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Istituto Romeno’s Publications
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Annuario 2004-2005
p. 403
Cristian Luca,
Università degli Studi “Dunărea de Jos” di Galaţi/
Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di
Venezia
Il completo controllo degli Stretti, assunto dagli
Ottomani dopo la caduta di Costantinopoli, mutò l’andamento dei traffici
mercantili anche nell’area del Basso Danubio. E in generale il predominio della
Porta sul Mar Nero, divenuto un “lago ottomano” in cui le regole della
navigazione e del commercio venivano decretate dal sultano e messe in atto
dalle autorità provinciali, trova ampia eco nelle fonti veneziane coeve.
Sulla base di tali documenti, alcuni dei quali analizzeremo nell’ambito di
questa ricerca*, la tesi[1]
secondo cui il controllo della Porta sul bacino pontico-danubiano non fu
così rigido risulta davvero ottimistica e deve ritenersi infondata.
È ovvio che la navigazione di navi occidentali nel Mar Nero non
terminò con il passaggio degli Stretti nelle mani degli Ottomani[2]
ma è anche vero che, da allora, i mercantili stranieri furono costretti
ad adeguarsi alle disposizioni della Porta, essendo vincolati da precise norme
che limitavano la libertà dei trasporti marittimi e imponevano precisi
obblighi fiscali e doganali. Anche se le Capitolazioni regolavano i rapporti
veneto-ottomani in tempi di pace e garantivano formalmente, nelle acque
soggette al dominio della Porta, la libertà di navigazione ai vascelli
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marciani,
così come a quelli inglesi, francesi e olandesi, in concreto veniva
lasciato alle autorità ottomane il compito di gestire i flussi delle
navi occidentali nel Mar Nero[3].
È ciò che emerge chiaramente dai documenti veneziani degli ultimi
decenni del Cinquecento, periodo in cui i vascelli dei cittadini e sudditi
della Serenissima talvolta ottenevano, pur tra mille difficoltà, il
permesso di oltrepassare Costantinopoli per dirigersi alla volta dei porti
situati lungo il corso del Danubio meridionale e di quelli contigui al delta o
agli scali della Crimea. In effetti, come abbiamo evidenziato già
altrove[4],
se per alcuni periodi precisi, sempre autorizzati da Costantinopoli, la Porta
consentì al libero accesso di navi occidentali nel Mar Nero[5],
il comportamento delle autorità doganali e amministrative ottomane[6],
nei porti in cui quei vascelli gettavano l’ancora per effettuare le operazioni
di carico e scarico delle merci, rendeva sempre più gravoso e non
proficuo per i mercanti occidentali lo svolgimento delle attività commerciali
in prima persona, mentre la collaborazione con i mercanti ottomani, soprattutto
con i sudditi cristiani del sultano, e l’utilizzo delle loro navi, assicuravano
la regolarità dei trasporti ed evitavano, o almeno riducevano, gli
eventuali abusi[7].
Le vie marittime che da Venezia giungevano a
Costantinopoli assicuravano anche il collegamento tra la città di S.
Marco e i Principati Romeni, giacché le merci caricate nei porti danubiani
facevano rotta verso Venezia facendo scalo nella capitale ottomana[8].
Fu soprattutto il porto di Galaţi, situato nella Moldavia meridionale, sul
tratto inferiore del Danubio, a divenire il principale scalo romeno nel quale
confluivano i prodotti locali destinati ad essere esportati via mare nella
capitale ottomana o verso altre destinazioni. Il grande mercato
costantinopolitano costituiva il terminale commerciale dei paesi dell’area
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del
bacino pontico-danubiano ed era, allo stesso tempo, il centro di raccolta e di
trasporto verso l’Europa Occidentale. Era dunque Costantinopoli il punto di
arrivo delle merci di provenienza romena più ricercate sul mercato
veneziano per l’ottimo rapporto fra qualità e prezzo. Ma gli stessi
prodotti, oltre che per mare, prendevano la strada della capitale ottomana
anche via terra, consentendo in questo modo, ai mercanti occidentali che
facevano la spola via mare fra Venezia ed il Levante, di acquistare qui le
merci che provenivano dai Principati Romeni, ossia da dove per vari motivi essi
spesso non erano in grado di acquisirle direttamente. Come abbiamo già
detto, gli Ottomani, con le loro disposizioni restrittive, autorizzavano il
passaggio degli Stretti, per accedere al Mar Nero, in determinati casi e con
speciale licenza concessa dalle autorità centrali e provinciali. A questi
obblighi, ovviamente, non erano tenuti i mercantili ottomani e quelli
appartenenti ai sudditi cristiani e vassalli della Porta. In tal modo dunque,
avvalendosi di questa categoria privilegiata di vascelli, i mercanti veneziani
e quelli di altri Stati occidentali, consociati o individualmente, riuscivano a
gestire i propri affari anche nei territori in cui le navi veneziane accedevano
con molta difficoltà e saltuariamente, dove dunque la regolarità
della navigazione non veniva affatto garantita. Il carico di merci importate
dall’area del Basso Danubio e caricate prevalentemente sulle navi ottomane, di
proprietà dei sudditi della Porta e di greci delle isole del
Mediterraneo orientale, una volta giunto a Costantinopoli, proseguiva verso la
città lagunare o veniva trasferito su navi venete o straniere dirette
alla volta di Venezia. La presenza saltuaria di mercantili veneziani, e in
generale occidentali, nel bacino pontico-danubiano indusse i mercanti veneziani
e sudditi della Repubblica di S. Marco, soprattutto cretesi e greci
dell’Arcipelago, ad impiegare nel commercio navi ottomane o di vassalli della
Porta, che caricavano indisturbate le merci nei porti del Mar Nero e del
Danubio. Gli ostacoli incontrati dai mercanti veneziani, che gestivano in prima
persona il commercio marittimo tra le terre romene e la laguna veneta, venivano
superati invece dai sudditi ottomani, levantini e greci, così come dai
cittadini della Serenissima o da coloro che, trasferitisi a Costantinopoli,
rimanevano ad essa soggetti. Questi, infatti, spesse volte si associavano per
agire liberamente nei domini dell’Impero Ottomano, giacché erano nella
condizione di normali contribuenti della Porta.
