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p. 299
Alcuni ‘confidenti’ del bailaggio
veneto di Costantinopoli nel Seicento
Cristian Luca,
Università “Dunărea de Jos” di Galaţi,
Istituto Romeno di Cultura e
Ricerca Umanistica, Venezia
Carica di
massimo livello nell’ambito della diplomazia della Serenissima Repubblica, il
bailaggio di Costantinopoli rappresentò per secoli il brillante
compimento del dovuto cursus honorum della maggior parte dei
rappresentanti di spicco del patriziato veneto. Non poche volte quelli che
ricoprirono questa funzione di rappresentante diplomatico e consolare acquisirono
una tale esperienza e notorietà politica che permise loro in seguito di
ottenere l’elezione al dogato. È ben noto il fatto che l’efficienza
dell’attività svolta dal bailo, nella capitale di uno dei più
grandi imperi del mondo di allora e del tradizionale nemico della Respublica
Christiana, dipendeva anche dalla qualità e consistenza delle
più varie informazioni raccolte sul posto. L’informazione fu vitale per
le strategie politiche e commerciali dello Stato, permettendo alle più
alte magistrature veneziane di essere aggiornate sulla situazione generale del
paese dove il loro diplomatico espletava la sua missione e, tramite le notizie
che lì circolavano, su altre regioni del mondo allora conosciuto.
Direttamente interessati ad ottenere informazioni segrete di grande importanza
per la Repubblica di S. Marco, il bailo, come pure l’ambasciatore, il
segretario e perfino il dragomanno assunto al servizio presso la residenza
diplomatica veneta nella capitale ottomana, tentavano di raccogliere tali dati
assoldando spesso qualche spia disposta a fornire notizie, capace di introdursi
negli ambienti politici, militari e amministrativi inaccessibili ad altri.
Anche i compiti più delicati, come la soppressione dei rinnegati
veneziani e delle spie che nella capitale ottomana intraprendevano
attività ostili nei confronti dello Stato veneto, furono affidati a dei
sicari provenienti dalle fila di quelli che nella terminologia politica
dell’epoca erano detti i ‘confidenti’; a questi si rivolgeva frequentemente il
bailaggio di Costantinopoli per ottenerne servizi.
I sussidi finanziari destinati a ricompensare le
difficili missioni compiute da questi spietati personaggi, come pure il
costante afflusso di informazioni di particolare rilevanza, venivano disposti
con delibera delle più alte magistrature veneziane, cioè del
Senato, del Consiglio dei Dieci, tramite gli ordini emessi dai tre Capi del
Consiglio, e in primo luogo dagli Inquisitori di Stato, i quali autorizzavano
il bailo, o quello ne faceva le funzioni, di spendere determinate somme di
denaro per ricompensare, secondo l’importanza del servizio reso alla
Repubblica, l’impegno e la fedeltà dimostrate da ogni ‘confidente’.
Alcune volte i diplomatici veneti pagavano di tasca propria le informazioni
segrete, come nel caso del residente Gasparo Spinelli che da Napoli forniva ai
Capi del Consiglio dei Dieci le informazioni riguardanti le “cose del Levante”,
ottenute per anni dal frate domenicano Domenico Bissanti da Cattaro, pagando
varie somme di ducati[1].
I religiosi si mostravano spesso valenti spie perché, godendo di libertà
di movimento nel territorio della Porta, agivano senza insospettire le
autorità ottomane. L’impiego dei religiosi nelle missioni diplomatiche,
come pure nell’attività di spionaggio, fu prassi diffusa
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nell’Europa
seicentesca[2]. È
ben inteso che proprio tra i frati, residenti a Costantinopoli o in genere
missionari nel Levante, furono reclutati alcuni ‘confidenti’ del bailaggio, ma
nello stesso ambiente furono riscontrati non pochi episodi di ostilità nei
confronti della Repubblica di S. Marco quando tali religiosi erano stati
assoldati da potenze europee ad essa nemiche.
Nel 1608 il bailo Ottaviano Bon e il segretario Gasparo
Spinelli[3]
faticarono ad intercettare la fitta corrispondenza – nella quale si sospettava
che vi fossero informazioni utili per gli spagnoli – che Gerolamo Meoli[4]
da Montesanto inviava da Costantinopoli a vari personaggi[5].
I ‘confidenti’ e tutta la rete spionistica dei diplomatici veneti copiarono la
maggior parte delle lettere di Meoli; quelle in partenza con le poste di
Venezia vennero aperte addirittura nel bailaggio[6].
Parte di questa corrispondenza contiene notizie riguardanti le dispute
politico-militari, relative alla successione al trono moldavo, allora in corso
tra i figli maschi della famiglia principesca Movilă[7].
Altre informazioni raccolte dalla Moldavia, da persona recatasi sul posto,
vennero a conoscenza del bailaggio, quasi due decenni più tardi, dalle
lettere di un certo Antonio Rossi che scriveva da Costantinopoli a Ragusa,
“intercetti dal Rettor e Provveditor di Cattaro et mandate al Provveditor
Generale in Dalmazia e Albania, Molin, con lettere di 7 luglio 1625”[8].
