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p. 403

Attività mercantile e sistema creditizio nell’area del Basso Danubio alla fine del Cinquecento

 

 

Cristian  Luca,

Università degli Studi “Dunărea de Jos” di Galaţi/

Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia

 

Il completo controllo degli Stretti, assunto dagli Ottomani dopo la caduta di Costantinopoli, mutò l’andamento dei traffici mercantili anche nell’area del Basso Danubio. E in generale il predominio della Porta sul Mar Nero, divenuto un “lago ottomano” in cui le regole della navigazione e del commercio venivano decretate dal sultano e messe in atto dalle autorità provinciali, trova ampia eco nelle fonti veneziane coeve. Sulla base di tali documenti, alcuni dei quali analizzeremo nell’ambito di questa ricerca*, la tesi[1] secondo cui il controllo della Porta sul bacino pontico-danubiano non fu così rigido risulta davvero ottimistica e deve ritenersi infondata. È ovvio che la navigazione di navi occidentali nel Mar Nero non terminò con il passaggio degli Stretti nelle mani degli Ottomani[2] ma è anche vero che, da allora, i mercantili stranieri furono costretti ad adeguarsi alle disposizioni della Porta, essendo vincolati da precise norme che limitavano la libertà dei trasporti marittimi e imponevano precisi obblighi fiscali e doganali. Anche se le Capitolazioni regolavano i rapporti veneto-ottomani in tempi di pace e garantivano formalmente, nelle acque soggette al dominio della Porta, la libertà di navigazione ai vascelli

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marciani, così come a quelli inglesi, francesi e olandesi, in concreto veniva lasciato alle autorità ottomane il compito di gestire i flussi delle navi occidentali nel Mar Nero[3]. È ciò che emerge chiaramente dai documenti veneziani degli ultimi decenni del Cinquecento, periodo in cui i vascelli dei cittadini e sudditi della Serenissima talvolta ottenevano, pur tra mille difficoltà, il permesso di oltrepassare Costantinopoli per dirigersi alla volta dei porti situati lungo il corso del Danubio meridionale e di quelli contigui al delta o agli scali della Crimea. In effetti, come abbiamo evidenziato già altrove[4], se per alcuni periodi precisi, sempre autorizzati da Costantinopoli, la Porta consentì al libero accesso di navi occidentali nel Mar Nero[5], il comportamento delle autorità doganali e amministrative ottomane[6], nei porti in cui quei vascelli gettavano l’ancora per effettuare le operazioni di carico e scarico delle merci, rendeva sempre più gravoso e non proficuo per i mercanti occidentali lo svolgimento delle attività commerciali in prima persona, mentre la collaborazione con i mercanti ottomani, soprattutto con i sudditi cristiani del sultano, e l’utilizzo delle loro navi, assicuravano la regolarità dei trasporti ed evitavano, o almeno riducevano, gli eventuali abusi[7].

Le vie marittime che da Venezia giungevano a Costantinopoli assicuravano anche il collegamento tra la città di S. Marco e i Principati Romeni, giacché le merci caricate nei porti danubiani facevano rotta verso Venezia facendo scalo nella capitale ottomana[8]. Fu soprattutto il porto di Galaţi, situato nella Moldavia meridionale, sul tratto inferiore del Danubio, a divenire il principale scalo romeno nel quale confluivano i prodotti locali destinati ad essere esportati via mare nella capitale ottomana o verso altre destinazioni. Il grande mercato costantinopolitano costituiva il terminale commerciale dei paesi dell’area

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del bacino pontico-danubiano ed era, allo stesso tempo, il centro di raccolta e di trasporto verso l’Europa Occidentale. Era dunque Costantinopoli il punto di arrivo delle merci di provenienza romena più ricercate sul mercato veneziano per l’ottimo rapporto fra qualità e prezzo. Ma gli stessi prodotti, oltre che per mare, prendevano la strada della capitale ottomana anche via terra, consentendo in questo modo, ai mercanti occidentali che facevano la spola via mare fra Venezia ed il Levante, di acquistare qui le merci che provenivano dai Principati Romeni, ossia da dove per vari motivi essi spesso non erano in grado di acquisirle direttamente. Come abbiamo già detto, gli Ottomani, con le loro disposizioni restrittive, autorizzavano il passaggio degli Stretti, per accedere al Mar Nero, in determinati casi e con speciale licenza concessa dalle autorità centrali e provinciali. A questi obblighi, ovviamente, non erano tenuti i mercantili ottomani e quelli appartenenti ai sudditi cristiani e vassalli della Porta. In tal modo dunque, avvalendosi di questa categoria privilegiata di vascelli, i mercanti veneziani e quelli di altri Stati occidentali, consociati o individualmente, riuscivano a gestire i propri affari anche nei territori in cui le navi veneziane accedevano con molta difficoltà e saltuariamente, dove dunque la regolarità della navigazione non veniva affatto garantita. Il carico di merci importate dall’area del Basso Danubio e caricate prevalentemente sulle navi ottomane, di proprietà dei sudditi della Porta e di greci delle isole del Mediterraneo orientale, una volta giunto a Costantinopoli, proseguiva verso la città lagunare o veniva trasferito su navi venete o straniere dirette alla volta di Venezia. La presenza saltuaria di mercantili veneziani, e in generale occidentali, nel bacino pontico-danubiano indusse i mercanti veneziani e sudditi della Repubblica di S. Marco, soprattutto cretesi e greci dell’Arcipelago, ad impiegare nel commercio navi ottomane o di vassalli della Porta, che caricavano indisturbate le merci nei porti del Mar Nero e del Danubio. Gli ostacoli incontrati dai mercanti veneziani, che gestivano in prima persona il commercio marittimo tra le terre romene e la laguna veneta, venivano superati invece dai sudditi ottomani, levantini e greci, così come dai cittadini della Serenissima o da coloro che, trasferitisi a Costantinopoli, rimanevano ad essa soggetti. Questi, infatti, spesse volte si associavano per agire liberamente nei domini dell’Impero Ottomano, giacché erano nella condizione di normali contribuenti della Porta.

