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p. 369
Tra spirito di crociata e
visione geopolitica:
nel carteggio di Minuccio
Minucci
M. Marcella Ferraccioli,
Gianfranco
Giraudo,
Università
“Ca’ Foscari” di Venezia
“[…] monsor Minutio esperto deelli humori e delli interessi di
principi di Alemagna, et perciò stimato et amato universalmente da tutti
et lodata quella Santa Sede che adopra su li affari d’Alemagna un tal ministro
[…]”[1].
Così, il 26 novembre 1592, sscrive Ottavio Mirto Frangipani,
Nunzio a Colonia, al Cardinal Cinzio Aldobrandini. Ma poco, in realtà,
può esser lodata la Santa Sede in quanto ad aver saputo “adoprare” al
meglio, in merito agli affari non solo tedeschi, i talenti di Minuccio Minucci[2],
un uomo che con zelo, lucidità e lealtà ha interpretato lo
spirito e gestito alcuni momenti molto delicati della Controriforma. Se questa
a noi oggi – particolarmente oggi,
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minacciati
come siamo da opposti fondamentalismi – sembra uno dei momenti più bui
nella storia del Cattolicesimo, tra i vari modi di interpretare quel momento,
quello scelto da Minuccio ci pare il meno minaccioso e, forse, il più
apprezzabile. Se egli era intransigente verso se stesso, i propri familiari ed
i membri del Clero, era invece disponibile ad ascoltare le persone comuni ed i
diseredati e ad aiutarli a “ritrovare” quella che per lui era l’unica e
salvifica fede. Se il suo zelo di Cattolico pare per noi rasentare il
fanatismo, la sua opera di apostolato è sempre stata ispirata dal
principio che questo debba essere portato avanti con la parola e con l’esempio,
mai con la coercizione e la violenza, ma piuttosto con l’aiuto materiale[3].
Rampollo di una ricca famiglia di aantica nobiltà, nonché titolare
di numerose prebende, Minuccio è sempre vissuto, se non poveramente,
comunque senza ostentazione e con il minimo di agio che gli spettava per
diritto di nascita; per testamento destina una parte minore dei propri beni ai
familiari e la maggiore ad opere di carità[4].
Quando, stanco e malato, lascia Zara per la terra avita, rifiuta di stabilirsi
nel palazzo che egli stesso si era fatto costruire nella piazza di Serravalle e
si ritira su un erto colle, nell’eremo di S. Augusta, verso la quale nutriva una
profonda venerazione. Vi sono, altresì, fondati motivi di credere, che
Minuccio abbia profondamente sentito la lacerazione tra la lealtà verso
la Repubblica, della quale era nato suddito[5],
e la fedeltà, mai messa in discussione, alla Chiesa. Invidie di personaggi
mediocri, quali il Cardinal nipote Cinzio Aldobrandini ed altri, ostacolano la
sua carriera, sì che il galero cardinalizio, più volte
promessogli, non gli viene concesso con il pretesto, alimentato da una cultura
del sospetto nei confronti delle personalità eccellenti, che egli
sarebbe troppo attaccato alla ribelle Venezia, ricettacolo di infedeli.
Dopo essere stato Segretario di divversi Nunzi in Germania (ed esserne
stato con discrezione l’eminenza grigia), approda a Roma alla Segreteria di
Stato e, in luogo del galero cardinalizio[6]
– che ne sarebbe stata la più ovvia conseguenza – gli viene offerta – promoveatur ut amoveatur – la cattedra
arcivescovile di Zara[7],
città tradizionalmente riottosa ad accettare la dominazione della
Serenissima, nonché, quel che è per lui più umiliante, diocesi
periferica rispetto a Venezia ed all’Italia e tra le meno ambite per le
condizioni di vita ch’essa offre, anche se occorre dire che nelle sue
lamentazioni vi è qualcosa che richiama un cliché letterario (ripreso, del resto, da molti prelati e
funzionari veneziani colà destinati per due secoli a venire) ed un certo
orgoglio di casta[8]. Ma, se la
delusione è evidente, egli non pronunzia neppure una parola di protesta,
anzi si sforza di svolgere il proprio ruolo nel più irreprensibile dei
modi: rispetta rigorosamente il canone
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tridentino
– ancora inosservato da molti suoi pari – che obbliga il vescovo a risiedere
nella propria diocesi e a effettuare almeno una volta l’anno la visita
pastorale; rinuncia, viceversa, alla visita ad
limina, preferendo far recapitare a Roma un’accurata relazione sullo stato
della Diocesi da un collaboratore. Cerca di organizzare, pur nella
povertà dei mezzi e tra una diffusa indifferenza nel clero locale e nei
fedeli, attività di catechesi e carità; mostra un’eccessiva –
così ci pare – soddisfazione quando riesce a convertire alla “vera Fede”
un qualche Turco[9].