Il bergamasco Gaspare Giovanelli[9],
‘confidente’ a Vienna dei Capi del Consiglio dei Dieci e degli Inquisitori di
Stato, tentando di scontare i bandi inflitti più volte nei suoi
confronti a Venezia, volle rendersi utile e farsi notare palesando spie dei
nemici della Repubblica. In tal senso si precipitò ad informare, il 25
aprile 1620, il doge e il Consiglio dei Dieci sul fatto che un certo frate
cappuccino Giacinto da Brescia, trovando spesso accoglienza presso la
rappresentanza diplomatica veneta di Costantinopoli, “procura di penetrare quel
più che può per riferire ogni cosa
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all’Ambasciator
Cesareo”[10] presso la
Porta, ciò che fu prontamente smentito dal bailo Almorò Nani, che
negò fermamente pure l’esistenza di un personaggio del genere negli
ambienti della sua residenza[11].
Diverso e duraturo fu invece l’impegno al servizio di
Venezia del medico danese Hans Andersen Skovgaard (1600-1656), per lo
più menzionato nelle fonti documentarie seicentesche con il nome
italianizzato Giovanni Andrea Scoccardi[12].
Laureatosi a Padova, soggiornò per un periodo nella capitale ottomana,
dove svolse la professione di medico del bailaggio, sperando, attraverso
l’impiego presso la rappresentanza diplomatica veneta in Costantinopoli, di
ottenere un simile incarico a Venezia, dove pensava di stabilirsi assieme alla
famiglia[13].
Sollecitato dal principe moldavo Basilio Lupu (1634-1653), probabilmente su
raccomandazione del gran dragomanno Giovanni Antonio Grillo, il cui figlio,
Ambrogio Grillo, si spostò in Moldavia in seguito al fidanzamento con la
figlia del principe stesso, il danese accettò l’ingaggio come medico
della corte principesca di Iassi[14].
Ritornò spesso a Costantinopoli, ove risiedeva la sua famiglia, e dalla
Moldavia fornì frequentemente varie informazioni all’ambasciatore degli
Asburgo presso la Porta, ma non trascurò la possibilità di
servire contemporaneamente pure il bailaggio, essendo stipendiato da ambedue le
parti[15].
Nel 1647-1648 Scoccardi lasciò definitivamente la corte moldava,
tornando a Costantinopoli e mettendosi in breve tempo a un più completo
servizio dei veneziani.
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Nei primi anni del suo soggiorno nella capitale ottomana,
Scoccardi riuscì ad infrangere le diffidenze veneziane, dovute al fatto
di essere genero[16] del defunto
gran dragomanno del bailaggio, Marc’ Antonio Borisi, sospettato di tradimento a
Venezia e giustiziato dagli Ottomani nel 1620, e venne ufficialmente accettato
come ‘confidente’ stipendiato. La sua devozione agli interessi della
Serenissima nel Levante ebbe poi il pieno riconoscimento da parte dello Stato
veneto. Nel 1650, mentre infuriava la Guerra di Candia, era assolutamente
necessario raccogliere informazioni sulle mosse degli Ottomani per la
rappresentanza diplomatica veneta presso la Porta. Posto sotto stretta
sorveglianza il bailaggio, il bailo Giovanni Soranzo fu imprigionato per
l’ordine del Gran Visir, mentre l’ambasciatore Giovanni Cappello, in arrivo per
trattare le condizioni della pace, venne trattenuto ad Adrianopoli, assieme al
segretario Ballarin[17].
In queste difficili condizioni diventò alquanto importante per la
Serenissima assoldare dei fidati informatori, in grado di fornire da Costantinopoli
le notizie riguardanti i movimenti dell’esercito nemico e tutto ciò che
interessava la politica estera della Porta. Fu appunto questo ciò che
auspicavano gli Inquisitori di Stato, e ugualmente il Consiglio dei Dieci, il
quale autorizzò nel novembre del 1650 “di valersi delle persone del
Medico Scoccardi, del Balsarini, che già era Console in Scio, et hora si
trova in Costantinopoli, et di uno dei Dragomanni, per far capitar gli avvisi
di quella Porta al Senato”[18].
A quanto lascia intendere la corrispondenza tra l’ambasciatore Giovanni
Cappello e Scoccardi, pare che allo stesso danese fosse stato affidato il
compito probabilmente più rischioso, cioè quello di avviare i
contatti con l’ambasciatore francese de la Haye e di prendere in consegna i dispacci
che esso inviava alle autorità della Repubblica di S. Marco[19].
L’impegno di Scoccardi al servizio di Venezia, in tempi di belligeranza
ottomano-veneziana che rendevano ancor più difficili i movimenti di ogni
‘confidente’ a Costantinopoli, ebbero senz’altro un cospicuo riconoscimento
finanziario da parte della Serenissima. In base alle fonti contemporanee,
risulta sicuro che il danese, a partire dal 1650 e sino al 1656, anno in cui
morì nella capitale ottomana, abbia servito fedelmente gli interessi strategici
veneziani, compiendo varie missioni ad alto rischio per procurare informazioni
politiche e militari, e contribuire all’annientamento di alcuni rinnegati
impegnati al servizio della Porta.
