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Annuario 2004-2005
p. 337
Andrea Fara,
Università degli Studi di Pisa
Gli studi dedicati ai rapporti politici, economici e
culturali tra Italia ed Ungheria o tra la Penisola italiana e i Paesi Romeni
sono certamente numerosi[1]; alquanto pochi, al contrario, i contributi che in
modo specifico si sono occupati dei legami tra la Transilvania e la Penisola
nel periodo e per il tema qui presi in esame, dovuti per la maggior parte alla
storiografia romena[2].
Tra il XIV e il XVI secolo le relazioni tra il regno
d’Ungheria – e la Transilvania come parte integrante di esso – e l’Italia
furono assai profonde. I rapporti si concretizzarono in particolar modo
attraverso l’azione di rappresentanti finanziari, mercanti, uomini d’affari,
artigiani ed operai specializzati provenienti dalle più importanti
città italiane, in particolar modo Firenze, ma anche Venezia e Genova[3].
In gran numero giunsero nel Regno
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d’Ungheria
al seguito della Casa d’Angiò che, all’inizio del XIV secolo, dopo la
scomparsa dell’ultimo degli Arpad, ottenne la Corona di Santo Stefano; un
rapporto con la corte che non si esaurì, anzi si rafforzò, con la
nuova casa regnante dei Lussemburgo tra la fine del XIV e l’inizio del XV
secolo, quindi con Mattia Corvino e i suoi successori[4].
La maggior parte degli italiani arrivò dunque attraverso Buda,
operando in Transilvania per un periodo più o meno lungo, in particolare
nelle città di Cluj (ungherese: Kolozsvár; tedesco: Klausenburg), Sibiu
(tedesco: Hermannstadt; ungherese: Nagyszeben) e Baia Mare (ungherese:
Nagybanya). Molti di loro, come detto, erano commercianti o intermediatori
finanziari, ma spesso non troviamo una netta distinzione tra le due figure:
portavano con sé merci e prodotti di lusso, che scambiavano sulle piazze
transilvane con le materie prime valacche e moldave o con le spezie provenienti
dall’Oriente; prestavano al potere centrale ingenti quantità di denaro,
ricevendo in cambio vantaggi per l’acquisto e la vendita di metalli preziosi,
per la levatura dei metalli nobili dalle miniere d’oro e d’argento della
regione, quindi l’affitto e lo sfruttamento delle dogane, il controllo della
zecca e dell’attività monetaria locale, nonché la funzione esattoriale
dei tributi dovuti alla corona (in particolare quello dei sassoni, il
cosiddetto censo di San Martino), tutte attività, queste ultime, di cui
spesso gli italiani riuscirono ad assicurarsi il monopoli. Molti di essi
scelsero anche di stabilirsi nelle città della Transilvania, stringendo
importanti alleanze economiche e sociali, imparentandosi con le principali
famiglie dominanti nelle diverse realtà urbane transilvane, fino a
naturalizzarsi e poter così accendere alle massime cariche municipali.
Rapporti che certo subirono mutamenti, legati alla particolare situazione
geopolitica locale ed internazionale, ma che comunque non vennero mai
completamente meno: la documentazione conferma la presenza di Italici
nella regione intracarpatica dalla fine del XIV secolo, per tutto il XV e il
XVI, ed anche oltre. Indiscutibilmente, i documenti rimasti sono scarsi, spesso
lacunosi, le fonti definiscono molti personaggi solo con un generico
appellativo di Italicus, rendendo così difficile, se non
impossibile, ricostruirne gli spostamenti. Ad ogni modo si può
delineare, almeno in parte, un quadro assai composito e decisamente
interessante[5].
Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo risulta
residente a Sibiu Matteo Baldi,
a cui il sovrano ungherese aveva affidato l’amministrazione delle saline di
Ocna Sibiului nonché della zecca di Sibiu (comes
camerarius)[6]. Sappiamo
che nel 1408, grazie all’inte-
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ressamento
di un altro italiano, Filippo Scolari, detto Pippo Spano, conte di Timiºoara[7],
egli riuscì ad acquistare una casa sulla piazza principale della
città, la Piaþa Mare, dove risiedevano gli intermediari commerciali ed i
grandi mercanti[8]. L’ascesa
sociale e politica di Matteo Baldi avvenne attraverso il matrimonio: in prime
nozze egli sposò Dorothea Goldschmidt, figlia di Jacob, magister civium di Sibiu, divenendo
anche cognato di Thomas Trautenberger, sposato anch’egli con una figlia di
Jacob, che otterrà a sua volta la carica di magister civium. In seconde nozze Matteo si unì a Katharina
Henning, figlia del greav (comes) e iudex regius Johann,
rappresentante di una delle più antiche famiglie sassoni di Transilvania[9].
Da ricordare che Matteo Baldi possedeva anche immobili in Abrud e Aiud,
località per cui passava la via che metteva in comunicazione Rimetea,
zona ricca di miniere di ferro, con le pianure del Mureº, cosa che rende
probabile un suo coinvolgimento nell’attività estrattiva dei Monti
Apuseni[10].
Tra il 1439 e il 1448 un certo Papia Manin da Firenze era
impegnato nella riscossione dei tributi per conto del sovrano d’Ungheria, con
l’incarico di camerarius regius
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di
Dej e Sic e dicator nel Solnoc inferiore[11].
Assieme a lui, in alcuni documenti, viene ricordato anche Giovanni Italicus, camerarius
di Dej[12].
Sempre come camerarius regius di Dej e Sic è ricordato nel 1458
Angelo Italicus da Firenze[13].
Di altri resta solo il nome, come Edoardo Italicus, menzionato semplicemente
come camerarius[14];
o Caspar Italicus, ricordato nella lettera con cui Nagh, vornic del
principe Radu III di Valacchia, comunicava al Consiglio cittadino di Sibiu il
risultato della sua indagine relativa ad un commercio di pepe effettuato con
lettere di credito false, in cui erano coinvolti l’italiano, Stefano Literatus,
cittadino di Braºov, e quattro greci[15].
Nel 1443 le fonti ricordano Cristoforo di Firenze,
operante inizialmente a Sibiu, che, dietro richiesta del voivoda di
Transilvania, allora Giovanni di Hunedoara, scriveva al Consiglio cittadino di
Braºov al fine di ottenere paramenta ac instrumenta ad cusionem monetarum
apta. Materiale che, secondo le indicazioni del voivoda, doveva essere
spostato nella città di Sighiºoara, dove l’italiano aveva il compito di
installare una nuova zecca[16].
Nel 1446 Cristoforo si era spostato a
Cluj dove, con un altro cittadino di Firenze, Antonio, deteneva il
monopolio sul cambio e l’acquisto dei metalli nobili estratti dalle miniere di
Zlatna e di Baia di Arieº, sempre con l’appoggio di Giovanni di Hunedoara, ora
governatore d’Ungheria[17].
Nel 1456 le fonti ricordano ancora Cristoforo Italicus da Firenze, stavolta con
Nicola de Wagio – evidentemente figlio dello stesso Matteo Baldi,
essendo menzionato anche come de
Waldo. In questo anno essi risultavano responsabili, assieme al magister civium Oswald Wenzel,
dell’amministrazione della zecca di Sibiu, detenendo il monopolio dell’acquisto
di metalli preziosi dai minatori di Ofenbaia e Zlatna. I tre formavano
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una
società che esercitava un controllo pressoché totale sullo sfruttamento
minerario della Transilvania, in particolare per quanto riguarda l’estrazione
dell’oro e dell’argento[18].
Successivamente Cristoforo si spostò ancora una volta a Cluj, quindi a
Baia Mare, in cui erano attive altre due camere regie, e dove importante
rimaneva l’attività di estrazione di metalli nobili[19].
Senza dimenticare che l’attività di Cristoforo comprendeva anche la
riscossione dei tributi, in particolare il censo di San Martino, dovuto alla
corona dagli hospites sassoni di
Transilvania[20].