Minuccio ci ha lasciato un’eredit&aagrave; letteraria imponente per
quantità e notevole per vastità di interessi, anche se non ha
potuto godere in vita della gratificazione – spesso l’unica per chi scrive – di
vedere le proprie opere stampate. Lui vivo venne pubblicata la Diuae Augustae Virginis, et martyris vita[10],
mentre il trattato sugli Uscocchi ha visto la luce poco dopo la sua morte, in seguito
con il suo nome accostato a quello di Paolo Sarpi, che l’aveva continuata e
curata per la stampa. L’opera ha avuto diverse riedizioni nel corso tra Sei e
Ottocento[11]. Spesso
citati sono il suo trattato De Tartaris[12],
opera piuttosto di compilazione, e la Istoria
delle Guerre tra’ Tartari e Turchi, preceduta in alcuni codici da una
lettera di accompagnamento a Federico
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Contarini[13],
composta sulla base di notizie di prima mano. Se in queste trattazioni Minuccio
vede i Tartari di Crimea come possibili alleati di una vagheggiata Lega Santa contro il Turco, in altre opere egli riesce a
coniugare spirito di crociata – che, comunque, privilegia l’azione della parola
a quella delle armi – e una lucida visione geopolitica. A titolo di esempio del
suo atteggiamento citiamo quanto egli scrive nel 1593 al Papa:
“A. V. Bne […] premono
grandemte questi negotj, se bene sono […] tanti altri, et
così importanti trauagli, che è necessario dividere i pensieri a
molte parti per l’offitio dell’universal cura […]”[14],
ed al Patriarca
di Aquileia:
“Tosto che Nro Sigre
sentì queste ultime incursioni de’ Turchi ne’ stati della Serma
Casa d’Austria uicina al Friuli, pensò, che la giusta ira de Dio si
seruisse di questo flagello per castigare i peccati di quei popoli deuiati
dalla uera Religione o dalla debita pietà, per questo si risolse per
quanto fosse possibile di mettere il ferro alla radice del male, et
deliberò di mandarmi un Nuntio Apco per riconoscere le
necessità del paese […]”[15].
La preoccupazione della propaganda
fides è presente anche in opere in cui si tratta di terre
semi-mitiche (De Æthiopia, siue
Abissinorum Imperio[16])
o di recente scoperta (De Nouo Orbe[17]),
questa in uno spirito che è ben lontano da quello dei Conquistadores. Ad ulteriore
testimonianza dell’ampiezza della sua visione geopolitica citiamo sue relazioni
sulla Spagna, conservata nella Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia[18],
sulla Moscovia[19] e sulla
Tunisia[20].
Ma, soprattutto, l’illusione che l’’unità nella Fede – ritrovata
grazie alla forza della persuasione e rifuggendo da misure coercitive e,
soprattutto, dall’uso della violenza – possa essere garante di un nuovo ordine
mondiale trova la propria più fervorosa espressione nel Discorso sopra il modo di restituire la
Religione cattolica in Alemagna[21].
Egli scrive anche opere di
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devozione,
quali la Istoria del Martirio della
legione Tebea, e delle undici mila Vergini e la già citata Diuae Augustae Virginis, et martyris vita, nonché trattatelli su virtù
cristiane: non ci pare casuale che tra queste abbia scelto l’Umiltà e la Prudenza[22].
L’eredità manoscritta di Minnuccio – “un Letterato distinto”[23],
secondo la definizione del Liruti – è ora dispersa tra l’Istituto
Storico Germanico di Roma, la Biblioteca del Civico Museo Correr di Venezia e
gli Archivi Segreti Vaticani. Il fondo più rilevante è il primo,
che comprende 40 volumi in 4o, rilegati in pergamena, di più
mani, tutti in elegante grafia del primo ‘600. Secondo la testimonianza di J.
Hansen, l’Istituto, all’epoca Prussiano, aveva acquistato (“käuflich erworben”)
nel 1892 circa 50 volumi, mentre il “resto” dell’archivio Minucci si trovava a
Conegliano[24] presso la
Famiglia Gera che, per matrimonio, aveva acquisito tutte le proprietà
dei Minucci[25]. Lo stesso
Hansen aveva senza successo chiesto il permesso di visionare quel “resto”[26].