I documenti dell’epoca, autenticati presso il bailaggio
veneto di Costantinopoli e conservati in copia nei registri dei diplomatici
della Serenissima, sono illuminanti per l’andamento dei commerci nell’area del
Basso Danubio. Dall’esame di queste fonti, di inestimabile valore per la storia
dei romeni, emergono i nomi di molti fra coloro che furono protagonisti in
queste attività, insieme con una discreta quantità di
informazioni di rilevanza statistica, riguardanti la consistenza dei capitali
impiegati, dei mercantili adoperati e delle merci scambiate. I baili veneziani,
svolgendo al contempo funzioni di consoli e di notai, coordinavano le
attività commerciali svolte nel Levante dai cittadini e dai sudditi
della Serenissima, avendo alle loro dipendenze i seguenti dragomanni: gran
dragomanno, dragomanni ordinari e dragomanni di strada, nonché i “giovani di
lingua”, che apprendevano il mestiere di dragomanno presso il bailaggio. Le
decisioni prese dai baili contribuivano al buon andamento degli scambi e
facevano sì che Venezia continuasse a conservare una posizione di
rilievo nel panorama commerciale di quell’area.
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Per la specificità della loro economia
agro-pastorale, i Principati Romeni costituivano un naturale serbatoio di
materie prime di ottima qualità, merci utili all’industria
manifatturiera che, nella città lagunare e sulla terraferma veneta,
contava un cospicuo numero di botteghe dedite alla lavorazione dei pellami,
della lana e della cera. E queste materie prime erano egualmente appetibili dai
concorrenti della Repubblica di S. Marco, i quali non tardarono ad affacciarsi
sulle sponde romene del Danubio in cerca di tali prodotti. I vascelli ragusei,
ad esempio, approfittando del fatto che la loro città si trovava in
condizioni di vassallaggio nei confronti della Porta, così da poter
navigare quasi indisturbati nel Mar Nero, facevano rotta verso Galaţi, il
principale porto della Moldavia, per caricare pellami destinati al mercato
anconetano. Fra questi il karamürsel[9]
di un certo Giorgio Lutrari raggiunse lo scalo moldavo nei mesi di maggio e
giugno del 1583, con un carico a noi sconosciuto, e attese per cinquanta giorni
l’arrivo di Raffaele Turiglia[10],
che doveva portare dall’entroterra moldavo un ingente quantitativo di pellami e
cuoio, ma l’affare andò a monte e il proprietario del mercantile
ripartì con un altro carico, facendo vela su Pera di Costantinopoli e
quindi sull’Isola di Chio[11].
Nella capitale ottomana, come abbiamo detto, confluivano in gran
quantità le merci provenienti dalle terre romene e in generale dall’area
del Basso Danubio; è dunque ovvio che, nelle stive dei mercantili
salpati da qui alla volta della Dominante, si trovassero merci tipiche della
Valacchia e della Moldavia.
Il 24 settembre 1583 Antonio Paruta[12],
uno dei più facoltosi mercanti veneziani residenti a Costantinopoli,
inviò a Venezia, per conto di Hieronimo Cucina, un carico di lana[13],
e con la medesima destinazione lasciarono il porto ottomano alcune botti di
storioni[14] e ingenti
carichi di pellami e cuoio[15].
Il Paruta gestiva cospicui capitali, investiti in attività commerciali o
nel prestito ad usura, riuscendo ad incassare da un suo debitore, in una sola
occasione, ben 1.300 zecchini d’oro e un certo numero di perle[16].
Neppure i dragomanni
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del
bailaggio furono estranei alle attività commerciali[17].
Così Cristoforo Brutti rappresentò “Nicolò di Michiel, drapiero
di Rialto” nel 1584, cioè due anni dopo essere stato assunto, per la
seconda volta, dal bailo Paolo Contarini su ordine preciso del doge
Nicolò da Ponte che, oltre al rimborso dovuto per le spese di servizio,
concesse al Brutti un aumento di stipendio fino a 200 zecchini annui[18].
Nel 1591 il Brutti si trovò addirittura nei panni di armatore,
acquistando un vascello ottomano, per ordine del bailo Bernardo e molto
probabilmente con sussidi dalla Serenissima, al fine di inviare granaglie a
Venezia; il mercantile fu nominato Santa Maria e affidato ad un capitano greco,
suddito della Porta, di nome Nicolò da Skyros: un’abile mossa dovuta
alla necessità di facilitare la navigazione del vascello nelle acque
ottomane[19].