I documenti ricordano anche un Francesco Italicus, residente a Cluj, fratello o comunque parente
del già ricordato Cristoforo, nonché cognato di Nicola Aurifaber, magister civium di Sibiu, di cui aveva
sposato la sorella, Margherita Aurifaber. L’Italiano era impegnato nel
commercio di vino, aveva diverse proprietà immobiliari dentro e fuori la
città di Cluj, e probabilmente anche una piccola banca[21].
Nel 1469 Francesco richiamava l’attenzione del cognato Nicola sulla casa di
Cristoforo a Sibiu che, a causa della difficile situazione finanziaria e dei
debiti accumulati, rischiava di essere confiscata a favore di un certo Johannes
Borth. Il fiorentino chiedeva dunque al magister
civium di intervenire a favore dei tre figli ed eredi di Cristoforo,
facendone valere le disposizioni testamentarie; e laddove ciò non fosse
stato possibile, che almeno i debiti di Cristoforo non ricadessero su Francesco
stesso[22].
Evidentemente Nicola Aurifaber dovette avere successo, se
nel 1472 Paolo Italicus, figlio
dello stesso Cristoforo, col consenso della sorella Barbara, poté vendere la
casa nella Piaþa Mare di Sibiu a Georg Hecht, futuro magister civium e comes
camerarius, per la
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somma
di 1.000 fiorini d’oro[23].
Paolo comparve poi nel 1482 davanti al Consiglio
cittadino di Cluj, che convalidava la divisione di un alcuni beni avuti in
eredità tra lui e l’altra sorella Margherita[24].
Nel 1456 Zanobio da Firenze, in quanto marito di Anna, figlia di Nicola
Zaz, ricco greav e iudex regius della sede sassone di
Sebeº, comparve davanti ai giudici di Sibiu impegnati nel dirimere una
controversia riguardante l’illecita occupazione del territorio di Pianul de Sus
da parte della famiglia della moglie: una zona in cui ragguardevole era
l’attività di estrazione dell’oro[25].
Figli di Zanobio Italicus furono Antonio
e Nicola, i quali, a partire dal 1470, comparvero nei registri delle
imposte e dei conti della città di Sibiu sotto il nome di Zanobi o Proll[26].
Entrambi risultarono eletti nel Consiglio cittadino, ma fu Nicola, il
più giovane, che ebbe una carriera politica notevole[27].
Negli anni 1494 e 1495 egli fu iudex
sedis, arrivando a detenere,
dapprima da solo, poi con Johannes Lulay, futuro iudex regius e comes Saxonum,
lo sfruttamento della zecca cittadina[28].
Dal 1496
p. 343
al
1499, anno della sua scomparsa, Nicola Proll condusse, in qualità di camerarius regius, anche l’intero
complesso delle saline di Transilvania[29],
arrivando a coprire persino la carica di magister
civium di Sibiu negli anni
1498 e 1499[30]. Oltre a
ciò, egli fu attivo nell’industria estrattiva della regione di
Rodna–Bistriþa[31] e
praticò un ricco commercio, importando ed esportando tessuti da Anversa
e Norimberga, coltelli, probabilmente ancora da Norimberga o Steyr, ed altre
merci[32].
Alla sua morte, Nicola Proll lasciò ai suoi eredi una notevole fortuna
che, oltre a denaro e gioielli, comprendeva diversi beni immobili, soprattutto
case e vigneti, a Sibiu, Sebeº, Aiud e Cluj[33].
La famiglia Proll o Zanobia è ricordata nelle fonti di Sibiu fino alla
metà del XVI secolo, per poi scomparire, probabilmente assorbita in
altre famiglie sassoni[34].
All’inizio del XVI secolo, personaggio assai rilevante fu
il mercante fiorentino Rasone Bontempi che,
dalla sua sede principale di Buda, coltivò floridi affari in
Transilvania, vuoi di persona, vuoi attraverso propri agenti, in un periodo
relativamente lungo, dal 1502 al 1519[35].
Da quanto risulta dai documenti, egli faceva prestiti al sovrano ungherese,
recuperando poi i crediti attraverso la riscossione delle rendite fiscali della
Transilvania, in particolare dalla comunità sassone della regione. La
prima menzione è dunque del 1502, in una lettera indirizzata dal giudice
di Sibiu a quello di Braºov, affinché siano pagati a Rasone o ai suoi messi la
somma di 4.129 fiorini, da prelevare dalle entrate della dogana sassone, di cui
il mercante fiorentino risulta affittuario beneficiario[36].
Non si hanno più notizie di Rasone e della sua attività in
Transilvania fino al 1505-1506, anni in cui risulta in relazione ad
un’operazione di cambio e credito[37].
Nel 1507 compare in rapporto al pagamento del censo di San Martino dovuto dai
Sassoni al sovrano, di cui con
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evidenza
risulta ancora beneficiario, per cui ricevette un primo saldo di 500 fiorini da
parte del magister civium di Sibiu, che li consegnò ad un messo
del fiorentino stesso[38];
quindi, contemporaneamente, di altri 570 fiorini da parte di Hans Schyrmer, negoziante
di Braºov, e dei suoi associati, a Buda[39].
Il 20 gennaio 1508 Rasone ricevette dalla città di Bistriþa 1.200
fiorini, sempre in rapporto al censo di San Martino[40].
Nello stesso anno, i cittadini di Sibiu spedirono a Rasone e ai suoi soci 3.963
fiorini e 20 denari, come saldo parziale di un prestito di 20.000 fiorini del
1507[41].
Sappiamo che nel 1509 fu assicurata nuovamente a Rasone la rendita del censo di
San Martino: in una serie di lettere inviate al Consiglio cittadino di
Bistriþa, Benedetto de Bathyan, tesoriere regio, invitava più volte la
città a pagare 1.500 fiorini del censo al mercante fiorentino[42].
Alla fine dello stesso anno, nuovi inviti, stavolta per 2.000 fiorini, furono
fatti anche da Tommaso, arcivescovo di Gran, che non mancò di sottolineare
quanto Rasone fosse veteranus ac specialis amicus, qui nobis
multa impendit grata obsequia[43].
E tuttavia i cittadini della città sassone si dicevano impossibilitati a
soddisfare simili richieste[44].
In modo simile per il 1512, all’inizio del quale Rasone
invia a Sibiu un suo familiare, Pietro
Martellini, per riscuotere dalla città un debito di 2.150
fiorini, con possibilità di dilazione fino all’11 novembre, giorno di
San Martino, ma con una sovrattassa di 200 fiorini per il ritardo[45].
Nello stesso anno e con la medesima motivazione Rasone
p. 345
ricevette
pagamenti anche dalla città di Braºov[46].
Ad ogni modo, la riscossione dei debiti non doveva avvenire in modo troppo
solerte, se sempre nel 1512 troviamo Rasone in persona come ospite in
Transilvania, a Bistriþa – e con ogni probabilità non mancò di
visitare le altre città sassoni a lui debitrici[47].
All’inizio del 1514 due documenti ci ricordano che per il 1515 il sovrano
concedeva in anticipo il censo di San Martino. In una prima lettera, esso
doveva essere diviso tra Rasone ed il negoziante fiorentino Felice[48];
in una seconda missiva, rilasciata a breve distanza dalla precedente, tra
Rasone da una parte e Felice e Antonio, venecianis
mercatoribus, dall’altra[49].
Da questo momento risulta più difficile seguire i movimenti e
l’attività finanziaria di Rasone in Transilvania, che comunque
continuò a riscuotere il censo di San Martino ancora per gli anni 1518 e
1519, nonché a prestare denaro alle città sassoni[50].
Il già ricordato Felice appare per la
prima volta nel 1513, in una lettera di Vladislao II, con cui il sovrano
ordinava alla città di Braºov di versare al suo creditore fiorentino la
somma di 750 fiorini, da detrarre dal censo di San Martino[51].
Nel 1514, come visto, il censo di San Martino dell’anno successivo doveva
essere diviso tra Rasone e Felice: questi
p. 346
riscuote
la propria parte dalla città di Bistriþa alla metà del 1515, per
mezzo di Michele Olos, suo dipendente[52].
La situazione finanziaria della corona non doveva essere delle più
rosee, se nello stesso 1515 il sovrano ordina alle città di Bistriþa e
Braºov di versare a Felice 2.000 fiorini, da detrarre addirittura dal censo di
San Martino del 1517, semota omni
excusatione et quavis difficultate[53].