Alcuni pezzi sparsi si trovano nel Museo Correr, in parte copie d’epoca, di
mano di personaggi illustri (di Leonardo Donà, la lettera a Federico
Contarini e l’allegata Istoria delle Guerre
tra’ Tartari e Turchi; di Giovanni Tiepolo, il Discorso sopra il modo di restituire la Religione cattolica in Alemagna),
in parte settecentesche, che testimoniano di un ritrovato interesse per l’opera
di Minuccio, anche se temiamo che questo serva piuttosto ad attizzare un
nascente integralismo cattolico in quella che era stata la laica Repubblica
cristiana di Venezia e che all’epoca si era chiusa in se stessa e non era
più in grado di alimentare progetti ispirati alla minucciana visione di
un mondo globale.
A parte le edizioni d’epoca dell’Istoria
degli Uscocchi e della Diuae Augustae
Virginis, et martyris vita, solo una piccola parte dell’eredità
letteraria di Minuccio ha avuto la ventura di
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vedere
la luce della stampa in età contemporanea: oltre ai già citati
testi editi dal Marani, segnaliamo che chi scrive ha preparato l’edizione della
lettera a Federico Contarini e dell’annesso trattatello sui Tartari. Le sue
lettere, in piccola parte già pubblicate dal Pastor, sono in misura
molto maggiore presenti nelle Nuntiaturberichte
aus Deutschland, opera monumentale iniziata alla fine del XIX secolo e
continuata nel corso di tutto il successivo.
Durante i lunghi soggiorni in Germaania e a Roma, prima come legato del
Duca di Baviera, poi alla Segreteria di Stato – con la responsabilità di
una sezione “la terza più difficile, e più imbrogliata della
Germania”[27] – Minuccio
aveva goduto di un osservatorio privilegiato delle vicende dell’Europa
Orientale. Nel corso degli anni ‘90 uno dei punti caldi di questa era rappresentato
dalla Transilvania per l’intrecciarsi di un doppio ordine di motivi,
politicamente rilevanti per la Santa Sede e particolarmente legati tra di loro
nella visione di Minuccio: le rivalità interne alla nobiltà che
si riflettono sulle scelte di Sigismondo Báthory – un Re Tentenna balcanico –
tra orientamento filo-ottomano e filo-imperiale, nonché la presenza e la forte
influenza di eretici[28]
in un momento storico in cui l’intolleranza è reciproca tra Riformati e
Controriformisti, e la Transilvania rimane, ancora per poco, terra d’asilo[29].
Già nel 1589, nella Breuis
Historia Societatis Jesu ex Transiluania Minuccio scrive:
“Sepe quidem Transiluani tam dictis,
quam factis ostenderunt quam inuiti Societatem ad se admisissent uiuente tamen
Rege Stephano […]. Verum post Regis mortem, sublato illo metu omnibus Comitiis
contenderunt ministri Ariani, et Caluinani, quam nobiles ab eis incitati, ut
Idolatria (sic enim illis cultum Xpi, e Sanctor et Sanctar. Imaginum
appellari solet) eiusq. Administri Jesuite e regno pellerentur. Perfecissentq
Fortasse illi […] quod uoluerunt, nisi Guberna[tor] cum Consiliariis Principis
totum hoc religionis negocium in aliud tempus nempe ad Generalia Comitia
detulisset. Verebantu enim ne si quid tale statim consessisset, multum incomodaret
rationibus Principis, qui tunc inter caeteros ad Regnum Poloniae ad electionem
miserat, At ubi se viderunt ea spe directos, minus iam de retinenda Societate
in Transiluania fuerunt soleciti […]”[30].
In quella regione le alleanze mutanno ad ogni spirar di vento; i diversi
appetiti si scontrano in forme sempre nuove per l’avvicendarsi degli equilibri
interni di ogni singola entità; il conflitto tra Cristianesimo e Islam
non sempre è chiaramente delineato, perché da ciascun campo volta a
volta qualcuno cerca un alleato nel campo opposto: i Tartari Precopensi ora punzecchiano la Moscovia – non ancora Impero
russo – per conto della Porta, ma sono disposti a farsene alleati per
affrancarsi dalla Porta stessa; i Cosacchi, riottosi sudditi della Koruna Polska, nutrono ambizioni di espansioni verso Moldavia e Valacchia
concorrenti ed uguali a quelle del loro
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Signore;
la Moldavia oscilla tra vassallaggio dell’Impero Ottomano ed antico
orientamento polacco; la Valacchia, orfana del protettore ungherese, teme i Cosacchi
ed i Tartari, guarda alla Transilvania e si offre come partecipe della Lega
Santa accanto ad alcuni di quelli che la minacciano; tutti gli Ortodossi di
confine sono nel mirino della Curia Romana in un disegno che è di una
palingenesi religiosa, che ammicca alle mire espansionistiche di Rzecz Pospolita ed Impero[31].