I documenti dell’epoca, autenticati presso il bailaggio veneto di Costantinopoli e conservati in copia nei registri dei diplomatici della Serenissima, sono illuminanti per l’andamento dei commerci nell’area del Basso Danubio. Dall’esame di queste fonti, di inestimabile valore per la storia dei romeni, emergono i nomi di molti fra coloro che furono protagonisti in queste attività, insieme con una discreta quantità di informazioni di rilevanza statistica, riguardanti la consistenza dei capitali impiegati, dei mercantili adoperati e delle merci scambiate. I baili veneziani, svolgendo al contempo funzioni di consoli e di notai, coordinavano le attività commerciali svolte nel Levante dai cittadini e dai sudditi della Serenissima, avendo alle loro dipendenze i seguenti dragomanni: gran dragomanno, dragomanni ordinari e dragomanni di strada, nonché i “giovani di lingua”, che apprendevano il mestiere di dragomanno presso il bailaggio. Le decisioni prese dai baili contribuivano al buon andamento degli scambi e facevano sì che Venezia continuasse a conservare una posizione di rilievo nel panorama commerciale di quell’area.

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Per la specificità della loro economia agro-pastorale, i Principati Romeni costituivano un naturale serbatoio di materie prime di ottima qualità, merci utili all’industria manifatturiera che, nella città lagunare e sulla terraferma veneta, contava un cospicuo numero di botteghe dedite alla lavorazione dei pellami, della lana e della cera. E queste materie prime erano egualmente appetibili dai concorrenti della Repubblica di S. Marco, i quali non tardarono ad affacciarsi sulle sponde romene del Danubio in cerca di tali prodotti. I vascelli ragusei, ad esempio, approfittando del fatto che la loro città si trovava in condizioni di vassallaggio nei confronti della Porta, così da poter navigare quasi indisturbati nel Mar Nero, facevano rotta verso Galaţi, il principale porto della Moldavia, per caricare pellami destinati al mercato anconetano. Fra questi il karamürsel[9] di un certo Giorgio Lutrari raggiunse lo scalo moldavo nei mesi di maggio e giugno del 1583, con un carico a noi sconosciuto, e attese per cinquanta giorni l’arrivo di Raffaele Turiglia[10], che doveva portare dall’entroterra moldavo un ingente quantitativo di pellami e cuoio, ma l’affare andò a monte e il proprietario del mercantile ripartì con un altro carico, facendo vela su Pera di Costantinopoli e quindi sull’Isola di Chio[11]. Nella capitale ottomana, come abbiamo detto, confluivano in gran quantità le merci provenienti dalle terre romene e in generale dall’area del Basso Danubio; è dunque ovvio che, nelle stive dei mercantili salpati da qui alla volta della Dominante, si trovassero merci tipiche della Valacchia e della Moldavia.

Il 24 settembre 1583 Antonio Paruta[12], uno dei più facoltosi mercanti veneziani residenti a Costantinopoli, inviò a Venezia, per conto di Hieronimo Cucina, un carico di lana[13], e con la medesima destinazione lasciarono il porto ottomano alcune botti di storioni[14] e ingenti carichi di pellami e cuoio[15]. Il Paruta gestiva cospicui capitali, investiti in attività commerciali o nel prestito ad usura, riuscendo ad incassare da un suo debitore, in una sola occasione, ben 1.300 zecchini d’oro e un certo numero di perle[16]. Neppure i dragomanni

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del bailaggio furono estranei alle attività commerciali[17]. Così Cristoforo Brutti rappresentò “Nicolò di Michiel, drapiero di Rialto” nel 1584, cioè due anni dopo essere stato assunto, per la seconda volta, dal bailo Paolo Contarini su ordine preciso del doge Nicolò da Ponte che, oltre al rimborso dovuto per le spese di servizio, concesse al Brutti un aumento di stipendio fino a 200 zecchini annui[18]. Nel 1591 il Brutti si trovò addirittura nei panni di armatore, acquistando un vascello ottomano, per ordine del bailo Bernardo e molto probabilmente con sussidi dalla Serenissima, al fine di inviare granaglie a Venezia; il mercantile fu nominato Santa Maria e affidato ad un capitano greco, suddito della Porta, di nome Nicolò da Skyros: un’abile mossa dovuta alla necessità di facilitare la navigazione del vascello nelle acque ottomane[19].