Ancora nel 1518 Bistriþa pagò a Felice mercator florentinus una somma di 250 fiorini[54].
Altri Italici attivi in Transilvania all’inizio
del XVI secolo furono il già ricordato Pietro Martellini che, dopo
essere comparso come familiare di Rasone[55],
nel 1515 risulta mercante indipendente residente a Buda, da dove percepì
dalla città di Bistriþa una somma di 1.900 fiorini, ancora dal censo di
San Martino[56]; Francesco
da Firenze, presente a Braºov nel 1514 come collettore regio[57];
Antonio da Firenze, anche lui familiare di Rasone[58];
Antonio da Venezia, residente sempre a Buda, che nel 1507, attraverso un
proprio messo a Sibiu, incassò dalla città di Bistriþa diverse
somme, sempre dal censo di San Martino[59],
mentre nel 1513 Vladislao II chiese alla città di Sibiu di pagare allo
stesso 2.500 fiorini, di nuovo dal censo di San Martino[60];
infine, Giacomo Grisoni di Venezia e Fausto Guai di Roma, affittuari delle
miniere d’oro di Zlatna per l’anno 1574[61].
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Le relazioni economiche tra Italia e Transilvania non si
esaurirono con la sola presenza degli operatori finanziari sin qui ricordati,
in parte assimilati dai gruppi egemoni delle città sassoni. Diversi
furono i mercanti italiani che parteciparono alla vita commerciale della
Transilvania, conducendo affari di natura assai diversificata su tutte le
principali piazze della regione, tanto intra quanto extracarpatica. I legami
erano di tipo diretto, anche se più sporadici, con mercanti provenienti
da Venezia, da Buda e dall’Ungheria, eventualmente dalle colonie genovesi del
Mar Nero, passando poi per la Valacchia, o indiretto, per mezzo di importanti
centri come Vienna e Cracovia. Le città della Transilvania, in
particolare Braºov, Bistriþa, Sibiu e Cluj divennero così centri
economici e di scambio decisamente importanti, in cui era possibile incontrare
e fare affari con i mercanti locali nonché provenienti dalle più diverse
regioni europee[62].
Nel 1500, l’italiano Giovanni e il suo socio Geronimo
importano a Sibiu, probabilmente dalla città valacca di Târgoviºte,
panno di tipo schamlot[63].
Un Geronimo Italus, forse lo stesso socio di Giovanni, tra l’agosto e il
settembre del 1507, risulta coinvolto in un processo con i cittadini di Braºov,
dove vengono convocati come testimoni quelli di Bistriþa[64].
Nel 1509 un Giorgio Italus acquista una sella dai maestri artigiani di
Sibiu[65].
Nel 1520 Vincenzo Italus acquista bestiame dal moldavo Drãghici, senza
però pagarlo;
p. 348
ne
segue una lettera dello stesso principe di Moldavia al Consiglio cittadino di
Braºov affinché il dovuto fosse al più presto saldato[66].
Nel 1521 Michele Italus di Brãila è presente nella stessa città
transilvana[67]. Nel 1535
un certo Giovanni Dylansy Italus ha relazioni tra Braºov e la Valacchia[68].
Nel 1549 un altro Antonio da Venezia trasportava merci varie sempre da Braºov
verso la Valacchia per una somma di 240 fiorini[69].
Ancora, nel 1563 Giovanni II Sigismondo Zápolya concedeva un salvacondotto a
Pietro Francesco Perusini da Milano[70].
Nel 1604, infine, Rodolfo II raccomandava al Consiglio cittadino di Baia Mare
il mercante veneto Gaspare Mazza[71].
Diversi poi gli Italici a seguito dei militari e della corte principesca
transilvana, che come gli altri facevano ottimi affari[72].
p. 349
Sia direttamente sia tramite la Transilvania si
esportavano dalla Valacchia e dalla Moldavia materie prime (prodotti agricoli,
pelli, bestiame, cera, lana, spezie dal Levante, ecc.); dalla Penisola,
più o meno tramite intermediari, si importavano nei paesi carpatici beni
di lusso e prodotti finiti di qualità superiore (tessuti fini – molto
ricercati i panni italiani, di Bergamo, di Verona, di Firenze –, vetri e
specchi, gioielli e manufatti particolari, ecc.)[73].
Assai richiesti per le loro alte capacità tecniche, le fonti ricordano
numerosi Italici impegnati nei settori economici più vari. Essi
venivano richiamati dai consigli cittadini con offerte e possibilità di
lavoro decisamente vantaggiose, allo scopo di migliorare la produzione locale
ed ottenere manufatti di qualità superiore, più facilmente
esportabili – e con notevole profitto – anche al di là dei Carpazi. E
molti decidevano anche di stabilirsi nelle città di Transilvania[74].
Troviamo dunque maestri vetrai, provenienti quasi
certamente da Venezia, attivi nella vetreria di Râºnov, vicino Braºov, come
Alessandro Morosini, che ricevette dal principe Stefano Báthory l’incarico di
produrre vetri in collaborazione con le maestranze locali, secondo modelli
italiani, con lo scopo anche di insegnar loro la propria arte[75];
pannaioli e tintori fiorentini, come Stefano di Pietro, attivo nella
città di Sibiu alla fine del XVI secolo[76];
architetti e muratori, come quello anonimo, ricordato nelle fonti col nome di
Pallyr, attivo a Braºov e Sibiu tra il 1545 e il 1548, assieme ai tagliapietre
Pietro Italus, Giovanni da Firenze e Luca Italus[77]
– quest’ultimo già presente a Braºov dal
p. 350
1538[78],
poi anche al servizio di Mircea Ciobanul, principe di Valacchia (1545-1552,
1553-1554, 1558-1559)[79]
– o il maestro toscano che lavorò per la famiglia Wolphard di Cluj, o
ancora Pietro Italus da Lugano, che prestò la sua opera a Bistriþa[80].
Ben più importanti gli architetti militari[81],
tra cui Martino di Spazio, attivo a Timiºoara nel 1552; Alessandro da Urbino,
chiamato in Transilvania nel 1552 ut passus et itinera versus Moldaviam et
Vallachiam perspiciat; Antonio di Bufalo e Paolo da Mirandola ad Alba Iulia
nel 1561; Andrea di Trevisano, che i documenti del 1554 ricordano
p. 351
come
supremus magister supra caeteros magistros muratores ac lapicides in
Transilvania; Francesco da Pozzo da Milano, anch’egli attivo nel 1554;
Antonio da Spazio e Alessandro Cavallini; Cesare Baldigara a Satu Mare a
partire dal 1559; Filippo Pigafetta; Domenico da Bologna, a Gherla; il
veneziano Ottavio Baldigara ad Oradea nel 1584, e Simone Genga di Urbino nella
stessa città tra il 1585 e il 1599; Achille Tarducci da Corinaldo; il
bolognese Giovanni Marco Isolani nel 1598, e molti altri[82].
Nel corso dell’ètà medievale e premoderna,
per la sua posizione geografica e per l’evoluzione storica del suo territorio,
la regione carpato-danubiana svolse una funzione di “frontiera” tra l’Occidente
romano-germanico – rappresentato dai regni d’Ungheria e, in parte, di Polonia,
quindi dal Sacro Romano Impero retto dalla dinastia asburgica –, l’Oriente
bizantino ortodosso, nelle sue forme greca e slava – con l’impero bizantino e i
voivodati (principati) di Valacchia e Moldavia –, e il mondo musulmano –con
l’Impero Ottomano in espansione verso l’Europa centrale.
In questo contesto, la Transilvania fu – e per certi
versi continua ancor oggi ad essere – una “frontiera nella frontiera”,
trovandosi da un lato parte integrante e confine orientale del Regno ungherese
prima e dell’Impero Asburgico poi, dall’altro in comunicazione, oltre la catena
dei Carpazi, col Commonwealth bizantino, palesato dai principati
autonomi di Valacchia e Moldavia, quindi con la Dâr al-Islâm musulmana.