Orientarsi in questo pasticcio balcanico non è facile, e Minuccio sembra
non perdere lucidità, annota fatti e suggerisce scelte tattiche, anche
di scontro, che adombrano un complesso piano strategico di pacificazione
globale. Nel febbraio del 1593 nota Minuccio come i Cosacchi:
“temessero, di qualche incursione de’
Turchi, de Moldaui, et de Tartari, ma perché quella gente aspettaua hauer orde
dalla Porta, a noi pare uerisimile che il Turco non uorrà farsi tanti
nemici in una uolta. S’è fatto quanto di qua si poteua per distornare il
Conuento di Radomia, perche almeno non ui si conchiuda cosa pregiuditiale al
seruo di Dio et del Re; sopra che si spedirno […] tutti quelli che
pensauano poter con l’autorità loro auuiare i nostri buoni disegni,
staremo a uedere ciò che ne seguirà. Scrisi a V. S. con le
precedenti le cause, per le quali Nro Sigre haueua fatto
passare il Sigr Carle Battori in Transa
affinché ella sgombrasse ogn’ombra di sospetto, che costi potesse esserui
generata, perché ueramte desiderata la sua persona in Transiluania
per cose pertinenti al ben pubblico, come V. S. intenderà poi più
a pieno”[32].
Al Legato papale in Transilvania sccrive Minuccio nel 1592:
“Nro Sig intesè
uolentieri, che ella si fosse condotta con salute sin a quel luoco che per la
uicinanza si può riputare il termine del suo uiaggio, approuò la
cagione, per la quale haueua definito d’entrare in Alba Giulia, et delle
dimostrazioni c’haueua fra tanto dimostrate il Pnpe di Transiluania
di riuerenza uerso questa S.ta Sede et d’Honore uerso i mnri suoi
[…], in più ferma opinione che l’andata di V. S. (com’ella
dice:) non potesse essere inutile, ancorche non fosse arriuata a tempo […], et
che debole speranza apparisce del negotio a lei principalmte
commesso. Si aspetteranno altre lettere sia dopo l’abboccamento co ’l Pnpe
et con gli altri Ssri di Casa Battori, dalle quali si potrà
fare più certo giuditio del rimanente”[33].
Anche sull’intreccio delle vicende di Moldavia e Transilvania Minuccio
sembra avere una lucida visione:
“[…] et le dico che quanto al rumore
diseminato costi del Transiluano [Sigismondo Báthory] come pensasse di
abbandonare il Regno, non ui trouamo dentro fondamento di uerità, o di
uerisimilitudne, se bene può essere che mentre si uedeua
sottoposto a
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pericoli della domestica seditione
hauesse qualche simile pensiero, et si preparasse in ogni euento alcuno
presidio di fuori; Jl che si comprende anco dalla ira scritta da lui al Sigr
Cardle Battori della quale V. S. ci mandò copia; ma non
può essere ragione di hauer di presente simile disegno dopo quelli
funesti auenimenti, con li quali si è fatto nemico a quelli, da chi si
uede, che sperano fauorire nell’essilio uolontario, anzi pare ch’egli nella
presente riuolta aspiri a cose grandi, et spri di accrescere lo stato suo,
scriuendo di là che se gl’era resa parte della Valacchia, e se
gl’offrivano Bulgari, et Rasciani di seguitarlo ad imprese maggri
onde già haueua mandato gll’Ambri suoi uerso Corte Cesa
per concludere l’Unione già concertata. È uero che dopo l’auuiso
de tumulti della Moldauia, et della fuga d’Aaron scriue risentitatame,
et mostra di temere, che ella sia farina del G. Cancre di Polonia,
dicendo che per patti reciprochi non poteua abbandonare il Moldauo, et che era
per soccorrerlo con ogni suo potere […]; quanti intrichi germogliano da una
radice; se li Cosacchi dopo le male fattioni della Moldauia si saranno uoltati
come si diceua sopra Moncastro [Belgorod, Akkerman, Cetatea Albã], è da
sperare che niuno darà loro fastidio perché né il Transo
potrà tanto allontanarsi dal suo paese, et al Moldauo bastarà per
hora rimettersi nel suo stato, se pure potrà farlo, poiché quelli ch’una
uolta l’hanno abbandonato, dificilmente uorrano riconoscerlo un’altra uolta
[…]”[34].
Consiglia quindi di:
“accomodarsi poi a quello, che
portarà ’l tempo, il quale minaccia qualche gran mutatne
all’Impro turchesco; a che conuienne che li pnpi
Confinanti stieno attentissimi. Ma tornando alle cose di Moldauia et
al pensiero che si haueua in Corte Cesa noi hauemo risposto che non
haueuamo di ciò sentore alcuno; né ci pareua uerisimile solendo V. S.
osseruare sin’à gl’intimi affetti di cotesta gente, ma che con tutto
ciò si spedirà Corri espresso (come Sa Ma
Cesa mostraua di desiderare) affine d’auertirne V. S. acciò
non lasciasse succedere cosa in dano di Sigr ben affetto alla pnte
causa o in pregiuditio del ben pubbco”[35].