Il segretario Ballarin dice chiaramente,
nel dispaccio del 5 gennaio 1654, che Scoccardi e suo genero – Giovanni
Mascellini da Pesaro (1612-1675), anche lui medico, sposo di Elena, figlia
unica nata dal matrimonio di Giovanni Andrea Scoccardi con una delle figlie del
già gran dragomanno veneto Marc’ Antonio Borisi[20]
– erano tra i fidati informatori della Repubblica di
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San
Marco[21].
Scoccardi incontrò in quel periodo alcuni problemi a Costantinopoli
perché avendo promesso sua figlia per moglie al segretario dell’ambasciatore di
Francia, non mantenne poi la promessa, scegliendo di accasarla invece con il
Mascellini[22]. Nel maggio
del 1654 il medico danese si muoveva sapientemente nell’ambiente politico
ottomano, raccogliendo notizie utili all’ambasciatore veneziano Giovanni
Cappello e tentando di ottenere il sostegno di alcuni dignitari per
l’autorizzazione del prossimo arrivo del diplomatico a Costantinopoli[23].
Egli partecipò anche ad azioni spietate intraprese con lo scopo di
eliminare certi rinnegati che appoggiavano lo sforzo bellico ottomano. In tal
senso, fornì al frate Giovanni Locatelli, guardiano del convento S.ta
Maria di Pera, agente del segretario Giovanni Battista Ballarin, medicine
avvelenate che servirono appunto all’annientamento di tre rinnegati ritenuti
molto pericolosi[24]. L’ideatore
dell’impresa, il segretario Ballarin, informò del risultato gli
Inquisitori di Stato con una missiva datata da Adrianopoli, 13 aprile 1655:
“[…] Nella morte del Navagiero, come anco in quella del S[ignor] Arbanosovich e
Grillo, si sono spesi in tutto 60 reali di più della summa limitata
dalle Eccellenze Vostre, di 500”[25].
Compiuto con successo il piano messo in atto contro tali rinnegati, il
Consiglio dei Dieci veniva informato da Costantinopoli, nel agosto del 1655,
sul fatto che “[…] il Signor Scocardi sta in apprensione”[26].
Intanto suo genero, Giovanni Mascellini[27],
già dal 1648 medico dei principi valacchi[28],
prima di Matteo Bassarab (1632-1654) e poi di Costantino Şerban Bassarab
(1654-1658), forniva dalla Valacchia le informazioni che riteneva utili alla
Repubblica veneta.
Nel 1656, la scarsità di
informazioni in arrivo alla Dominante dalla Porta continuava a preoccupare il
Consiglio dei Dieci, il quale, informato all’inizio di dicembre sul fatto che
“[…] il Segretario Ballarin ha dovuto partire da Costantinopoli […]”, tentò
cavare qualche notizia dal territorio ottomano inviando nella capitale
dell’Impero un certo Cesare Balbi, il cui compito era “con l’appoggio dei
Dragomanni, sotto titolo di mercante, o d’altro, trattenersi là,
procurando con accurata applicazione le notizie più essenziali delle
intenzioni, apparati, et andamenti dei Turchi
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[…]”[29].
Vista la difficile situazione riscontrata dai veneziani nel far affluire in
laguna informazioni riguardanti i movimenti bellici e politici degli Ottomani,
l’utilità dei ‘confidenti’ diventò ancora più evidente.
In seguito alla morte di suo suocero, Giovanni Andrea
Scoccardi, avvenuta a Costantinopoli nel 1656[30],
Mascellini continuò a servire il bailaggio veneziano, specialmente dopo
il rientro a Costantinopoli[31],
portando nel 1661 ad Adrianopoli al gran cancelliere Ballarin lettere da
Venezia, speditegli dall’ambasciatore degli Asburgo presso la Repubblica[32].
Raggiunto l’apice della sua carriera, alla fine degli anni ‘60 e agli inizi
degli anni ‘70 del XVII secolo, Mascellini[33]
diventò medico della famiglia del sultano e dei vertici ottomani,[34]
e pur essendo cospicuamente ricompensato per l’attività svolta a
Costantinopoli si rivolse nel 1668 alla rappresentanza diplomatica veneta
presso la Porta, chiedendo al segretario Giovanni Pietro Cavalli di essere
ufficialmente accettato come ‘confidente’ abitualmente remunerato[35].
Anche la carriera di Ambrogio Grillo
iniziò come informatore del bailaggio, del quale suo padre, Giovanni
Antonio Grillo, ricoprì a lungo la carica di gran dragomanno, compito
che anni poi passò a lui. Giunto in Moldavia in seguito al fidanzamento
con la principessa
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Ruxandra[36],
figlia terzogenita del principe Basilio Lupu, Ambrogio fornì per quasi
sette anni ai veneziani informazioni riguardanti la politica estera condotta
dal “suocero” e particolarmente sui rapporti con la Porta[37].
