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Italici in Transilvania tra XIV e XVI secolo

 

 

Andrea  Fara,

Università degli Studi di Pisa

 

Gli studi dedicati ai rapporti politici, economici e culturali tra Italia ed Ungheria o tra la Penisola italiana e i Paesi Romeni sono certamente numerosi[1]; alquanto pochi, al contrario, i contributi che in modo specifico si sono occupati dei legami tra la Transilvania e la Penisola nel periodo e per il tema qui presi in esame, dovuti per la maggior parte alla storiografia romena[2].

Tra il XIV e il XVI secolo le relazioni tra il regno d’Ungheria – e la Transilvania come parte integrante di esso – e l’Italia furono assai profonde. I rapporti si concretizzarono in particolar modo attraverso l’azione di rappresentanti finanziari, mercanti, uomini d’affari, artigiani ed operai specializzati provenienti dalle più importanti città italiane, in particolar modo Firenze, ma anche Venezia e Genova[3]. In gran numero giunsero nel Regno

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d’Ungheria al seguito della Casa d’Angiò che, all’inizio del XIV secolo, dopo la scomparsa dell’ultimo degli Arpad, ottenne la Corona di Santo Stefano; un rapporto con la corte che non si esaurì, anzi si rafforzò, con la nuova casa regnante dei Lussemburgo tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, quindi con Mattia Corvino e i suoi successori[4].

La maggior parte degli italiani arrivò dunque attraverso Buda, operando in Transilvania per un periodo più o meno lungo, in particolare nelle città di Cluj (ungherese: Kolozsvár; tedesco: Klausenburg), Sibiu (tedesco: Hermannstadt; ungherese: Nagyszeben) e Baia Mare (ungherese: Nagybanya). Molti di loro, come detto, erano commercianti o intermediatori finanziari, ma spesso non troviamo una netta distinzione tra le due figure: portavano con sé merci e prodotti di lusso, che scambiavano sulle piazze transilvane con le materie prime valacche e moldave o con le spezie provenienti dall’Oriente; prestavano al potere centrale ingenti quantità di denaro, ricevendo in cambio vantaggi per l’acquisto e la vendita di metalli preziosi, per la levatura dei metalli nobili dalle miniere d’oro e d’argento della regione, quindi l’affitto e lo sfruttamento delle dogane, il controllo della zecca e dell’attività monetaria locale, nonché la funzione esattoriale dei tributi dovuti alla corona (in particolare quello dei sassoni, il cosiddetto censo di San Martino), tutte attività, queste ultime, di cui spesso gli italiani riuscirono ad assicurarsi il monopoli. Molti di essi scelsero anche di stabilirsi nelle città della Transilvania, stringendo importanti alleanze economiche e sociali, imparentandosi con le principali famiglie dominanti nelle diverse realtà urbane transilvane, fino a naturalizzarsi e poter così accendere alle massime cariche municipali. Rapporti che certo subirono mutamenti, legati alla particolare situazione geopolitica locale ed internazionale, ma che comunque non vennero mai completamente meno: la documentazione conferma la presenza di Italici nella regione intracarpatica dalla fine del XIV secolo, per tutto il XV e il XVI, ed anche oltre. Indiscutibilmente, i documenti rimasti sono scarsi, spesso lacunosi, le fonti definiscono molti personaggi solo con un generico appellativo di Italicus, rendendo così difficile, se non impossibile, ricostruirne gli spostamenti. Ad ogni modo si può delineare, almeno in parte, un quadro assai composito e decisamente interessante[5].

Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo risulta residente a Sibiu Matteo Baldi, a cui il sovrano ungherese aveva affidato l’amministrazione delle saline di Ocna Sibiului nonché della zecca di Sibiu (comes camerarius)[6]. Sappiamo che nel 1408, grazie all’inte-

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ressamento di un altro italiano, Filippo Scolari, detto Pippo Spano, conte di Timiºoara[7], egli riuscì ad acquistare una casa sulla piazza principale della città, la Piaþa Mare, dove risiedevano gli intermediari commerciali ed i grandi mercanti[8]. L’ascesa sociale e politica di Matteo Baldi avvenne attraverso il matrimonio: in prime nozze egli sposò Dorothea Goldschmidt, figlia di Jacob, magister civium di Sibiu, divenendo anche cognato di Thomas Trautenberger, sposato anch’egli con una figlia di Jacob, che otterrà a sua volta la carica di magister civium. In seconde nozze Matteo si unì a Katharina Henning, figlia del greav (comes) e iudex regius Johann, rappresentante di una delle più antiche famiglie sassoni di Transilvania[9]. Da ricordare che Matteo Baldi possedeva anche immobili in Abrud e Aiud, località per cui passava la via che metteva in comunicazione Rimetea, zona ricca di miniere di ferro, con le pianure del Mureº, cosa che rende probabile un suo coinvolgimento nell’attività estrattiva dei Monti Apuseni[10].

Tra il 1439 e il 1448 un certo Papia Manin da Firenze era impegnato nella riscossione dei tributi per conto del sovrano d’Ungheria, con l’incarico di camerarius regius

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di Dej e Sic e dicator nel Solnoc inferiore[11]. Assieme a lui, in alcuni documenti, viene ricordato anche Giovanni Italicus, camerarius di Dej[12]. Sempre come camerarius regius di Dej e Sic è ricordato nel 1458 Angelo Italicus da Firenze[13]. Di altri resta solo il nome, come Edoardo Italicus, menzionato semplicemente come camerarius[14]; o Caspar Italicus, ricordato nella lettera con cui Nagh, vornic del principe Radu III di Valacchia, comunicava al Consiglio cittadino di Sibiu il risultato della sua indagine relativa ad un commercio di pepe effettuato con lettere di credito false, in cui erano coinvolti l’italiano, Stefano Literatus, cittadino di Braºov, e quattro greci[15].

Nel 1443 le fonti ricordano Cristoforo di Firenze, operante inizialmente a Sibiu, che, dietro richiesta del voivoda di Transilvania, allora Giovanni di Hunedoara, scriveva al Consiglio cittadino di Braºov al fine di ottenere paramenta ac instrumenta ad cusionem monetarum apta. Materiale che, secondo le indicazioni del voivoda, doveva essere spostato nella città di Sighiºoara, dove l’italiano aveva il compito di installare una nuova zecca[16]. Nel 1446 Cristoforo si era spostato a Cluj dove, con un altro cittadino di Firenze, Antonio, deteneva il monopolio sul cambio e l’acquisto dei metalli nobili estratti dalle miniere di Zlatna e di Baia di Arieº, sempre con l’appoggio di Giovanni di Hunedoara, ora governatore d’Ungheria[17].

Nel 1456 le fonti ricordano ancora Cristoforo Italicus da Firenze, stavolta con Nicola de Wagio – evidentemente figlio dello stesso Matteo Baldi, essendo menzionato anche come de Waldo. In questo anno essi risultavano responsabili, assieme al magister civium Oswald Wenzel, dell’amministrazione della zecca di Sibiu, detenendo il monopolio dell’acquisto di metalli preziosi dai minatori di Ofenbaia e Zlatna. I tre formavano

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una società che esercitava un controllo pressoché totale sullo sfruttamento minerario della Transilvania, in particolare per quanto riguarda l’estrazione dell’oro e dell’argento[18]. Successivamente Cristoforo si spostò ancora una volta a Cluj, quindi a Baia Mare, in cui erano attive altre due camere regie, e dove importante rimaneva l’attività di estrazione di metalli nobili[19]. Senza dimenticare che l’attività di Cristoforo comprendeva anche la riscossione dei tributi, in particolare il censo di San Martino, dovuto alla corona dagli hospites sassoni di Transilvania[20].

