisch-türkischen Krise (1877-78) bis zum
Bukarest Frieden vom 10 August 1913, Berlino 1939; Arthur Krausneker, Kalnoky´s Rumänienpolitik in den Jahren
1881-1895. Ein Beitrag zur Geschichte der Balkanenpolitik Österreich-Ungarns
auf Grund der Akten des Wiener Haus- Hof- und Staarsarchivs, Tesi di
dotttorato di ricerca, Graz 1951; E. R. von Rutkowski, Österreich-Ungarn und Rumänien, 1880-83. Die Proklamierung des
Königreiches und die rumänischen Irredenta, in “Südost-Forschungen”, no.
25, 1966, pp. 150-284; Uta Bindreiter, Die
diplomatischen und wirtschaftlischen Beziehungen zwischen Österreich-Ungarn und
Rumänien in den Jahren 1875-1888, Vienna–Colonia–Graz 1976.
[2] Cfr. William L. Langer, European Alliances and Alignments, 1871-1890, 2a edizione,
New York 1966, p. 330.
[3] Stando a quanto afferma il ministro italiano a Bucarest,
Tornielli, sarebbero state delle proposte dalla parte francese nella primavera
del 1880: “[…] Je sais que Ministre de France a cherché à sonder le
terrain au sujet de possibilité d’une entente intime qui paraît être dans
ses instructions, mais on a répondu à ses ouvertures par un silence
abstinée. […]”, Cfr. Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari
Esteri a Roma (d’ora in poi sarà citato ASDMAE), D[ivisione] P[olitica], Rapporti in arrivo. Romania, b.
[busta] 1396 (allegato in cifra al R 25, Tornielli a Cairoli, Bucarest, 17
marzo 1880).
[4] Cfr. Andrei Corbea, Cu
privire la critica «modelului german» al «Junimii», in Culturã ºi societate. Studii privitoare la trecutul românesc, a
cura di Alexandru Zub, Bucarest 1991, pp. 242-253.
[5] W. L. Langer, op.
cit., pp. 331-332.
[6] Cfr. România în
relaþiile internaþionale, 1699-1939, a cura di Leonid Boicu, Vasile
Cristian e Gheorghe Platon, Iaºi 1980, p. 305.
[7] Cfr. Marvin L. Brown Jr., Bismarck and Haymerle: the clashing allies, in Diplomacy in an Age of Nationalism. Essays in Honor of Lynn Marshall
Case, a cura di Nancy N. Barker e M. L. Brown Jr., Aia 1971, pp. 176-191,
p. 190; Francis Roy Bridge, From Sadowa
to Sarajevo. The Foreign Policy of Austria-Hungary, 1866-1914,
Londra–Boston 1972, p. 117.
[8] Cfr. E. R. von Rutkowski, General Skobelev, die Krise des Jahres 1882 und die Anfänge der
militärischen Vereinbarungen zwischen Österreich-Ungarn und Deutschland, in
“Ostdeutsche Wissenschaft”, X, 1963, pp. 81-151, p. 134.
[9] Hilde Mureºan, Date
cu privire la restricþiile comerciale faþã de România, impuse de guvernul
austro-ungar în anii 1878-1879, in “Anuarul Institutului de Istorie ºi
Arheologie din Cluj”, XI, 1968, pp. 291-305; Gheorghe Cãzan, ªerban
Rãdulescu–Zoner, România ºi Tripla
Alianþã, 1878-1914, Bucarest 1979, pp. 73-81.
[10] Tramite il riconoscimento dell’indipendenza della
Romania e della Serbia e dell’autonomia della Bulgaria, il Congresso di Berlino
mise fine al controllo della Porta su questo tratto del fiume, trasformandolo,
almeno ufficialmente, in un corso d’acqua internazionale. La Romania ricevette
così dei diritti sovrani di navigazione e di libero svolgimento del
commercio sul fiume e divenne parte nella Commissione Europea del Danubio,
organismo fondato nel 1856 per regolamentare l’utilizzo del bacino danubiano.