Nell’estate del 1587, a Galaţi furono caricati per conto di più mercanti 2.470 colli di pellami vari su un vascello ottomano che fece rotta su Chio, ma la nave naufragò di fronte alla Dobrugia e la merce fu solo in parte recuperata da Lorenzo Giudicio, agente dei suddetti mercanti[20]. Del resto l’interesse dei greci dell’Arcipelago per l’importazione di prodotti da quell’area aveva fatto seguito a quello dei cretesi, i quali erano divenuti protagonisti indiscussi degli scambi, da una parte con le terre romene e con la Polonia, e dall’altra con Venezia, il Mediterraneo Orientale ed il Levante. I cretesi, che erano sudditi veneziani, con il naturale pragmatismo che sempre li contraddistinse nella capitale della Porta, trovarono soci ed eccellenti collaboratori nei levantini di Costantinopoli, negli armatori ottomani e nei correligionari trapiantati nella Valacchia e nella Moldavia. Questi mercanti, addirittura, reclamavano il pagamento di cospicue somme da alcuni principi romeni; ad esempio, Antonio Andronicopulos[21] e Ambrosio Panzan[22] ottennero, il 13 ottobre 1587, una sentenza favorevole del bailo Lorenzo Bernardo per la riscossione di 27.848 aspri ottomani d’argento che Pietro lo Zoppo, principe di Moldavia e loro debitore, aveva affidato ad Antonio Pandarota da Candia, mercante greco attivo nell’area del Basso Danubio[23]. Del recupero della somma fu incaricato Pietro Galante da Pera, un mercante che spesso, in veste di rappresentante, si era trovato coinvolto in alcune cause pendenti per ragioni commerciali tra cretesi, veneziani e levantini, che operavano nelle terre romene a cavallo tra il XVI e il XVII secolo[24].

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Le materie prime acquistate in Moldavia venivano richieste, altresì, su diversi mercati della Penisola italiana. Nel 1588 due mercanti anconetani caricarono su vascelli ragusei pellami di Brăila e della Città Bianca e 11 botti di caviale, quindi, passando per Costantinopoli, si diressero alla volta di Ancona[25]. In un altro caso, il ricavato della vendita, alcune centinaia di “cuori di Bogdania” e un certo quantitativo di caviale, servì a saldare alcuni debiti che Antonio Andronicopulos aveva contratto con il mercante raguseo Giorgio Gondola[26]. Sono anni, questi, in cui le esportazioni dalla Moldavia sono copiose, il commercio è florido e i mercanti hanno interessi in comune con alcune autorevoli personalità appartenenti all’entourage del principe Pietro lo Zoppo, fra cui ad esempio Battista Amoroso, appaltatore doganale, Simon Vorsi, Nicolò Nevridi, Ienachi Simota e Bartolomeo Brutti[27]. Nel 1587, un tal Giorgio Calvo Coressi[28] dimorava già da tre anni in Moldavia e si dedicava ai commerci d’ambito locale, quando un suo parente, Francesco Coressi, avvalendosi della testimonianza di alcune delle suddette personalità, lo chiamò in giudizio per un credito in sospeso[29]. Francesco Coressi inoltre, il 22 giugno 1588, reclamava da Oberto Petrasanta il pagamento di 24.500 aspri ottomani d’argento, a seguito di una lettera di cambio rilasciata un anno prima a Iassi[30]. Tali mercanti, spingendosi profondamente nei territori della Moldavia, è indubbio che si servissero di collaboratori del posto e di soci che avevano deciso di stabilirsi nel principato per gli ingenti guadagni che gli scambi commerciali assicuravano loro. Inoltre, dagli atti del bailaggio veneto relativi alle cause insorte per motivi commerciali, risulta che, nell’area del Basso Danubio, i mercanti utilizzavano di frequente la lettera di cambio[31], ma, per l’acquisto di ulteriori merci, era assai più consueto fra loro l’uso immediato dei capitali derivati dalla vendita dell’ultimo carico.

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Ancora, i vascelli che nel 1591 approdavano a Chilia, un porto che da più di un secolo ormai era nelle mani degli Ottomani, in una terra che tradizionalmente era conosciuta dai mercanti stranieri col nome di “Bogdania” [=Moldavia], recavano soprattutto carichi di pellami e caviale[32], particolarmente ricercati per la loro qualità superiore. E pellami, per l’esattezza 2.000 unità, caricò anche il cretese Antonio Pandarota, nell’autunno dello stesso anno, su un mercantile diretto a Costantinopoli, poco prima di salire anch’egli sulla nave del capitano ottomano Sava Rais, e di perder la vita, durante il viaggio di ritorno, scomparendo nelle acque del Mare Nero[33].

L’accresciuta presenza dei mercanti veneti e soprattutto dei sudditi veneziani nei porti del Basso Danubio e del litorale settentrionale del Mar Nero, nella zona fra la Crimea e la foce del fiume, si deve, come abbiamo già detto, al modo in cui essi seppero gestire le opportunità derivate dall’impiego di vascelli ottomani o di proprietà dei sudditi cristiani e dei vassalli della Porta, in momenti in cui, ai mercantili battenti bandiera marciana, non veniva consentito, se non saltuariamente, l’acceso al bacino pontico-danubiano. Queste circostanze indussero il bailaggio veneto di Costantinopoli ad assumere quei provvedimenti che offrissero agli interessati la possibilità di beneficiare in loco di un rappresentante istituzionale. Così, in accordo con la Porta, furono istituiti il consolato veneto di Chilia, nel Delta del Danubio, sul principale braccio navigabile del fiume, e quello di Caffa, nella Penisola di Crimea, ambedue in territorio soggetto agli Ottomani. Il 17 ottobre 1587 ad un certo Alessio Stiga, probabilmente un mercante del posto, fu ufficialmente affidato dal bailo Lorenzo Bernardo l’incarico di console veneto a Chilia[34]. Due anni più tardi, però, riscontrata la prolungata assenza del console dal suo ufficio, l’incarico fu affidato dal bailo Marco Venier al mercante “Nicolò di Stathi Manoli”, molto probabilmente un greco originario della città o là residente da qualche tempo[35]. A Caffa il bailo Matteo Zane, su segnalazione di quei mercanti che, cittadini e sudditi veneziani, frequentavano lo scalo per ragioni commerciali, nell’estate del 1592 nominò console di Venezia il medico Battista Massa, un insigne abitante dell’antica colonia genovese[36]. Il bailo, dunque, comunicò al doge la decisione di conferire al genovese la carica di console in una città che gli Ottomani, consapevoli della sua importanza strategica e mercantile, controllavano direttamente, anche se Caffa si trovava nei domini tartari del Khanato di Crimea, vassallo della Porta. Il dispaccio di Matteo Zane, datato 2 agosto 1592, chiarisce le ragioni che determinavano la nomina di un console di Venezia nel suddetto porto:

 

“Essendosi introdotto che molti de’ nostri mercanti Venetiani et altri sudditi di Sua Serenità, et particolarmente Candiotti, frequentano il viaggio di Tana et Caffa per far morone, caviari, et altre mercantie per uso di Venetia et altri luochi della Christianità, né ritrovandosi là alcuno,

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che nelle occasioni che ben spesso occorrono si difendi aiuti et favorischi, siamo condescesi a comodo et beneficio loro di elegger con le presenti, in virtù dell’autorità del Bailaggio nostro, Domino Battista Massa genovese, medico ma habitante et maritato in Caffa, in Consule della Natione Venetiana, con quei carichi, obblighi et utilità solite de’ Consolati, senza però alcun interesse di Sua Serenità, sperando per l’informationi c’habbiamo havuto di lui che li mercanti resteranno dell’opera, fede et diligenza sua intieramente soddisfatti, dichiarando che la presente eletione sia et s’intendi essere a beneplacito nostro, et de’ successori”[37].

 

Lo Zane, ricordando le merci acquistate dai mercanti della Serenissima negli scali della Crimea, le stesse che, più o meno, venivano caricate anche nei porti del Basso Danubio, sottolinea il particolare zelo dei cretesi in quest’attività. I mercanti dell’Isola di Candia, infatti, controllavano in modo pressoché esclusivo le esportazioni in Polonia di vino cretese, la cui vendita, fra Cinque e Seicento, fruttò ingenti guadagni ai protagonisti di questi traffici[38]. Il transito della merce attraverso la Moldavia assicurava entrate altrettanto cospicue all’erario, poiché le botti che erano trasportate dai vascelli fino alla sponda romena del Danubio proseguivano poi via terra lungo il fiume Prut, fino alla città polacca di Lwów (latino: Leopoli; tedesco: Lemberg; romeno: Liov; russo/ucraino: L’viv), attraversando dunque, da sud a nord, l’intero territorio del principato[39]. Con il ricavato, i cretesi acquistavano in Moldavia alcuni prodotti particolarmente richiesti sul mercato veneziano e altrove, vale a dire pellami, storioni salati e caviale, e spesso a prezzo assai conveniente, poiché tali merci, stando alle testimonianze dell’epoca, abbondavano nelle terre romene.

Dalle fonti veneziane risalenti agli ultimi anni del Cinquecento ricaviamo i nomi di alcuni mercanti cretesi che si dedicavano al commercio fra l’Isola di Candia, l’area del Basso Danubio e la Polonia. Seguendo per poco più di due decenni la loro attività nei documenti del bailaggio veneto di Costantinopoli, notiamo anche la consuetudine che essi avevano di associarsi nella gestione degli affari e il funzionamento del sistema creditizio in uso negli ambienti mercantili del Levante ottomano e dei Principati Romeni.

Nell’estate del 1589, il mercante veneto Pantaleo Rosso da Retimo affidò un carico di vino cretese ad un vascello che doveva approdare a Reni, ma che il comandante del mercantile, per motivi oscuri, decise di dirottare su Chilia, dove la nave scaricò le botti[40] e dove giungevano abitualmente le merci per la Polonia. Contemporaneamente, il mercantile

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di Leon da Cerigo[41] portò a Reni 50 botti di vino cretese destinate a Michele Perdicari, che, a sua volta, doveva trasportarle in Polonia presso i suoi soci[42]. Nel giugno del 1590, presero la stessa destinazione, cioè lo scalo di Reni, più di cento botti di vino, che erano state caricate sul vascello di Zorzi Episcopulos[43], salpato da Canea e bloccato a Costantinopoli per il mancato lasciapassare delle autorità ottomane[44]. In seguito la merce fu scaricata comunque nel porto della capitale ottomana e l’autorizzazione per oltrepassare gli Stretti, negata all’Episcopulos, fu invece ottenuta dal mercantile di Battista Vevelli[45] da Retimo, che trasportava, tra le altre merci, 22 botti di vino cretese per conto dei suoi correligionari, i fratelli Perdicari: Giorgio, Michele e Antonio[46]. La merce, però, fu scaricata a Costantinopoli per ordine del bailo Lippomano, e messa in vendita per pagare una lettera di cambio, rilasciata ad un altro mercante di Retimo dai suddetti fratelli, e le tasse di trasporto dovute al proprietario del vascello[47].