I documenti ricordano anche un Francesco Italicus, residente a Cluj, fratello o comunque parente del già ricordato Cristoforo, nonché cognato di Nicola Aurifaber, magister civium di Sibiu, di cui aveva sposato la sorella, Margherita Aurifaber. L’Italiano era impegnato nel commercio di vino, aveva diverse proprietà immobiliari dentro e fuori la città di Cluj, e probabilmente anche una piccola banca[21]. Nel 1469 Francesco richiamava l’attenzione del cognato Nicola sulla casa di Cristoforo a Sibiu che, a causa della difficile situazione finanziaria e dei debiti accumulati, rischiava di essere confiscata a favore di un certo Johannes Borth. Il fiorentino chiedeva dunque al magister civium di intervenire a favore dei tre figli ed eredi di Cristoforo, facendone valere le disposizioni testamentarie; e laddove ciò non fosse stato possibile, che almeno i debiti di Cristoforo non ricadessero su Francesco stesso[22].

Evidentemente Nicola Aurifaber dovette avere successo, se nel 1472 Paolo Italicus, figlio dello stesso Cristoforo, col consenso della sorella Barbara, poté vendere la casa nella Piaþa Mare di Sibiu a Georg Hecht, futuro magister civium e comes camerarius, per la

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somma di 1.000 fiorini d’oro[23]. Paolo comparve poi nel 1482 davanti al Consiglio cittadino di Cluj, che convalidava la divisione di un alcuni beni avuti in eredità tra lui e l’altra sorella Margherita[24].

Nel 1456 Zanobio da Firenze, in quanto marito di Anna, figlia di Nicola Zaz, ricco greav e iudex regius della sede sassone di Sebeº, comparve davanti ai giudici di Sibiu impegnati nel dirimere una controversia riguardante l’illecita occupazione del territorio di Pianul de Sus da parte della famiglia della moglie: una zona in cui ragguardevole era l’attività di estrazione dell’oro[25]. Figli di Zanobio Italicus furono Antonio e Nicola, i quali, a partire dal 1470, comparvero nei registri delle imposte e dei conti della città di Sibiu sotto il nome di Zanobi o Proll[26]. Entrambi risultarono eletti nel Consiglio cittadino, ma fu Nicola, il più giovane, che ebbe una carriera politica notevole[27]. Negli anni 1494 e 1495 egli fu iudex sedis, arrivando a detenere, dapprima da solo, poi con Johannes Lulay, futuro iudex regius e comes Saxonum, lo sfruttamento della zecca cittadina[28]. Dal 1496

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al 1499, anno della sua scomparsa, Nicola Proll condusse, in qualità di camerarius regius, anche l’intero complesso delle saline di Transilvania[29], arrivando a coprire persino la carica di magister civium di Sibiu negli anni 1498 e 1499[30]. Oltre a ciò, egli fu attivo nell’industria estrattiva della regione di Rodna–Bistriþa[31] e praticò un ricco commercio, importando ed esportando tessuti da Anversa e Norimberga, coltelli, probabilmente ancora da Norimberga o Steyr, ed altre merci[32]. Alla sua morte, Nicola Proll lasciò ai suoi eredi una notevole fortuna che, oltre a denaro e gioielli, comprendeva diversi beni immobili, soprattutto case e vigneti, a Sibiu, Sebeº, Aiud e Cluj[33]. La famiglia Proll o Zanobia è ricordata nelle fonti di Sibiu fino alla metà del XVI secolo, per poi scomparire, probabilmente assorbita in altre famiglie sassoni[34].

All’inizio del XVI secolo, personaggio assai rilevante fu il mercante fiorentino Rasone Bontempi che, dalla sua sede principale di Buda, coltivò floridi affari in Transilvania, vuoi di persona, vuoi attraverso propri agenti, in un periodo relativamente lungo, dal 1502 al 1519[35]. Da quanto risulta dai documenti, egli faceva prestiti al sovrano ungherese, recuperando poi i crediti attraverso la riscossione delle rendite fiscali della Transilvania, in particolare dalla comunità sassone della regione. La prima menzione è dunque del 1502, in una lettera indirizzata dal giudice di Sibiu a quello di Braºov, affinché siano pagati a Rasone o ai suoi messi la somma di 4.129 fiorini, da prelevare dalle entrate della dogana sassone, di cui il mercante fiorentino risulta affittuario beneficiario[36]. Non si hanno più notizie di Rasone e della sua attività in Transilvania fino al 1505-1506, anni in cui risulta in relazione ad un’operazione di cambio e credito[37]. Nel 1507 compare in rapporto al pagamento del censo di San Martino dovuto dai Sassoni al sovrano, di cui con

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evidenza risulta ancora beneficiario, per cui ricevette un primo saldo di 500 fiorini da parte del magister civium di Sibiu, che li consegnò ad un messo del fiorentino stesso[38]; quindi, contemporaneamente, di altri 570 fiorini da parte di Hans Schyrmer, negoziante di Braºov, e dei suoi associati, a Buda[39]. Il 20 gennaio 1508 Rasone ricevette dalla città di Bistriþa 1.200 fiorini, sempre in rapporto al censo di San Martino[40]. Nello stesso anno, i cittadini di Sibiu spedirono a Rasone e ai suoi soci 3.963 fiorini e 20 denari, come saldo parziale di un prestito di 20.000 fiorini del 1507[41]. Sappiamo che nel 1509 fu assicurata nuovamente a Rasone la rendita del censo di San Martino: in una serie di lettere inviate al Consiglio cittadino di Bistriþa, Benedetto de Bathyan, tesoriere regio, invitava più volte la città a pagare 1.500 fiorini del censo al mercante fiorentino[42]. Alla fine dello stesso anno, nuovi inviti, stavolta per 2.000 fiorini, furono fatti anche da Tommaso, arcivescovo di Gran, che non mancò di sottolineare quanto Rasone fosse veteranus ac specialis amicus, qui nobis multa impendit grata obsequia[43]. E tuttavia i cittadini della città sassone si dicevano impossibilitati a soddisfare simili richieste[44].

In modo simile per il 1512, all’inizio del quale Rasone invia a Sibiu un suo familiare, Pietro Martellini, per riscuotere dalla città un debito di 2.150 fiorini, con possibilità di dilazione fino all’11 novembre, giorno di San Martino, ma con una sovrattassa di 200 fiorini per il ritardo[45]. Nello stesso anno e con la medesima motivazione Rasone

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ricevette pagamenti anche dalla città di Braºov[46]. Ad ogni modo, la riscossione dei debiti non doveva avvenire in modo troppo solerte, se sempre nel 1512 troviamo Rasone in persona come ospite in Transilvania, a Bistriþa – e con ogni probabilità non mancò di visitare le altre città sassoni a lui debitrici[47]. All’inizio del 1514 due documenti ci ricordano che per il 1515 il sovrano concedeva in anticipo il censo di San Martino. In una prima lettera, esso doveva essere diviso tra Rasone ed il negoziante fiorentino Felice[48]; in una seconda missiva, rilasciata a breve distanza dalla precedente, tra Rasone da una parte e Felice e Antonio, venecianis mercatoribus, dall’altra[49]. Da questo momento risulta più difficile seguire i movimenti e l’attività finanziaria di Rasone in Transilvania, che comunque continuò a riscuotere il censo di San Martino ancora per gli anni 1518 e 1519, nonché a prestare denaro alle città sassoni[50].

Il già ricordato Felice appare per la prima volta nel 1513, in una lettera di Vladislao II, con cui il sovrano ordinava alla città di Braºov di versare al suo creditore fiorentino la somma di 750 fiorini, da detrarre dal censo di San Martino[51]. Nel 1514, come visto, il censo di San Martino dell’anno successivo doveva essere diviso tra Rasone e Felice: questi

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riscuote la propria parte dalla città di Bistriþa alla metà del 1515, per mezzo di Michele Olos, suo dipendente[52]. La situazione finanziaria della corona non doveva essere delle più rosee, se nello stesso 1515 il sovrano ordina alle città di Bistriþa e Braºov di versare a Felice 2.000 fiorini, da detrarre addirittura dal censo di San Martino del 1517, semota omni excusatione et quavis difficultate[53]. Ancora nel 1518 Bistriþa pagò a Felice mercator florentinus una somma di 250 fiorini[54].