Nell’estate del 1880, l’Austro-Ungheria elaborò nuove norme di
navigazione per il Danubio Meridionale, che avrebbero conferito al suo
rappresentante un voto decisivo nella questione e avrebbero costretto i piccoli
stati rivieraschi ad orientare il loro commercio estero nella sua direzione. Lo
strumento di questa prevalenza doveva essere la Commissione Mista, presieduta
dal delegato austro-ungarico, che assumeva piena autorità sulla
navigazione dalle Porte di Ferro fino a Galaþi. Invece il governo di Bucarest
proponeva che l’azione di sorveglianza fosse eseguita da una commissione
tripartita dei rivieraschi (insieme alla Serbia e alla Bulgaria). L’Austria
richiese la partecipazione ai lavori della Commissione con voto predominante e
la presidenza della stessa istituzione. Il progetto di regolamento adottato
alla fine dalla CED (Commissione Europea del Danubio) (il progetto
Barrère), nonostante le protesta della Romania e della Bulgaria,
accontentò le domande austro-ungariche. Le decisioni della CED furono
inserite nel Trattato di Londra (marzo 1883). La Romania non riconobbe la
decisione europea e, siccome il trattato non prevedeva delle misure punitive,
continuò ad esercitare l’attività di polizia e sorveglianza delle
sue acque territoriali danubiane, Cfr. ª. Rãdulescu–Zoner, La souveraineté de la Roumanie et le problème du Danube
après le Congrès du Berlin, in “Revue des études Sud-Est
européennes”, IX, no. 1, 1971, pp. 152 ss; Gh. N. Cãzan, La question du Danube et les relations roumano-austro-hongroises dans
les années 1878-1883, in “Revue Roumaine d’Histoire”, XVIII, no. 1, 1979,
pp. 43-61.
[11] I Documenti
Diplomatici Italiani, seconda serie (1870-1896) (d’ora in poi sarà
citato DDI), Roma 1953, 2,
XVII-XVIII, no. 170, p. 171 (Mancini a Di Robilant, Roma, 15 aprile 1884).
[12] Cfr. “Românul”, XXVII (sabato/domenica 6-7 agosto) 1883
(calendario giuliano): “Plecarea M. S. Regele la Berlin [La partenza di Sua
Maestà il Re per il Berlino, n. n.]”, [giovedì 4/16 agosto 1883,
ore 2 p. m.]; “Gazzetta di Venezia”, no. 218 (venerdì, 17 agosto), 1883.
[13] Direzione degli Archivi Nazionali Storici Centrali di
Bucarest (d’ora in poi sarà citato DANIC), Casa Regalã, dossier 19/1883 (telegramma no. 281, Brãtianu a
Sturdza, Bad Gastein, 6 settembre 1883, ore 1628).
[14] Per una presentazione dettagliata delle trattative, Cfr.
Gh. Cãzan, ª. Rãdulescu–Zoner, op. cit.,
pp. 113-123.
[15] Cfr. Alfred F. Pribram, Les traités politiques secrètes de l’Autriche-Hongrie, 1879-1914, vol. I, Parigi 1923, pp. 40-47.
[16] Cfr. F. R. Bridge, op.
cit., p. 144 (il Memorandum del 1884).
[17] ASDMAE, Carte
Pansa, b. 1, Diario, II:
domenica, 31 dicembre 1882.
[18] Cfr. Ion Dumitriu–Snagov, Le Saint-Siège et la Roumanie moderne, 1866-1914, Roma 1989,
pp. 487-88 (allegato no. 135, Vanutelli al Segretario di Stato, Cardinale
Iacobini, Vienna, 28 settembre 1883).
[19] Gheorghe I. Brãtianu, Bismarck ºi Ion C. Brãtianu, in “Revista Istoricã Românã”, V-VI,
1935-1936, pp. 97-98.
[20] Cfr. Enrico Decleva, L’incerto
alleato. Ricerche sugli orientamenti internazionali dell’Italia unita,
Milano 1987, p. 30; per l’opinione del conte Tornielli–Brusati, Cfr. Rudolf
Dinu, Note e documenti riguardanti la
storia della Legazione italiana a Bucarest, 1879-1914, in “Annuario
dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia”, III, no. 3,
2001, pp. 222-295, p. 290 (Tornielli a Depretis, Bucarest, 23 maggio 1883):
“[…] Nella politica estera è chiaro che non si possano mutare le linee
generali direttive. Ma non bisogna illuderci di essere cresciuti in importanza.