Un pamphlet breve e
violentissimo è dedicato da Minuccio a Giorgio Biandrata che:
“[…] cum […] Medicinae Studijs operam
dedisset, ad haereticos profectus, ex Lutherana in caluinianam, ex hac in
Arianam haeresiam decidit”[36].
Questi riesce a sedurre un principee debole ed incerto, ma:
“[…] at diuina bonitas nec tam Scelestum hominem deerat premonere, ut ad cor rediret. Quippe sepissime a Stephano Poloniae rege literis uociq inuitatus, ut Catholicam fidem amplecteretur, deinde a doctissimis Theologis, quos Stephanus in
p. 377
Tranyluaniam miserat, admonitus, dum
susq. deq. omnia haberet, pre sitj pecuniae, et carnis peccatis, Veritatem
fidei Christianae peruersissimis blasphemijs infuscans, et multa homicidia
patrarj curans, uidit quoq., eosdem, qui sibi inseruiebant ad fenus exercendum,
et caedes patrandas, fedissimam obire ante oculos suos mortem […]”[37].
La mala morte degli eretici, cui veengono tradizionalmente attribuite
pulsioni di avidità e incontinenza, è un cliché letterario antichissimo, che risale addirittura al De mortibus persecutorum di Lattanzio;
così come è ispirato ad un altrettanto diffuso cliché il motivo della rigenerazione
spirituale di Sigismondo Báthory che rientra nel seno della Chiesa Madre e,
contemporaneamente, passa di campo da Qonstantiniye
a Vienna. La disgrazia e la morte di Biandrata coincide, circostanza fortuita
ma non priva di una qualche suggestione, con la conclusione del Concilio di
Brest[38],
con il quale è sancita l’Unione con Roma di sei diocesi ortodosse della Rus’ sud-occidentale. A tal proposito,
nel luglio 1595 Minuccio riferisce come:
“[…] li Moscouiti habbino pure uoglia
d’entrare in Lega o di fare cosa alcuna buona pure aspettaremo d’udire
ciò che riferirà l’ambassr Ceso che si
trouaua […] in Smolensco poiché ne anco intendemo […] ciò che si sia
stabilito intorno a nuouo congresso d’ambassr de Principi ma tenemo
che non si prenda altro che certa barbara
uanità di farsi arbitro delle cose grandi de quali ne anco s’ha
tanta capacità che basti per tutto quello che può occorere
sarà bene che Voi ui fermiate qualche tempo in coteste parti di
Littuania et di Polonia oue non ui mancarà di trauagliare in seruo
di Dio poiché il Vesco di S. Seuero[39]
auuiserà di quel che tentano certi Presuli di Littuania et di Roscia di
unirsi a qta Sta Sede et pottere aiutare l’opera con
l’intelligenza sua et sopra di quella scriuere anco il uro parere al
Vesco di Ceruia in Transiluania oue pare che Moldaui et Valacchi
hauessero qualche simil pensiero […]”[40].
L’idea che l’Unione potesse irradiaarsi, oltre che nella Moscovia,
nell’area balcanico-danubiana è presente sin dal suo esordio, ma il
primo Metropolita uniate di Kiev, Josif Ruc’kyj, ed i suoi successori sono
soltanto gli operarii di un grande
disegno che li sovrasta[41];
Minuccio, un “Grande Tessitore”, è stato uno di quelli che questo
disegno hanno contribuito a creare ed è stato colui che più
lucidamente ha cercato di tradurlo in prassi politica.
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e ricerca umanistica 5 (2003), edited by ªerban Marin, Rudolf Dinu, Ion
Bulei and Cristian Luca, Bucharest, 2004
No permission is granted for commercial use.
© ªerban Marin, March 2004, Bucharest, Romania
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[1] Nuntiaturberichte
aus Deutschland (più oltre citato NBD), vol. II/3, Die Kölner
Nuntiatur (a cura di B. Roberg),
Schöning, Monaco di Baviera-Paderborn-Vienna, 1971: 120-121.