Altri Italici attivi in Transilvania all’inizio del XVI secolo furono il già ricordato Pietro Martellini che, dopo essere comparso come familiare di Rasone[55], nel 1515 risulta mercante indipendente residente a Buda, da dove percepì dalla città di Bistriþa una somma di 1.900 fiorini, ancora dal censo di San Martino[56]; Francesco da Firenze, presente a Braºov nel 1514 come collettore regio[57]; Antonio da Firenze, anche lui familiare di Rasone[58]; Antonio da Venezia, residente sempre a Buda, che nel 1507, attraverso un proprio messo a Sibiu, incassò dalla città di Bistriþa diverse somme, sempre dal censo di San Martino[59], mentre nel 1513 Vladislao II chiese alla città di Sibiu di pagare allo stesso 2.500 fiorini, di nuovo dal censo di San Martino[60]; infine, Giacomo Grisoni di Venezia e Fausto Guai di Roma, affittuari delle miniere d’oro di Zlatna per l’anno 1574[61].

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Le relazioni economiche tra Italia e Transilvania non si esaurirono con la sola presenza degli operatori finanziari sin qui ricordati, in parte assimilati dai gruppi egemoni delle città sassoni. Diversi furono i mercanti italiani che parteciparono alla vita commerciale della Transilvania, conducendo affari di natura assai diversificata su tutte le principali piazze della regione, tanto intra quanto extracarpatica. I legami erano di tipo diretto, anche se più sporadici, con mercanti provenienti da Venezia, da Buda e dall’Ungheria, eventualmente dalle colonie genovesi del Mar Nero, passando poi per la Valacchia, o indiretto, per mezzo di importanti centri come Vienna e Cracovia. Le città della Transilvania, in particolare Braºov, Bistriþa, Sibiu e Cluj divennero così centri economici e di scambio decisamente importanti, in cui era possibile incontrare e fare affari con i mercanti locali nonché provenienti dalle più diverse regioni europee[62].

Nel 1500, l’italiano Giovanni e il suo socio Geronimo importano a Sibiu, probabilmente dalla città valacca di Târgoviºte, panno di tipo schamlot[63]. Un Geronimo Italus, forse lo stesso socio di Giovanni, tra l’agosto e il settembre del 1507, risulta coinvolto in un processo con i cittadini di Braºov, dove vengono convocati come testimoni quelli di Bistriþa[64]. Nel 1509 un Giorgio Italus acquista una sella dai maestri artigiani di Sibiu[65]. Nel 1520 Vincenzo Italus acquista bestiame dal moldavo Drãghici, senza però pagarlo;

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ne segue una lettera dello stesso principe di Moldavia al Consiglio cittadino di Braºov affinché il dovuto fosse al più presto saldato[66]. Nel 1521 Michele Italus di Brãila è presente nella stessa città transilvana[67]. Nel 1535 un certo Giovanni Dylansy Italus ha relazioni tra Braºov e la Valacchia[68]. Nel 1549 un altro Antonio da Venezia trasportava merci varie sempre da Braºov verso la Valacchia per una somma di 240 fiorini[69]. Ancora, nel 1563 Giovanni II Sigismondo Zápolya concedeva un salvacondotto a Pietro Francesco Perusini da Milano[70]. Nel 1604, infine, Rodolfo II raccomandava al Consiglio cittadino di Baia Mare il mercante veneto Gaspare Mazza[71]. Diversi poi gli Italici a seguito dei militari e della corte principesca transilvana, che come gli altri facevano ottimi affari[72].

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Sia direttamente sia tramite la Transilvania si esportavano dalla Valacchia e dalla Moldavia materie prime (prodotti agricoli, pelli, bestiame, cera, lana, spezie dal Levante, ecc.); dalla Penisola, più o meno tramite intermediari, si importavano nei paesi carpatici beni di lusso e prodotti finiti di qualità superiore (tessuti fini – molto ricercati i panni italiani, di Bergamo, di Verona, di Firenze –, vetri e specchi, gioielli e manufatti particolari, ecc.)[73]. Assai richiesti per le loro alte capacità tecniche, le fonti ricordano numerosi Italici impegnati nei settori economici più vari. Essi venivano richiamati dai consigli cittadini con offerte e possibilità di lavoro decisamente vantaggiose, allo scopo di migliorare la produzione locale ed ottenere manufatti di qualità superiore, più facilmente esportabili – e con notevole profitto – anche al di là dei Carpazi. E molti decidevano anche di stabilirsi nelle città di Transilvania[74].

Troviamo dunque maestri vetrai, provenienti quasi certamente da Venezia, attivi nella vetreria di Râºnov, vicino Braºov, come Alessandro Morosini, che ricevette dal principe Stefano Báthory l’incarico di produrre vetri in collaborazione con le maestranze locali, secondo modelli italiani, con lo scopo anche di insegnar loro la propria arte[75]; pannaioli e tintori fiorentini, come Stefano di Pietro, attivo nella città di Sibiu alla fine del XVI secolo[76]; architetti e muratori, come quello anonimo, ricordato nelle fonti col nome di Pallyr, attivo a Braºov e Sibiu tra il 1545 e il 1548, assieme ai tagliapietre Pietro Italus, Giovanni da Firenze e Luca Italus[77] – quest’ultimo già presente a Braºov dal

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1538[78], poi anche al servizio di Mircea Ciobanul, principe di Valacchia (1545-1552, 1553-1554, 1558-1559)[79] – o il maestro toscano che lavorò per la famiglia Wolphard di Cluj, o ancora Pietro Italus da Lugano, che prestò la sua opera a Bistriþa[80].

Ben più importanti gli architetti militari[81], tra cui Martino di Spazio, attivo a Timiºoara nel 1552; Alessandro da Urbino, chiamato in Transilvania nel 1552 ut passus et itinera versus Moldaviam et Vallachiam perspiciat; Antonio di Bufalo e Paolo da Mirandola ad Alba Iulia nel 1561; Andrea di Trevisano, che i documenti del 1554 ricordano

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come supremus magister supra caeteros magistros muratores ac lapicides in Transilvania; Francesco da Pozzo da Milano, anch’egli attivo nel 1554; Antonio da Spazio e Alessandro Cavallini; Cesare Baldigara a Satu Mare a partire dal 1559; Filippo Pigafetta; Domenico da Bologna, a Gherla; il veneziano Ottavio Baldigara ad Oradea nel 1584, e Simone Genga di Urbino nella stessa città tra il 1585 e il 1599; Achille Tarducci da Corinaldo; il bolognese Giovanni Marco Isolani nel 1598, e molti altri[82].

Nel corso dell’ètà medievale e premoderna, per la sua posizione geografica e per l’evoluzione storica del suo territorio, la regione carpato-danubiana svolse una funzione di “frontiera” tra l’Occidente romano-germanico – rappresentato dai regni d’Ungheria e, in parte, di Polonia, quindi dal Sacro Romano Impero retto dalla dinastia asburgica –, l’Oriente bizantino ortodosso, nelle sue forme greca e slava – con l’impero bizantino e i voivodati (principati) di Valacchia e Moldavia –, e il mondo musulmano –con l’Impero Ottomano in espansione verso l’Europa centrale.

In questo contesto, la Transilvania fu – e per certi versi continua ancor oggi ad essere – una “frontiera nella frontiera”, trovandosi da un lato parte integrante e confine orientale del Regno ungherese prima e dell’Impero Asburgico poi, dall’altro in comunicazione, oltre la catena dei Carpazi, col Commonwealth bizantino, palesato dai principati autonomi di Valacchia e Moldavia, quindi con la Dâr al-Islâm musulmana. Una frontiera fra tre mondi diversi, sulla quale gli incontri e gli scontri tra le diverse realtà politiche, economiche, sociali e culturali davano vita a suggestioni del tutto particolari[83].