È addirittura il contrario ad essere vero. Siamo ritornati precisamente
nell’identica situazione in cui vivevamo prima del 1870, con la differenza che
allora si diceva che l’Italia voleva ciò che la Francia e l’Inghilterra
decidevano, ed ora si dice che per conoscere la nostra opinione, bisogna andare
a Berlino e a Vienna. Siccome mi piace dire schiettamente quello che penso,
aggiungerò che allora ci si attribuivano almeno certe ispirazioni nelle
risoluzioni di Napoleone 3° e che ora nessuno suppone che siamo noi ad
inspirare [sic!] Bismarck. Allora avevamo Roma da acquistare, ed ora nessuno
capisce che cosa vogliamo […]”.
[21] Cfr. Federico Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, vol. I, Le premesse, Bari–Roma 1951, p. 551, nota
2.
[22] Take Jonescu, Amintiri,
Bucarest s. a., pp. 181-183.
[23] Cfr. 35 anni di
relazioni italo-romene, 1879-1914. Documenti diplomatici italiani (d’ora in
poi sarà citato 35 anni cit.),
a cura di R. Dinu e Ion Bulei, Bucarest 2001, doc. 449, p. 504 (San Giuliano a
Fasciotti, Roma, 19 dicembre 1911).
[24] Ibidem, no.
450, p. 505 (Fasciotti al San Giuliano, Bucarest, 21 dicembre 1911).
[25] Cfr. Renato Mori, Francesco
Crispi e l’accessione italiana allo accordo austro-rumeno, in “Clio”, V,
no. 2-3, 1969, pp. 193-238; R. Dinu, Romanian-Italian
Relationship Inside of the Triple Alliance. The 1888 Agreement, in
“Annuario dell’Istituto Rumeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia”, II,
no. 2, 2000, pp. 175-223.
[26] Cfr. Memoria del generale Caprivi, Bericht über die Aussichten der Kriegführung zur See zwischen
Deutschland, Österreich und Italien einerseits und Frankreich und Russland
andererseits, 15 novembre 1887, apud
Paul M. Kennedy, L’antagonismo
anglo-tedesco. Dalla collaborazione all’ostilità, 1860-1914, Milano 1993,
p. 270.
[27] Die Grosse Politik
der europäischen Kabinette, 1871-1914, Deutsche Verlagsgesellschaft für Politik
und Geschichte M. B. H., 1922-26 (d’ora in poi sarà citato GP), VI, no. 1301, p. 238 (Solms al
Cancelliere von Bismarck, R. no. 291, segreto, Roma, 13 dicembre 1887).
[28] Ibidem, VI,
no. 1306, pp. 245-246 (l’ambasciatore tedesco a Vienna, Henri VII von Reuss, al
Cancelliere von Bismarck, R no. 8, segreto, Vienna, 7 gennaio 1888); l’idea
sarà, in seguito, fortemente appoggiata dal Feldmaresciallo von Moltke,
capo dello Stato Maggiore tedesco, nella memoria mandata al cancelliere von
Bismarck, il 14 gennaio 1888: “Ritengo assai importante la proposta, non ancora
resa nota [agli italiani, n. n.], di inviare truppe italiane in Romania per
condurre con essa la guerra contro la Russia. L’armata romena da sola non
sarebbe infatti abbastanza forte per poter condurre un’offensiva in Bessarabia.
Probabilmente essa marcerebbe nella Moldavia meridionale per aspettare qui
l’attacco russo e poiché questo difficilmente potrebbe essere realizzato prima
della decisione dello scontro sul fronte polacco, bisogna pensare perciò
che la Russia dovrebbe utilizzare i suoi due corpi d’armata sud occidentali,
cioè il VII e l’VIII, per tenere in scacco l’armata romena. Una connessione
diretta dei romeni con l’ala destra dell’esercito austriaco o un’operazione
comune non è da prendersi in considerazione poiché l’armata romena si
troverebbe troppo lontana dalla madrepatria. Le cose andrebbero ben
diversamente qualora in Romania fossero raccolte delle truppe assai forti e
tali da poter condurre un’offensiva anche li. La Russia potrà perdere la
Polonia senza mettere in pericolo i suoi interessi vitali tuttavia non
potrà mai permettersi di essere allontanata dal Mar Nero. Odessa, che
è il porto russo più importante per il commercio e che è
fortificata soltanto dalla parte del mare, sta infatti soltanto a trenta miglia
dalla frontiera romena. Se fosse possibile rafforzare l’esercito romeno con
circa 100.000 uomini, cioè con tre corpi d’armata, la Russia sarebbe
costretta a distrarre un buon numero delle sue truppe marcianti contro la
Germania o contro l’Austria e dovrebbe gettarle sul fronte di guerra della
Bessarabia e allora Austria sarebbe in grado di compiere con l’armata della sua
ala destra un’operazione in direzione di Kiev. Inoltre un’offensiva delle
armate italo-romene contro la Russia del sud potrebbe fornire alla Turchia un
buon motivo per entrare in guerra contro la Russia. Non si può ancora
sapere in quale momento sarà possibile il trasporto di 100.000 uomini
delle truppe italiane in Romania poiché la capacità delle ferrovie non
è conosciuta e non bisogna nemmeno trascurare il fatto che queste
ferrovie dovranno anche servire alla mobilitazione dell’esercito austriaco”,
Cfr. Massimo Mazzetti, L’esercito
italiano nella Triplice Alleanza, Napoli 1974, doc. 5, p. 473 (Promemoria
del Feldmaresciallo von Moltke per il Dicastero degli Affari Esteri, Berlino,
14 gennaio 1888).