[2] Per un biografia di Minuccio Minucci (Serravalle [oggi
Vittorio Veneto] 1551-Monaco di Baviera 1604) si veda: ILLYRICI/ SACRI/ TOMUS
QUINTUS/ ECCCLESIA ADERTINA/ CUM
SUFFRAGANEIS/ ET ECCLESIA ZAGRABIENSIS/ AUCTORE/ DANIELE FARLATO/ PRESBITERO SOCIETATIS JESU/ VENETIIS
MDCCLXXV/ APUD SEBASTIANUM COLETI: 144-154; MEMORIE/ INTORNO ALLA VITA/ DI
MONSIGNOR/ MINUCCIO MINUCCI/ ARCIVESCOVO DI ZARA ECC/ DESCRITTE DAL CONTE/
FEDERICO ALTAN/ DE’ CONTI DI SALVAROLO/ IN VENEZIA MDCCLVII/ PRESSO GIO.
BATTISTA PASQUALI/ CON LICENZA DE’ SUPERIORI; NOTIZIE/ DELLE VITE ED OPERE/
SCRITTE/ DA’ LETTERATI DEL FRIULI/ RACCOLTE DA/ GIAN–GIUSEPPE LIRUTI/ TOMO IV/
VENEZIA MDCCCXXX/ TIPOGRAFIA ALVISOPOLI: 435-440; Atti pastorali di Minuccio Minucci, Arcivescovo di Zara (1596-1604)
(a cura di A. Marani), Roma:
Edizioni di Storia e Letteratura, 1970: IX-XXVIII; P. Schmidt, “‘Riordinare il Collegio Germanico’, Eine unbekannte
Denkschrift des Minuccio Minucci aus dem Jahr 1592”, Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken
60 (1980): 374-394; V. Ruzza,
“Minuccio Minucci di Serravalle e la sua famiglia”, I Minucci, Arcivescovi, letterati e Cavalieri di Malta, Vittorio
Veneto: De Bastiani, 2000: 25-59; A. Baldini,
“Primi attacchi romani alla République di Bodin: gli scritti di Minuccio
Minucci e di Filippo Sega”, Il Pensiero
Politico 34 (2001): 3-40. Qualche cenno su di lui in: ITALIA SACRA/ SIVE/
DE EPISCOPIS ITALIÆ/ SET INSULAM ADJACENTIUM/ TOMUS QUINTUS/ AUCTORE/
FERDINANDO UGHELLO/…/EDITIO SECUNDA, AUCTA & EMENDATA/…/ VENETIIS/ APUD
SEBASTIANUM COLETI/ MDCCXX: 1498; BIOGRAFIA/ UNIVERSALE/ ANTICA E MODERNA/…/
OPERA AFFATTO NUOVA/ COMPILATA IN FRANCIA DA UNA SOCIETÀ DI DOTTI/ ED
ORA PER LA PRIMA VOLTA/ RECATA IN ITALIANO CON AGGIUNTE E CORREZIONI/ VOLUME
XXXVIII/ VENEZIA/ PRESSO GIO. BATTISTA MISSIAGLIA/ MDCCCXXVII: 88; S. Gliubich, Dizionario biografico degli uomini illustri della Dalmazia, Vienna:
Rod. Lechner Libraio, 1856: 213-214; Nouvelle
Biographie Générale, vol. XXXV, Parigi: Firmin Didot, 1861: 604; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori, Roma: Società Geografica
Italiana, 1927: 168-169.
[3] Atti pastorali,
cit.: XVII.
[4] Ruzza, op. cit.: 53: “Sappiano [i suoi
familiari] almeno questo ch’io attribuisco la prosperità della nostra
Casa alla Religione nella quale siamo stati educati da mio padre, et
all’elemosine con che egli ha continuamente di sovvenire i Poveri di Cristo, et
queste sono quelle che hanno fatto ricca la Casa”.
[5] Nel suo testamento dispone che sulla sua tomba venga
posta “una semplice pietra con epitaffio in lingua Italiana così =
Minuccio Arcivescovo di Zara Amator della Patria si raccomanda alle orazioni de
fedeli Cristiani […]”, Cfr. Ruzza,
op. cit.: 51.
[6] Liruti, op. cit.: 437: “Posciacché avendo questo
Pontefice [Innocenzo IX] divisa la Segreteria di Stato in tre parti […],
assegnò la terza più difficile, e più imbrogliata della
Germania al nostro Prelato […]; perloché era grande speranza, che ciò
fosse per riconoscere il merito di lui col Capello Cardinalizio; ma queste
speranze andarono in fumo con la morte di Inncenzo dopo due mesi circa di
Pontificato”.
[7] Atti pastorali,
cit.: XI-XII.
[8] Farlati, op. cit., vol. V: 144: “Il Paese
è aspro, pieno di incommodi e pericoloso”.
[9] Atti pastorali,
cit.: XIII-XVII.