I commercianti e gli uomini d’affari italiani parteciparono a questo “crogiolo culturale transilvano” ed anzi ebbero un ruolo non trascurabile nel collegare la regione intracarpatica – ma in modo indiretto anche quella extracarpatica – ad un più ampio “sistema europeo”, per tutto il periodo qui preso in esame, mettendo a frutto le loro notevoli capacità imprenditoriali e relazioni internazionali[84]. La “duttilità sociale” di questi Italici è dimostrata dal loro intuito, dalla loro capacità di adattamento alle nuove situazioni che si venivano man mano a creare in un ambiente in continua trasformazione, come fu quello transilvano; perché, se è vero che eventi come la Riforma e l’avanzata dell’Impero Ottomano ebbero conseguenze profonde sulla vitalità del sistema, questo non venne mai completamente meno, riconfigurandosi secondo i nuovi parametri politici, economici e sociali che si erano venuti a creare in rapporto proprio a quegli stessi avvenimenti.

 

 

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[1] Di sicuro aiuto ed orientamento, in una bibliografia amplissima, di cui sarebbe impossibile rendere conto, è il lavoro di Veronica Turcuº, Bibliografia istoricã româno-italianã (Bibliografie selectivã). Evoluþia publicaþiilor istorice româno-italiene pânã în 1996, Cluj-Napoca 1997; per parte ungherese, in lingua italiana: B. Hóman, Gli Angioini di Napoli in Ungheria (1290-1403), Roma 1938; D. Huszti, Mercanti italiani in Ungheria nel Medioevo, in “Corvina”, III, 1940, pp. 10-40, entrambi con ulteriore bibliografia.

[2] Samuel Goldenberg, Italieni ºi ragusani în viaþa economicã a Transilvaniei în secolul al XVI-lea, in “Studii. Revistã de istorie”, XVI, no. 3, 1963, pp. 591-619; Idem, Notizie del commercio italiano in Transilvania nel secolo XVI, in “Archivio Storico Italiano”, CXXI, no. 2, 1963, pp. 255-288 (essenzialmente una traduzione del precedente); George Lãzãrescu, Nicolae Stoicescu, Þarile Române ºi Italia pînã la 1600, Bucarest 1972, pp. 48-54, passim; Florina Ciure, Relaþii comerciale între Veneþia ºi Transilvania în secolul al XVI-lea, in “Studii ºi materiale de istorie medie”, XXII, 2004, pp. 225-248. Consideriamo espressione della storiografia romena anche i lavori degli studiosi romeno-sassoni, di lingua tedesca, comunque riguardanti solo in parte il tema qui affrontato: Gustav Gündisch, Die Oberschicht Hermannstadts im Mittelalter, in “Zeitschrift für Siebenbürgische Landeskunde”, IV, 1981, pp. 3-21 e, di recente pubblicato, come Idem, Patriciatul din Sibiu în Evul Mediu, in Transilvania ºi saºii ardeleni în istoriografie. Din publicaþiile Asociaþiei de Studii Transilvane din Heidelberg, Sibiu 2001, pp. 127-145, pp. 134-136; K. G. Gündisch, Das Patriziat siebenbürgischer Städte im Mittelalter, Colonia–Weimar–Vienna 1993, pp. 237-246, p. 283.

[3] Senza cadere in facili generalizzazioni, come si vedrà, il maggior numero di Italici presenti in Transilvania fu di origine fiorentina, quindi veneziana; i genovesi restarono più attivi in Valacchia e Moldavia, attraverso gli importanti scali commerciali del Mar Nero ed i porti di Chilia, Cetatea Albã e Brãila sulle foci del Danubio. Anche per la presenza di Genova nel Mar Nero e sul Danubio e i suoi rapporti con la Valacchia e la Moldavia la bibliografia è assai vasta; si segnala: I genovesi nel Mar Nero durante i secoli XIII e XIV. Atti del Colloquio romeno-italiano di Bucarest, 27-28 marzo 1975, Bucarest 1977, con contributi sull’argomento di importanti studiosi italiani (ad esempio Petti Balbi) e romeni (ªerban Papacostea); per una bibliografia aggiornata si veda V. Turcuº, op. cit., passim.

[4] Per un inquadramento generale della presenza italiana nel Regno d’Ungheria e nell’area carpato-danubiana in epoca medievale e moderna, ed i rapporti che con la Penisola intrattennero importanti figure quali Giovanni di Hunedoara, Mattia Corvino, Stefano Báthory, Stefano il Grande di Moldavia ed altri ancora, si veda G. Lãzãrescu, N. Stoicescu, op. cit., passim, con ulteriore bibliografia.

[5] In questo senso non si potranno prendere in considerazione proprio quegli Italici ricordati solo come tali, rimandando alle varie edizioni di fonti edite e citate nel corso del presente lavoro, sotto le voci Italicus ed altre collegate. Per i mercanti ragusei si veda S. Goldenberg, Notizie cit., pp. 275-288; per la figura di Pietro di Giovanni, importante commerciante raguseo della seconda metà del XVI secolo si veda Ibidem, pp. 283-288.

[6] G. Gündisch, Patriciatul cit., p. 134; K. G. Gündisch, op. cit., p. 241, nota 17.

[7] Filippo Scolari nacque nel 1369 a Tizzano, vicino Firenze, e morì a Lipova nel 1426. Giunse in Ungheria al seguito di un ricco mercante, Luca della Pecchia, che portava articoli di lusso alla corte arcivescovile di Esztergom/Strigonia, e qui fece buona impressione sull’alto prelato, che lo assunse come amministratore. Lo stesso re Sigismondo di Lussemburgo lo stimò molto, concedendogli il proprio favore ed affidandogli importanti incarichi, come appunto quello di conte di Timiºoara. Si distinse come abile comandante nella lotta contro gli Ottomani, ma anche come colto e fine mecenate, propagatore della cultura rinascimentale in Transilvania; sulla sua complessa figura si veda: G. Lãzãrescu, N. Stoicescu, op. cit., pp. 61-66; Ioan Haþegan, Banatul ºi începuturile luptei antiotomane (1389-1426). Rolul lui Filippo Scolari, in „Revista de istorie”, XXXI, no. 6, 1978, pp. 1031-1032; Idem, Filippo Scolari, un condotier italian pe meleaguri dunãrene, Timiºoara 1997, passim.

[8] Urkundenbuch zur Geschichte der Deutschen in Siebenbürgen (d’ora in poi sarà citato Urkundenbuch), vol. III, (1391-1415), Hermannstadt (Sibiu) 1902, doc. 1613, p. 460 (8 aprile 1408): “[…] Mathias Baldi civis civitatis Cybiniensis partis Transsilvanae, honorem seu officiolatum camerariatus salifodinae de Wyzakna [Ocna Sibiului], nostro scilicet et aliorum comitum salium regalium nostrorum ut puta antecessorum temporibus a dudum tenuit et servavit […]”.

[9] Ibidem: “[…] ut puta prius bonae memoriae Dorotheae filiae Jacobi senioris proconsulis, nunc autem laudabilis feminae Katharinae filiae piae recordationis Johannis iudiciis regii nunptis potiatur”. Da notare che un altro cognato di Matteo Baldi, che in una lista di una congregazione religiosa formata da persone sposate e chierici del capitolo di Sibiu (Kalandsbruderschaft) viene ricordato col nome di Jacob Schoren, figlio omonimo del già ricordato Jacob, nel 1419, alla morte del fiorentino, sposò la di lui vedova Katharina. Questo anche se, secondo il diritto canonico, come fratello della prima moglie di Matteo Baldi, di fatto Jacob era parente di Katharina, Cfr. G. Seiwert, Die Brüderschaft des heiligen Leichnams in Hermannstadt, in “Archiv des Vereins für Siebenbürgische Landeskunde”, nuova serie (d’ora in poi sarà citato AVSL), X, no. 3, 1872, pp. 314-360, p. 316; G. Gündisch, Patriciatul cit., p. 134.