Nell’estate del 1587, a Galaţi furono caricati per conto
di più mercanti 2.470 colli di pellami vari su un vascello ottomano che
fece rotta su Chio, ma la nave naufragò di fronte alla Dobrugia e la
merce fu solo in parte recuperata da Lorenzo Giudicio, agente dei suddetti
mercanti[20]. Del resto
l’interesse dei greci dell’Arcipelago per l’importazione di prodotti da
quell’area aveva fatto seguito a quello dei cretesi, i quali erano divenuti
protagonisti indiscussi degli scambi, da una parte con le terre romene e con la
Polonia, e dall’altra con Venezia, il Mediterraneo Orientale ed il Levante. I
cretesi, che erano sudditi veneziani, con il naturale pragmatismo che sempre li
contraddistinse nella capitale della Porta, trovarono soci ed eccellenti
collaboratori nei levantini di Costantinopoli, negli armatori ottomani e nei
correligionari trapiantati nella Valacchia e nella Moldavia. Questi mercanti,
addirittura, reclamavano il pagamento di cospicue somme da alcuni principi
romeni; ad esempio, Antonio Andronicopulos[21]
e Ambrosio Panzan[22]
ottennero, il 13 ottobre 1587, una sentenza favorevole del bailo Lorenzo
Bernardo per la riscossione di 27.848 aspri ottomani d’argento che Pietro lo
Zoppo, principe di Moldavia e loro debitore, aveva affidato ad Antonio
Pandarota da Candia, mercante greco attivo nell’area del Basso Danubio[23].
Del recupero della somma fu incaricato Pietro Galante da Pera, un mercante che
spesso, in veste di rappresentante, si era trovato coinvolto in alcune cause
pendenti per ragioni commerciali tra cretesi, veneziani e levantini, che operavano
nelle terre romene a cavallo tra il XVI e il XVII secolo[24].
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Le materie prime acquistate in Moldavia venivano
richieste, altresì, su diversi mercati della Penisola italiana. Nel 1588
due mercanti anconetani caricarono su vascelli ragusei pellami di Brăila e
della Città Bianca e 11 botti di caviale, quindi, passando per
Costantinopoli, si diressero alla volta di Ancona[25].
In un altro caso, il ricavato della vendita, alcune centinaia di “cuori di
Bogdania” e un certo quantitativo di caviale, servì a saldare alcuni
debiti che Antonio Andronicopulos aveva contratto con il mercante raguseo
Giorgio Gondola[26]. Sono anni,
questi, in cui le esportazioni dalla Moldavia sono copiose, il commercio
è florido e i mercanti hanno interessi in comune con alcune autorevoli
personalità appartenenti all’entourage
del principe Pietro lo Zoppo, fra cui ad esempio Battista Amoroso,
appaltatore doganale, Simon Vorsi, Nicolò Nevridi, Ienachi Simota e
Bartolomeo Brutti[27].
Nel 1587, un tal Giorgio Calvo Coressi[28]
dimorava già da tre anni in Moldavia e si dedicava ai commerci d’ambito
locale, quando un suo parente, Francesco Coressi, avvalendosi della
testimonianza di alcune delle suddette personalità, lo chiamò in
giudizio per un credito in sospeso[29].
Francesco Coressi inoltre, il 22 giugno 1588, reclamava da Oberto Petrasanta il
pagamento di 24.500 aspri ottomani d’argento, a seguito di una lettera di
cambio rilasciata un anno prima a Iassi[30].
Tali mercanti, spingendosi profondamente nei territori della Moldavia, è
indubbio che si servissero di collaboratori del posto e di soci che avevano
deciso di stabilirsi nel principato per gli ingenti guadagni che gli scambi
commerciali assicuravano loro. Inoltre, dagli atti del bailaggio veneto
relativi alle cause insorte per motivi commerciali, risulta che, nell’area del
Basso Danubio, i mercanti utilizzavano di frequente la lettera di cambio[31],
ma, per l’acquisto di ulteriori merci, era assai più consueto fra loro
l’uso immediato dei capitali derivati dalla vendita dell’ultimo carico.
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Ancora, i vascelli che nel 1591 approdavano a Chilia, un
porto che da più di un secolo ormai era nelle mani degli Ottomani, in
una terra che tradizionalmente era conosciuta dai mercanti stranieri col nome
di “Bogdania” [=Moldavia], recavano soprattutto carichi di pellami e caviale[32],
particolarmente ricercati per la loro qualità superiore. E pellami, per
l’esattezza 2.000 unità, caricò anche il cretese Antonio
Pandarota, nell’autunno dello stesso anno, su un mercantile diretto a
Costantinopoli, poco prima di salire anch’egli sulla nave del capitano ottomano
Sava Rais, e di perder la vita, durante il viaggio di ritorno, scomparendo
nelle acque del Mare Nero[33].
L’accresciuta presenza dei mercanti veneti e soprattutto
dei sudditi veneziani nei porti del Basso Danubio e del litorale settentrionale
del Mar Nero, nella zona fra la Crimea e la foce del fiume, si deve, come
abbiamo già detto, al modo in cui essi seppero gestire le
opportunità derivate dall’impiego di vascelli ottomani o di proprietà
dei sudditi cristiani e dei vassalli della Porta, in momenti in cui, ai
mercantili battenti bandiera marciana, non veniva consentito, se non
saltuariamente, l’acceso al bacino pontico-danubiano. Queste circostanze
indussero il bailaggio veneto di Costantinopoli ad assumere quei provvedimenti
che offrissero agli interessati la possibilità di beneficiare in loco di un rappresentante
istituzionale. Così, in accordo con la Porta, furono istituiti il
consolato veneto di Chilia, nel Delta del Danubio, sul principale braccio
navigabile del fiume, e quello di Caffa, nella Penisola di Crimea, ambedue in
territorio soggetto agli Ottomani. Il 17 ottobre 1587 ad un certo Alessio
Stiga, probabilmente un mercante del posto, fu ufficialmente affidato dal bailo
Lorenzo Bernardo l’incarico di console veneto a Chilia[34].
Due anni più tardi, però, riscontrata la prolungata assenza del
console dal suo ufficio, l’incarico fu affidato dal bailo Marco Venier al
mercante “Nicolò di Stathi Manoli”, molto probabilmente un greco
originario della città o là residente da qualche tempo[35].
