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p. 133

La figura di Stefano il Grande nella Descriptio Moldaviae di Dimitrie Cantemir

 

 

Teresa  Ferro,

Università degli Studi di Udine

 

Personaggio straordinario che aveva suscitato l’ammirazione di papi, principi, storici e cronisti nell’epoca a lui contemporanea[1], Stefano il Grande rimaneva un ricordo vivo e un esempio celebrato di eroismo e di giustizia ancora a più di due secoli dalla morte nell’opera dei grandi intellettuali moldavi della prima metà del Settecento. Se, infatti, il cronista Grigore Ureche aveva dedicato capitoli sostanziali del suo Letopiseþ alla figura di questo principe[2], gli altri storici più tardi – Ion Neculce, ma soprattutto Dimitrie Cantemir, di cui qui specialmente ci occupiamo – fecero anch’essi ricorso a piene mani alle gesta di Stefano e all’epopea romena della lotta contro i turchi, ma per servirsene, implicitamente, per altre dimostrazioni. Nella loro opera la figura del principe-soldato è depositaria di valori che vanno oltre il patriottismo e l’odio per il Turco. Come si sa, infatti, il personaggio dell’eroe moldavo è chiamato a svolgere un’altra funzione più organica alla visione storico-politica di questi eruditi: Stefano il Grande è soprattutto il simbolo della monarchia forte e autoritaria che essi vagheggiano come rimedio alla precarietà attuale del potere del sovrano e nella quale vedono l’unica possibilità di sfuggire al controllo ottomano[3]. Questi concetti – senza essere troppo evidenti ed esplicitamente propagandati – sono specialmente sviluppati nella Descriptio Moldaviae di Dimitrie Cantemir. Dunque, ci soffermeremo su questo lavoro della maturità del voivoda moldavo in esilio, cercando di mettere in evidenza le tecniche e le strategie stilistiche attraverso cui il principe-letterato lascia filtrare il suo messaggio[4].

Nell’operetta di Cantemir, che fra l’altro appare particolarmente significativa perché composta tra il 1714 e il 1716 su richiesta dell’Accademia di Berlino e redatta in

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latino per essere destinata ad un pubblico di eruditi stranieri[5], Stefano, tra i molti citati, è il personaggio storico di cui più sovente l’autore fa menzione: il suo nome, infatti, ricorre in ben 20 lunghi passi. Questa circostanza diventa abbastanza significativa nell’economia dell’intera composizione, se si considera che le altre figure storiche ricordate dall’autore sono citate per brevi rimandi e ciascuna solamente in uno o due passi. Tra i personaggi cronologicamente anteriori a Stefano, per esempio, solo Alessandro il Buono (1400-1432) gode di ben tre citazioni, tutte e tre (pp. 44, 49, 86), però, solo relative ad un preciso avvenimento, per altro, molto confuso: il conferimento del titolo di “despota” e della corona di sovrano da parte di Giovanni Paleologo per la partecipazione al Concilio di Firenze, in difesa della “legge di Dio”[6]. Ad essere citati più di una volta sono soltanto l’imperatore Traiano e i due fondatori del Principato, Dragoº e Bogdan, mentre un solo rimando è riservato a tutti gli altri sovrani, compresi il re Decebalo e l’imperatore Adriano (entrambi a p. 29 dell’edizione citata). Tra i personaggi posteriori a Stefano, e per i quali quindi Cantemir avrebbe avuto a disposizione notizie più dettagliate, il primato, per così dire, è detenuto dal principe Vasile Lupu (1634-1653), il cui nome ricorre in tre passi (pp. 111, 125, 159), dove si ricordano la cura che questo voivoda ebbe nel far mettere le leggi per iscritto e le sue preoccupazioni per l’innalzamento del livello culturale del Paese. Gli altri sovrani, Petru ªchiopul (1574-1579 e 1582-1591), Despot vodã (1561-1563) ecc., appaiono ricordati nell’opera una sola volta e per fatti e accadimenti poco significativi. Perfino Constantin Cantemir, padre dell’autore e principe di Moldavia dal 1685 al 1693, è menzionato con molta parsimonia in tre sole occasioni (pp. 19, 81, 171)[7]. Dunque, è evidente che Stefano gode nell’opera di Cantemir di una attenzione per lo meno inconsueta. Ciò che merita di essere rilevato, inoltre, è il fatto che i numerosi rimandi al voivoda, diretti o indiretti (cioè quelli riguardanti persone o fatti a lui legati) non sono solo altamente positivi e carichi di sobria ammirazione, ma sono soprattutto ampiamente articolati, per altro in un’opera stringata e che evita accuratamente ogni digressione. Essi, inoltre, sono strutturati in modo tale da suggerire un agevole secondo livello di lettura, come cercheremo di dimostrare in quello che segue.