Per tutta l’estate del 1590 continuarono le spedizioni di decine di botti di vino cretese, da Candia e da Retimo, verso Reni, e via Costantinopoli, spedizioni che furono sempre gestite da mercanti cretesi, tra cui i già menzionati fratelli Perdicari e il loro concittadino Gabriele Achielli[48], mentre i mercantili impiegati furono quelli dei medesimi isolani: il brigantino di Giorgio de Plari, il vascello al comando di Giovanni (Zuanne) da Rona e quello di Battista Vevelli[49]. Un carico di 67 botti di vino fu inviato alla volta di Reni dal cretese Anibadisto Manolussi[50] nel settembre 1590, con il karamürsel di proprietà di Manoli Stavrino da Chilia[51]. Poiché il Manolussi morì improvvisamente prima dell’arrivo della merce nella Moldavia meridionale, il dragomanno Pasqua Navon acquistò la polizza di carico dal cognato del defunto[52]. Pertanto il bailo Girolamo

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Lippomano, scrivendo il 4 ottobre 1590 una lettera al Rettore di Canea, Pietro Francesco Malipiero, riassume così il caso dell’eredità del suddito veneziano:

 

“[…] passò a miglior vita Messer Anibadisto Manolussi intorno a X del mese passato, dopo breve malattia avuta sopra la galea real del Capitano del Mare, in questo porto nel quale si trovava appresso Xaban Rais, rinnegato […] strettissimo parente suo. Io intendendo la morte sua, et che già haveva caricato sessantasette botti di vino sopra caramussali sudditi turcheschi, et che stavano della bocca del Mar Negro disdotto miglia de qui lontano di punto in punto, di partita per il viaggio di Reni, chiamai subito [il] Consiglio de’ XII et, secondo la deliberatione fatta in esso, ho fatto ritornar quei essi vasselli et sebbene el cadì et cattaveri pretendevano impatronirsi del tutto […] ho però tanto fatto et con l’autorità et con qualche spesa, che come roba di persona suddita, l’ho finalmente acquistato et fatto vendere al pubblico incanto”[53].

 

Nel 1591 i fratelli cretesi Perdicari portarono avanti i loro affari in Polonia e in Moldavia: Michele dimorava a Lwów, dove vendeva vino, e Antonio si recava a Chilia per acquistare pellami e storioni[54]. Battista Vevelli, in veste di armatore e comandante di un mercantile, ma a volte anche come socio di alcuni mercanti, da Retimo o da Costantinopoli trasportava botti di vino cretese fino a Chilia[55]. I molteplici legami dei Perdicari con i mercanti della Polonia e gli ingenti capitali impiegati garantirono, negli anni 1592-1593, un flusso costante di botti di vino cretese verso Reni, e quindi attraverso le strade della Moldavia fino a Lwów[56]. Prima del 1594 e della sollevazione della Moldavia e della Valacchia, prevista nella guerra iniziata dalla Lega Santa contro la Porta, gli Ottomani controllavano saldamente i trasporti marittimi nel Mar Nero[57], ma, all’indomani delle campagne militari che investirono l’area del Basso Danubio, la sicurezza dei traffici cominciò a venir meno. Come diretta conseguenza, diminuì inevitabilmente anche il numero delle navi che salpavano verso questi scali ritenuti, per il momento, meno sicuri. Tuttavia, nell’aprile 1595, il mercante greco Nicolò Zucco[58] aveva immagazzinato 27 botti di vino cretese a Pera, in attesa di trasportarle a Chilia o a Reni[59], anche se, nell’agosto dello stesso anno, data l’insicurezza della navigazione, un vascello di proprietà dello stesso Zucco, con un carico di vino che era salpato da Retimo per Chilia, si fermò a Costantinopoli in attesa di proseguire per la sua destinazione[60]. Lo stesso fece il mercantile Fassidonio, su

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cui erano state caricate a Candia botti di vino per Chilia, e che si fermò nel porto della capitale ottomana per scaricarvi la merce[61].

Tracciando in linea generale lo svolgimento degli scambi commerciali nell’area del Basso Danubio, durante gli ultimi decenni del XVI secolo, notiamo il particolare interesse dei mercanti per la compravendita di determinati prodotti che garantivano un profitto elevato, se consideriamo il rapporto fra qualità e prezzo delle merci. L’intensa attività dei mercanti cretesi, dediti alla vendita del vino di Candia nelle lontane terre della Polonia e della Moldavia, fu favorita da una serie di fattori che assicurarono la facilità degli scambi. Da un lato, infatti, vi era la rete dei rapporti che i mercanti cretesi erano riusciti a creare sul territorio legandosi ad alcuni uomini politici influenti, così, ad esempio, accadde a Costantinopoli, a Iassi e probabilmente anche a Lwów, dall’altro stava l’intraprendenza dei mercanti stessi, cui si aggiungeva la consapevolezza di doversi associarsi per aumentare i guadagni, ma anche per ammortizzare i rischi, giacché raramente si faceva ricorso alle assicurazioni marittime. Entrambi questi fattori risultarono vincenti nel garantire alti guadagni ed il buon andamento dei commerci nell’area del Basso Danubio. Per di più, l’impiego massiccio di cretesi nella marineria, caratteristica, questa, dei greci delle isole a prescindere dall’autorità cui sottostavano, assicurò ai mercanti che si dedicavano all’esportazione del vino di Candia un collegamento rapido e continuato con lo scalo costantinopolitano, ed inoltre, permettendolo le autorità ottomane, con i porti danubiani e del Mar Nero, fra la Crimea e il delta del Danubio. I dati ricavati dall’attento esame dei documenti conservati presso il bailaggio veneto di Costantinopoli, che riguardano in maniera pressoché esclusiva le questioni di natura commerciale di cui il diplomatico e console veneziano si prendeva cura, forniscono elementi che spiegano chiaramente l’andamento dei commerci: dal modo in cui veniva elusa la rigidezza dei controlli effettuati dalle autorità ottomane, fino al numero dei mercantili che da Costantinopoli facevano rotta verso i porti di Chilia, Reni e Galaţi, nella Moldavia meridionale, e all’identità di alcuni dei proprietari di queste navi. Tuttavia la discreta presenza, nel Mar Nero, dei vascelli cretesi e degli stessi mercantili veneziani non prova in modo inconfutabile la tesi secondo cui gli Ottomani concedessero ampia e continuata libertà di navigazione, bensì indica solamente una certa flessibilità nell’applicare le regole che consentivano, in determinate circostanze, il passaggio degli Stretti alle navi occidentali. Basta esaminare le statistiche[62] stilate dalla compianta studiosa greca Fani Mavroidi, per rendersi conto del fatto che i mercantili di diverse tipologie i quali, nel periodo 1499-1599, oltrepassarono gli Stretti, indirizzandosi verso i porti del Mar Nero e del Danubio, costituiscono in percentuale una netta minoranza; mentre fu innanzitutto Costantinopoli la destinazione dei vascelli commerciali impiegati nei traffici tra Venezia e il Mediterraneo orientale, da una parte, e il Levante ottomano, l’Europa Centro-Orientale e l’area del Basso Danubio in generale, dall’altra. Come già ricordato, provvedimenti unilaterali che vietassero l’ingresso nel Mar