Usò probabilmente anche alcuni religiosi, missionari inviati nei
Principati Romeni dalla Prefettura dell’Oriente della Sacra Congregazione De
Propaganda Fide, per far spedire la sua corrispondenza al bailaggio di
Costantinopoli, compensando questi servizi tramite il sostegno che abitualmente
offriva ai chierici cattolici, avvalendosi della sua influenza presso il
principe moldavo[38]. Con
l’annullamento del fidanzamento con la figlia di Basilio Lupu, Ambrogio
tornò a Costantinopoli, trattenendosi, prima e dopo la morte di suo
padre, giustiziato dagli Ottomani nel 1649[39],
negli ambienti del bailaggio veneto. Nato a Costantinopoli, dove la sua
famiglia aveva una residenza di proprietà[40],
Ambrogio Grillo ricoprì a lungo la carica di dragomanno[41]
presso la rappresentanza diplomatica veneziana a Costantinopoli. Morì nella capitale ottomana prima del
29 ottobre 1685, data in cui si accennava nel Consiglio dei Dieci al fatto che,
per ordine del Gran Visir, alcuni soldati ottomani avevano fatto irruzione
“nella Casa del defunto Dragomanno Grillo e metter sotto sigillo tutta la roba
della moglie del Dimitrasco Bei, figliastra d’esso Grillo, che s’era
riscontrata in essa Casa”[42].
Con questa notizia, pervenuta allora al Consiglio dei Dieci, si scopre qualche
altra informazione sui familiari di Grillo. Ambrogio Grillo era sposato con una
dona di cui non si conosce il nome, ma presumibilmente appartenente
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ad una famiglia d’origine greco-levantina,
naturalizzata nei Paesi Romeni, forse Catargi o Rosetti. La coppia aveva avuto
un figlio, Tommaso, e almeno due figlie[43],
ma la moglie del dragomanno ebbe anche un’altra figlia, da un precedente
matrimonio, la quale aveva sposato Dumitraşco Cantacuzeno, già principe
di Moldavia (1674-1675, 1684-1685).
Particolarmente spettacolari furono le
vicende che coinvolsero uno dei più attivi tra i ‘confidenti’ del
bailaggio di Costantinopoli alla metà del Seicento, sulle cui avventure
e disavventure si sono soffermati alcuni autori[44]
che hanno ampiamente utilizzato materiale archivistico. Si tratta del
già nominato frate francescano Giovanni Locatelli, suddito veneto[45],
forse originario dal bergamasco, il quale fu guardiano del convento S.ta Maria
in Pera. Reclutato come spia dai veneziani, dal 1651 seguenti fornì
informazioni all’ambasciatore Giovanni Cappello[46]
e al segretario Giovanni Battista Ballarin. Non si limitò solo a far
recapitare ad Adrianopoli, al Ballarin, i dispacci inviati da varie magistrature
venete[47]
oppure a facilitare la spedizione alla volta di Venezia delle notizie dal
territorio ottomano[48],
ma mantenne anche stretti contatti con spie e sicari che, a un suo ordine,
agivano contro i nemici della Repubblica di S. Marco. Nel 1655, assieme a Scoccardi,
tramite degli esecutori che erano suoi agenti, riuscì ad avvelenare
alcuni rinnegati ritenuti pericolosi collaboratori degli Ottomani[49].
Il segretario Ballarin, evidentemente soddisfatto da questa mossa che
segnò la fine di alcuni accaniti nemici della Serenissima, chiese agli
Inquisitori di Stato una ricompensa per il successo di fra’ Locatelli: “[…] In
tanto non devo tacere, che il Padre Guardiano di Santa Maria, puntuale
esecutore di miei ordini, s’impegna veramente in queste et altre onoranze con
grande applicatione, et devotione, onde vederci ben impiegata, anzi necessaria,
una dimostratione della pubblica benignità con qualche donativo alla sua
persona particolarmente, che voglia a renderlo animato, et incalorito in altre
occasioni […]”[50]. Nel
frattempo a Costantinopoli la situazione precipitò, poiché l’uccisione
del rinnegato Navagero, di cui, come ricordato, il religioso era stato il
principale fautore, scatenò la reazione della rappresentanza diplomatica
francese, per la quale il defunto faceva l’informatore. Sentendosi in pericolo
Locatelli si rivolse tempestivamente, il 21 agosto 1655, al segretario Ballarin
per ottenere dal doge l’autorizzazione di rientrare a Venezia, per scampare
alla furia vendicativa dei ‘confidenti’ dei francesi[51].
Presto la situazione si stabilizzò e, non rischiando più la
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vita,
il frate riprese l’attività di spionaggio, adoperandosi per eliminare il
rinnegato Attilio Signoretti[52].
Il suo impegno al servizio di Venezia proseguì, ma in modo più
cauto, tant’è che egli operò soprattutto per far pervenire ad
Adrianopoli a Giovanni Battista Ballarin i dispacci da Venezia, inviando le
lettere di quest’ultimo alla volta della città di S. Marco, tramite
portalettere camuffati da mercanti o carrettieri. Infine durante un viaggio per
recarsi a incontrare un messaggero veneziano, il francescano fu intercettato e
arrestato, assieme un suo servitore, dal controspionaggio ottomano[53].
Furono entrambi sottoposti a pesanti torture, che indussero il servitore a
svelare il ruolo di informatore veneziano dello stesso Locatelli[54].
Direttamente preso di mira, in quanto destinatario delle lettere che doveva
prendere in consegna il religioso, Ballarin si premurò a fabbricare
dispacci falsi, privi di notizie politiche, che vennero poi consegnati agli
Ottomani nel tentativo di domare la furia delle autorità che avevano
scoperto quell’inaspettato giro di notizie segrete[55].