Il principe Stefano compare fino dall’inizio dell’opera, e cioè in apertura del secondo capitolo della parte geografica, dove si descrivono i confini della Moldavia (pp. 9-12). Già dalle prime battute l’autore suggerisce l’idea che, nella sua visione, la storia del Principato si articoli tra ciò che è avvenuto prima di Stefano e ciò che è avvenuto dopo di lui: il lungo governo del voivoda è uno spartiacque tra un ante quem e un post quem, tra una sorta di età privilegiata e di progresso, e una di crescente decadenza che

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sarebbe sfociata, infine, nella “barbarie” dei tempi in cui l’autore vive. Nel passo al quale ci riferiamo, Stefano è colui che ha dato al Paese la configurazione geo-politica, esistente ancora all’epoca di Cantemir (p. 10): “La Moldavia – dice semplicemente il principe-scrittore – non ha avuto sempre gli stessi confini: la sua estensione è stata ora maggiore ora minore, a seconda dello stato di benessere o di decadenza del Paese”. E poi aggiunge seccamente, senza alcun ornamento e con stile icastico[8]: “Il principe Stefano detto il grande, le ha dato i confini che oggi abbiamo”. L’autore non dice “i confini che ha”, ma preferisce dire “che abbiamo”, stabilendo così un più stretto legame di partecipazione emotiva tra se stesso, il Paese e la sua storia[9].

Per meglio definire l’atteggiamento di Cantemir nei confronti del suo personaggio è utile anche il passo successivo a quello ora riportato: “Verso mezzogiorno i suoi confini sono sempre stati sul Danubio, il più grande fiume d’Europa, e più avanti fino alle bocche con cui esso versa le sue acque nel Mar Nero, vicino a Chilia, chiamata anticamente Lycostom. Ad oriente, in tempi antichissimi si stendeva fino al Mar Nero, ma in tempi più recenti, quando i turchi hanno conquistato con le armi la Bessarabia e Tighina, i confini si sono ristretti in questa parte” (p.10). Come è evidente, l’autore preferisce tacere della rovinosa perdita di Chilia da parte di Stefano nel 1484[10] e ciò appare in netto contrasto con i molti dettagli che invece egli decide di offrire al lettore appena più avanti dove, trattando degli altri fines, ricorda con dovizia di particolari sia la conquista della regione vicina alla Podolia, tra i fiumi Ceremus, Colacin, Nistru[11], sia l’allargamento della Moldavia verso ovest, a spese dei possedimenti transilvani. Cito solo il secondo brano (11): “Verso occidente la Moldavia è ai nostri giorni molto più estesa di un tempo. Infatti prima di Stefano il Grande, i monti che la circondavano dipendevano dalla Transilvania e il Paese era meno esteso in questa parte. Ma poiché, grazie al valore di questo principe, il re d’Ungheria, Matteo, fu sconfitto più volte e i transilvani furono costretti a ritirarsi, essi si videro obbligati a cercare nei trattati il modo di sfuggire a sofferenze ancora più grandi”. Il riferimento qui è alla battaglia di Baia (1467), dalla quale il re ungherese riuscì a stento

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a salvare la vita, e agli altri attacchi immediatamente successivi dei moldavi nei territori transilvani[12].

Non ritenendo sufficiente l’amplificazione data fin qui alla figura di Stefano, Cantemir di seguito precisa: “Secondo le condizioni di pace fissate nei trattati, gli ungheresi cedettero tutte le montagne che dividono le due province e stabilirono che queste contrade situate tra i fiumi che si versano nelle acque del fiume Moldova fossero sottomesse al dominio moldavo […]. Prima di questi avvenimenti il Siret e il Trotuº erano considerati i confini verso la Valacchia ma dopo – e qui ribadisce ancora una volta – proprio grazie al valore di Stefano il Grande, la regione di Putna fu annessa alla Moldavia, così che oggi il confine è sui fiumi Milcov e Siret” (p. 11)[13].