[29] R. Mori, La
politica estera di Francesco Crispi (1887-1891), Roma 1973, p. 133, nota
120.
[30] ASDMAE, Archivio
Segreto di Gabinetto (1869-1914) (d’ora in poi sarà citato ASG), cassetta verde no. 10, fascicolo I
(Ministero Crispi), doc. 1, 19 febbraio 1888.
[31] Cfr. Museo Centrale del Risorgimento–Roma (d’ora in poi
sarà citato MCR–Roma), Carte
Crispi, b. 661, fasc. 12, doc. 2.
[32] Cfr. GP, VII,
no. 1464 in nota, pp. 151-152.
[33] ASDMAE, Gabinetto
Crispi, cartella 3, fasc. 6-b, Rumania
(XXIX) (Nigra a Crispi, Vienna, 26 marzo 1888, ore 1510); Idem, ASG, cassetta verde no. 10, fasc. III
(gabinetto Rudini) (Nigra a Crispi, Vienna, 26 marzo 1888); Ibidem (Nigra a Crispi, Vienna, 30 marzo
1888); Ibidem (Nigra a Crispi,
Vienna, 5 aprile 1888).
[34] Idem, Carte
dell’Eredità Crispi, fasc. II (Crispi a Nigra, Roma, 7 aprile 1888).
[35] Ibidem (Nigra
a Crispi, Vienna, 11 aprile 1888, ore 1650); Ibidem (Kalnoky a Bruck, promemoria, Vienna, [11] aprile 1888).
[36] ASDMAE, ASG,
cassetta verde no. 10, fasc. III (allegato al rapporto riservato no. 18/4, 12
aprile 1888) (Nigra a Crispi): “[…] Sa Majesté, le Roi d’Italie, approuvant le
but pour lequel ce traité [trattato austro-romeno del 1883, n. n.], a été
conclu et qui est la conservation de la paix générale et de l’ordre existant, a
autorisé le Soussigné […], son Ambassadeur Extraordinaire et Plénipotentiaire
auprès de Sa Majesté, l’Empereur d’Autriche, Roi Apostolique de Hongrie,
à déclarer en Son nom qu’Il accède au dit traité dans les limites
ci-après indiquées en ce qui concerne les stipulations des Articles 2 et
3, savoir: Si les éventualités pouvant donner lieu au casus foederis, tel qu’il
est prévu dans les Articles 2 et 3, venaient à se produire, Leurs
Majestés, le Roi d’Italie, l’Empereur d’Autriche, Roi Apostolique de Hongrie,
et le Roi de Roumanie prennent l’engagement mutuel de se concerter en temps
utile pour une action commune dont les modalités seront réglées par une
convention spéciale. La présente accession sera en vigueur pour cinq ans
à dater du jour de la signature; mais si le traité principal du 30
octobre 1883 venait à expirer avant ce terme, elle sera considérée comme
expirée en même temps. Le secret sera gardé sur cet acte d’accession qui
ne pourra être relevé sans le consentement de chacune des hautes parties
contractantes”.
[37] DDI, 2, XXII,
no. 15, p. 15 (Nigra a Crispi, Vienna, 12 aprile 1888).
[38] Ibidem, no.
23, p. 20 (Crispi a Nigra, Roma, 19 aprile 1888).
[39] ASDMAE, ASG,
cassetta verde no. 10, fasc. I (Curtopassi a Nigra, Bucarest, 9 maggio 1888).