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Nero ai mercantili stranieri, e in minor grado ai sudditi della Porta, potevano intervenire in qualsiasi momento, senza che per questo fossero considerati soprusi; e perfino alcuni prodotti di cui l’Islam vietava il consumo, come il nostro vino cretese, venivano così inevitabilmente scaricati e messi in vendita a Costantinopoli. Non c’è dubbio che il fisco ottomano ricavasse cospicue entrate dalle tasse sul commercio marittimo, ma, con tutte le limitazioni imposte ai mercantili occidentali, restavano pur sempre numerosi vascelli ottomani in grado di trasportare, a prezzi non meno convenienti, le merci di qualsiasi mercante e di garantire in tal modo gli introiti all’erario.

La specificità degli scambi commerciali in quest’area del Basso Danubio, che comprendeva gran parte delle terre meridionali e sud-orientali dell’odierna Romania, ma che veniva recepita, nella terminologia commerciale veneziana del Cinque–Seicento, come parte del Levante ottomano, è dovuta all’elemento etnico dei greci che si dedicavano allo sviluppo dei commerci con la Penisola Balcanica e con Venezia. I cretesi, i greci delle isole e del continente, e non ultimi anche quelli della comunità ortodossa lagunare, favorirono in quegli anni un dinamismo economico indiscutibile e la crescita degli scambi fra le terre romene e la Serenissima. Ed è altrettanto facile verificare che alcuni greci facoltosi, o solamente spregiudicati, una volta naturalizzati romeni, ambirono alle dignità conferite dai principi di quei paesi a chi appartenesse al loro entourage, giungendo perciò ad influenzare, ora in modo positivo ora in modo negativo, ma pur sempre in maniera determinante, la politica interna ed estera della Valacchia e della Moldavia nell’ultima parte del Cinquecento, ma soprattutto nel corso dei secoli XVII e XVIII.

 

Tav. I. Mercantili recatisi nei porti del Basso Danubio per effettuarvi carichi di merce locale (1546-1595)

 

 

 

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© Şerban Marin, October 2005, Bucharest, Romania

Last Updated: July 2006

serban_marin@rdslink.ro

 

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* Per quanto riguarda la parte introduttiva di questo breve articolo, l’autore si avvale, in gran parte, di un contributo già pubblicato (si veda infra, nota 4), aggiornando solamente la bibliografia. E poiché ritiene ancora valide le conclusioni raggiunte in quell’occasione, le ripropone adesso, pur sapendo che la scoperta di nuove fonti è possibile e che la questione è ancora sub iudice.

[1] Mihnea Berindei, Les Vénitiens en Mer Noire (XVIe-XVIIe siècles). Nouveaux documents, in “Cahiers du Monde russe et soviétique”, XXX, no. 3-4, 1989, pp. 207-214, doc. I-III, pp. 215-219; Viorel Panaite, Pace, război şi comerţ în Islam. Ţările Române şi dreptul otoman al popoarelor (secolele XV-XVII), Bucarest 1997, p. 252; Ştefan Andreescu, Problema „închiderii” Mării Negre la sfârşitul secolului al XVI-lea şi în prima jumătate a celui de al XVII-lea, in Idem, Din istoria Mării Negre (Genovezi, români şi tătari în spaţiul pontic în secolele XIV-XVII), Bucarest 2001, pp. 220-235.

[2] Christiane Villain–Gandossi, Contribution à l’étude des relations diplomatiques et commerciales entre Venise et la Porte ottomane au XVIe siècle, in “Südost-Forschungen”, XXVIII, 1969, p. 43; Halil İnalcik, The Question of the Closing of the Black Sea under the Ottomans, in “Αρχείον Πόντου”, no. 35, 1979, pp. 74-110; Ch. Villain–Gandossi, Contribution à l’étude des relations cit., in Eadem, La Méditerranée aux XIIe-XVIe siècles. Relations maritimes, diplomatiques et commerciales, Londra 1983, p. 43; Suraiya Faroqhi, Before 1600: Ottoman Attitudes towards Merchants from Latin Christendom, in “Turcica. Revue d’études turques”, no. 34, 2002, p. 94, nota 93; V. Panaite, Diplomaţie occidentală, comerţ şi drept otoman (secolele XV-XVII), Bucarest 2004, pp. 91-92.

[3] Ibidem, pp. 92-93.