Sull’estensione dei confini all’epoca di Stefano, Dimitrie Cantemir ritorna ancora nel primo capitolo della seconda sezione dell’opera – la parte politica – dove, con un efficace stratagemma, preferisce far parlare lo storico Jan D³ugosz (1415-1480), riportando in nota il celebre passo in cui il polacco, contemporaneo di Stefano, scriveva: “O che magnifico principe, così grande che nell’epoca nostra è stato il primo tra i principi della terra che si è guadagnato una vittoria tanto splendida sui turchi. Ritengo che esso sia il più valoroso e che per questo gli si debba affidare il comando e il dominio nel mondo intero e soprattutto che egli sia posto a capo delle truppe mandate a combattere i turchi, con il consenso e il credito di tutta la cristianità, dato che gli altri principi e re cristiani sono divisi da lotte, ambizioni di potere o guerre intestine” (p. 44). E mentre Cantemir non trascura di segnalare che presso lo stesso storico ricorrono molti altri passi in lode di Stefano (p. 44)[14], noi non possiamo fare a meno di osservare il riferimento eloquente alla discordia perniciosa che consumava le corti europee e dalla quale, evidentemente nella visione di D³ugosz, ma anche di Cantemir, la Moldavia di Stefano era immune.

Si direbbe, dunque, che Dimitrie Cantemir non si lasci sfuggire alcuna occasione per ricordare il valore del grande sovrano, in qualche caso anche tacendo ciò che non conviene riportare alla memoria. Così, ancora nella parte geografica, nello stesso secondo capitolo riguardante i confini del Paese, cita Orichovius (1552), “uno scrittore polacco, degno di credito” come egli stesso afferma (p. 11), laddove l’umanista aveva scritto: “Questi [i moldavi] sono così valorosi che hanno lottato e vinto con nemici di ogni dove. E Stefano che è stato signore in Dacia ai tempi dei nostri avi, ha sconfitto quasi nella stessa estate,

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con una guerra molto dura, il turco Baiazid, Matteo d’Ungheria, Giovanni Alberto di Polonia[15]; e segue l’amaro commento di Cantemir: “ma poi, quando il Paese cadde in mano turca esso non ebbe più guerre da combattere, se non quelle intraprese dai turchi, dato che da allora in poi essi ebbero gli stessi amici e gli stessi nemici” (p. 11).

Il comportamento di Stefano il Grande nei confronti dei turchi nell’ultima sua fase di governo e, soprattutto, il testamento politico lasciato al figlio Bogdan (1504-1517) comprendente la raccomandazione di mettere la Moldavia sotto la protezione dei turchi[16], è una questione che, nell’ottica di Cantemir, deve essere affrontata con logica determinazione per fugare ogni dubbio sulla figura dell’eroe. Il cedimento di Bogdan ai turchi sarebbe stato consigliato dal padre sul letto di morte. Cantemir non può negare questo importante dettaglio che nell’epoca sua è divenuto comune convinzione[17], ma ne attenua la portata lasciando un’ombra di dubbio: “come si dice” scrive Cantemir nel capitolo XIV della parte politica, intendendo sottolineare con questo che non vi è un documento scritto che consegni le prove della decisione di Stefano. Ma, al di là di questo, lo storico prepara lungamente il lettore nel passo precedente dove, trattando dei principi moldavi del passato che in diverse circostanze avrebbero pagato un tributo ai turchi, “come dicono le antiche cronache” – e anche qui appare molto prudente –, commenta come segue: “i nostri più saggi signori, avendo la possibilità di riscattare con il denaro le sofferenze, seguendo in questo atteggiamento l’esempio del senato veneziano, tanto celebrato per la saggezza del suo comportamento politico, più volentieri hanno lasciato che soffrisse la borsa piuttosto che il Paese e i sudditi” (p. 12), quindi citando abilmente tra le righe anche un esempio illustre, quello della Serenissima, che con il nemico era venuta a patti proprio nell’epoca di Stefano e, in qualche modo, a danno dei suoi progetti[18].