A Caffa il bailo Matteo Zane, su segnalazione di quei mercanti che, cittadini e
sudditi veneziani, frequentavano lo scalo per ragioni commerciali, nell’estate
del 1592 nominò console di Venezia il medico Battista Massa, un insigne
abitante dell’antica colonia genovese[36].
Il bailo, dunque, comunicò al doge la decisione di conferire al genovese
la carica di console in una città che gli Ottomani, consapevoli della
sua importanza strategica e mercantile, controllavano direttamente, anche se
Caffa si trovava nei domini tartari del Khanato di Crimea, vassallo della
Porta. Il dispaccio di Matteo Zane, datato 2 agosto 1592, chiarisce le ragioni
che determinavano la nomina di un console di Venezia nel suddetto porto:
“Essendosi introdotto che molti de’ nostri mercanti Venetiani et altri sudditi di Sua Serenità, et particolarmente Candiotti, frequentano il viaggio di Tana et Caffa per far morone, caviari, et altre mercantie per uso di Venetia et altri luochi della Christianità, né ritrovandosi là alcuno,
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che nelle occasioni
che ben spesso occorrono si difendi aiuti et favorischi, siamo condescesi a
comodo et beneficio loro di elegger con le presenti, in virtù
dell’autorità del Bailaggio nostro, Domino Battista Massa genovese,
medico ma habitante et maritato in Caffa, in Consule della Natione Venetiana,
con quei carichi, obblighi et utilità solite de’ Consolati, senza
però alcun interesse di Sua Serenità, sperando per l’informationi
c’habbiamo havuto di lui che li mercanti resteranno dell’opera, fede et
diligenza sua intieramente soddisfatti, dichiarando che la presente eletione
sia et s’intendi essere a beneplacito nostro, et de’ successori”[37].
Lo Zane, ricordando le merci acquistate dai mercanti
della Serenissima negli scali della Crimea, le stesse che, più o meno,
venivano caricate anche nei porti del Basso Danubio, sottolinea il particolare
zelo dei cretesi in quest’attività. I mercanti dell’Isola di Candia,
infatti, controllavano in modo pressoché esclusivo le esportazioni in Polonia di
vino cretese, la cui vendita, fra Cinque e Seicento, fruttò ingenti
guadagni ai protagonisti di questi traffici[38].
Il transito della merce attraverso la Moldavia assicurava entrate altrettanto
cospicue all’erario, poiché le botti che erano trasportate dai vascelli fino
alla sponda romena del Danubio proseguivano poi via terra lungo il fiume Prut,
fino alla città polacca di Lwów (latino: Leopoli; tedesco: Lemberg;
romeno: Liov; russo/ucraino: L’viv), attraversando dunque, da sud a nord,
l’intero territorio del principato[39].
Con il ricavato, i cretesi acquistavano in Moldavia alcuni prodotti
particolarmente richiesti sul mercato veneziano e altrove, vale a dire pellami,
storioni salati e caviale, e spesso a prezzo assai conveniente, poiché tali
merci, stando alle testimonianze dell’epoca, abbondavano nelle terre romene.
Dalle fonti veneziane risalenti agli ultimi anni del
Cinquecento ricaviamo i nomi di alcuni mercanti cretesi che si dedicavano al commercio
fra l’Isola di Candia, l’area del Basso Danubio e la Polonia. Seguendo per poco
più di due decenni la loro attività nei documenti del bailaggio
veneto di Costantinopoli, notiamo anche la consuetudine che essi avevano di
associarsi nella gestione degli affari e il funzionamento del sistema
creditizio in uso negli ambienti mercantili del Levante ottomano e dei
Principati Romeni.
Nell’estate del 1589, il mercante veneto Pantaleo Rosso
da Retimo affidò un carico di vino cretese ad un vascello che doveva
approdare a Reni, ma che il comandante del mercantile, per motivi oscuri,
decise di dirottare su Chilia, dove la nave scaricò le botti[40]
e dove giungevano abitualmente le merci per la Polonia. Contemporaneamente, il
mercantile
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di
Leon da Cerigo[41] portò
a Reni 50 botti di vino cretese destinate a Michele Perdicari, che, a sua
volta, doveva trasportarle in Polonia presso i suoi soci[42].
Nel giugno del 1590, presero la stessa destinazione, cioè lo scalo di
Reni, più di cento botti di vino, che erano state caricate sul vascello
di Zorzi Episcopulos[43],
salpato da Canea e bloccato a Costantinopoli per il mancato lasciapassare delle
autorità ottomane[44].
In seguito la merce fu scaricata comunque nel porto della capitale ottomana e
l’autorizzazione per oltrepassare gli Stretti, negata all’Episcopulos, fu
invece ottenuta dal mercantile di Battista Vevelli[45]
da Retimo, che trasportava, tra le altre merci, 22 botti di vino cretese per
conto dei suoi correligionari, i fratelli Perdicari: Giorgio, Michele e Antonio[46].
La merce, però, fu scaricata a Costantinopoli per ordine del bailo
Lippomano, e messa in vendita per pagare una lettera di cambio, rilasciata ad
un altro mercante di Retimo dai suddetti fratelli, e le tasse di trasporto
dovute al proprietario del vascello[47].
Per tutta l’estate del 1590 continuarono le spedizioni di
decine di botti di vino cretese, da Candia e da Retimo, verso Reni, e via
Costantinopoli, spedizioni che furono sempre gestite da mercanti cretesi, tra
cui i già menzionati fratelli Perdicari e il loro concittadino Gabriele
Achielli[48], mentre i
mercantili impiegati furono quelli dei medesimi isolani: il brigantino di
Giorgio de Plari, il vascello al comando di Giovanni (Zuanne) da Rona e quello
di Battista Vevelli[49].