[40] Ibidem (Nigra
a Crispi, Vienna, 15 maggio 1888).
[41] Ibidem
(Curtopassi a Crispi, Bucarest, 19 giugno 1888); si veda anche DDI, 2, XXII, no. 109, p. 65.
[42] Cfr. Daniela Adorni, Francesco
Crispi. Un progetto di governo, Firenze 1999.
[43] Cfr. The memoirs,
diaries and correspondence of Friedrich von Holstein, 1837-1909, vol. III,
a cura di Rich e Fischer, Cambridge 1963, p. 224 (Solms a Holstein, Roma, 14
ottobre 1887).
[44] Cfr. G. F. De Martens, Précis du droit des gens moderne de l’Europe, 2a
edizione, vol. I, Parigi 1864, pp. 22 ss; Brunello Vigezzi, L’Italia unita e
le sfide della politica estera. Dal Risorgimento alla Repubblica, Milano
1997, p. 9.
[45] Politisches Archiv des Auswärtigen Amts–Bonn, fondo R 9849 [Die Beziehungen Rumänien zu Italien (1890-1919], Rumänien no. 24: R 94 (Bülow a Caprivi,
Bucarest, 15 dicembre 1890).
[46] “L’Adriatico”, XIII (lunedì, 15 aprile), 1889 (Nella penisola dei Balcani).
[47] Cfr. 35 anni
cit., docc. 210-235, pp. 247-264.
[48] DDI, 2, XXIV,
no. 272, pp. 203-204 (SP, Rudini a Nigra, Roma, 8 maggio 1891).
[49] ASDMAE, Miscellanea
Renato Mori, pacco no. 8 (SP, Rudini a Nigra, Roma, 25 maggio 1891).
[50] Cfr. Teodor Pavel, Între
Berlin ºi Sankt Petersburg. Românii în relaþiile germano-ruse din secolul al
XIX-lea, Cluj-Napoca 2000, p. 250.
[51] Cfr. Politica
externã a României. Dicþionar cronologic, coordinatori: Ion Calafeteanu e
Cristian Popiºteanu, Bucarest 1986, pp. 145-146 (Bülow a Caprivi, Bucarest,
17/29 novembre 1890; Bucarest, 23 dicembre 1890/4 gennaio 1891).
[52] Ibidem, p. 146
(Caprivi all’ambasciatore a Vienna, von Reuss, Berlino, 14/26 marzo 1891).
[53] ASDMAE, Serie P.
Politica, 1891-1916. Romania, pacco 285, T 1371 (Curtopassi a Rudini,
Bucarest, 15 luglio 1891, ore 16); “L’Adriatico”, no. 197 (19 luglio), 1891.
[54] Cfr. 35 anni
cit., doc. 276, pp. 298-299 (Curtopassi a Crispi, Bucarest, 5 settembre 1891).
[55] ASDMAE, Serie P.
Politica, 1891-1916. Romania, pacco 285, Nota no. 6582 (il ministro
d’Interni al MAE, Roma, 14 settembre 1891); “Gazzetta di Venezia”, no. 256
(mercoledì, 16 settembre), 1891.
[56] DDI, 2, XXIV,
no. 436, pp. 359-360 (Beccaria a Rudini, Berlino, 16 settembre 1891).
[57] DANIC, Fond Carol
I (personale), IV (inv. 1456), dossier VF-14/1891, telegramma s. no. (Carlo
I ad Umberto I, Grand Hotel Pallanza, [23 settembre 1891]).
[58] “L’Adriatico”, no. 270-273 (mercoledì 30
settembre-sabatto 3 ottobre), 1891.
[59] DDI, 2, XXIV,
no. 465, p. 381, telegramma s. no. (Rudini a Beccaria, Roma, 3 ottobre 1891).
[60] Cfr. R. Dinu, Instanþe
ºi mecanisme de decizie în politica externã româneascã la finele sec. XIX: câteva
observaþii pe marginea alianþei italo-române din 1888, in “Studii ºi
materiale de istorie modernã”, XVII, 2004, passim.
[61] Gh. Cãzan, ª. Rãdulescu–Zoner, op. cit., p. 201.
[62] Cfr. MCR–Roma, Carte
Crispi, b. 661, fasc. 12, doc. 11.
[63] Cfr. Constantin N. Velichi, Les relations roumano-grecques pendant la période 1879-1911, in
“Revue des études du Sud-Est européen”, VII, no. 3, 1969, pp. 522-528.