[10] Urkundenbuch cit., vol. IV, 1416-1437, Hermannstadt (Sibiu) 1937, doc. 1874, pp. 116-117 (22 dicembre 1419); Cfr. G. Gündisch, Patriciatul cit., pp. 134-135.

[11] Urkundenbuch cit., vol. V, 1438-1457, Bucarest 1975, doc. 2335, pp. 25-26 (16 marzo 1439), doc. 2398, p. 69 (16 gennaio 1441), doc. 2403, pp. 73-74 (7 marzo 1441), doc. 2528, pp. 163-164 (6 febbraio 1446), doc. 2654, p. 260 (12 agosto 1448): “Papa Manin Italicus de Florencia, camerarius de Dees et Zeek, dicator de Zolnok inferior; in Dees residenti”.

[12] Urkundenbuch cit., vol. V, doc. 2398, p. 69 (16 gennaio 1441), doc. 2403, pp. 73-74 (7 marzo 1441): Johannes et Papa, camerarii Italici in Dees.

[13] Urkundenbuch cit., vol. VI, (1458-1473), Bucarest 1981, doc. 3139, pp. 27-28 (24 agosto 1458, Buda): “[…] Angelloni Italico de Florincia […]”.

[14] Urkundenbuch cit., vol. V, doc. 2655 pp. 260-261 (15 agosto 1448): “[…] Oduardo Italico, camerario […]”.

[15] Urkundenbuch cit., vol. VI, doc. 3753, pp. 425-426 (8 novembre 1469): “[…] Caspar Italicus […]”. L’inchiesta di Nagh scagionava completamente Stefano Literatus, indicando come responsabile proprio Caspar, mentre i quattro greci erano stati “complici inconsapevoli”.

[16] Urkundenbuch cit., vol. IV, doc. 2466, pp. 120-121 (29 settembre 1443): “Ego Christoferus Ytalicus, concivis Cybiniensis, camerarius monetarum magnifici viri Johannis de Hwnyad, vaivodae Transsiluani […]”. Non sappiamo se Cristoforo abbia avuto successo: non si sono conservate testimonianze circa l’avvenuta consegna; ad ogni modo è difficile pensare che Braºov, primo centro economico della Transilvania, abbia rinunciato così facilmente alla zecca.

[17] Urkundenbuch cit., vol. V, doc. 2550 pp. 175-176 (23 agosto 1446): “[…] Cristhophoro et Antonio Italicis de Florencia camarariis cusionis monetariorum et cimentariorum nostrorum de Cluswar […]”.

[18] Urkundenbuch cit., vol. V, doc. 3047, pp. 548-549 (30 ottobre 1456): “[…] Nicolai de Wagio et Cristoferi de Florencia italicorum camerariorum urburarium et cusionis monetarum nostrarum Cibiniensium […]”; Ibidem, doc. 3048, p. 549 (31 ottobre 1456): “Nicolao de Wagio et Cristoforo de Florencia Italici camerariis”.

[19] Urkundenbuch cit., vol. VI, doc. 3321, pp. 145-146 (24 aprile 1463), in cui Mattia Corvino comunicava alla città di Bistriþa l’introduzione della nuova monetazione, ordinandone l’immediata applicazione secondo le direttive di “[…] Cristophorus de Florencia, comes camerae nostrae Rivolidominarum [Baia Mare] […]”; Ibidem, doc. 3383, pp. 186-187 (12 giugno 1464), in cui Mattia Corvino chiede al fiorentino di consentire a Symon auricusor di Sibiu la vendita di una certa quantità di piombo acquistato; Ibidem, doc. 3621, pp. 341-342 (13 giugno 1468), dove il Consiglio cittadino di Baia Mare comunicava a quello di Sibiu che Cristoforo aveva dovuto rimandare il suo viaggio d’affari a Sibiu a causa dell’insicurezza regnante in Transilvania.

[20] Urkundenbuch cit., vol. V, doc. 2556, p. 179 (28 ottobre 1446), doc. 2562, p. 184 (22 dicembre 1446); Ibidem, vol. VI, doc. 3104, pp. 4-5 (7 febbraio 1458), doc. 3106, p. 6 (19 febbraio 1458), doc. 3107, p. 6 (3 marzo 1458).

[21] K. G. Gündisch, op. cit., pp. 243-244.

[22] Urkundenbuch cit., vol. VI, doc. 3671, p. 370 (18 gennaio 1469): “[…] dominus Cristoforus ipsam domum sub forma testamenti tribus pueris suis legavit. Si può facilmente dedurre che a questa data Cristoforo fosse deceduto. Nella stessa lettera Francesco proponeva a Nicola Aurifaber di prolungare il soggiorno della figlia Agnese a Cluj, giacché la ragazza desiderava imparare l’ungherese, senza preoccuparsi delle voci –assolutamente infondate– circa la presenza della peste in città, dove anzi “[…] homines antiqui moriuntur”.

[23] Urkundenbuch cit., vol. VI, doc. 3916, pp. 526-527 (1 giugno 1472): “Paulus, filius prudentis viri Cristoferi quondam Italicus de Florencia, civis de Riuulodominarum camerarii alias, […] et Barbarae sororis suae […]”. In questo documento Barbara compare anche come “coniugis […] circumspecti Francisci Italici, concivis civitatis Coluswar”: molto probabile un errore, a meno di non pensare alla presenza di un altro Francesco Italicus a Cluj, sposato con una figlia di Cristoforo, Cfr. K. G. Gündisch, op. cit., p. 244, nota 21, il quale, tuttavia, sebbene rilevi l’inesattezza riguardante Barbara come moglie di Francesco, sembra poi non distinguere tra la stessa Barbara e Margherita; probabilmente egli non tiene conto dell’informazione contenuta nella lettera –pur citata– del 18 gennaio 1469, in cui si ricorda che Cristoforo aveva lasciato la propria casa in eredità a tribus pueris suis (vale a dire, secondo quanto si evince dai documenti, Paolo, Barbara e Margherita), Cfr. Ibidem, nota 22 e nota 24.

[24] Urkundenbuch cit., vol. VII, (1474-1486), Bucarest 1991, doc. 4504, pp. 325-326 (6 settembre 1482): “[…] famosus Paulus Cristoferi Itali et honesta domina Margaretha soror eius […]”.

[25] Urkundenbuch cit., vol. V, doc. 3024, pp. 533-534 (3 giugno 1456): “Zanobia Italicus de Florentia”; Cfr. G. Gündisch, Patriciatul cit., p. 135, nota 45. Incerta è l’origine di questo Zanobio, che potrebbe appartenere alla famiglia dei Bardi (un Zanobio de Bardi è presente a Firenze nel 1414), quindi in rapporto al già ricordato Matteo, oppure essere un discendente di una delle altre famiglie fiorentine giunte in Ungheria a seguito degli Angiò (un Zanobio da Firenze è presente alla corte di Ludovico I il Grande nel 1373), problema che resta senza soluzione a causa della scarsità dei documenti conservati. Cfr. K. G. Gündisch, op. cit., p. 244.

[26] Quellen zur Geschichte der Stadt Hermannstadt (d’ora in poi sarà citato QGSH), vol. I, Rechnungen aus dem Archiv der Stadt Hermannstadt und der Sächsische Nation (c. 1380-1516), Hermannstadt (Sibiu) 1880, alle voci Proll ed altre collegate.

[27] Sulla figura di Nicola Proll si veda G. Gündisch, Die Grabsteine in der Ferula der ev. Stadtpfarrkirche in Hermannstadt, 2. Nikolaus Proll, in “Mitteilungen aus dem Baron Brukenthalischen Museum”, XII, 1947, pp. 15-17; QGSH, vol. III, Inschriften der Stadt Hermannstadt aus dem Mittelalter und der Frühen Neuzeit, Hermannstadt (Sibiu) 2002, pp. 26-27.