Un carico di 67 botti di vino fu inviato alla volta di Reni dal cretese
Anibadisto Manolussi[50]
nel settembre 1590, con il karamürsel
di proprietà di Manoli Stavrino da Chilia[51].
Poiché il Manolussi morì improvvisamente prima dell’arrivo della merce
nella Moldavia meridionale, il dragomanno Pasqua Navon acquistò la
polizza di carico dal cognato del defunto[52].
Pertanto il bailo Girolamo
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Lippomano,
scrivendo il 4 ottobre 1590 una lettera al Rettore di Canea, Pietro Francesco
Malipiero, riassume così il caso dell’eredità del suddito
veneziano:
“[…] passò a
miglior vita Messer Anibadisto Manolussi intorno a X del mese passato, dopo
breve malattia avuta sopra la galea real del Capitano del Mare, in questo porto
nel quale si trovava appresso Xaban Rais, rinnegato […] strettissimo parente
suo. Io intendendo la morte sua, et che già haveva caricato
sessantasette botti di vino sopra caramussali sudditi turcheschi, et che
stavano della bocca del Mar Negro disdotto miglia de qui lontano di punto in
punto, di partita per il viaggio di Reni, chiamai subito [il] Consiglio de’ XII
et, secondo la deliberatione fatta in esso, ho fatto ritornar quei essi
vasselli et sebbene el cadì et cattaveri pretendevano impatronirsi del
tutto […] ho però tanto fatto et con l’autorità et con qualche
spesa, che come roba di persona suddita, l’ho finalmente acquistato et fatto
vendere al pubblico incanto”[53].
Nel 1591 i fratelli cretesi Perdicari portarono avanti i
loro affari in Polonia e in Moldavia: Michele dimorava a Lwów, dove vendeva vino,
e Antonio si recava a Chilia per acquistare pellami e storioni[54].
Battista Vevelli, in veste di armatore e comandante di un mercantile, ma a
volte anche come socio di alcuni mercanti, da Retimo o da Costantinopoli
trasportava botti di vino cretese fino a Chilia[55].
I molteplici legami dei Perdicari con i mercanti della Polonia e gli ingenti
capitali impiegati garantirono, negli anni 1592-1593, un flusso costante di
botti di vino cretese verso Reni, e quindi attraverso le strade della Moldavia
fino a Lwów[56]. Prima del
1594 e della sollevazione della Moldavia e della Valacchia, prevista nella
guerra iniziata dalla Lega Santa contro la Porta, gli Ottomani controllavano
saldamente i trasporti marittimi nel Mar Nero[57],
ma, all’indomani delle campagne militari che investirono l’area del Basso
Danubio, la sicurezza dei traffici cominciò a venir meno. Come diretta
conseguenza, diminuì inevitabilmente anche il numero delle navi che
salpavano verso questi scali ritenuti, per il momento, meno sicuri. Tuttavia,
nell’aprile 1595, il mercante greco Nicolò Zucco[58]
aveva immagazzinato 27 botti di vino cretese a Pera, in attesa di trasportarle
a Chilia o a Reni[59],
anche se, nell’agosto dello stesso anno, data l’insicurezza della navigazione,
un vascello di proprietà dello stesso Zucco, con un carico di vino che
era salpato da Retimo per Chilia, si fermò a Costantinopoli in attesa di
proseguire per la sua destinazione[60].
Lo stesso fece il mercantile Fassidonio, su
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cui
erano state caricate a Candia botti di vino per Chilia, e che si fermò
nel porto della capitale ottomana per scaricarvi la merce[61].
Tracciando in linea generale lo svolgimento degli scambi
commerciali nell’area del Basso Danubio, durante gli ultimi decenni del XVI
secolo, notiamo il particolare interesse dei mercanti per la compravendita di
determinati prodotti che garantivano un profitto elevato, se consideriamo il
rapporto fra qualità e prezzo delle merci. L’intensa attività dei
mercanti cretesi, dediti alla vendita del vino di Candia nelle lontane terre
della Polonia e della Moldavia, fu favorita da una serie di fattori che
assicurarono la facilità degli scambi. Da un lato, infatti, vi era la
rete dei rapporti che i mercanti cretesi erano riusciti a creare sul territorio
legandosi ad alcuni uomini politici influenti, così, ad esempio, accadde
a Costantinopoli, a Iassi e probabilmente anche a Lwów, dall’altro stava
l’intraprendenza dei mercanti stessi, cui si aggiungeva la consapevolezza di
doversi associarsi per aumentare i guadagni, ma anche per ammortizzare i rischi,
giacché raramente si faceva ricorso alle assicurazioni marittime. Entrambi
questi fattori risultarono vincenti nel garantire alti guadagni ed il buon
andamento dei commerci nell’area del Basso Danubio. Per di più,
l’impiego massiccio di cretesi nella marineria, caratteristica, questa, dei
greci delle isole a prescindere dall’autorità cui sottostavano,
assicurò ai mercanti che si dedicavano all’esportazione del vino di
Candia un collegamento rapido e continuato con lo scalo costantinopolitano, ed
inoltre, permettendolo le autorità ottomane, con i porti danubiani e del
Mar Nero, fra la Crimea e il delta del Danubio. I dati ricavati dall’attento
esame dei documenti conservati presso il bailaggio veneto di Costantinopoli,
che riguardano in maniera pressoché esclusiva le questioni di natura
commerciale di cui il diplomatico e console veneziano si prendeva cura,
forniscono elementi che spiegano chiaramente l’andamento dei commerci: dal modo
in cui veniva elusa la rigidezza dei controlli effettuati dalle autorità
ottomane, fino al numero dei mercantili che da Costantinopoli facevano rotta