[64] Cfr. 35 anni
cit., doc. 305, p. 322 (Brin a Fè d’Ostiani, Roma, 22 ottobre 1892); Ibidem, docc. 301-308, pp. 319-324, in
particolare doc. 302 (Ghica a Brin, Roma, 19 ottobre 1892), doc. 304 (Brin a
Ghica, Roma, 21 ottobre 1892).
[65] DDI, 2, XXV,
no. 319, p. 236 (Curtopassi a Brin, Dresda, 21 marzo 1893), no. 320 (Brin a
Curtopassi, Roma, 22 marzo 1893).
[66] DANIC, Fond
Kreþulescu, dossier 715 (Carte Alessandro Emmanuele Lahovari), pp. 96-102,
telegramma cifrato no. 26 (Al. E. Lahovari al MAE, Roma, 12/24 gennaio 1895,
ore 2300).
[67] Cfr. Keith Hitchins, Austria-Hungary,
Rumania and the Memorandum, 1894, in “Rumanian Studies”, III, 1976, pp.
108-148; Cfr. DDI, 2, XXVI, no. 662 e
no. 678; T. G. Otte, «Makeweight in the
Balance»: Italian Diplomatic Documents, 1893-1895, in “Diplomacy &
Statecraft”, vol. 11, no. 3, 2000, pp. 272-277.
[68] DANIC, Fond
Kreþulescu, dossier 715 (Carte Al. E. Lahovari), pp. 101-102, telegramma
cifrato no. 26 (Roma, 12/24 gennaio 1895).
[69] Ibidem, pp.
102-103, telegramma cifrato no. 50 (il ministro degli Affari Esteri ad Al. E.
Lahovari, Bucarest, 16/28 gennaio 1895, ore 2100).
[70] Cfr. 35 anni
cit., doc. 328, pp. 330-333.
[71] Cfr. Enrico Serra,
La questione tunisina da Crispi a Rudini ed il «colpo di timone» alla politica
estera dell’Italia, Milano 1967, p. 68; i frequenti richiami all’influenza
esercitata dalla Francia sulla Romania erano probabilmente dovuti ai sospetti
nutriti da Blanc al riguardo della francofilia dei vertici politici romeni.
Alcuni mesi prima, nell’autunno del 1894, il ministro italiano degli Affari
Esteri fu impressionato, però in modo negativo, dai commenti che il suo
omologo romeno aveva fatto in seguito ad una dichiarazione del conte Kalnoky a
Pesta, nella seduta ordinaria del parlamento ungherese, da cui si intravedeva
l’idea di un’associazione de facto
della Romania con la Triplice Alleanza. Infatti, Lahovari si lamentò,
nella presenza del ministro italiano, dicendo che: “Siffatta imprudenza, […] ci
duole segnatamente rispetto alla Francia per la quale non abbiamo in Rumania
che simpatia secolare ed eterna gratitudine; e qualora a Parigi si acquistasse
certezza della nostra accessione alla alleanza delle Potenze centrali, sarebbe
difficile dimostrare che lo spauracchio della Russia ci ha indotto a stringere
il patto”, Cfr. DDI, 2, XXVI, no.
587, p. 379 (Curtopassi a Blanc, Bucarest, 30 settembre 1894).
[72] 35 anni cit.,
doc. 330, p. 344 (Beccaria a Blanc, Bucarest, 24 maggio 1895); Ibidem, doc. 332, p. 346 (Beccaria a
Blanc, Bucarest, 9 agosto 1895).
[73] Ibidem, doc.
338, p. 359 (Beccaria a Blanc, Bucarest, 18 ottobre 1895).
[74] Cfr. “Bollettino del Ministero degli Affari Esteri”,
1896, pp. 124-127.
[75] Cfr. 35 anni
cit., docc. 350-358, pp. 375-381.
[76] Ibidem, doc.
367, pp. 391-392 (Beccaria a Visconti Venosta, Bucarest, 23 aprile 1897).
[77] Ibidem, doc.
368, pp. 392-393 (Visconti Venosta a Beccaria, Roma, 2 maggio 1897).
[78] Ibidem, doc.
369, pp. 393-394 (Pansa a Visconti Venosta, Costantinopoli, 26 mai 1897).