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Date queste premesse, la sottomissione di Bogdan ai turchi, alla quale Cantemir ha più volte dovuto far cenno[19], assume il carattere della soluzione dettata da ragion di stato, della necessità politica e strategica, intravista saggiamente dallo stesso Stefano e da lui suggerita e autorizzata. Ma la sottomissione ai turchi fu più il riconoscimento della loro amicizia e protezione, che il pagamento di un vero e proprio tributo, dice Cantemir qui e in altri luoghi (p. 45), specificando nei dettagli le condizioni del patto, anche quelle economiche, perché il lettore potesse vedere quanto fossero poca cosa rispetto alle pretese della Porta nelle epoche successive[20]. Anzi lo storico precisa: “Questi patti furono mantenuti per circa un secolo, dato che i turchi, lieti di aver posto il cappio alla fiera moldava, non osavano stringere ulteriormente la corda nel timore che essa si spezzasse[21]. E conclude :“la signoria di Stefano il Grande è stata un’epoca decisiva per la Moldavia, l’epoca in cui essa ha cessato di progredire ed è cominciato il suo declino […] E tuttavia è rimasta una traccia dell’antica grandezza” (p. 44).

Salvare la figura del figlio di Stefano è un obiettivo preciso di Cantemir, che non vuole lasciare nessuna ombra sull’immagine dell’eroe e della sua discendenza: così nel cap VII (p. 98) ancora riprende “essi [i discendenti di Bogdan] hanno sottomesso il Paese ai turchi perché fosse più sicuro contro i colpi dei vicini”. Stefano e la sua dinastia sintetizzano nella Descriptio Moldaviae la visione che l’autore aveva della monarchia, essendo essi assunti a simbolo del potere assoluto e autoritario del sovrano, contro il dominio della classe nobiliare. In questa prospettiva, nello stesso capitolo VII Cantemir scrive: “Dopo che l’antica stirpe dei Dragoº si estinse con Stefano VIII, figlio di Pietro Rareº, l’ambizione dei maggiorenti in lotta smaniosa per il potere, offrì l’occasione ai turchi di aumentare il tributo della Moldavia e di privarla di quella libertà di cui aveva goduto fino a quel momento” (p. 45). E ancora più chiaramente si esprime nel secondo capitolo: “L’estinzione di questa famiglia è la causa prima di tutte le sventure che si sono abbattute sulla Moldavia nei tempi successivi. Infatti, non essendovi nessuno che fosse superiore agli altri per la nobiltà della stirpe e che tenesse a freno i turbolenti, il paese andò in rovina riempiendosi di fazioni in permanente rivolta” (p. 50). È in questa ottica, che a Pietro Rareº (1527-1538 e 1541-1546), figlio illegittimo di Stefano, viene riservata una delle poche narrazioni estese e di carattere aneddotico che l’opera di Cantemir presenti: “E allora, quando con la morte di Stefano VI si credete che la gloriosa stirpe dei Dragoº si fosse estinta e tutti i nobili si erano adunati per eleggere un nuovo signore, ecco che si presentò la madre di questo Pietro e mostrò una bolla di Stefano il Grande che la

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esonerava dal pagamento delle imposte e che dimostrava che il figlio di lei, Pietro, era anche figlio dello stesso Stefano il Grande. Con questa testimonianza, senza consultarsi troppo, tutti furono d’accordo a incoronare principe questo Pietro, figlio del loro signore, e di elevarlo al trono da pescatore qual era” (pp. 50-51). È un episodio al limite tra storia e leggenda[22] che qui, però, serve a suggerire al lettore l’importanza del prestigio indiscusso di cui il sovrano aveva goduto e che gli sopravviveva, garantendo ai suoi discendenti un consenso che non lasciava spazio ad opposizioni. Con questo si può dire che Cantemir introduca anche un altro tema che gli sta particolarmente a cuore: egli crede nei diritti della stirpe che rafforzano il potere autoritario del sovrano e ritiene che il principio di successione ereditaria sia un valore da difendere. E infatti, il capitolo secondo della parte politica si chiude con alcune considerazioni secche e incisive, aventi il significato di una ricapitolazione conclusiva a memoria del “buon lettore” (p. 56) e che l’autore sintetizza in sei punti: “1. da Dragoº, il fondatore del Paese, fino a Stefano il Grande, per tutto questo arco di tempo la Moldavia fu libera e l’ascesa al trono fu regolata dal diritto ereditario; 2. questa tradizione fu mantenuta, immutata e con sacro rispetto, finché fu al potere la stirpe dei Dragoº; 3. dopo la loro estinzione e fino ai tempi dei Movilã, i turchi lasciarono i maggiorenti del Paese liberi nell’elezione del loro signore; 4. i moldavi scelsero sempre come signore un figlio o un parente del defunto principe”. Seguono il punto 5 e il 6 che illustrano in sintesi la decadenza successiva[23] e la tragedia del crollo che Cantemir ha vissuto in tutto il suo divenire.