verso i porti di Chilia, Reni e Galaţi, nella Moldavia meridionale, e
all’identità di alcuni dei proprietari di queste navi. Tuttavia la
discreta presenza, nel Mar Nero, dei vascelli cretesi e degli stessi mercantili
veneziani non prova in modo inconfutabile la tesi secondo cui gli Ottomani
concedessero ampia e continuata libertà di navigazione, bensì
indica solamente una certa flessibilità nell’applicare le regole che
consentivano, in determinate circostanze, il passaggio degli Stretti alle navi
occidentali. Basta esaminare le statistiche[62]
stilate dalla compianta studiosa greca Fani Mavroidi, per rendersi conto del
fatto che i mercantili di diverse tipologie i quali, nel periodo 1499-1599,
oltrepassarono gli Stretti, indirizzandosi verso i porti del Mar Nero e del
Danubio, costituiscono in percentuale una netta minoranza; mentre fu
innanzitutto Costantinopoli la destinazione dei vascelli commerciali impiegati
nei traffici tra Venezia e il Mediterraneo orientale, da una parte, e il
Levante ottomano, l’Europa Centro-Orientale e l’area del Basso Danubio in
generale, dall’altra. Come già ricordato, provvedimenti unilaterali che
vietassero l’ingresso nel Mar
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Nero
ai mercantili stranieri, e in minor grado ai sudditi della Porta, potevano
intervenire in qualsiasi momento, senza che per questo fossero considerati
soprusi; e perfino alcuni prodotti di cui l’Islam vietava il consumo, come il
nostro vino cretese, venivano così inevitabilmente scaricati e messi in
vendita a Costantinopoli. Non c’è dubbio che il fisco ottomano ricavasse
cospicue entrate dalle tasse sul commercio marittimo, ma, con tutte le
limitazioni imposte ai mercantili occidentali, restavano pur sempre numerosi
vascelli ottomani in grado di trasportare, a prezzi non meno convenienti, le
merci di qualsiasi mercante e di garantire in tal modo gli introiti all’erario.
La specificità degli scambi commerciali in
quest’area del Basso Danubio, che comprendeva gran parte delle terre
meridionali e sud-orientali dell’odierna Romania, ma che veniva recepita, nella
terminologia commerciale veneziana del Cinque–Seicento, come parte del Levante
ottomano, è dovuta all’elemento etnico dei greci che si dedicavano allo
sviluppo dei commerci con la Penisola Balcanica e con Venezia. I cretesi, i
greci delle isole e del continente, e non ultimi anche quelli della
comunità ortodossa lagunare, favorirono in quegli anni un dinamismo
economico indiscutibile e la crescita degli scambi fra le terre romene e la
Serenissima. Ed è altrettanto facile verificare che alcuni greci
facoltosi, o solamente spregiudicati, una volta naturalizzati romeni, ambirono
alle dignità conferite dai principi di quei paesi a chi appartenesse al
loro entourage, giungendo
perciò ad influenzare, ora in modo positivo ora in modo negativo, ma pur
sempre in maniera determinante, la politica interna ed estera della Valacchia e
della Moldavia nell’ultima parte del Cinquecento, ma soprattutto nel corso dei
secoli XVII e XVIII.
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(2004-2005), edited by Ioan-Aurel Pop, Cristian Luca, Florina Ciure, Corina
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* Per quanto riguarda la parte
introduttiva di questo breve articolo, l’autore si avvale, in gran parte, di un
contributo già pubblicato (si veda infra,
nota 4), aggiornando solamente la bibliografia. E poiché ritiene ancora valide le
conclusioni raggiunte in quell’occasione, le ripropone adesso, pur sapendo che
la scoperta di nuove fonti è possibile e che la questione è
ancora sub iudice.
[1] Mihnea Berindei, Les Vénitiens en Mer Noire (XVIe-XVIIe
siècles). Nouveaux documents, in “Cahiers du Monde russe et
soviétique”, XXX, no. 3-4, 1989, pp. 207-214, doc. I-III, pp. 215-219; Viorel
Panaite, Pace, război şi comerţ în Islam.
Ţările Române şi dreptul otoman al popoarelor (secolele XV-XVII), Bucarest
1997, p. 252; Ştefan Andreescu, Problema
„închiderii” Mării Negre la sfârşitul secolului al XVI-lea şi în prima jumătate
a celui de al XVII-lea, in Idem, Din
istoria Mării Negre (Genovezi, români şi tătari în spaţiul pontic în secolele
XIV-XVII), Bucarest 2001, pp. 220-235.
[2] Christiane Villain–Gandossi,
Contribution à l’étude des
relations diplomatiques et commerciales entre Venise et la Porte ottomane au
XVIe siècle, in “Südost-Forschungen”, XXVIII, 1969, p.
43; Halil İnalcik, The Question of
the Closing of the Black Sea under the Ottomans, in
“Αρχείον
Πόντου”, no. 35, 1979, pp. 74-110; Ch.
Villain–Gandossi, Contribution à
l’étude des relations cit., in Eadem, La
Méditerranée aux XIIe-XVIe siècles. Relations
maritimes, diplomatiques et commerciales, Londra 1983, p. 43; Suraiya
Faroqhi, Before 1600: Ottoman Attitudes
towards Merchants from Latin Christendom, in “Turcica. Revue d’études
turques”, no. 34, 2002, p. 94, nota 93; V. Panaite, Diplomaţie occidentală, comerţ şi drept otoman (secolele XV-XVII),
Bucarest 2004, pp. 91-92.
[3] Ibidem, pp.
92-93.
[4] Cristian Luca, Le importazioni di merci levantine nella
Venezia del Seicento e del primo Settecento: la cera e i pellami provenienti
dai Principati Romeni, in L’Italia e
l’Europa Centro–Orientale attraverso i secoli. Miscellanea di studi di storia
politico-diplomatica, economica e dei rapporti culturali, a cura di Cr.