[4] Cristian Luca, Le importazioni di merci levantine nella Venezia del Seicento e del primo Settecento: la cera e i pellami provenienti dai Principati Romeni, in L’Italia e l’Europa Centro–Orientale attraverso i secoli. Miscellanea di studi di storia politico-diplomatica, economica e dei rapporti culturali, a cura di Cr. Luca, Gianluca Masi e Andrea Piccardi, Brăila–Venezia 2004, pp. 326-329.

[5] Si veda, a questo proposito, anche Paul Cernovodeanu, Olanda şi Marea Neagră în secolul al XVII-lea, in Identitate naţională şi spirit european. Academicianul Dan Berindei la 80 de ani, Bucarest 2003, pp. 264-266, passim; V. Panaite, Diplomaţie occidentală cit., pp. 90-93, passim.

[6] Il fatto che i sultani, ripetutamente e vanamente, intervenissero presso le autorità provinciali dell’Impero Ottomano per eliminare le pratiche abusive nei confronti dei mercantili veneziani dimostra quanto il fenomeno fosse diffuso, Cfr. Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi sarà citato ASV), Bailo a Costantinopoli. Carte turche, b. [busta] 252, cc. [carte] 25v-26r.

[7] Traian Stoianovich, The Conquering Balkan Orthodox Merchant, in “The Journal of Economic History”, XX, no. 2, 1960, pp. 240-241, p. 309; Carl M. Kortepeter, Ottoman Imperial Policy and the Economy of the Black Sea Region in the Sixteenth Century, in “Journal of the American Oriental Society”, vol. 86, no. 2, 1966, p. 100; Eric Dursteler, Commerce and Coexistence: Veneto-Ottoman Trade in the Modern Era, in “Turcica. Revue d’études turques”, no. 34, 2002, pp. 128-131.

[8] Michel Mollat du Jourdin, L’Europa e il mare dall’antichità a oggi, Roma–Bari 2001, pp. 158-159.

[9] Per quanto riguarda l’origine del mercantile di piccolo e medio tonnellaggio chiamato karamürsel (karamusal o caramusal) si veda il volume di James W. Redhouse, A Turkish and English Lexicon, Beirut 1987, p. 1450, che a questo proposito scrive: “name of a peculiar kind of craft built at Karamürsel on the Gulf of Nicomedia, and formerly used for transport service”.

[10] Un tal Vincenzo Turiglia, probabilmente parente di Raffaele, nel 1586 commerciava in Moldavia e in Polonia, Cfr. Nicolae Iorga, Relaţiile comerciale ale Ţerilor Române cu Lembergul, Bucarest 1900, p. 87; Paul Păltănea, Istoria oraşului Galaţi de la origini până la 1918, vol. I, Galaţi 1994, p. 46.

[11] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 264, cc. 3v-6v.

[12] Ibidem, b. 266, cc. 134v-137v, cc. 178v-179r; per alcuni dettagli sull’attività svolta dal Paruta, si vedano Ugo Tucci, Mercanti, navi, monete nel Cinquecento veneziano, Bologna 1981, pp. 71-73; Cr. Luca, Veneziani, Levantini e Romeni fra prassi politiche e interessi mercantili nell’Europa Sud–Orientale tra Cinque e Seicento, in Romania e Románia: lingua e cultura romena di fronte all’Occidente, a cura di Teresa Ferro, Udine 2003, pp. 244-249.

[13] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 264, c. 114v.

[14] Ibidem, c. 130v, reg. II, c. 21r.

[15] Ibidem, c. 131r.

[16] Ibidem, cc. 158v-159r.

[17] E. Dursteler, op. cit., pp. 113-114, p. 130.

[18] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 264, c. 144v.

[19] Ibidem, b. 267, c. 104r; Fani Mavroidi, Ο Ελληνισμός στο Γαλατά (1453-1600). Κοινωνικές και οικονομικές πραγματικότητες, Giannina 1992, p. 241.

[20] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 265, cc. 117r-118r.

[21] F. Mavroidi, Πρόσωπα και δραστηριότητες το β μισό του 16ου αιώνα, in “Δωδώνη. Ιστορία και Αρχαιολογία”, Giannina 1998, p. 121.

[22] Ibidem, p. 131.

[23] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 265, cc. 117r-118r, cc. 252r-252v; F. Mavroidi, Πρόσωπα και δραστηριότητες cit., p. 121.

[24] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 272, cc. 226v-227v; N. Iorga, op. cit., p. 48, p. 85; P. Păltănea, op. cit., vol. I, p. 47.

[25] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 266, cc. 29v-30r; Ioan–Aurel Pop, Cr. Luca, Date privitoare la zona Dunării de Jos în izvoare veneţiene din secolele XVI-XVII, in “Danubius”, XXII, 2004, doc. II, p. 40.

[26] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 266, cc. 32v-33r.

[27] Per quanto riguarda l’attività d’ambito commerciale e politico svolta da questi personaggi, si vedano N. Iorga, op. cit., pp. 50-52, p. 57, p. 65, p. 68, p. 73, p. 76, p. 85, p. 95, pp. 100-102, p. 108; Andrei Pippidi, Esquisse pour le portrait d’un homme d’affaires crétois du XVIe siècle, in Idem, Hommes et idées du Sud-Est européen à l’aube de l’âge moderne, Bucarest–Parigi 1980, p. 128; Idem, Quelques drogmans de Constantinople au XVIIe siécle, in Idem, Hommes et idées cit., pp. 138-144; Idem, Tradiţia politică bizantină în ţările române în secolele XVI-XVIII, 2a edizione, rivista e aggiornata, Bucarest 2001, p. 253, p. 276, nota 231; P. Păltănea, op. cit., vol. I, p. 47; Cr. Luca, Miscellanea italo–romena (XVI e XVII secolo), in Închinare lui Petre Ş. Năsturel la 80 de ani, a cura di Ionel Cândea, P. Cernovodeanu e Gheorghe Lazăr, Brăila 2003, pp. 332-335.