Una frontiera fra tre mondi diversi, sulla quale gli incontri e gli scontri tra
le diverse realtà politiche, economiche, sociali e culturali davano vita
a suggestioni del tutto particolari[83].
I commercianti e gli uomini d’affari italiani
parteciparono a questo “crogiolo culturale transilvano” ed anzi ebbero un ruolo
non trascurabile nel collegare la regione intracarpatica – ma in modo indiretto
anche quella extracarpatica – ad un più ampio “sistema europeo”, per tutto
il periodo qui preso in esame, mettendo a frutto le loro notevoli
capacità imprenditoriali e relazioni internazionali[84].
La “duttilità sociale” di questi Italici è dimostrata dal
loro intuito, dalla loro capacità di adattamento alle nuove situazioni
che si venivano man mano a creare in un ambiente in continua trasformazione,
come fu quello transilvano; perché, se è vero che eventi come la Riforma
e l’avanzata dell’Impero Ottomano ebbero conseguenze profonde sulla
vitalità del sistema, questo non venne mai completamente meno,
riconfigurandosi secondo i nuovi parametri politici, economici e sociali che si
erano venuti a creare in rapporto proprio a quegli stessi avvenimenti.
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(2004-2005), edited by Ioan-Aurel Pop, Cristian Luca, Florina Ciure, Corina
Gabriela Bãdeliþã, Venice-Bucharest 2005.
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commercial use.
© ªerban Marin,
October 2005, Bucharest, Romania
Last Updated:
July 2006
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[1] Di sicuro aiuto ed orientamento, in una bibliografia
amplissima, di cui sarebbe impossibile rendere conto, è il lavoro di
Veronica Turcuº, Bibliografia istoricã româno-italianã (Bibliografie
selectivã). Evoluþia publicaþiilor istorice româno-italiene pânã în 1996,
Cluj-Napoca 1997; per parte ungherese, in lingua italiana: B. Hóman, Gli
Angioini di Napoli in Ungheria (1290-1403), Roma 1938; D. Huszti, Mercanti italiani in Ungheria nel Medioevo,
in “Corvina”, III, 1940, pp. 10-40, entrambi con ulteriore bibliografia.
[2] Samuel Goldenberg, Italieni ºi ragusani în viaþa economicã a
Transilvaniei în secolul al XVI-lea, in “Studii. Revistã de istorie”, XVI,
no. 3, 1963, pp. 591-619; Idem, Notizie
del commercio italiano in Transilvania nel secolo XVI, in “Archivio Storico
Italiano”, CXXI, no. 2, 1963, pp. 255-288 (essenzialmente una traduzione del
precedente); George Lãzãrescu, Nicolae Stoicescu, Þarile Române ºi Italia pînã la 1600,
Bucarest 1972, pp. 48-54, passim; Florina Ciure, Relaþii comerciale
între Veneþia ºi Transilvania în secolul al XVI-lea, in “Studii ºi
materiale de istorie medie”, XXII, 2004, pp. 225-248. Consideriamo espressione
della storiografia romena anche i lavori degli studiosi romeno-sassoni, di
lingua tedesca, comunque riguardanti solo in parte il tema qui affrontato:
Gustav Gündisch, Die Oberschicht Hermannstadts im Mittelalter, in
“Zeitschrift für Siebenbürgische Landeskunde”, IV, 1981, pp. 3-21 e, di recente
pubblicato, come Idem, Patriciatul din Sibiu în Evul Mediu, in Transilvania ºi saºii ardeleni în
istoriografie. Din publicaþiile Asociaþiei de Studii Transilvane din Heidelberg,
Sibiu 2001, pp. 127-145, pp. 134-136; K. G. Gündisch, Das Patriziat siebenbürgischer Städte im Mittelalter, Colonia–Weimar–Vienna 1993, pp. 237-246, p. 283.
[3] Senza cadere in facili generalizzazioni, come si
vedrà, il maggior numero di Italici presenti in Transilvania fu
di origine fiorentina, quindi veneziana; i genovesi restarono più attivi
in Valacchia e Moldavia, attraverso gli importanti scali commerciali del Mar
Nero ed i porti di Chilia, Cetatea Albã e Brãila sulle foci del Danubio. Anche
per la presenza di Genova nel Mar Nero e sul Danubio e i suoi rapporti con la
Valacchia e la Moldavia la bibliografia è assai vasta; si segnala: I
genovesi nel Mar Nero durante i secoli XIII e XIV. Atti del Colloquio
romeno-italiano di Bucarest, 27-28 marzo 1975, Bucarest 1977, con
contributi sull’argomento di importanti studiosi italiani (ad esempio Petti
Balbi) e romeni (ªerban Papacostea); per una bibliografia aggiornata si veda V.
Turcuº, op. cit., passim.
[4] Per un inquadramento generale della presenza italiana
nel Regno d’Ungheria e nell’area carpato-danubiana in epoca medievale e
moderna, ed i rapporti che con la Penisola intrattennero importanti figure
quali Giovanni di Hunedoara, Mattia Corvino, Stefano Báthory, Stefano il Grande
di Moldavia ed altri ancora, si veda G. Lãzãrescu, N.
Stoicescu, op. cit., passim, con ulteriore bibliografia.
[5] In questo senso non si potranno prendere in
considerazione proprio quegli Italici ricordati solo come tali, rimandando
alle varie edizioni di fonti edite e citate nel corso del presente lavoro,
sotto le voci Italicus ed altre collegate. Per i mercanti ragusei si
veda S. Goldenberg, Notizie cit., pp. 275-288; per la figura di Pietro
di Giovanni, importante commerciante raguseo della seconda metà del XVI
secolo si veda Ibidem, pp. 283-288.
[6] G. Gündisch, Patriciatul
cit., p. 134; K. G. Gündisch, op. cit., p. 241, nota 17.
[7] Filippo Scolari nacque nel 1369 a
Tizzano, vicino Firenze, e morì a Lipova nel 1426. Giunse in Ungheria al
seguito di un ricco mercante, Luca della Pecchia, che portava articoli di lusso
alla corte arcivescovile di Esztergom/Strigonia, e qui fece buona impressione
sull’alto prelato, che lo assunse come amministratore. Lo stesso re Sigismondo
di Lussemburgo lo stimò molto, concedendogli il proprio favore ed
affidandogli importanti incarichi, come appunto quello di conte di Timiºoara.
Si distinse come abile comandante nella lotta contro gli Ottomani, ma anche
come colto e fine mecenate, propagatore della cultura rinascimentale in
Transilvania; sulla sua complessa figura si veda: G. Lãzãrescu, N. Stoicescu, op.
cit., pp. 61-66; Ioan Haþegan, Banatul ºi începuturile luptei antiotomane
(1389-1426). Rolul lui Filippo Scolari, in „Revista de istorie”, XXXI, no.
6, 1978, pp. 1031-1032; Idem, Filippo Scolari, un condotier italian pe
meleaguri dunãrene, Timiºoara 1997, passim.
[8] Urkundenbuch zur Geschichte der Deutschen in
Siebenbürgen (d’ora in poi sarà citato Urkundenbuch), vol.
III, (1391-1415), Hermannstadt (Sibiu) 1902, doc. 1613, p. 460 (8 aprile
1408): “[…] Mathias Baldi civis civitatis Cybiniensis partis Transsilvanae, honorem
seu officiolatum camerariatus salifodinae de Wyzakna [Ocna Sibiului],
nostro scilicet et aliorum comitum salium regalium nostrorum ut puta
antecessorum temporibus a dudum tenuit et servavit […]”.
[9] Ibidem: “[…] ut puta prius bonae memoriae
Dorotheae filiae Jacobi senioris proconsulis, nunc autem laudabilis feminae
Katharinae filiae piae recordationis Johannis iudiciis regii nunptis potiatur”. Da notare che un altro cognato di
Matteo Baldi, che in una lista di una congregazione religiosa formata da persone
sposate e chierici del capitolo di Sibiu (Kalandsbruderschaft)
viene ricordato col nome di Jacob Schoren, figlio omonimo del già
ricordato Jacob, nel 1419, alla morte del fiorentino, sposò la di lui
vedova Katharina. Questo anche se, secondo il diritto
canonico, come fratello della prima moglie di Matteo Baldi, di fatto Jacob era
parente di Katharina, Cfr. G. Seiwert, Die
Brüderschaft des heiligen Leichnams in Hermannstadt, in “Archiv des Vereins
für Siebenbürgische Landeskunde”, nuova serie (d’ora in poi sarà citato
AVSL), X, no. 3, 1872, pp. 314-360, p. 316; G. Gündisch, Patriciatul
cit., p. 134.