[79] DDI, 3, III,
no. 267, p. 172 (Visconti Venosta all’ambasciatore d’Austria-Ungheria a Roma,
Marius Pasetti, Roma, 5 giugno 1899).
[80] Cfr. V. Cristian, Diplomaþia
României în slujba împlinirii idealului naþional, in AA. VV., Cum s-a înfãptuit România modernã: o
perspectivã asupra strategiei dezvoltãrii, Iaºi 1993, pp. 279-280.
[81] ASDMAE, Serie P.
Politica, 1891-1916. Rumania, pacco 286, R 2703/199 (Beccaria a Visconti
Venosta, Bucarest, 28 ottobre 1900).
[82] Infatti, le Potenze alleate furono avvertite in questo
senso già dalla primavera di quell’anno, quando Carlo I comunicò
a Vienna, a Berlino e a Roma che, nell’eventualità di alcuni imprevisti
europei, la Triplice Alleanza doveva contare solo sulla collaborazione di tre
corpi dell’esercito romeno, il quarto essendo destinato alla difesa della
frontiera con la Bulgaria; Cfr. Ibidem,
R. 625/77 (Beccaria a Visconti Venosta, Bucarest, 15 aprile 1900).
[83] GP, XVIII/2, no.
5797, pp. 651-654 (Beldiman al Cancelliere von Bülow, Berlino, 13/26 aprile
1901).
[84] Ibidem, no.
5798, pp. 655-656 (il segretario di Stato agli Affari Esteri, barone von
Richthofen, al ministro di Romania, Berlino, 25 maggio 1901).
[85] Gh. Cãzan, ª. Rãdulescu–Zoner, op. cit., p. 251.
[86] Biblioteca dell’Accademia Romena di Bucarest, CDA [corrispondenza diplomatica
austriaca], b. XLVII, no. 52 C, pp. 260-262 (Pallavicini a Goluchowski,
Bucarest, 28 ottobre 1901).
[87] Cfr. E. Decleva, Giuseppe
Zanardelli: liberalismo e politica estera, in Idem, L’incerto alleato cit., pp. 109-144; Pietro Pastorelli, Giulio Prinetti ministro degli esteri,
1901-1902, in “Nuova Antologia”, vol. 576, fasc. 2197, 1996, pp. 53-70.
[88] Cfr. GP, XVIII/2,
no. 5800, pp. 660-661 (Mühlberg a Bülow, Berlino, 22 luglio 1901).
[89] DDI, 3, vol.
VI, no. 414, p. 286 (Beccaria a Prinetti, Bucarest, 23 aprile 1902).
[90] Cfr. 35 anni
cit., doc. 389, pp. 433-434 (Beccaria a Prinetti, Bucarest, 7 agosto 1902).
[91] Ibidem, doc.
390, p. 435 (Beccaria a Prinetti, Bucarest, 11 novembre 1902).
[92] Ibidem, doc.
392, p. 438 (Beccaria a Prinetti, Bucarest, 13 dicembre 1902).
[93] Ibidem, doc.
393, p. 439 (Nigra a Prinetti, Vienna, 5 gennaio 1903), doc. 394, pp. 439-440
(Beccaria a Prinetti, Bucarest, 10 gennaio 1903).
[94] Cfr. R. Dinu, Documents
regarding the History of the Italian Legation in Bucharest, 1879-1914, in
“Annuario dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia”, IV,
no. 4, 2002, pp. 356-387, p. 384 (Beccaria a Tittoni, Bucarest, 21 dicembre
1903), p. 387 (Beccaria a Tittoni, Bucarest, 29 giugno 1904).
[95] Archivio del Ministero degli Affari Esteri a Bucarest, Fond “Problema 21” (Roma), vol. 87, pp.
45-47 (Nicolae Fleva al ministro degli Affari Esteri, Iacob Lahovary, Roma,
7/19 dicembre 1906), p. 87 (Fleva a Sturdza, Roma, 3/15 maggio 1907).
[96] Cfr. 35 anni
cit., doc. 482, p. 537 (Fasciotti al San Giuliano, Bucarest, 27 febbraio 1913,
ore 955).
[97] Ibidem, doc.
472, p. 529 (San Giuliano a Fasciotti, Roma, 29 gennaio 1913, ore 2045).
[98] Ibidem, doc.
73, docc. 76-84, docc. 86-88, doc. 91, doc. 95, docc. 97-98, docc. 103-105.
[99] Ibidem, doc.
454, doc. 458, doc. 459.