[28] I Coressi, famiglia di mercanti originari dall’Isola di Chio, parteciparono sin dagli anni ‘70 del XVI secolo al commercio tra il Mediterraneo Orientale, Venezia e il Levante, da una parte, e l’Impero Ottomano, Moldavia e Polonia, dall’altra, Cfr. N. Iorga, op. cit., pp. 50-51, p. 102; F. Mavroidi, Πρόσωπα και δραστηριότητες cit., p. 71, p. 74, p. 87, p. 100, p. 106, p. 136, p. 143.

[29] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 266, cc. 24v-25r.

[30] Ibidem, c. 48r.

[31] Ibidem, b. 267, c. 32r, reg. II, c. 1v.

[32] Ibidem, cc. 1v-2r.

[33] Ibidem, cc. 52v-53r, c. 78r.

[34] Ibidem, b. 269, c. 188v.

[35] Ibidem, cc. 188v-190r.

[36] Ibidem, b. 268, reg. II, c. 41r; si veda anche M. Berindei, op. cit., p. 211, doc. II, pp. 215-216.

[37] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 268, reg. II, c. 41r.

[38] T. Stoianovich, op. cit., p. 240; U. Tucci, Il commercio del vino nell’economia cretese, in Venezia e Creta. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Iraklion–Chanià, 30 settembre-5 ottobre 1997, a cura di Gherardo Ortali, Venezia 1998, pp. 196-202.

[39] Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, I serie, vol. VI, a cura di Eugenio Alberi, Firenze 1862, p. 330; N. Iorga, op. cit., p. 48, pp. 59-60, p. 63, p. 85, pp. 89-90, p. 108, p. 110; A. Pippidi, Esquisse pour le portrait cit., pp. 127-128 e le note 14-15; U. Tucci, Il commercio del vino cit., p. 201; Virgil Ciocîltan, Georg Christoph Fernberger, un călător austriac prin Dobrogea şi Moldova în anul 1592, in “Studii şi materiale de istorie medie”, XX, 2002, p. 287; I.–A. Pop, Cr. Luca, Date privitoare la zona Dunării de Jos cit, docc. IV-V, pp. 41-42.

[40] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 266, cc. 111v-112r.

[41] F. Mavroidi, Ο Ελληνισμός στο Γαλατά cit., p. 239.

[42] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 266, c. 113v.

[43] F. Mavroidi, Πρόσωπα και δραστηριότητες cit., p. 111, p. 122.

[44] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 266, cc. 178v-180r; F. Mavroidi, Ο Ελληνισμός στο Γαλατά cit., p. 240.

[45] Cfr. ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 267, reg. III, c. 65r; Ibidem, b. 270, cc. 147v-148r, cc. 161r-163v; N. Iorga, op. cit., pp. 107-108; F. Mavroidi, Ο Ελληνισμός στο Γαλατά cit., p. 233, pp. 239-240; Eadem, Πρόσωπα και δραστηριότητες cit., p. 100, p. 116, p. 144; I.–A. Pop, Cr. Luca, Alcuni documenti veneziani inediti riguardanti i mercanti cretesi Servo e la loro presenza in Moldavia fra Cinque e Seicento, in “Quaderni della Casa Romena di Venezia”, no. 3, 2004, pp. 75-76, nota 20, doc. IX, pp. 80-83.

[46] N. Iorga, op. cit., pp. 89-90, p. 95, p. 99; F. Mavroidi, Ο Ελληνισμός στο Γαλατά cit., p. 238; Eadem, Πρόσωπα και δραστηριότητες cit., p. 59, p. 68, p. 101, p. 125, passim.

[47] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 266, cc. 180v-181r.

[48] Cfr. N. Iorga, op. cit., p. 108; F. Mavroidi, Πρόσωπα και δραστηριότητες cit., p. 68, p. 100, p. 124.

[49] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 267, cc. 18v-19v, cc. 24r-26v; N. Iorga, op. cit., p. 59; F. Mavroidi, Ο Ελληνισμός στο Γαλατά cit., p. 240.

[50] N. Iorga, op. cit., pp. 89-90.

[51] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 267, cc. 31r-31v; F. Mavroidi, Ο Ελληνισμός στο Γαλατά cit., p. 233, p. 240.

[52] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 267, cc. 34r-35v.

[53] Ibidem, cc. 38v-39r.

[54] Ibidem, reg. II, cc. 1v-2r.

[55] Ibidem, cc. 65r-65v.

[56] Ibidem, b. 268, cc. 24r-24v, c. 73v.

[57] Per il periodo che precedette il 1594, U. Tucci, Il commercio del vino cit., p. 201 e nota 83, accenna ad alcuni abusi perpetrati dagli Ottomani ai danni dei mercanti di Candia che volevano accedere al Mar Nero con carichi di vino cretese destinato alla vendita in Polonia.

[58] F. Mavroidi, Πρόσωπα και δραστηριότητες cit., p. 133.

[59] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 269, cc. 100v-101r.

[60] Ibidem, cc. 128r-129v; F. Mavroidi, Ο Ελληνισμός στο Γαλατά cit., p. 245.

[61] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 269, c. 136v; F. Mavroidi, Ο Ελληνισμός στο Γαλατά cit., p. 245.

[62] Ibidem, pp. 217-249; si veda anche Eadem, Πρόσωπα και δραστηριότητες cit., pp. 59-144.