[10] Urkundenbuch cit., vol. IV, 1416-1437,
Hermannstadt (Sibiu) 1937, doc. 1874, pp. 116-117 (22 dicembre 1419); Cfr. G.
Gündisch, Patriciatul cit., pp. 134-135.
[11] Urkundenbuch cit., vol. V, 1438-1457, Bucarest 1975, doc. 2335, pp. 25-26 (16 marzo 1439), doc. 2398, p. 69 (16
gennaio 1441), doc. 2403, pp. 73-74 (7 marzo 1441), doc. 2528, pp. 163-164 (6
febbraio 1446), doc. 2654, p. 260 (12 agosto 1448): “Papa Manin Italicus de Florencia, camerarius de Dees et Zeek, dicator de Zolnok inferior; in Dees
residenti”.
[12] Urkundenbuch cit., vol. V, doc. 2398, p. 69 (16
gennaio 1441), doc. 2403, pp. 73-74 (7 marzo 1441): “Johannes et Papa,
camerarii Italici in Dees”.
[13] Urkundenbuch cit., vol. VI, (1458-1473), Bucarest 1981, doc. 3139, pp. 27-28 (24 agosto 1458, Buda): “[…] Angelloni
Italico de Florincia […]”.
[14] Urkundenbuch cit., vol. V,
doc. 2655 pp. 260-261 (15 agosto 1448): “[…] Oduardo Italico, camerario
[…]”.
[15] Urkundenbuch cit., vol. VI, doc. 3753, pp. 425-426 (8 novembre
1469): “[…] Caspar Italicus […]”. L’inchiesta
di Nagh scagionava completamente Stefano Literatus, indicando come responsabile
proprio Caspar, mentre i quattro greci erano stati “complici inconsapevoli”.
[16] Urkundenbuch cit., vol. IV, doc. 2466, pp.
120-121 (29 settembre 1443): “Ego Christoferus Ytalicus, concivis
Cybiniensis, camerarius monetarum magnifici viri Johannis de Hwnyad, vaivodae
Transsiluani […]”. Non sappiamo se Cristoforo abbia avuto successo: non si
sono conservate testimonianze circa l’avvenuta consegna; ad ogni modo è
difficile pensare che Braºov, primo centro economico della Transilvania, abbia
rinunciato così facilmente alla zecca.
[17] Urkundenbuch cit., vol. V, doc. 2550 pp. 175-176
(23 agosto 1446): “[…] Cristhophoro et Antonio Italicis de Florencia
camarariis cusionis monetariorum et cimentariorum nostrorum de Cluswar
[…]”.
[18] Urkundenbuch cit., vol. V, doc. 3047, pp. 548-549
(30 ottobre 1456): “[…] Nicolai de Wagio
et Cristoferi de Florencia italicorum camerariorum urburarium et cusionis
monetarum nostrarum Cibiniensium
[…]”; Ibidem, doc. 3048, p. 549 (31 ottobre
1456): “Nicolao de Wagio
et Cristoforo de Florencia Italici camerariis”.
[19] Urkundenbuch cit., vol. VI, doc. 3321, pp. 145-146
(24 aprile 1463), in cui Mattia Corvino comunicava alla città di
Bistriþa l’introduzione della nuova monetazione, ordinandone l’immediata
applicazione secondo le direttive di “[…] Cristophorus de Florencia, comes
camerae nostrae Rivolidominarum [Baia Mare] […]”; Ibidem, doc. 3383, pp. 186-187 (12 giugno 1464), in cui Mattia
Corvino chiede al fiorentino di consentire a Symon auricusor di Sibiu la
vendita di una certa quantità di piombo acquistato; Ibidem, doc.
3621, pp. 341-342 (13 giugno 1468), dove il Consiglio cittadino di Baia Mare
comunicava a quello di Sibiu che Cristoforo aveva dovuto rimandare il suo
viaggio d’affari a Sibiu a causa dell’insicurezza regnante in Transilvania.
[20] Urkundenbuch cit., vol. V, doc. 2556, p. 179 (28
ottobre 1446), doc. 2562, p. 184 (22 dicembre 1446); Ibidem, vol. VI,
doc. 3104, pp. 4-5 (7 febbraio 1458), doc. 3106, p. 6 (19 febbraio 1458), doc.
3107, p. 6 (3 marzo 1458).
[21] K. G. Gündisch, op. cit., pp. 243-244.
[22] Urkundenbuch cit., vol. VI, doc. 3671, p. 370 (18
gennaio 1469): “[…] dominus Cristoforus ipsam
domum sub forma testamenti tribus pueris suis legavit”. Si
può facilmente dedurre che a questa data Cristoforo fosse deceduto.
Nella stessa lettera Francesco proponeva a Nicola Aurifaber di prolungare il
soggiorno della figlia Agnese a Cluj, giacché la ragazza desiderava imparare
l’ungherese, senza preoccuparsi delle voci –assolutamente infondate– circa la
presenza della peste in città, dove anzi “[…] homines antiqui
moriuntur”.
[23] Urkundenbuch cit., vol. VI, doc. 3916, pp.
526-527 (1 giugno 1472): “Paulus, filius prudentis viri Cristoferi quondam Italicus de Florencia,
civis de Riuulodominarum camerarii alias, […] et Barbarae sororis suae
[…]”. In questo documento Barbara compare anche come “coniugis […] circumspecti Francisci
Italici, concivis civitatis Coluswar”: molto probabile un errore, a meno di
non pensare alla presenza di un altro Francesco Italicus a Cluj, sposato
con una figlia di Cristoforo, Cfr. K. G. Gündisch, op. cit., p. 244, nota 21, il quale,
tuttavia, sebbene rilevi l’inesattezza riguardante Barbara come moglie di
Francesco, sembra poi non distinguere tra la stessa Barbara e Margherita;
probabilmente egli non tiene conto dell’informazione contenuta nella lettera
–pur citata– del 18 gennaio 1469, in cui si
ricorda che Cristoforo aveva lasciato la propria
casa in eredità a tribus pueris suis (vale a dire, secondo quanto si evince dai documenti, Paolo, Barbara e
Margherita), Cfr. Ibidem, nota 22 e nota 24.
[24] Urkundenbuch cit., vol. VII, (1474-1486), Bucarest 1991, doc. 4504, pp. 325-326 (6 settembre 1482): “[…] famosus
Paulus Cristoferi Itali et honesta domina Margaretha soror eius […]”.
[25] Urkundenbuch cit., vol. V, doc. 3024, pp. 533-534
(3 giugno 1456): “Zanobia Italicus de Florentia”; Cfr. G. Gündisch, Patriciatul
cit., p. 135, nota 45. Incerta è l’origine di questo Zanobio, che
potrebbe appartenere alla famiglia dei Bardi (un Zanobio de Bardi è
presente a Firenze nel 1414), quindi in rapporto al già ricordato
Matteo, oppure essere un discendente di una delle altre famiglie fiorentine
giunte in Ungheria a seguito degli Angiò (un Zanobio da Firenze è
presente alla corte di Ludovico I il Grande nel 1373), problema che resta senza
soluzione a causa della scarsità dei documenti conservati. Cfr. K. G.
Gündisch, op. cit., p. 244.
[26] Quellen zur Geschichte der Stadt Hermannstadt (d’ora
in poi sarà citato QGSH), vol. I,
Rechnungen aus dem Archiv der Stadt Hermannstadt und der Sächsische Nation
(c. 1380-1516), Hermannstadt (Sibiu) 1880, alle voci Proll ed altre collegate.