Locatelli fu portato in giudizio dal Gran Visir e venne condannato a morte[56];
ma prima di essere giustiziato egli cercò vanamente l’aiuto di Giovanni
Battista Ballarin, implorando il suo sostegno e allo stesso tempo minacciando
di riferire tutto agli Ottomani. Ovviamente, il segretario veneto non fece
alcun intervento in tal senso e abbandonò il religioso al suo destino.
Locatelli morì probabilmente prima di inviare per iscritto le sue
disperate richieste al diplomatico veneziano. Solo più tardi il Ballarin
venne a conoscenza dei tentativi privi di speranza che Locatelli aveva
intrapreso per salvarsi la vita, e della lettera che egli avrebbe voluto
spedirgli. Scrivendo a tal proposito agli Inquisitori di Stato, il 30 luglio
1658, il gran cancelliere, ancora trattenuto a Adrianopoli, dimostra, con
freddezza, di accettare quanto era accaduto, perché la fine dell’affare era
risultata utile alla ragion di Stato: “[…] fra le scritture del morto
Locatello s’è trovata una lettera preparata per scrivermi di suo pugno
in zifra, nella quale mi professa con ardita libertà che io debba
levarlo dalle miserie del Bagno, altrimenti haverebbe rinnegato, e con le cose
che haveria palesato a Turchi mandato me in primo luogo in rovina. Così
Dio Signore con la morte di lui ha prevenuto, et divertito, questo disordine”[57].
Le vicende che videro protagonisti, nei
panni di agenti segreti della Serenissima, questo francescano e gli altri
personaggi menzionati, sembrano frutto della fervida fantasia di uno scrittore
ottocentesco. Infatti non rappresentarono altro che battaglie di una guerra
combattuta su un fronte invisibile, quello dei servizi d’informazione contrapposti,
volti all’annientamento del nemico. Sono pagine poco note della storia
seicentesca, ma il loro contributo nel delineare le strategie politiche degli
Stati interessati è determinante. Queste notizie, relative alla politica
estera della Serenissima, potrebbero sembrare di secondaria importanza – a
volte sono semplici fatti di cronaca, dispute private e poco altro – ma poste
in relazione ad altre informazioni fornite da diplomatici o da mercanti
veneziani, intenti nei loro traffici, permettono di tracciare un quadro
pressoché esaustivo dei rapporti tra la Repubblica veneta e il Levante
attraverso i secoli.
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e ricerca umanistica 5 (2003), edited by Şerban Marin, Rudolf Dinu, Ion
Bulei and Cristian Luca, Bucharest, 2004
No permission is granted for commercial use.
© Şerban Marin, March 2004, Bucharest, Romania
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[1] Archivio di Stato
di Venezia (d’ora in poi sarà citato ASV), Consiglio dei X.
Parti Secrete: fz. [filza] 29, cc. nn. [carte non numerate]; Paolo Preto, I servizi segreti di Venezia,
Milano, 1994: 209.
[2] Ibidem: 472-476: passim; per esempio, un
caso in cui un chierico diventò valente informatore di Venezia viene
chiaramente riferito da un documento che accenna al contributo che lui
offrì in tal senso durante la Guerra di Candia, Cfr. Marko Jačov, Le missioni cattoliche nei
Balcani tra le due grandi guerre: Candia (1645-1669), Vienna e Morea
(1683-1699), Città del Vaticano, 1998: 317.
[3] In quel periodo questi fu il segretario del bailo veneto
a Costantinopoli, cfr. ASV, Consiglio dei X. Lettere di ambasciatori.
Costantinopoli, 1600-1714: b. 7, c. 41, e le informazioni che registra
provengono dalla corrispondenza cifrata intercettata nella capitale ottomana da
diversi personaggi, molto probabile informatori e spie. Suo padre fu,
probabilmente, Marco Spinelli, segretario del bailo Antonio Tiepolo nel 1575,
mentre suo nonno, padre di Marco, fu Gasparo Spinelli, cancellier grande in
Cipro, morto durante la conquista ottomana dell’isola, nel 1571; su Marco e suo
padre Gasparo Spinelli si veda ASV, Consiglio dei X. Lettere di
ambasciatori. Costantinopoli, 1571-1575: b. 4, cc. 228-229. Nel 1618
Gasparo Spinelli si trovò a Napoli, come residente della Repubblica di
S. Marco presso il Regno, e mandò agli Capi del Consiglio dei Dieci
cospicue notizie sui progetti antiottomani che venivano presentati al viceré da
vari deputati dei popoli balcanici, Cfr. ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete:
fz. 32, cc. nn.
[4] “Hieronimo Meoli, capitato a Costantinopoli e entrato
segretario dell’Ambasciatore d’Inghilterra; sue corrispondenze alla Corte di
Roma, a quella dell’Imperatore, a Milano, et Venezia”, questo è
ciò che menziona una nota autografa, aggiunta a tergo della c.
41, cioè della lettera originale inviata dal bailo Ottaviano Bon, il 2
marzo 1608, ai Capi del Consiglio dei Dieci, Cfr. ASV, Consiglio dei X.
Lettere di ambasciatori. Costantinopoli, 1600-1714: b. 7, c. 41.
[5] Ibidem: c. 46, c. 63, c. 65.