[28] QGSH, vol. I, pp. 162-164, p. 166, p. 178, p. 183: “Nicolaus Proll, iudex sedis Cibiniensis”; Ibidem, p. 167, p. 174, p. 196: “Nicolaus Zanobia, iudex sedis Cibiniensis”.

[29] QGSH, vol. I, p. 217, pp. 220-222, pp. 225-226, p. 228, p. 236, pp. 241-242, p. 251: “Nicolaus Proll camerarius, comes salium Transsilvanensis”.

[30] G. Seiwert, Chronologische Tafel der Hermannstädter Plebane, Oberbeamten und Notare. Erste Abtheilung von 1309 bis 1499, in AVSL, XII, no. 2, 1875, pp. 189-256, p. 213, le note 128-129: “Nicolaus Zanoby alias Proll, Magister Civium Cibiniensis”.

[31] K. G. Gündisch, op. cit., p. 245, nota 25.

[32] QGSH, vol. I, p. 178 (salnitro), p. 196 (coltelli), p. 284 (tessuti di varia provenienza), p. 288 e p. 301 (ancora coltelli), Cfr. G. Gündisch, Patriciatul cit., p. 136, nota 48.

[33] Ibidem, p. 136, nota 49; K. G. Gündisch, op. cit., p. 245.

[34] G. Gündisch, Patriciatul cit., p. 136.

[35] Le fonti lo ricordano come Raso, Razo, Rason, Rasso Wontemp o Vontempis, Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., p. 257, nota 12.

[36] Archivio di Stato di Braºov (d’ora in poi sarà citato ASB), Collezione Schnell, II, doc. 36 (27 novembre 1502); nello stesso documento è ricordato anche “Anthonium concivem florentinum, socium antedicti Rasonis”.

[37] QGSH, vol. I, p. 442: “Pro cambio trecentorum flor., quos anno praeterito idem dominus Jacobus Budae a Razone Italo mutuo acceperat, in auro restituendorum puta quorum ducenti ad solutionem census sancti Martini centum vero ad expensas devenerunt, assignavit […] flor. 15, den.0” (12 aprile-16 dicembre 1506). È ragionevole pensare che in tale periodo egli sia rimasto comunque attivo, Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., p. 258, che non rileva questa notizia del 1506, ma direttamente quelle del novembre 1507, Cfr. Ibidem, le note 38-39.

[38] QGSH, vol. I, p. 474: “Eodem die expedivit dominus magister civium ad rationem census ordinari beati Martini episcopi familiari Razonis Itali Budensis super ipsius deputatione per dominum thesaurarium facta […] flor. 500, den. 0” (25 novembre 1507).

[39] ASB, Collezione Schnell, II, doc. 41 (26 novembre 1507); si noti che Hans Schyrmer era suocero di Pietro Haller, della grande famiglia di commercianti di Transilvania; in proposito si veda S. Goldenberg, Hallerii. Un capitol din istoria comerþului ºi al capitalului comercial din Transilvania în sec. XVI, in “Studii. Revistã de istorie”, XI, no. 5, 1958, pp. 89-116.

[40] Archivio di Stato di Cluj-Napoca (d’ora in poi sarà citato ASC), fondo Archivio di Bistriþa (d’ora in poi sarà citato AB), no. 71 (20 gennaio 1508), Cfr. A. Berger, Urkunden-Regesten aus dem Archiv der Stadt Bistritz in Siebenbürgen (1203-1570), vol. I-III, Colonia–Weimar–Vienna 1986-1995 (d’ora in poi sarà citato Urkunden-Regesten), doc. 483.

[41] QGSH, vol. I, p. 512: “Dominus magister civium ad rationem restantiarum solutionis ultimi subsidii anno proxime elapso regiae maiestati per universos Saxones oblati ut puta 20000 flor. expedivit Razoni mercatori Florentino aliisque, quibus deputationes factae sunt, in una summa […] flor. 3963, den. 20” (18 aprile 1508). Nel luglio successivo si ha notizia di un nuovo pagamento, si veda Ibidem, p. 521: “Assignavit dominus magister civium pro superadditione flor. 75, quo commodo super aurum a quodam homine in solutionem Razonis Itali cepit […] flor. 5, den. 25/ Iterum ei, qui flor. 20 ad eandem solutionem accomodavit, assignavit […] flor. 1 den. 60” (31 luglio 1508).

[42] ASC, AB, doc. 291 (8-9 maggio 1509) e doc. 293 (10 giugno 1509); Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 510 e doc. 512.

[43] ASC, AB, doc. 297 (25-29 ottobre 1509); Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 518.

[44] Ibidem, doc. 522.

[45] Archivio di Stato di Sibiu (d’ora in poi sarà citato ASS), Collezione Post., L 58, doc. 157 (24 gennaio 1512).

[46] Quellen zur Geschichte der Stadt Kronstadt (d’ora in poi sarà citato QGSK), vol. I, Rechnungen aus 1503-1526, Kronstadt (Braºov) 1886, p. 197: “Item civitas dedit feria quinta proxima ante festum natalis domino Johanni Benckner, eo tempore iudici, flor. 50 ad solutionem census futuri beati Martini episcopi, super litteras Rasonis mercatoris Florentini, cui praescripti pro illo censu beati Martini in flor. 650, summas habemus super illis 50 flor. datis. Quittantias eiusdem Rasonis ad futurum annum pertinentur” (23 dicembre 1512).

[47] ASC, AB. Conti della città di Bistriþa, IV/a, doc. 13 (1512): “Domino Rasoni mercatori florentino intuitu honoris in vino, piscibus et avena […] fl. 0, d. 74”.

[48] ASC, AB, doc. 337 (4 marzo 1514): Paulus de Warda, vicetesoriere regio, scriveva al Consiglio cittadino di Bistriþa, ricordando espressamente gli ordini del re per cui il censo di San Martino “ad manum Rasonis mercatoris florentini dare nuper vobis mandaverat. Nunc etiam non obstante literis ipsis in personam prefati Rasonis datis, iuxta priora scripta et mandata sua ad manus dicti Felicis [mercatori florentino] vobis integraliter dare commisit”; Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 579. Da notare che già in una lettera di credito di Vladislao II alla città di Braºov in favore dello stesso Felice, datata 6 ottobre 1513 (Cfr. Ibidem, nota 51), questi era ricordato come mercatori florentino, come in quest’atto del 4 marzo 1514, mentre nel successivo documento del 28 marzo 1514 è detto veneziano (Cfr. Ibidem, nota 49). Che si tratti di due mercanti diversi? Crediamo improbabile l’ipotesi, dato che questa rimane l’unica menzione di Felice come veneziano, mentre tutte le altre restano legate alla sua origine toscana. La presenza e l’attività di un mercante veneziano in Transilvania avrebbero certo lasciato maggiori tracce, per lo meno simili a quelle degli altri operatori finanziari attivi nella regione; più probabile quindi una confusione del notaio cittadino di Bistriþa, Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., pp. 259-260, nota 27.

[49] ASC, AB, doc. 339 (28 marzo 1514); Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 581.

[50] ASC, AB. Conti della città di Bistriþa, IV/a, doc. 17 (1518-1519), con più riferimenti, Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., p. 260, le note 29-30. Sull’attività finanziaria di Rasone in Tansilvania, la documentazione d’archivio è comunque assai scarsa: si conserva memoria di operazioni per un totale di più di 24.000 fiorini, ma certo tale somma deve considerarsi per difetto, Cfr. Ibidem, p. 260.

[51] ASB, Privilegi, doc. 302 (6 ottobre 1513).

[52] ASC, AB, doc. 355 (8 maggio 1515); Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 604.