Il nome di Stefano ricorre ancora in diversi altri luoghi della Descriptio Moldaviae, a ricordare la rifondazione di vecchie fortezze (Roman, Tint, Cfr. p. 18) o il trasferimento della capitale del Paese in Iaºi (p. 17), a proposito del quale lo scrittore intrattiene il lettore in un’altra delle rare narrazioni aneddotiche della Descriptio. Ancora al personaggio di Stefano è legato il notissimo passo della foresta di Dumbrava Roºie, dove viene consegnata al lettore la figura dell’eroe senza macchia alcuna di venalità (p. 35)[24]. Ma questo genere

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di menzioni è più raro. Infatti, più che agli aspetti morali del voivoda medievale (ad esempio, non viene ricordato nessuno degli atti di pietas religiosa del sovrano)[25], lo storico è interessato al suo programma politico. La figura di Stefano incarna l’ideale del principe autarchico, forte di una selezione fondata su criteri ereditari e di una investitura di diritto divino. Tutto ciò è un punto centrale nell’utopia coltivata e teorizzata dal principe Cantemir, che dall’esilio russo rivendica alla propria stirpe la speranza di un ritorno sul trono di Moldavia. L’esempio di Stefano, dunque, gli consente di presentare agli eruditi stranieri il suo teorema, sotto le forme di una discreta quanto celata apologia. Ma si tratta dell’apologia di un’idea e non di una persona.

 

 

 

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[1] Cfr. Petre P. Panaitescu, ªtefan cel Mare în lumina cronicarilor contemporani din þãrile vecine, in “Studii ºi Cercetãri ªtiinþifice. Istorie”, XIV, no. 1, 1963, pp. 99-107; si vedano anche: Nicolae Orghidan, Ce spun cronicari streini despre ªtefan cel Mare, Craiova 1915, passim; Nicolae Iorga, Istoria românilor prin cãlãtori, Bucarest 1981, pp. 97-100; sulle relazioni internazionali della Moldavia nell’epoca di Stefano il Grande, Cfr. ªerban Papacostea, Relaþiile internaþionale în rãsãritul ºi sud-estul Europei în secolele XIV-XV, in “Revista de Istorie”, XXXIV, no. 5, 1981, pp. 899-918.

[2] Grigore Ureche, Letopiseþul Þãrii Moldovei pânã la Aron vodã (1359-1595), edizione a cura di Constantin Giurescu, Bucarest 1916; sull’importanza della figura di Stefano il Grande in quest’opera Cfr. Alexandru Piru, Istoria literaturii române, Bucarest 1981, pp. 97-98.

[3] Per la posizione politica di Ion Neculce rimandiamo alla prefazione di Iorgu Iordan a I. Neculce, Letopiseþul Þãrii Moldovei, Bucarest 1959, pp. 16-45.

[4] L’opera è citata nella edizione romena a cura di M. Popescu: Dimitrie Cantemir, Descrierea Moldovei, Bucarest 1986; a questa edizione fanno riferimento anche i numeri delle pagine a cui si rimanda in testo, e la traduzione dei brani è nostra.

[5] E. Pop, Dimitrie Cantemir ºi Academia din Berlin, in “Studii. Revistã de istorie”, XXII, no. 5, 1969, pp. 1-10 dell’estratto; l’opera fu pubblicata in traduzione tedesca solo mezzo secolo dopo: Historisch-geographische und politische Beschreibung der Moldau, in “A. F. Büsching’s Magasin für die Neue Historie und Geografie”, III-IV, Amburgo 1769-1771.

[6] Cantemir si riferisce probabilmente al concilio di Costanza (1415-1418), poiché il Concilio di Firenze–Ferrara cade dopo la morte di Alessandro (1439).

[7] Qui si prescinde dalla citazione di ciascun sovrano di Moldavia nella lista del cap. II della seconda parte, Cfr. l’edizione citata di M. Popescu, pp. 48-57.