[27] Sulla figura di Nicola Proll si
veda G. Gündisch, Die Grabsteine in der
Ferula der ev. Stadtpfarrkirche in Hermannstadt, 2. Nikolaus Proll, in
“Mitteilungen aus dem Baron Brukenthalischen Museum”, XII, 1947, pp. 15-17; QGSH, vol. III, Inschriften der Stadt Hermannstadt aus dem Mittelalter und
der Frühen Neuzeit, Hermannstadt (Sibiu) 2002, pp. 26-27.
[28] QGSH, vol. I, pp. 162-164, p. 166, p. 178, p.
183: “Nicolaus Proll, iudex sedis Cibiniensis”; Ibidem, p. 167,
p. 174, p. 196: “Nicolaus Zanobia, iudex sedis Cibiniensis”.
[29] QGSH, vol. I, p. 217, pp. 220-222, pp. 225-226,
p. 228, p. 236, pp. 241-242, p. 251: “Nicolaus Proll camerarius, comes
salium Transsilvanensis”.
[30] G. Seiwert, Chronologische
Tafel der Hermannstädter Plebane, Oberbeamten und Notare. Erste Abtheilung von
1309 bis 1499, in AVSL, XII, no. 2, 1875, pp. 189-256, p. 213, le note
128-129: “Nicolaus Zanoby alias Proll, Magister Civium Cibiniensis”.
[31] K. G. Gündisch, op. cit., p. 245, nota 25.
[32] QGSH, vol. I, p. 178 (salnitro), p. 196 (coltelli),
p. 284 (tessuti di varia provenienza), p. 288 e p. 301 (ancora coltelli), Cfr.
G. Gündisch, Patriciatul cit., p. 136, nota 48.
[33] Ibidem, p. 136, nota 49; K. G. Gündisch, op. cit., p. 245.
[34] G. Gündisch, Patriciatul cit., p. 136.
[35] Le fonti lo ricordano come Raso,
Razo, Rason, Rasso Wontemp o Vontempis, Cfr. S.
Goldenberg, Notizie cit., p. 257, nota 12.
[36] Archivio di Stato di Braºov (d’ora in poi sarà
citato ASB), Collezione Schnell, II, doc. 36 (27 novembre 1502); nello
stesso documento è ricordato anche “Anthonium
concivem florentinum, socium antedicti Rasonis”.
[37] QGSH, vol. I, p.
442: “Pro cambio trecentorum flor., quos anno praeterito idem dominus
Jacobus Budae a Razone Italo mutuo acceperat, in auro restituendorum puta quorum
ducenti ad solutionem census sancti Martini centum vero ad expensas devenerunt,
assignavit […] flor. 15, den.0” (12 aprile-16 dicembre 1506).
È ragionevole pensare che in tale periodo egli sia rimasto comunque
attivo, Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., p. 258, che non rileva questa
notizia del 1506, ma direttamente quelle del novembre 1507, Cfr. Ibidem, le note 38-39.
[38] QGSH, vol. I, p. 474: “Eodem die expedivit
dominus magister civium ad rationem census ordinari beati Martini episcopi
familiari Razonis Itali Budensis super ipsius deputatione per dominum
thesaurarium facta […] flor. 500, den. 0” (25 novembre 1507).
[39] ASB, Collezione Schnell, II, doc. 41 (26 novembre
1507); si noti che Hans Schyrmer era suocero di Pietro Haller, della grande
famiglia di commercianti di Transilvania; in proposito si veda S. Goldenberg, Hallerii. Un capitol din istoria comerþului
ºi al capitalului comercial din Transilvania în sec. XVI, in “Studii. Revistã de istorie”, XI, no. 5, 1958, pp. 89-116.
[40] Archivio di Stato di Cluj-Napoca (d’ora in poi
sarà citato ASC), fondo Archivio di Bistriþa (d’ora in poi
sarà citato AB), no. 71 (20 gennaio 1508), Cfr. A. Berger, Urkunden-Regesten aus dem Archiv der Stadt
Bistritz in Siebenbürgen (1203-1570), vol. I-III, Colonia–Weimar–Vienna
1986-1995 (d’ora in poi sarà citato Urkunden-Regesten),
doc. 483.
[41] QGSH, vol. I, p. 512: “Dominus magister civium
ad rationem restantiarum solutionis ultimi subsidii anno proxime elapso regiae
maiestati per universos Saxones oblati ut puta 20000 flor. expedivit Razoni
mercatori Florentino aliisque, quibus deputationes factae sunt, in una summa
[…] flor. 3963, den. 20” (18 aprile 1508). Nel luglio successivo si ha
notizia di un nuovo pagamento, si veda Ibidem, p. 521: “Assignavit
dominus magister civium pro superadditione flor. 75, quo commodo super aurum a
quodam homine in solutionem Razonis Itali cepit […] flor. 5, den. 25/
Iterum ei, qui flor. 20 ad eandem solutionem accomodavit, assignavit […] flor.
1 den. 60” (31 luglio 1508).
[42] ASC, AB, doc. 291 (8-9 maggio 1509) e doc. 293
(10 giugno 1509); Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 510 e doc. 512.
[43] ASC, AB, doc. 297 (25-29 ottobre 1509); Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 518.
[44] Ibidem, doc.
522.
[45] Archivio di Stato di Sibiu (d’ora in poi sarà
citato ASS), Collezione Post., L 58, doc. 157 (24 gennaio 1512).
[46] Quellen zur Geschichte der
Stadt Kronstadt (d’ora in poi
sarà citato QGSK), vol. I, Rechnungen
aus 1503-1526, Kronstadt (Braºov) 1886, p. 197: “Item civitas dedit
feria quinta proxima ante festum natalis domino Johanni Benckner, eo tempore
iudici, flor. 50 ad solutionem census futuri beati Martini episcopi, super
litteras Rasonis mercatoris Florentini, cui praescripti pro illo censu beati
Martini in flor. 650, summas habemus super illis 50 flor. datis. Quittantias
eiusdem Rasonis ad futurum annum pertinentur” (23 dicembre 1512).
[47] ASC, AB. Conti della città di Bistriþa,
IV/a, doc. 13 (1512): “Domino Rasoni
mercatori florentino intuitu honoris in vino, piscibus et avena […] fl. 0, d. 74”.
[48] ASC, AB, doc. 337 (4 marzo 1514): Paulus de
Warda, vicetesoriere regio, scriveva al Consiglio cittadino di Bistriþa,
ricordando espressamente gli ordini del re per cui il censo di San Martino “ad manum Rasonis mercatoris florentini dare
nuper vobis mandaverat. Nunc etiam non obstante literis ipsis in personam
prefati Rasonis datis, iuxta priora scripta et mandata sua ad manus dicti
Felicis [mercatori florentino] vobis
integraliter dare commisit”; Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 579. Da notare che
già in una lettera di credito di Vladislao II alla città di
Braºov in favore dello stesso Felice, datata 6 ottobre 1513 (Cfr. Ibidem, nota 51), questi era ricordato
come mercatori florentino, come in
quest’atto del 4 marzo 1514, mentre nel successivo documento del 28 marzo 1514
è detto veneziano (Cfr. Ibidem, nota
49). Che si tratti di due mercanti diversi? Crediamo improbabile l’ipotesi,
dato che questa rimane l’unica menzione di Felice come veneziano, mentre tutte
le altre restano legate alla sua origine toscana. La presenza e
l’attività di un mercante veneziano in Transilvania avrebbero certo
lasciato maggiori tracce, per lo meno simili a quelle degli altri operatori
finanziari attivi nella regione; più probabile quindi una confusione del
notaio cittadino di Bistriþa, Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., pp.
259-260, nota 27.
[49] ASC, AB, doc. 339 (28 marzo 1514); Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 581.
[50] ASC, AB. Conti della città di Bistriþa,
IV/a, doc. 17 (1518-1519), con più riferimenti, Cfr. S. Goldenberg, Notizie
cit., p. 260, le note 29-30. Sull’attività
finanziaria di Rasone in Tansilvania, la documentazione d’archivio è
comunque assai scarsa: si conserva memoria di operazioni per un totale di
più di 24.000 fiorini, ma certo tale somma deve considerarsi per difetto,
Cfr. Ibidem, p. 260.
[51] ASB, Privilegi, doc. 302 (6 ottobre 1513).
[52] ASC, AB, doc. 355 (8 maggio 1515); Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 604.