[10] Venne pubblicata nel 1582 da L. Surio nell’ottavo volume della raccolta De probatis Sanctorum historiis. Nel XVIII secolo viene ristampata
anonima, con lettera dedicatoria di Andrea Minucci (Vescovo di Feltre, 1757,
Vescovo di Rimini, 1777, Arcivescovo di Fermo, 1777-1803, Cfr. Eubel, vol. IV: 88): VITA/ DI/ SANTA
AUGUSTA/ VERGINE E MARTIRE/ PROTETTRICE DI SERRAVALLE/…/ IN VENEZIA 1754 ED IN
BELLUNO 1788/ PRESSO SIMONE TISSI. In una successiva riedizione viene indicato
come autore lo zio di Minuccio, Andrea, che era egualmente stato Vescovo di
Zara dal 1567 al 1572 (Cfr. Eubel,
vol. III: 215): VITA/ DI/ SANTA AUGUSTA/ VERGINE E MARTIRE/ CONCITTADINA E PROTETTRICE
DI SERRAVALLE/ COMPILATA/ DA/
MONSIGNOR ANDREA/ DEI CONTI MINUCCI SERRAVALLESI/ ARCIVESCOVO E PRINCIPE DI
FERMO/ SECONDA EDIZIONE/ CENEDA 1830/
DOMENICO CAGNANI TIP. EDIT.
[11]L’edizione più antica a noi nota è quella
conservata nella Biblioteca del Civico Museo Correr: H 5406, 3 voll. rilegati
insieme: HISTORIA/ DEGLI/ USCOCCHI/ SCRITTA/ DA MINVCIO MINVCI/ ARCIVESCOVO DI
ZARA/ CO’ I PROGRESSI DI QUELLA GENTE/
SINO ALL’ANNO/ MDCII/ PRIMO [s. l.,
s. d.]; SVPPLIMENTO/ DELL’ HISTORIA/ DEGLI/ VSCOCCHI/ DI/ MINVCCIO MINVCCI/ ARCIVESCOVO DI ZARA/ TERZO [s. l., s. d.];
AGGIONTA ALL’ HISTORIA/ DEGLI/ USCOCCHI/ DI/ MINVCCIO MINVCCI/ CONTINUATA SINO
ALL’ANNO/ MDCXIII [s. l., s. d.]. Altre edizioni: HISTORIA/ DEGLI/ USCOCHI/
SCRITTA DA/ MINVCIO MINVCI/ ARCIVESCOVO DI ZARA/ CO’ I PROGRESSI DI QUELLA GENTE/ SINO ALL’ANNO/ MDCII/ E
CONTINUATA DAL P. M. PAOLO/ DELL’ORDINE DE’ SERVI/…/ SINO ALL’ANNO MDCXVI/ IN
VENEZIA/ APRESSO ROBERTO MEIETTI/ MDCLXXXIII; OPERE VARIE/ DEL MOLTO REVERENDO
PADRE/ F. PAOLO SARPI/…/ DIVISE IN DUE TOMI/ TOMO SECONDO/ HELMSTAT/ PER JACOPO
MULLERI/ MDCCXXXXX: 137-271; STORIA/ DEGLI/ USCOCCHI/ SCRITTA/ DA MINUCIO
MINUCCI/ CONTINUATA/ DA FRA PAOLO SARPI/…/ MILANO/ PER NICOLÒ BETTONI E
COMP./ MDCCCXXXI, 2 voll.
[12] Pubblicata da A. Marani,
Annali del Liceo Statale Terenzio Mamiani
I (1966): 172-209. I criteri ecdotici del Marani paiono alquanto discutibili;
Cfr. Ibidem: 190, nota 2: “Il testo
è tratto dal V volume, ff. 274r-307v, dei XL
dell’archivio Minucci […]. C’è un’altra versione dello stesso trattato a
ff. 1-38 del Volume VI, ma è assai meno pregevole di quella seguita,
perché mutila in parecchi punti; tuttavia, qua e là, si è tenuto
conto anche di questa”.
[13] Abbiamo trovato quattro esemplari dell’opera in quattro
codici, due nella Biblioteca del Civico Museo Correr a Venezia (Ms. Donà
dalle Rose 474: fasc. 107, copia coeva, autografa di Leonardo Donà; Cod.
Cic. 2715: fasc. 39, copia settecentesca) e due nella Biblioteca dell’Istituto
Storico Germanico a Roma (MM V: cc. 274-307v; MM VI: 1-39).
[14] MM I: 376v.
[15] MM I: 387v.
[16] Pubblicata da A. Marani,
Annali del Liceo Statale Terenzio Mamiani
3 (1968): 188-207.
[17] Pubblicata da A. Marani,
Annali del Liceo Statale Terenzio
Mamiani 2 (1967): 190-217; Cfr. anche Idem,
“L’agricoltura degli Incas in un manoscritto di Minuccio Minucci”, Rivista di Storia dell’Agricoltura 8
(1968): 64-67.