[6] Ibidem: c. 46; Preto,
op. cit.: 295.
[7] ASV, Consiglio dei X. Lettere di ambasciatori. Costantinopoli,
1600-1714: b. 7, c. 46, c. 63, c. 65.
[8] ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz. 37, cc.
nn.
[9] Sulla sua attività di spionaggio per conto di
Venezia si veda Preto, op.
cit.: 219, 388, 463.
[10] ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz. 29, cc.
nn.; ASV, Archivio proprio Costantinopoli: b. 15, cc. 425v-426r.
[11] Con una lettera inviata da Costantinopoli, il bailo
Almorò Nani rispondeva, il 27 giugno 1620, ai Capi del Consiglio dei
Dieci: “[...] né ho saputo che vi sia alcun frate dal suddetto nome”, negando
dunque che sarebbe stato capitato al bailaggio tale personaggio che spiava per
conto degli Asburgo, Cfr. ASV, Consiglio dei X. Lettere di ambasciatori.
Costantinopoli, 1600-1714: b. 7, c. 116.
[12] Sulla vita e l’attività di questo interessante
personaggio si veda Eugen Lozovan,
“Voyageurs nordiques dans les Pays Roumains”, Études Romanes de Lund 18
(1970): 112-113; Idem, “Un
médecin danois en Moldavie: Hans Andersen Skovgaard (1600-1656)”, Romanica
4 (1971): 81-84; Nicolae Vătămanu,
Voievozi şi medici de curte, Bucarest, 1972: 139-147; Andrei Pippidi, “Quelques drogmans de Constantinople au XVIIe siécle”,
in Idem, Hommes et idées du Sud-Est européen à l’aube de l’âge moderne,
Bucarest-Parigi, 1980: 150-151; Preto,
op. cit.: 253, 351.
[13] Eudoxiu di Hurmuzaki
(a cura di), Documente privitoare la
istoria românilor, VIII, Bucarest, 1894: doc. DCCVII-DCCVIII, 500-501; Vătămanu, op. cit.: 140, 142.
[14] Hurmuzaki
(a cura di), Documente, cit., IV/1, Bucarest, 1882: doc. DXCIV,
668, doc. DXCVIII, 671-675; Vătămanu,
op. cit.: 140, 142-143; Dimitrie Găzdaru,
“Documente”, in Omagiu Profesorului D. Găzdaru. Miscellanea
din studiile sale inedite sau rare, I, Studii
istorico-filologice, Friburgo, 1974: doc. VI, 49.
[15] Hurmuzaki
(a cura di), Documente, cit., IV/2, Bucarest, 1884: doc. DX, 515,
doc. DCXIII, 524, doc. DCXLII, 549; Vătămanu,
op. cit.: 143-144, 146; Pippidi,
op. cit.: 150; Ştefan Andreescu,
Restitutio Daciae, II, Relaţiile politice dintre Ţara Românească,
Moldova şi Transilvania în răstimpul 1601-1659, Bucarest, 1989: 153; Preto, op. cit.: 253. Alla corte
moldava si concentravano, prima di essere inviate a Costantinopoli, le varie
informazioni politiche arrivate dagli Stati circostanti, Cfr. Ionel Claudiu Dumitrescu, “Activităţi informative
româneşti în serviciul Porţii Otomane (secolele XVI-XVII)”, Anuarul
Institutului de Istorie «A. D. Xenopol» 35 (1998): 43, ciò che
rendeva particolarmente utile alla Repubblica veneta la raccolta di tali
notizie intrapresa sul posto da Ambrogio Grillo, Giovanni Andrea Scoccardi e, indirettamente,
da Giovanni Mascellini, durante il suo soggiorno nel vicino principato di
Valacchia.
[16] Vătămanu, op.
cit.: 141-142; Pippidi, op.
cit.: 150 e nota 130.
[17] Maria Pia Pedani-Fabris,
Elenco degli inviati diplomatici veneziani presso i sovrani ottomani,
Venezia, 2000: 36; Luciano De Zanche,
Tra Costantinopoli e Venezia. Dispacci di
Stato e lettere di mercanti dal Basso Medioevo alla caduta della Serenissima,
Prato, 2000 [= Quaderni di Storia Postale 25 (2000)]: 75, nota 13.
[18] ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz. 44, cc.
nn.; Preto, op. cit.: 253.
[19] Ibidem, si veda l’Appendice documentaria;
sull’impegno a Costantinopoli, in favore di Venezia, dell’ambasciatore francese
de la Haye si veda Pedani-Fabris,
op. cit.: 36; De Zanche, op.
cit.: 77-78. Sulla difficoltà di spedire, durante la Guerra di
Candia, notizie dall’Impero Ottomano verso la laguna veneta si veda ibidem:
78-79 e seqq.