[53] ASC, AB, doc. 364 (16
ottobre 1515); Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 611 e doc. 612; S.
Goldenberg, Notizie cit., p. 260, nota 34, con la somma errata di 200
fiorini, corretta però in Idem, Italieni
ºi ragusani cit., pp. 595-596, nota 1.
[54] ASC, AB. Conti della città di Bistriþa,
IV/a, doc. 17 (1518-1519).
[55] I documenti lo ricordano come Petrus Martellinus,
Petrus Mortallini, Petrus Pytis alias Mortalin, Cfr. supra, le note 45 e 56.
[56] ASC, AB, doc. 362 (6 agosto 1515); Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 610. Ma già in una lettera dell’anno
precedente di Vladislao II al Consiglio di Bistriþa Pietro compare come
creditore del re, col nome –si noti– di “Petrus Pytis alias Mortalin”,
Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 582 (2 aprile 1514).
Negli anni successivi Pietro Martellini
giunse di persona anche a Braºov, sempre per la riscossione dei tributi
del censo di San Martino, si veda QGSK, vol. I, p. 260 (25 gennaio
1520), p. 268: “Item Petro Martelli nuntio regio, qui venerat pro repetenda
taxa regia, vinum et malvaticum dono datum (et 2 cubulos avenae) pro […] asp.
12” (3 maggio 1520), p. 285 (18 ottobre 1520).
[57] Eudoxiu di Hurmuzaki, Documente privitoare la istoria
românilor, vol. XV/1, Acte ºi scrisori ardelene din Bisþrita, Braºov,
Sibiu (1358-1600), Bucarest 1911, pp. 225-226 (1 gennaio 1514).
[58] Cfr. supra, nota
36.
[59] QGSH, vol. I, p. 471: “Sabbato ante Mathei misso
famulo cum famulo Anthonii Itali Veneti de Buda ad Bistriciam in facto
deputationum ex censu sancti Martini et cetera, expensae […] flor. 1,
den. 0” (18 settembre 1507).
[60] ASS, Doc. Lit., L 16, lettera no. 489 (18
dicembre 1513), Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., p. 261, nota 41.
[61] Notizia nel resoconto di viaggio di Pierre Lescalopier
nei Paesi Romeni del 1574, Cfr. Cãlãtori strãini despre Þãrile Române,
vol. II, (1551-1583), a cura di Maria Holban (curatrice coordinatrice),
Maria Matilda Alexandrescu–Dersca Bulgaru, Paul Cernovodeanu, Bucarest 1970, p.
436, Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., p. 261, nota 42 e F. Ciure, op.
cit., p. 236.
[62] La bibliografia sull’argomento è praticamente
sconfinata: Cfr. V. Turcuº, op. cit., passim; per un quadro generale
circa l’evoluzione delle relazioni economiche e le vie di commercio che univano
i tre Paesi carpatici all’Ungheria e all’Occidente nonché all’Oriente si
possono in particolare vedere, tutti con ulteriore e
più ampia bibliografia: Radu Manolescu, Comerþul Þarii Româneºti ºi Moldovei cu Braºovul (sec. XIV-XVI),
Bucarest 1965; Zsigmont Pal Pach, Levantine
trade and Hungary in Middle Ages, Budapest 1975; Idem, The Transylvanian route of Levantine Trade at the turn of the 15th
and 16th centuries, Budapest 1980; Gheorghe I. Brãtianu, Marea
Neagrã. De la origini pînã la cucerirea otomanã, 2a edizione,
Iaºi 1999. Con particolare riferimento alle relazioni con l’Italia si
veda D. Huszti, op. cit., passim; S. Goldenberg, Notizie cit.,
passim; Idem, Italieni ºi ragusani cit., passim; G. Lãzãrescu, N. Stoicescu, op. cit., passim;
ci sia consentito di rimandare anche ad Andrea Fara, Istituzioni
politiche e vita economica su una frontiera dell’Europa medievale. I Sassoni di
Transilvania dal XII al XVI secolo, Tesi di
dottorato di ricerca, in fase di compimento presso l’Università degli
Studi di Pisa.
[63] QGSH, vol. I, p. 287: “Item Ytalici domini
videlicet Johannes cum suo socio Ieronimo de Tergouistÿa exportavit
schamlot pecias 4, solvit […] flor. 0, den. 50” (12 maggio 1500).
Interessante notare, nel caso in cui anche Geronimo sia di origine italiana,
come questi sembri avere una presenza stabile in territorio valacco, Cfr. supra, nota 54.
[64] QGSH, vol. I, p. 470: “Missis litteris ad Bistriciam
convocationalibus ad mandata regia super facto litis Jeronimi Itali erga
Brassouienses et cetera […] flor. 1, den. 0. / Missis et ad Brassouiam
in eodem facto expensae […] flor. 1, den. 0. / Missis iterum ad sedes in
eodem facto flor. 1, den. 0” (12 agosto 1507); “Eodem die misso famulo
ad Brassouiam cum litteris dominorum in facto Italici Jeronimi ratione
satisfactionis iudiciariae deliberationis factae, expensae […] flor. 0,
den. 75” (6 settembre 1507); il coinvolgimento dei cittadini di due delle
più importanti città transilvane è certo prova
dell’ampiezza degli interessi dei mercanti di origine italiana nella regione.
[65] QGSH, vol. I, p. 520: “Georgio Italo pro una
sella […] flor. 0, den. 70” (25 luglio 1509).
[66] E. di Hurmuzaki, Documente cit., vol. XV/1, p.
248: “Vincencius Italus, gener Jacobi Itali” (10 settembre 1520). Se il
principe di Moldavia si rivolse al Consiglio di Braºov è lecito supporre
che l’italiano si fosse stabilito –o quanto meno frequentasse in modo assiduo–
la città sassone. Del Vincenzo risulta attivo a Braºov ancora l’anno
successivo: QGSK, vol. I, p. 367: “Item expensas Lerde Janosch ad
vicewaywodam cum litteris ex parte Itali Vincentii etc. […] asp. 25”
(26 novembre 1521), p. 368: “Item Lerdi Janos pro salario ad Fogaras per 3
dies et ad dominum vicewaywodam per 7 dies ex parte Vincentii Itali etc.
[…] asp. 40” (5 dicembre 1521), Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit.,
p. 262.
[67] QGSK, vol. I, p. 343: “Item illis qui
custodias tenuerunt apud Italum Michaelem de Braÿla per 4 dies […] asp.
16” (22 giugno 1521); all’inizio del secolo i registri di Braºov ricordano
la presenza di un altro mercante proveniente da Brãila, di cui sfortunatamente
non è specificata l’origine –ma non si dimentichi che nel porto
danubiano soggiornò a lungo una cospicua colonia genovese– Ibidem,
p. 21: “Item Roma de Brayla importavit pro flor. 27 […] solvit flor.
1 asp. 17” (16 luglio 1503).
[68] QGSK, vol. II, Rechnungen
aus 1526-1540, Kronstadt (Braºov) 1889, p. 416: “Item in vespera
Mariae Magdalenae uni Valacho qui cum literis a Radul waywoda ex parte bonorum
Joannis Dylansy Italici huc venit misi tribus vicibus panes, cancros et novem
octoalia vini facit […] asp. 34 den. 1”
(22 luglio 1535), p. 417: “Item eodem die uno Valacho qui secundario
a Radwll waywoda venit ratione bonorum parvi Itali Joannis Dylansy, quae apud
Gregorium pictorem fuerunt, ei misi bina vice dono panes, poligrana uzonum et
sex octoalia vini facit […] asp.20” (13
agosto 1535).
[69] Citato in Idem, Italieni ºi ragusani cit., p.
597, nota 8.
[70] ASC, AB, doc. 35 (28 settembre 1563): “Petrus
Franciscus Perusinus Mediolanensis”; Cfr. Urkunden-Regesten cit.,
doc. 2839 e doc. 2840.