[8] Quest’opera di Cantemir si contraddistingue per la estrema concisione, rispetto alle altre in cui prevale un vero e proprio gusto della digressione; per questi aspetti, Cfr. la bella post-fazione di M. Popescu, op. cit., p. 196.

[9] Si veda anche il passo a p. 98: “[…] i turchi, i polacchi, i cosacchi, gli ungheresi e i munteni hanno combattuto contro la Moldavia nei tempi passati, ma essa non solo ha mantenuto la libertà facendo fronte ai colpi infertile dai nemici al tempo di Bogdan III, ma addirittura ha molto esteso i suoi confini. Solo che la potenza dei Moldavi, dopo fu giunta all’apogeo sotto Stefano il Grande, cominciò a decadere sempre più nel tempo”; per i confini della Moldavia sotto Stefano si veda I. C. Bãcilã, Întinderea Moldovei. Schiþã istoricã ºi geograficã, in “Buletinul Societãþii Regale Române de Geografie”, XXXVIII, 1916-1918, pp. 319-321.

[10] Chilia era stata riconquistata nel 1465; sull’importanza della sua conquista Cfr. Constantin C. Giurescu, Dinu C. Giurescu, Istoria românilor, vol. II, Bucarest 1976, pp. 155-156.

[11] Dimitrie Cantemir scrive: “[…] e poi grazie al valore di Stefano il Grande, fu conquistata anche la provincia vicina alla Podolia fino alle gole del fiume Serafinet, che passò sotto il governo moldavo”, Cfr. p. 10.

[12] C. C. Giurescu, D. C. Giurescu, op. cit., pp. 156-158; Stephen Fischer–Galaþi, D. C. Giurescu, Ioan–Aurel Pop, O istorie a românilor, Cluj-Napoca 1998, p. 107; Emmanuel Constantin Antoche, L’expédition du roi de Hongrie Mathias Corvin en Moldavie, 1467, in “Revue Internationale d’Histoire Militaire”, LXXXXIII, 2003, pp. 133-165.

[13] Sui possedimenti moldavi in Transilvania all’epoca di Stefano il Grande si veda Fr. Kiss, Posesiuni moldoveneºti în Transilvania (sec. XV-XVI), in “Studii ºi Articole de Istorie”, XXX-XXXI, 1975, pp. 13-24; per altri aspetti delle relazioni moldavo-transilvane in questo periodo Cfr. I.–A. Pop, Relaþii între Transilvania ºi Moldova în timpul lui ªtefan cel Mare, in “Acta Musei Napocensis”, XXXI, no. 2, 1994, pp. 11-21.

[14] Il riferimento è a Ioannes Dlugossus seu Longinus, Historiae Poloniae libri XII, Lipsia 1711.

[15] Stanis³aw Orzechowski, Annales polonici ab excessu Sigismundi, apud Adolf Armbruster, La romanité des Roumains. Histoire d’une idée, Bucarest 1977, p. 105; naturalmente lo storico esagerava nel collocare queste vittorie in tempi molto vicini tra loro.

[16] Di fatto nulla cambia, se non l’aumento del tributo, nel passaggio del principato da Stefano a Bogdan, Cfr. C. C. Giurescu, D. C. Giurescu, op. cit., p. 264; un cambiamento di stato giurdico, con il passaggio allo statuto di beylerbeyılik, si ha solo nel 1595, Cfr. S. Fischer–Galaþi, D. C. Giurescu, I.–A. Pop, op. cit., pp. 130-131 e pp. 134-135.

[17] Si veda anche I. Neculce, Letopiseþul cit., p. 109.

[18] Per la politica di Venezia si veda Eugen Denize, Þãrile Române ºi Veneþia. Relaþii politice (1441-1541). De la Iancu de Hunedoara la Petru Rareº, Bucarest 1995, pp. 105-123 e Ovidiu Cristea, Acest domn de la miazãnoapte ...: ªtefan cel Mare în documente inedite veneþiene, Bucarest 2004, passim; utile ancora N. Iorga, La politique vénitienne dans les eaux de la Mer Noire, in “Bulletin de la Section Historique de l’Académie Roumaine”, II, no. 2-4, 1914, pp. 335-336; Cfr. inoltre Adrian Niculescu, Diplomazia veneziana e il principe ªtefan cel Mare di Moldavia (1457-1504) durante la guerra contro i turchi del 1463-1479, in Italia e Romania, due popoli e due storie a confronto (secc. XIV-XVIIII), a cura di Sante Graciotti, Firenze 1998, pp. 98-139; importante anche lo studio recentissimo di I.–A. Pop, Dalla Crociata alla pace: documenti veneziani riguardanti i rapporti tra le potenze cristiane e l’Impero Ottomano all’inizio del XVI secolo, in L’Italia e l’Europa Centro–Orientale attraverso i secoli. Miscellanea di studi di storia politico-diplomatica, economica e dei rapporti culturali, a cura di Cristian Luca, Gianluca Masi e Andrea Piccardi, Brãila–Venezia 2004, pp. 95-107.