[20] Pippidi, op.
cit.: 150-151 e la tavola contenente l’albero genealogico in chiusura dello
stesso testo; per quanto riguarda gli eredi del defunto dragomanno veneto,
abbiamo ora notizie più precise: dal matrimonio di Marc’ Antonio Borisi
con una donna ignota risultarono cinque figli, quattro femmine – Giacoma,
Franceschina, Smeralda e Selvaga [?] – e un maschio, nato nel 1617, il cui nome
resta ancora ignoto. Il figlio di Borisi fu reclutato nel 1625, in tenera
età, ‘giovane di lingua’ presso il bailaggio e da allora se ne perdono
le tracce, mentre Franceschina sposò in prime nozze Pellegrin Testa,
detto Fortuna; quindi il medico Scoccardi sposò una delle altre tre
figlie di Marc’ Antonio Borisi; per le suddette informazioni si vedano ASV,
Archivio proprio Costantinopoli: b. 19, cc. 64v-65r;
ibidem: b. 279, c. 98v; Ibidem:
b. 284, cc. nn., 15 novembre 1633; ASV, Bailo a Costantinopoli.
Lettere: b. 110, cc. nn., 25 novembre 1636.
[21] ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz. 45, cc.
nn.; si allega la lettera di Scoccardi a Ballarin, la quale accenna appunto al fatto
che il mittente e Mascellini erano ‘confidenti’ di Venezia.
[22] Ibidem.
[23] A tale riguardo si veda lo scambio di lettere tra
Cappello e Scoccardi, riportate in copia nel carteggio del Consiglio dei Dieci,
Cfr. ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz. 44, cc. nn.
[24] Preto, op.
cit.: 351.
[25] ASV, Inquisitori di Stato: b. 418, cc. nn.
[26] ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz. 45, cc.
nn.
[27] Su questo personaggio si veda Vătămanu, “Contribution à l’étude de la vie et de
l’œuvre de Giovanni Mascellini, médecin et secrétaire princier”, Revue
des études Sud-Est européennes 16 (1978), 2: 269-287.
[28] Vătămanu, Voievozi
şi medici, cit.: 150-158; Pippidi,
op. cit.: 151.
[29] ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz. 45, cc.
nn.
[30] Vătămanu, Voievozi
şi medici, cit.: 158, considera che il matrimonio tra Giovanni Mascellini
ed Elena Scoccardi è probabilmente avvenuto nel giugno del 1656, ma le
fonti veneziane conservate in ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz.
45, cc. nn., dimostrano chiaramente che tale legame si concretò sin dal
1654.
[31] Nella primavera del 1661 tornava a Costantinopoli, dopo
aver lasciato la città d’origine, Pesaro, dove si era recato
probabilmente per problemi familiari, Cfr. Archivio
della Sacra Congregazione De Propaganda Fide-Roma (d’ora in poi
sarà citato APF), Scritture originali riferite nelle Congregazioni
Generali (SOCG): vol. 277, c. 156r.
[32] ASV, Inquisitori di Stato: b. 418, cc. nn.,
dispaccio di Giovanni Battista Ballarin agli Inquisitori di Stato, 27 giugno
1661.
[33] Forse fu il figlio di Mascellini quel “[...] Francesco
Massellini medesimamente giovane di lingua”, ricordato dal segretario del
bailaggio, Antonio Paulucci, nei “conti del bailaggio” del 1685 (ASV, Inquisitori
di Stato: b. 148, cc. nn., 15 settembre 1685), e nel dispaccio che
spedì da Costantinopoli, il 7 settembre 1688, agli Inquisitori, cfr.
ASV, Inquisitori di Stato: b. 423, no. 184; si veda anche Ibidem:
b. 148, c. 79, c. 80, c. 82, c. 84. Se questo Francesco Mascellini è
figlio di Elena Scoccardi e di Giovanni Mascellini, ciò che a nostro
avviso si può dare per certo, l’assunzione come ‘giovane di lingua’
presso il bailaggio veneto di Costantinopoli fu dovuta agli importanti servizi
che suo padre aveva compiuto come ‘confidente’ per conto della Serenissima
Repubblica. Nel 1690 “il giovane di lingua Masselini […] cesserà
l’assegnamento [presso il bailaggio di Costantinopoli] per esser prossimo al
servitio del Capitano General in Armata”, cfr. ASV, Inquisitori di Stato:
b. 148, c. 80, 8 settembre 1690.
[34] Vătămanu, Voievozi
şi medici, cit.: 160-161; Pippidi,
op. cit.: 151; sempre di Giovanni Mascellini si ricorda nei documenti
veneziani, il 15 aprile 1668, che intratteneva corrispondenza con il gran
dragomanno della Porta, Panayotis Nicoussios, cfr. ASV, Consiglio dei X.
Parti Secrete: fz. 46, no. 2, e quest’ultimo scrive da Candia al Mascellini
due lettere, datate 25 febbraio 1667 e 10 marzo 1668, informandolo sulla guerra
in corso e inviandogli il testamento del veneziano Antonio Padavin che doveva
essere consegnato al gran cancelliere Giovanni Battista Ballarin, Cfr. ibidem:
cc. nn.
[35] ASV, Inquisitori di Stato: b. 418, cc. nn.; nel
1672 informava il bailo Querini su vari problemi di interesse politico per la
Repubblica di S. Marco, cfr. ASV, Inquisitori di Stato: b. 148, c. 62.
[36] Pippidi, Tradiţia politică bizantină în ţările române
în secolele XVI-XVIII (edizione rivista e aggiornata), Bucarest, 2001: 293.
[37] Hurmuzaki
(a cura di), Documente, cit., vol. IV/2: doc. DCLVIII, 563; Vătămanu, Voievozi şi medici,
cit.: 144, 146.