[53] ASC, AB, doc. 364 (16 ottobre 1515); Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 611 e doc. 612; S. Goldenberg, Notizie cit., p. 260, nota 34, con la somma errata di 200 fiorini, corretta però in Idem, Italieni ºi ragusani cit., pp. 595-596, nota 1.

[54] ASC, AB. Conti della città di Bistriþa, IV/a, doc. 17 (1518-1519).

[55] I documenti lo ricordano come Petrus Martellinus, Petrus Mortallini, Petrus Pytis alias Mortalin, Cfr. supra, le note 45 e 56.

[56] ASC, AB, doc. 362 (6 agosto 1515); Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 610. Ma già in una lettera dell’anno precedente di Vladislao II al Consiglio di Bistriþa Pietro compare come creditore del re, col nome –si noti– di “Petrus Pytis alias Mortalin”, Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 582 (2 aprile 1514). Negli anni successivi Pietro Martellini giunse di persona anche a Braºov, sempre per la riscossione dei tributi del censo di San Martino, si veda QGSK, vol. I, p. 260 (25 gennaio 1520), p. 268: “Item Petro Martelli nuntio regio, qui venerat pro repetenda taxa regia, vinum et malvaticum dono datum (et 2 cubulos avenae) pro […] asp. 12” (3 maggio 1520), p. 285 (18 ottobre 1520).

[57] Eudoxiu di Hurmuzaki, Documente privitoare la istoria românilor, vol. XV/1, Acte ºi scrisori ardelene din Bisþrita, Braºov, Sibiu (1358-1600), Bucarest 1911, pp. 225-226 (1 gennaio 1514).

[58] Cfr. supra, nota 36.

[59] QGSH, vol. I, p. 471: “Sabbato ante Mathei misso famulo cum famulo Anthonii Itali Veneti de Buda ad Bistriciam in facto deputationum ex censu sancti Martini et cetera, expensae […] flor. 1, den. 0” (18 settembre 1507).

[60] ASS, Doc. Lit., L 16, lettera no. 489 (18 dicembre 1513), Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., p. 261, nota 41.

[61] Notizia nel resoconto di viaggio di Pierre Lescalopier nei Paesi Romeni del 1574, Cfr. Cãlãtori strãini despre Þãrile Române, vol. II, (1551-1583), a cura di Maria Holban (curatrice coordinatrice), Maria Matilda Alexandrescu–Dersca Bulgaru, Paul Cernovodeanu, Bucarest 1970, p. 436, Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., p. 261, nota 42 e F. Ciure, op. cit., p. 236.

[62] La bibliografia sull’argomento è praticamente sconfinata: Cfr. V. Turcuº, op. cit., passim; per un quadro generale circa l’evoluzione delle relazioni economiche e le vie di commercio che univano i tre Paesi carpatici all’Ungheria e all’Occidente nonché all’Oriente si possono in particolare vedere, tutti con ulteriore e più ampia bibliografia: Radu Manolescu, Comerþul Þarii Româneºti ºi Moldovei cu Braºovul (sec. XIV-XVI), Bucarest 1965; Zsigmont Pal Pach, Levantine trade and Hungary in Middle Ages, Budapest 1975; Idem, The Transylvanian route of Levantine Trade at the turn of the 15th and 16th centuries, Budapest 1980; Gheorghe I. Brãtianu, Marea Neagrã. De la origini pînã la cucerirea otomanã, 2a edizione, Iaºi 1999. Con particolare riferimento alle relazioni con l’Italia si veda D. Huszti, op. cit., passim; S. Goldenberg, Notizie cit., passim; Idem, Italieni ºi ragusani cit., passim; G. Lãzãrescu, N. Stoicescu, op. cit., passim; ci sia consentito di rimandare anche ad Andrea Fara, Istituzioni politiche e vita economica su una frontiera dell’Europa medievale. I Sassoni di Transilvania dal XII al XVI secolo, Tesi di dottorato di ricerca, in fase di compimento presso l’Università degli Studi di Pisa.

[63] QGSH, vol. I, p. 287: “Item Ytalici domini videlicet Johannes cum suo socio Ieronimo de Tergouistÿa exportavit schamlot pecias 4, solvit […] flor. 0, den. 50” (12 maggio 1500). Interessante notare, nel caso in cui anche Geronimo sia di origine italiana, come questi sembri avere una presenza stabile in territorio valacco, Cfr. supra, nota 54.

[64] QGSH, vol. I, p. 470: “Missis litteris ad Bistriciam convocationalibus ad mandata regia super facto litis Jeronimi Itali erga Brassouienses et cetera […] flor. 1, den. 0. / Missis et ad Brassouiam in eodem facto expensae […] flor. 1, den. 0. / Missis iterum ad sedes in eodem facto flor. 1, den. 0” (12 agosto 1507); “Eodem die misso famulo ad Brassouiam cum litteris dominorum in facto Italici Jeronimi ratione satisfactionis iudiciariae deliberationis factae, expensae […] flor. 0, den. 75” (6 settembre 1507); il coinvolgimento dei cittadini di due delle più importanti città transilvane è certo prova dell’ampiezza degli interessi dei mercanti di origine italiana nella regione.

[65] QGSH, vol. I, p. 520: “Georgio Italo pro una sella […] flor. 0, den. 70” (25 luglio 1509).

[66] E. di Hurmuzaki, Documente cit., vol. XV/1, p. 248: “Vincencius Italus, gener Jacobi Itali” (10 settembre 1520). Se il principe di Moldavia si rivolse al Consiglio di Braºov è lecito supporre che l’italiano si fosse stabilito –o quanto meno frequentasse in modo assiduo– la città sassone. Del Vincenzo risulta attivo a Braºov ancora l’anno successivo: QGSK, vol. I, p. 367: “Item expensas Lerde Janosch ad vicewaywodam cum litteris ex parte Itali Vincentii etc. […] asp. 25” (26 novembre 1521), p. 368: “Item Lerdi Janos pro salario ad Fogaras per 3 dies et ad dominum vicewaywodam per 7 dies ex parte Vincentii Itali etc. […] asp. 40” (5 dicembre 1521), Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., p. 262.

[67] QGSK, vol. I, p. 343: “Item illis qui custodias tenuerunt apud Italum Michaelem de Braÿla per 4 dies […] asp. 16” (22 giugno 1521); all’inizio del secolo i registri di Braºov ricordano la presenza di un altro mercante proveniente da Brãila, di cui sfortunatamente non è specificata l’origine –ma non si dimentichi che nel porto danubiano soggiornò a lungo una cospicua colonia genovese– Ibidem, p. 21: “Item Roma de Brayla importavit pro flor. 27 […] solvit flor. 1 asp. 17” (16 luglio 1503).

[68] QGSK, vol. II, Rechnungen aus 1526-1540, Kronstadt (Braºov) 1889, p. 416: Item in vespera Mariae Magdalenae uni Valacho qui cum literis a Radul waywoda ex parte bonorum Joannis Dylansy Italici huc venit misi tribus vicibus panes, cancros et novem octoalia vini facit […] asp. 34 den. 1 (22 luglio 1535), p. 417: Item eodem die uno Valacho qui secundario a Radwll waywoda venit ratione bonorum parvi Itali Joannis Dylansy, quae apud Gregorium pictorem fuerunt, ei misi bina vice dono panes, poligrana uzonum et sex octoalia vini facit […] asp.20 (13 agosto 1535).

[69] Citato in Idem, Italieni ºi ragusani cit., p. 597, nota 8.

[70] ASC, AB, doc. 35 (28 settembre 1563): “Petrus Franciscus Perusinus Mediolanensis”; Cfr. Urkunden-Regesten cit., doc. 2839 e doc. 2840.