Luca, Gianluca Masi e Andrea Piccardi, Brăila–Venezia 2004, pp. 326-329.
[5] Si veda, a questo
proposito, anche Paul Cernovodeanu, Olanda
şi Marea Neagră în secolul al XVII-lea, in Identitate naţională şi spirit european. Academicianul Dan Berindei la
80 de ani, Bucarest 2003, pp. 264-266, passim;
V. Panaite, Diplomaţie occidentală
cit., pp. 90-93, passim.
[6] Il fatto che i
sultani, ripetutamente e vanamente, intervenissero presso le autorità
provinciali dell’Impero Ottomano per eliminare le pratiche abusive nei
confronti dei mercantili veneziani dimostra quanto il fenomeno fosse diffuso,
Cfr. Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi sarà citato ASV), Bailo a Costantinopoli. Carte turche, b.
[busta] 252, cc. [carte] 25v-26r.
[7] Traian Stoianovich, The Conquering Balkan Orthodox Merchant,
in “The Journal of Economic History”, XX, no. 2, 1960, pp. 240-241, p. 309;
Carl M. Kortepeter, Ottoman Imperial
Policy and the Economy of the Black Sea Region in the Sixteenth Century, in
“Journal of the American Oriental Society”, vol. 86, no. 2, 1966, p. 100; Eric
Dursteler, Commerce and Coexistence:
Veneto-Ottoman Trade in the Modern Era, in “Turcica. Revue d’études
turques”, no. 34, 2002, pp. 128-131.
[8] Michel Mollat du
Jourdin, L’Europa e il mare
dall’antichità a oggi, Roma–Bari 2001, pp. 158-159.
[9] Per quanto riguarda
l’origine del mercantile di piccolo e medio tonnellaggio chiamato karamürsel
(karamusal o caramusal) si veda il volume di James W. Redhouse, A Turkish and English Lexicon, Beirut
1987, p. 1450, che a questo proposito scrive: “name of a peculiar kind of craft
built at Karamürsel on the Gulf of Nicomedia, and formerly used for transport
service”.
[10] Un tal Vincenzo Turiglia,
probabilmente parente di Raffaele, nel 1586 commerciava in Moldavia e in
Polonia, Cfr. Nicolae Iorga, Relaţiile
comerciale ale Ţerilor Române cu Lembergul, Bucarest 1900, p. 87; Paul
Păltănea, Istoria oraşului Galaţi de la
origini până la 1918, vol. I, Galaţi 1994, p. 46.
[11] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 264, cc. 3v-6v.
[12] Ibidem, b. 266, cc. 134v-137v, cc. 178v-179r;
per alcuni dettagli sull’attività svolta dal Paruta, si vedano Ugo
Tucci, Mercanti, navi, monete nel Cinquecento
veneziano, Bologna 1981, pp. 71-73; Cr. Luca, Veneziani, Levantini e Romeni fra prassi politiche e interessi
mercantili nell’Europa Sud–Orientale tra Cinque e Seicento, in Romania e Románia: lingua e cultura romena
di fronte all’Occidente, a cura di Teresa Ferro, Udine 2003, pp. 244-249.
[13] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 264, c. 114v.
[14] Ibidem, c. 130v, reg. II, c. 21r.
[15] Ibidem, c. 131r.
[16] Ibidem, cc. 158v-159r.
[17] E. Dursteler, op. cit., pp. 113-114, p. 130.
[18] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 264, c. 144v.
[19] Ibidem, b. 267, c. 104r; Fani Mavroidi, Ο
Ελληνισμός στο
Γαλατά (1453-1600).
Κοινωνικές και
οικονομικές
πραγματικότητες,
Giannina 1992, p. 241.
[20] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 265, cc. 117r-118r.
[21] F. Mavroidi, Πρόσωπα
και
δραστηριότητες
το β μισό του 16ου
αιώνα, in “Δωδώνη.
Ιστορία και
Αρχαιολογία”, Giannina
1998, p. 121.
[22] Ibidem, p.
131.
[23] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 265, cc. 117r-118r, cc. 252r-252v;
F. Mavroidi, Πρόσωπα
και
δραστηριότητες
cit., p. 121.
[24] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 272, cc. 226v-227v; N. Iorga, op. cit., p. 48, p. 85; P. Păltănea, op. cit., vol. I, p. 47.
[25] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 266, cc. 29v-30r; Ioan–Aurel Pop, Cr. Luca, Date privitoare la zona
Dunării de Jos în izvoare veneţiene din secolele XVI-XVII, in “Danubius”, XXII, 2004, doc. II, p. 40.
[26] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 266, cc. 32v-33r.
[27] Per quanto riguarda
l’attività d’ambito commerciale e politico svolta da questi personaggi,
si vedano N. Iorga, op. cit., pp.
50-52, p. 57, p. 65, p. 68, p. 73, p. 76, p. 85, p. 95, pp. 100-102, p. 108;
Andrei Pippidi, Esquisse pour le portrait
d’un homme d’affaires crétois du XVIe siècle, in Idem, Hommes et idées du Sud-Est européen à
l’aube de l’âge moderne, Bucarest–Parigi 1980, p. 128; Idem, Quelques drogmans de Constantinople au XVIIe
siécle, in Idem, Hommes et idées
cit., pp. 138-144; Idem, Tradiţia politică bizantină în ţările române în secolele
XVI-XVIII, 2a edizione, rivista
e aggiornata, Bucarest 2001, p. 253, p. 276,
nota 231; P. Păltănea, op. cit., vol. I, p. 47; Cr. Luca, Miscellanea italo–romena (XVI e XVII secolo),
in Închinare lui Petre Ş. Năsturel la 80
de ani, a cura di Ionel Cândea, P. Cernovodeanu e Gheorghe Lazăr, Brăila
2003, pp. 332-335.