[38] Găzdaru, op.
cit.: doc. XXVI, 64, doc. XXXIV,
67.
[39] ASV, Inquisitori di Stato: b. 557, cc. nn.
[40] ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz. 49, cc.
nn.
[41] Ibidem: b. 46, cc. nn.; ASV, Inquisitori di
Stato: b. 418, cc. nn.; I “documenti turchi”
dell’Archivio di Stato di Venezia. Inventario della Miscellanea (a cura di Pedani–Fabris, con l’edizione dei
regesti di Alessio Bombaci),
Roma, 1994: doc. 1555, 425, doc. 1561, 427, doc. 1601-1603, 436-437; Pedani-Fabris, In nome del Gran Signore. Inviati ottomani a Venezia dalla caduta di
Costantinopoli alla Guerra di Candia, Venezia, 1994: 48. Vissuto
nell’infanzia ed in gran parte della sua giovinezza a Costantinopoli, parlava
ovviamente greco e turco, mentre l’italiano che imparò negli ambienti
del palazzo di bailaggio e nel seno della comunità italo-levantina
locale comportava ancora qualche difficoltà nel fargli comprendere le
sottilità della retorica in puro toscano, così come riferisce
anche un’anonima lettera calunniosa che dalla capitale ottomana venne spedita
nel 1670 agli Inquisitori di Stato: “[…] Esser da sicura parte avvenuti avvisi
agli Inquisitori di Stato della poca habilità dei pubblici Dragomanni,
che servono in Costantinopoli: Parada, e Grillo particolarmente, dei quali
continua servirsi l’Ambasciatore Alvise Molin, il primo non saper né leggere,
né scrivere in turco, il secondo non ben comprendendo i sensi delle parole
della lingua italiana, et andar per ciò mendicandone l’intelligenza,
esser poco perspicace nel sostenere, e trovar da se medesimo ragioni per ben
condor gli affari, oltre l’haver in se stesso una timidità estrema de’
Turchi. Ambidue essi esser poi avidi nei guadagni, e cagionar per questo grandi
esclamationi, e voci non buone”, cfr. ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete:
fz. 47, cc. nn., “materie pubbliche” discusse nel Consiglio dei Dieci il 3
novembre 1670. Per eliminare queste voci che si diffondevano a Venezia, sulla
poca funzionalità del dragomannato, secondo quanto si diceva il 27
novembre nel Consiglio dei Dieci, l’ambasciatore Molin aveva preso a servizio
Tommaso Navon, l’ex dragomanno dell’ambasciata di Francia in Costantinopoli,
che già era stato a lungo in passato al servizio di altri baili veneti,
cfr. ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz. 47, cc. nn.
[42] Ibidem: fz. 49, cc. nn.
[43] I “documenti
turchi”, cit.: doc. 1603, 437.
[44] Preto, op.
cit.: 351, 473; De Zanche, op.
cit.: 88.
[45] ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz. 45, cc.
nn.
[46] Ibidem: fz. 44, cc. nn.; l’ambasciatore Cappello
menzionò appunto “tuttavia il mio zelo verso li Pubblici interessi mi ha
spronato di toccare quanto poco, anzi con il Padre Guardiano della Madonna ne
ho tenuto lungo discorso”; la stessa carta documenta che l’ambasciatore
francese di Costantinopoli facilitava l’invio di informazioni a Venezia per
conto del bailo, il quale allora non era in grado di operare in libertà;
sui collegamenti tra il francescano Giovanni Locatelli ed il bailaggio e sulle
informazioni che lui forniva si veda anche ASV, Inquisitori di Stato: b.
417, cc. nn.
[47] Ibidem: b. 418, cc. nn.; ASV, Senato-Secreta.
Dispacci Costantinopoli: fz. 141, 1 aprile 1657, Giovanni Battista Ballarin
al Senato; De Zanche, op. cit.:
88.
[48] ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz. 45, cc.
nn., notizie del gennaio e ottobre 1654; ASV, Inquisitori di Stato: b.
417, cc. nn.; De Zanche, op.
cit.: 88.
[49] ASV, Inquisitori di Stato: b. 418, cc. nn.; Preto, op. cit.: 351.
[50] ASV, Inquisitori di Stato: b. 418, cc. nn., 13
aprile 1655, il segretario Giovanni Battista Ballarin agli Inquisitori di
Stato; Preto, op. cit.:
351.
[51] ASV, Consiglio dei X. Parti Secrete: fz. 45, cc.
nn.; Preto, op. cit.: 351.
[52] Ibidem.
[53] ASV, Senato-Secreta. Dispacci Costantinopoli: fz.
141, 1 aprile 1657; APF, SOCG: vol. 277, c. 48v; De Zanche, op. cit.: 88 e nota
65.
[54] ASV, Senato-Secreta. Dispacci Costantinopoli: fz.
141; De Zanche, op. cit.:
88.
[55] ASV, Senato-Secreta. Dispacci Costantinopoli: fz.
141; De Zanche, op. cit.:
88.
[56] ASV, Inquisitori di Stato: b. 418, cc. nn.; De Zanche, op. cit.: 88.
[57] ASV, Inquisitori di Stato: b. 418, cc. nn., 30
luglio 1658.