[71] Archivio di Stato di Baia Mare, fondo I, doc. 3 (1
settembre 1604): “Gaspar Mazsa negotiator italus” che risulta in causa
con Gerhard Lyssibona, mercante di Cracovia, per un debito di 6.000 scudi;
Gaspare Mazza fu attivo nei Principati Romeni a cavallo tra il XVI e il XVII
secolo, in veste di rappresentante e agente di alcuni facoltosi mercanti veneziani
residenti a Costantinopoli oppure impegnandosi in proprio nei traffici
mercantili tra l’area danubiana, Costantinopoli e Venezia, Cfr. Cristian Luca, Veneziani, Levantini e Romeni fra prassi politiche e interessi mercantili
nell’Europa Sud–Orientale tra Cinque e Seicento, in Romania e Románia: lingua e
cultura romena di fronte all’Occidente, a cura di Teresa Ferro, Udine 2003,
p. 247 e doc. VI, p. 258.
[72] S. Goldenberg, Notizie cit., pp. 263-264.
[73] Sul traffico di bestiame tra i Paesi Danubiani e Italia,
in particolare Venezia, e gli itinerari comunemente percorsi, si veda Ibidem,
pp. 264-267, Cfr. supra, nota 62; F.
Ciure, op. cit., p. 231, pp. 238-240.
[74] Ma molti erano anche i transilvani che, impegnati in
ambiti assai diversi, si recavano in Germania e in Italia, in particolare
Venezia, con l’idea di “imparare il mestiere” o perfezionare la propria arte:
le fonti ricordano vetrai, monetieri, tipografi, pannaioli, architetti, ecc.,
si veda S. Goldenberg, Notizie cit., passim.
[75] ASB, Collezione Fronius, I, doc. 326 (3 agosto
1573): “Moresinus Italus […] ad vitreanos pro confectione quorundam
vitrorum”. Il Morosini è presente nella stessa Braºov negli anni
1573-1574, Cfr. E. di Hurmuzaki, Documente cit., vol. XV/1, p. 810 e p.
812; F. Ciure, op. cit., p. 242.
[76] ASS, Doc. Lit., L 28, lettera no. 1368/a (13
febbraio 1593): “Stephanus de Petro tinctor et praefectus pannificum
italorum”, che riceve dallo iudex Albert Huet 240 fiorini “ratione
expensarum et debitorum Cibinii causa texturae panni contractorum et
redemptionem pannorum quorundas oppignoratorum”. Maestri italiani erano
attivi nella stessa Braºov, Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., p. 273. La
lana utilizzata di solito proveniva dalla Valacchia o dalla Moldavia;
sull’argomento, si veda Idem, Commercio, produzione e consumo dei panni di
lana nei paesi romeni (secoli XIV-XVII), in Produzione, commercio e
consumo dei panni di lana. Atti della Seconda Settimana di Studio, 10-16 aprile
1970, Istituto Internazionale di Storia Economica “Francesco Datini” di Prato,
Firenze 1976, pp. 633-648.
[77] A Braºov questa piccola “società imprenditrice”
lavorò alla costruzione dei bagni e dei bastioni cittadini. QGSK, vol. III, Rechnungen aus (1475) 1541-1550
(1571), Kronstadt (Braºov) 1896, p. 257: “Italo architecto vulgo Pallyer
fl. 20; Lucae Italo cum illo Italo Cibinium misso exp. fl. 3; exp. et merc. de
equis, quibus idem Italus est ductum Cibinium fl. 3; eidem Italo pro
victualibus apud Joannem Kemmell fl. 5 asp. 32½; eidem, quamdiu hic
fuit, 95 oct. vini fl.2 asp. 43; Lucae lapicidae Italo, qui continuo apud hunc
Italum fuit et etiam Cibinium, 33 diebus merc., 1 die asp. 4, facit fl. 2 asp.
32” (2 febbraio 1545), p. 267: “Joanni mensatori solvi pro lignea
Bastya, quam Italus Pallyr dictus parari fecerat, fl. 1 asp. 10” (18 maggio
1545), p. 412: “Lucas Italus lapicida paravit vulgo ein dyr Gered hat
gehawen”(24 marzo 1547), p. 454: “Lucae Italo lapicidae qui
stubam balnei superiorem lapidibus quadratis stravit ac scamna lapidea fecit et
alia multa ibidem laboravit, merc. ex conjunctione […] 50 fl. / Lucas
Italus per dies 4 laboravit in vulgo Kazten meliorando” (27 agosto 1548),
p. 462: “Lucae Italo qui paravit vulgo 2 Gesems yber dy Laden an dem Schweys
Owen, asp. 40” (1 settembre 1548).
[78] QGSK, vol. II, p. 545: “Lucas Italus murator”
risulta al servizio della città assieme ad altri (24 dicembre 1538).
[79] QGSK, vol. III,
p. 441: “Ipso die Bartholomei venit Lucas Italus in Campolongo habitans,
fam. Myrche wayw., cum Ztoyka Dobromyr ex Adrianopoli suntque profecti ad d.
thesaurarium. Ipsi Lucae misi dono quater Lebensmittel, darunter ova piscium,
für asp. 46” (24 agosto 1548). Luca sembra avere anche un ruolo di
collegamento, risultando spesso latore di missive e merci (ovviamente in
quantitativi ridotti) da e per la Valacchia, Cfr. Ibidem, p. 442: “Eodem
die venerunt a d. thesaurarium Lucas Italus et Ztokya Dobromyr; Lucae misit
dono bis Lebensmittel für asp. 21 und 2 ligaturas bonorum cultellorum et 1
pileum fl. 1 asp. 7” (5 settembre 1548), p. 443: “Eodem die venit Lucas
Italus a Mÿrche wayw. cum litteris Ladislao Ewdenflÿ, Paulo Bannk
et Joanni Glesan sonantibus optavitque, ut popam nostrorum Bulgarorum Thomam
secum illuc mitteremus, cui misi dono Lebensmittel bis für asp. 25” (12
settembre 1548), pp. 444-445: “Joannes Tot cum litteris ad d. thesaurarium
missus abduxit hinc ad d. thesaurarium Turcam illum, quae Myrche wayw. cum Luca
Italo huc miserat. Turcae dedi in exp. fl. 1; Martinus Bogner exposuit in
Turcam asp. 20; Joanni Tot exp. fl. 5” (23 settembre 1548). Da notare che
in questo stesso periodo Luca lavora e compare come stipendiato nel libro paga
della città di Braºov, Cfr. supra, nota
77, documenti del 27 agosto 1548 e dell’1 settembre 1548.
[80] Stefan Wolphardus di Cluj aveva studiato a Padova,
riportando con sé diversi muratori e uno scultore toscano per la costruzione
della propria casa: G. Lãzãrescu, N. Stoicescu, op.
cit., p. 202-203. Sulla figura e l’opera di Pietro da Lugano, si
veda Gheorghe Mãndrescu, Activitatea lui
Petrus Italus de Lugano, in “Acta Musei Napocensis”, XVI, 1979, pp.
225-234.
[81] Sulla presenza di alcuni architetti e costruttori
italiani, e in genere di altri vari Italici, in Transilvania del
Cinque–Seicento si veda anche il recente articolo di Iacob Mârza, Zevedei–Ioan
Draghiþã, Italiani ad Alba Iulia nell’epoca del Principato autonomo di
Transilvania (1541-1691), in L’Italia
e l’Europa Centro–Orientale attraverso i secoli. Miscellanea di studi di storia
politico-diplomatica, economica e dei rapporti culturali, a cura di Cr.
Luca, Gianluca Masi e Andrea Piccardi, Brãila–Venezia 2004, pp. 147-157.
[82] S. Goldenberg, Notizie cit., pp. 274-275; G. Lãzãrescu, N. Stoicescu, op. cit., pp.
53-54, pp. 200-207, con altri esempi, anche in ambiti quali la pittura e la
musica.
[83] Cesare Alzati, Le terre romene frontiera e mediazione
di sistemi diversi, in Idem, Lo spazio romeno tra frontiera e
integrazione in età medioevale e moderna (Piccola Biblioteca Gisem,
16), Pisa 2002, pp. 55-68.
[84] G. Rossetti, Lo spazio carpato-danubiano e il
«sistema Europa» dei secoli XI-XVI: una frontiera complessa, prefazione a
C. Alzati, op. cit., pp. 7-12.