[28] I Coressi, famiglia
di mercanti originari dall’Isola di Chio, parteciparono sin dagli anni ‘70 del
XVI secolo al commercio tra il Mediterraneo Orientale, Venezia e il Levante, da
una parte, e l’Impero Ottomano, Moldavia e Polonia, dall’altra, Cfr. N. Iorga, op. cit., pp. 50-51, p. 102; F.
Mavroidi, Πρόσωπα
και
δραστηριότητες
cit., p. 71, p. 74, p. 87, p. 100, p. 106, p. 136, p. 143.
[29] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 266, cc. 24v-25r.
[30] Ibidem, c. 48r.
[31] Ibidem, b. 267, c. 32r, reg. II, c. 1v.
[32] Ibidem, cc. 1v-2r.
[33] Ibidem, cc. 52v-53r, c. 78r.
[34] Ibidem, b. 269, c. 188v.
[35] Ibidem, cc. 188v-190r.
[36] Ibidem, b. 268, reg. II, c. 41r; si veda anche M.
Berindei, op. cit., p. 211, doc. II,
pp. 215-216.
[37] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 268, reg. II, c. 41r.
[38] T. Stoianovich, op. cit., p. 240; U. Tucci, Il commercio del vino nell’economia cretese,
in Venezia e Creta. Atti del Convegno Internazionale
di Studi, Iraklion–Chanià, 30 settembre-5 ottobre 1997, a cura di
Gherardo Ortali, Venezia 1998, pp. 196-202.
[39] Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo
decimosesto, I serie, vol. VI, a cura di Eugenio Alberi, Firenze 1862, p.
330; N. Iorga, op. cit., p. 48, pp.
59-60, p. 63, p. 85, pp. 89-90, p. 108, p. 110; A. Pippidi, Esquisse pour le portrait cit., pp.
127-128 e le note 14-15; U. Tucci, Il
commercio del vino cit., p. 201; Virgil Ciocîltan, Georg Christoph Fernberger, un călător austriac prin Dobrogea şi
Moldova în anul 1592, in “Studii şi materiale de istorie medie”, XX, 2002,
p. 287; I.–A. Pop, Cr. Luca, Date privitoare la zona Dunării de Jos cit,
docc. IV-V, pp. 41-42.
[40] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 266, cc. 111v-112r.
[41] F. Mavroidi, Ο
Ελληνισμός στο
Γαλατά cit., p. 239.
[42] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 266, c. 113v.
[43] F. Mavroidi, Πρόσωπα
και
δραστηριότητες
cit., p. 111, p. 122.
[44] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 266, cc. 178v-180r; F. Mavroidi, Ο Ελληνισμός
στο Γαλατά cit., p. 240.
[45] Cfr. ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 267, reg. III, c. 65r; Ibidem,
b. 270, cc. 147v-148r, cc. 161r-163v;
N. Iorga, op. cit., pp. 107-108; F.
Mavroidi, Ο
Ελληνισμός στο
Γαλατά cit., p. 233, pp. 239-240; Eadem, Πρόσωπα
και
δραστηριότητες
cit., p. 100, p. 116, p. 144; I.–A. Pop, Cr. Luca, Alcuni documenti veneziani inediti riguardanti i mercanti cretesi Servo
e la loro presenza in Moldavia fra Cinque e Seicento, in “Quaderni della
Casa Romena di Venezia”, no. 3, 2004, pp. 75-76, nota 20, doc. IX, pp. 80-83.
[46] N. Iorga, op. cit., pp. 89-90, p. 95, p. 99; F.
Mavroidi, Ο
Ελληνισμός στο
Γαλατά cit., p. 238; Eadem, Πρόσωπα
και
δραστηριότητες
cit., p. 59, p. 68, p. 101, p. 125, passim.
[47] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 266, cc. 180v-181r.
[48] Cfr. N. Iorga, op. cit., p. 108; F. Mavroidi, Πρόσωπα
και
δραστηριότητες
cit., p. 68, p. 100, p. 124.
[49] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 267, cc. 18v-19v, cc. 24r-26v;
N. Iorga, op. cit., p. 59; F.
Mavroidi, Ο
Ελληνισμός στο
Γαλατά cit., p. 240.
[50] N. Iorga, op. cit., pp. 89-90.
[51] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 267, cc. 31r-31v; F. Mavroidi, Ο Ελληνισμός
στο Γαλατά cit., p. 233, p.
240.
[52] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 267, cc. 34r-35v.
[53] Ibidem, cc. 38v-39r.
[54] Ibidem, reg. II, cc. 1v-2r.
[55] Ibidem, cc. 65r-65v.
[56] Ibidem, b. 268, cc. 24r-24v, c. 73v.
[57] Per il periodo che
precedette il 1594, U. Tucci, Il
commercio del vino cit., p. 201 e nota 83, accenna ad alcuni abusi
perpetrati dagli Ottomani ai danni dei mercanti di Candia che volevano accedere
al Mar Nero con carichi di vino cretese destinato alla vendita in Polonia.
[58] F. Mavroidi, Πρόσωπα
και
δραστηριότητες
cit., p. 133.
[59] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 269, cc. 100v-101r.
[60] Ibidem, cc. 128r-129v; F. Mavroidi, Ο
Ελληνισμός στο
Γαλατά cit., p. 245.
[61] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 269, c. 136v; F. Mavroidi, Ο
Ελληνισμός στο
Γαλατά cit., p. 245.
[62] Ibidem, pp. 217-249; si veda anche Eadem, Πρόσωπα και
δραστηριότητες
cit., pp. 59-144.