[19] In particolare, nel primo capitolo della parte politica dell’opera, allo stesso riguardo, Cantemir aveva scritto che, con il cedimento di Bogdan, si era spento di colpo il raggio splendente della gloria moldava; riportiamo testualmente: “il potere incondizionato del dominus e quel suo diritto, a questo legato, di portar guerra e di fare pace” (p. 45) “Eppure – continua il principe – per qualche tempo ancora rimase traccia dell’antica grandezza”.

[20]Sotto suo figlio Bogdan, dopo che questo signore giurò fedeltà al sultano e si impegnò a pagare ogni anno un tributo di 4.000 ducati […]”, Descrierea Moldovei cit., p. 5.

[21] Il principe Cantemir intuisce le vere ragioni della mitezza turca nei confronti dei Paesi Romeni: Cfr. AA. VV., Istoria României, Bucarest 1998, p. 194.

[22] La medesima tradizione ci è consegnata anche da I. Neculce, Letopiseþul cit., pp. 109-110.

[23] Il testo recita: “5. dopo la caduta di Ioan l’Armeno e dopo il tradimento di Aron, i turchi assunsero su di loro il riconoscimento e poi anche la scelta del signore, sebbene ancora la strada del principato non fosse aperta che a persone di stirpe principesca; 6. dopo la rivolta di Miron Barnowski, non solo questa legge non fu più rispettata come una tradizione, ma la Signoria di Moldavia fu alla merce dei turchi e a disposizione di ogni tipo di straniero”, Cfr. Descrierea Moldovei cit., p. 56.

[24] Si veda anche I. Neculce, Letopiseþul cit., p. 109; anche in Cantemir oltre al valore di Stefano il Grande si esalta ampiamente il suo alto rigore morale; nel cap. VI della prima parte, menzionando il bosco di Cotnari, Cantemir scrive per inciso: “Al tempo di Stefano il Grande colà si trovava un vasto campo aperto. Quando i polacchi si accamparono lì con un grande esercito furono attaccati e battuti da Stefano, che prese il loro accampamento, li mise in fuga, ne uccise la maggior parte e prese oltre ventimila prigionieri, per lo più nobili. Poi, quando il re di Polonia volle riscattarli con molto denaro, Stefano non accettò l’offerta, dato che non era avido di denaro […]. Alla fine aggiogò tutti i prigionieri polacchi e ordinò loro di arare il campo di battaglia lungo due miglia e largo uno. Lì piantò le querce ben ordinate che ora sono diventate una bella foresta abbastanza estesa. I moldavi la chiamano oggi Dumbrãvile Roºii, cioè boschi di querce rosse perché furono bagnati di sangue polacco; i polacchi la chiamano Bucovina e non possono ricordare questo luogo senza versare lacrime”, Descriptio Moldaviae cit., p. 35.

[25] Ricorda solo la costruzione della chiesa di S. Nicola a Iaºi (p. 17) e l’accoglienza riservata ai cattolici (p. 25); per questi aspetti della politica interna di Stefano il Grande, Cfr. T. N. Manolache, ªtefan cel Mare ºi viaþa religioasã din vremea sa, in “Biserica Ortodoxã Românã”, LXXV, nr. 5, 1957, pp. 414-437; Nicolae Grigoraº, Ctitoriile lui ªtefan cel Mare, in “Mitropolia Moldovei ºi Sucevei”, XLIII, no. 7-8, 1966, pp. 523-539; ªtefan Sorin Gorovei, 1473: ªtefan, Moldova ºi lumea catolicã, in “Anuarul Institutului de Istorie «A. D. Xenopol»”, XXIX, 1992, pp. 75-83.