[71] Archivio di Stato di Baia Mare, fondo I, doc. 3 (1 settembre 1604): “Gaspar Mazsa negotiator italus” che risulta in causa con Gerhard Lyssibona, mercante di Cracovia, per un debito di 6.000 scudi; Gaspare Mazza fu attivo nei Principati Romeni a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, in veste di rappresentante e agente di alcuni facoltosi mercanti veneziani residenti a Costantinopoli oppure impegnandosi in proprio nei traffici mercantili tra l’area danubiana, Costantinopoli e Venezia, Cfr. Cristian Luca, Veneziani, Levantini e Romeni fra prassi politiche e interessi mercantili nell’Europa Sud–Orientale tra Cinque e Seicento, in Romania e Románia: lingua e cultura romena di fronte all’Occidente, a cura di Teresa Ferro, Udine 2003, p. 247 e doc. VI, p. 258.

[72] S. Goldenberg, Notizie cit., pp. 263-264.

[73] Sul traffico di bestiame tra i Paesi Danubiani e Italia, in particolare Venezia, e gli itinerari comunemente percorsi, si veda Ibidem, pp. 264-267, Cfr. supra, nota 62; F. Ciure, op. cit., p. 231, pp. 238-240.

[74] Ma molti erano anche i transilvani che, impegnati in ambiti assai diversi, si recavano in Germania e in Italia, in particolare Venezia, con l’idea di “imparare il mestiere” o perfezionare la propria arte: le fonti ricordano vetrai, monetieri, tipografi, pannaioli, architetti, ecc., si veda S. Goldenberg, Notizie cit., passim.

[75] ASB, Collezione Fronius, I, doc. 326 (3 agosto 1573): “Moresinus Italus […] ad vitreanos pro confectione quorundam vitrorum”. Il Morosini è presente nella stessa Braºov negli anni 1573-1574, Cfr. E. di Hurmuzaki, Documente cit., vol. XV/1, p. 810 e p. 812; F. Ciure, op. cit., p. 242.

[76] ASS, Doc. Lit., L 28, lettera no. 1368/a (13 febbraio 1593): “Stephanus de Petro tinctor et praefectus pannificum italorum”, che riceve dallo iudex Albert Huet 240 fiorini “ratione expensarum et debitorum Cibinii causa texturae panni contractorum et redemptionem pannorum quorundas oppignoratorum”. Maestri italiani erano attivi nella stessa Braºov, Cfr. S. Goldenberg, Notizie cit., p. 273. La lana utilizzata di solito proveniva dalla Valacchia o dalla Moldavia; sull’argomento, si veda Idem, Commercio, produzione e consumo dei panni di lana nei paesi romeni (secoli XIV-XVII), in Produzione, commercio e consumo dei panni di lana. Atti della Seconda Settimana di Studio, 10-16 aprile 1970, Istituto Internazionale di Storia Economica “Francesco Datini” di Prato, Firenze 1976, pp. 633-648.

[77] A Braºov questa piccola “società imprenditrice” lavorò alla costruzione dei bagni e dei bastioni cittadini. QGSK, vol. III, Rechnungen aus (1475) 1541-1550 (1571), Kronstadt (Braºov) 1896, p. 257: “Italo architecto vulgo Pallyer fl. 20; Lucae Italo cum illo Italo Cibinium misso exp. fl. 3; exp. et merc. de equis, quibus idem Italus est ductum Cibinium fl. 3; eidem Italo pro victualibus apud Joannem Kemmell fl. 5 asp. 32½; eidem, quamdiu hic fuit, 95 oct. vini fl.2 asp. 43; Lucae lapicidae Italo, qui continuo apud hunc Italum fuit et etiam Cibinium, 33 diebus merc., 1 die asp. 4, facit fl. 2 asp. 32” (2 febbraio 1545), p. 267: “Joanni mensatori solvi pro lignea Bastya, quam Italus Pallyr dictus parari fecerat, fl. 1 asp. 10” (18 maggio 1545), p. 412: “Lucas Italus lapicida paravit vulgo ein dyr Gered hat gehawen”(24 marzo 1547), p. 454: “Lucae Italo lapicidae qui stubam balnei superiorem lapidibus quadratis stravit ac scamna lapidea fecit et alia multa ibidem laboravit, merc. ex conjunctione […] 50 fl. / Lucas Italus per dies 4 laboravit in vulgo Kazten meliorando” (27 agosto 1548), p. 462: “Lucae Italo qui paravit vulgo 2 Gesems yber dy Laden an dem Schweys Owen, asp. 40” (1 settembre 1548).

[78] QGSK, vol. II, p. 545: Lucas Italus murator risulta al servizio della città assieme ad altri (24 dicembre 1538).

[79] QGSK, vol. III, p. 441: “Ipso die Bartholomei venit Lucas Italus in Campolongo habitans, fam. Myrche wayw., cum Ztoyka Dobromyr ex Adrianopoli suntque profecti ad d. thesaurarium. Ipsi Lucae misi dono quater Lebensmittel, darunter ova piscium, für asp. 46” (24 agosto 1548). Luca sembra avere anche un ruolo di collegamento, risultando spesso latore di missive e merci (ovviamente in quantitativi ridotti) da e per la Valacchia, Cfr. Ibidem, p. 442: “Eodem die venerunt a d. thesaurarium Lucas Italus et Ztokya Dobromyr; Lucae misit dono bis Lebensmittel für asp. 21 und 2 ligaturas bonorum cultellorum et 1 pileum fl. 1 asp. 7” (5 settembre 1548), p. 443: “Eodem die venit Lucas Italus a Mÿrche wayw. cum litteris Ladislao Ewdenflÿ, Paulo Bannk et Joanni Glesan sonantibus optavitque, ut popam nostrorum Bulgarorum Thomam secum illuc mitteremus, cui misi dono Lebensmittel bis für asp. 25” (12 settembre 1548), pp. 444-445: “Joannes Tot cum litteris ad d. thesaurarium missus abduxit hinc ad d. thesaurarium Turcam illum, quae Myrche wayw. cum Luca Italo huc miserat. Turcae dedi in exp. fl. 1; Martinus Bogner exposuit in Turcam asp. 20; Joanni Tot exp. fl. 5” (23 settembre 1548). Da notare che in questo stesso periodo Luca lavora e compare come stipendiato nel libro paga della città di Braºov, Cfr. supra, nota 77, documenti del 27 agosto 1548 e dell’1 settembre 1548.

[80] Stefan Wolphardus di Cluj aveva studiato a Padova, riportando con sé diversi muratori e uno scultore toscano per la costruzione della propria casa: G. Lãzãrescu, N. Stoicescu, op. cit., p. 202-203. Sulla figura e l’opera di Pietro da Lugano, si veda Gheorghe Mãndrescu, Activitatea lui Petrus Italus de Lugano, in “Acta Musei Napocensis”, XVI, 1979, pp. 225-234.

[81] Sulla presenza di alcuni architetti e costruttori italiani, e in genere di altri vari Italici, in Transilvania del Cinque–Seicento si veda anche il recente articolo di Iacob Mârza, Zevedei–Ioan Draghiþã, Italiani ad Alba Iulia nell’epoca del Principato autonomo di Transilvania (1541-1691), in L’Italia e l’Europa Centro–Orientale attraverso i secoli. Miscellanea di studi di storia politico-diplomatica, economica e dei rapporti culturali, a cura di Cr. Luca, Gianluca Masi e Andrea Piccardi, Brãila–Venezia 2004, pp. 147-157.

[82] S. Goldenberg, Notizie cit., pp. 274-275; G. Lãzãrescu, N. Stoicescu, op. cit., pp. 53-54, pp. 200-207, con altri esempi, anche in ambiti quali la pittura e la musica.

[83] Cesare Alzati, Le terre romene frontiera e mediazione di sistemi diversi, in Idem, Lo spazio romeno tra frontiera e integrazione in età medioevale e moderna (Piccola Biblioteca Gisem, 16), Pisa 2002, pp. 55-68.

[84] G. Rossetti, Lo spazio carpato-danubiano e il «sistema Europa» dei secoli XI-XVI: una frontiera complessa, prefazione a C. Alzati, op. cit., pp. 7-12.