[18] It. VI. 363 [= 5754]: codice cartaceo di 28 carte
numerate, mm. 210x160: Relazione Spagna/ Discorso di Monsigr/
Minucci Arciuescouo/ di Zara; a c. 28: 1599, 18 Settembre/ Di Giovanni
Thiepolo/ costò Lir. 7.
[19] MM XXVII: 192-272.
[20] MM VII: 330-354.
[21] Abbiamo trovato nella Biblioteca del Civico Museo Correr
due codici contenenti questo testo: Cod. Cic. 2475: 43-58 (autografa di
Giovanni Tiepolo, firmata e datata dicembre 1599) e Cod. Cic. 304: fasc. 1.
[22] Liruti, op. cit.: 440.
[23] Ibidem: 39.
[24] NBD, vol.
III/1 (a cura di J. Hansen),
Berlino: A. Bath, 1892: 742. Un catalogo delle opere, edite ed inedite,
conosciute alla metà del XVIII secolo, è fornito da: Altan, op. cit.: L:
Opere pubblicate:
I.
Storia degli Uscocchi.
II.
Vita di Santa Augusta.
Opere inedite:
III.
De Tartaris.
IV.
Storia delle guerre tra
Tartari e Turchi dall’anno 1595 all’anno 1599.
V.
De Æthiopia, sive de
Abyssinorum Imperio.
VI.
De novo Orbe.
VII.
Storia del Martirio della
Legione Tebea, e delle undici mille Vergini.
VIII.
Trattato sopra la
Umiltà.
IX.
Trattato contro la
Detrazione.
X.
Dialogo I. sopra la
Prudenza.
XI.
Dialogo II. sopra la
Prudenza.
XII.
Sinodo Diocesano.
XIII.
Molte Istruzioni, Prediche,
e Scritture.
XIV.
Due grossi volumi di
Lettere.
Per il secolo successivo, cfr. Liruti, op. cit.:
439.
[25] Cfr. A. Valente,
La Famiglia Gera Minucci di Conegliano
dal 1300 ai nostri giorni, Venezia: Emiliana, 1941: XIX.
[26] NBD, vol.
III/2 (a cura di Hansen), Berlino
A. Bath, 1894: 604.
[27] Liruti, op. cit.: 437.
26 M. M. Ferraccioli, G. Giraudo, “Il Codice Cicogna 2738 del Museo Correr di
Venezia”, Annuario. Istituto Romeno di
Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia 1 (1999): 51-66.
[29] D. Caccamo,
Eretici italiani in Moldavia, Polonia e
Transilvania, Firenze: Sansoni, 1970; L. Binder,
Grundlagen und Formen der Toleranz in
Siebenbürgen bis zur Mitte des 17. Jahrhunderts, Köln-Vienna: Böhlau, 1976;
M. Firpo, Antitrinitari nell’Europa Orientale, Firenze: La Nuova Italia,
1977.
[30] MM VIII: 179.
[31] Giraudo, “Acculturazione, spirito missionario e
Propaganda nell’Ucraina del Seicento”, L’Ucraina
del XVII secolo tra Occidente ed Oriente d’Europa, Kyïv-Venezia, 1996: 54-84; Idem,
“Uniati di Romania”, Italia e Romania.
Due popoli e due storie a confronto (secc.
XIV-XVIII) (a cura di S. Graciotti),
Firenze: Leo S. Olschki, 1998: 263-289.
[32] MM I: 374.
[33] MM I: 295.
[34] MM II: 214v-215v.
[35] MM II: 216v-217.
[36] MM VIII: 173.
[37] MM VIII: 173v.
[38] Sull’Unione di Brest, i precedenti e le ricadute si
vedano: O. Halecki, From Florence to Brest, 1439-1596, Roma:
PIOS, 1958; I. Patrylo, “Dzherela
i bibliohrafija istoriï Ukraïns’koï Cerkvy, II. Berestens’ka
Unija ta ïï doba …”, Analecta
OSBM 2 (1974): 325-546; A. Jobert,
De Luther à Mohila. La Pologne
dans la crise de la Chrétienté, Parigi: Institut d’Etudes Slaves, 1974; D. Blazhejovs’kyj, Berestens’ka Unija ta Ukraïns’ka istorychna dolja j nedolja,
L’viv, 1995; B. A. Gudziak [Hudzjak], Crisis and Reform: The Kyivan Metropolitanate, the Patriarchate of
Constantinople, and the Genesis of the Union of Brest, Cambridge MA:
Harvard University Press, 1998.
[39] Germanico Malaspina, Vescovo di San Severo, Nunzio in
Polonia.
[40] MM II: 255-255v.
[41] Giraudo,
“Uniati di Romania”, cit.: 274-276.