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Istituto Romenos Publications
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Annuario 2004-2005
p. 525
Roberto Merlo,
Università degli Studi di Torino/
Università degli Studi di Oradea
Il presente lavoro si propone di illustrare, a partire
dalla polemica relativa alla religione dei daci che ha coinvolto a distanza
di anni Vasile Pârvan e Lucian Blaga, le posizioni di questi due
intellettuali rispetto alla ossessione dacica che, durante il periodo
interbellico, ha accompagnato lascesa dellintolleranza e dellintegralismo
che toccarono il parossismo verso la metà degli anni 40, nonché in
generale il modo in cui un intellettuale romeno, conservatore lucido e
moderato, si sia assunto il ruolo di critico e di moderatore degli spiriti in
tale momento di crisi.
I. Il periodo che va dagli anni 20 fino alla metà
degli anni 40 rappresenta per la cultura romena unepoca di straordinaria effervescenza,
in cui sulle fondamenta della tarda modernità faticosamente costruita,
tra fine 700 e fine 800, dalla Scuola transilvana e dal movimento
quarantottista si viene rapidamente innalzando una cultura nuova, in piena e
rapida espansione. I grandi passi compiuti a livello sociale, culturale e
soprattutto politico, dalla Piccola Unione del 1859 alla proclamazione del
Regno di Romania nel 1880, culminano nel 1919 con il compimento del massimo desideratum nazionale, lUnione di tutti
i romeni in un unico stato sovrano, la Grande Romania. Per la prima volta
nella sua storia, lo spazio romeno si trova a doversi confrontare da pari a
pari con lOccidente e con i valori da esso proposti. La relativa
rapidità con cui tali passi furono compiuti ebbe tuttavia come
conseguenza una solidità altrettanto relativa delle conquiste ottenute,
soprattutto in campo sociale e culturale. Già a partire dalla seconda
metà e soprattutto dalla fine dellOttocento, la profonda revisione dei
valori, della base e della natura dellidentità nazionale innescata
tanto dalla politica quarantottista quanto dalla nuova sicurezza e dalla nuova
coscienza di sé indotte dalle promettenti conquiste politiche, genera nella
cultura romena un motivato desiderio di affermazione a livello internazionale.
Una cultura in espansione, che cerca di liberarsi dal provincialismo e dalla
sindrome imitativa, è anche una cultura in crisi, che di fronte a nuovi
stimoli si pone nuovi interrogativi e ha bisogno di nuove risposte.
Uno dei problemi centrali del dibattito culturale romeno interbellico, certamente quello che ha acceso di più gli animi e ha generato più controversie e confronti, è senza dubbio rappresentato dalla definizione della romenità. Nella lotta contro il provincialismo gallomane deriso dalle commedie di I. L. Caragiale (1852‑1912) e il latinismo agonizzante di eredità ottocentesca ferocemente attaccato dal linguista e filologo B. P. Hasdeu (1838‑1907), e nella ricerca di unalternativa autoctona alloccidentalismo sfrenato, una delle opzioni più attraenti per gli intellettuali dellepoca si rivela essere quella dacica. La possibilità di una contaminazione dacica della purezza latina, già contemplata a livello
p. 526
puramente
linguistico da Miron Costin (1633‑1691)[1]
e Dimitrie Cantemir (1673‑1723)[2],
e con qualche concessione in più dallo stolnic Costantino Cantacuzeno (c. 1650‑1716)[3],
diventa per gli intellettuali dellOttocento dagli scrittori Gheorghe Asachi
(1788‑1869) e Alecu Russo (1819‑1859) allo storico e uomo politico
Mihail Kogălniceanu (1817‑1891), dallingegnere e storico dilettante
Alexandru Popovici[4] al
pubblicista, storico e letterato Teohari Antonescu (1866‑1910), da B. P.
Hasdeu e dallo scrittore e pioniere dellarcheologia romena Cezar Bolliac (1813‑1881)
fino ai poemi e ai drammi di Mihai Eminescu (1850‑1889), passando per gli
autori noti e meno noti delle varie epopee daciche ottocentesche una
realtà sempre più concreta, sostenuta e promossa soprattutto
verso la fine del secolo dagli eccessi latinisti e dallentusiasmo suscitato
dallevoluzione di nuove scienze, quali la linguistica storica (la linguistica
comparata e lindoeuropeistica, la teoria del sostrato ecc.) e larcheologia.
Paradigmatiche in tale senso sono, rispettivamente, le figure di B. P. Hasdeu[5]
e C. Bolliac[6].
p. 527
II. Seconda solo a quella dimostrata nei due secoli
precedenti dallideale latino, il fenomeno geto‑dacico ha dimostrato
nel corso del Novecento una forza di attrazione delle coscienze straordinaria.
La seduzione dacica che ha colpito la cultura romena del primo Novecento si
dimostrerà infatti dopo il periodo di eclissi rappresentato dalla
prima fase del comunismo romeno, internazionalista e cosmopolita altrettanto
potente anche nella seconda metà del secolo. Quando il nuovo regime
ceauscista si orienterà politicamente e culturalmente verso una forma
ibrida di socialismo nazionalista, entrerà in gioco un meccanismo
proiettivo e rivendicativo analogo mutatis
mutandis a quello che soggiace al dacismo della prima metà del
secolo, il quale condurrà ad una reinterpretazione (quando non a una
vera e propria falsificazione) dellintera storia romena, ivi compresa quella
dacica. Anzi, in particolare a partire dalla metà e dalla fine degli
anni 70, il nazionalismo ceauscista troverà nella tutto sommato
piuttosto nebulosa storia dacica un terreno ideale per lesaltazione del
proprio statalismo esacerbato e della propria pretesa politica di indipendenza
rispetto tanto allOccidente quanto allOriente, che toccherà uno dei
suoi apici istituzionali precisamente nella celebrazione dei 2050° anniversario
de la întemeierea statului dac centralizat și independent del 1980,
pubblicizzato massicciamente sulla stampa in rubriche intitolate memento 2050.
Già nel periodo interbellico, in primo luogo e
come indicazione generale, i geto‑daci trasportando il discorso
politico, evidente già in C. Bolliac[7],
nel più ampio
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orizzonte
della cultura e dellidentità nazionale rappresentavano unalternativa
locale, autoctona e originale tanto allOccidente franco‑latino o
germanico quanto allOriente slavo‑balcanico. La ricerca dello specifico
nazionale, che tanto preoccupava e continua a preoccupare la cultura romena,
individuò allora nei daci una possibilità di integrarsi nel
panorama europeo conservando una propria specificità dal punto di vista
storico, politico, etnico, linguistico, spirituale ecc. Come esempi di tale
integrazione si possono ricordare, ai poli opposti, la teoria delle sintesi
dello storico Nicolae Iorga (1871‑1940) e quella del sostrato balcanico
di B. P. Hasdeu da un lato[8]
e, dallaltro, quella dei tardivi teorici romeni del razzismo[9].
In questo periodo il recupero dei daci si rivela
particolarmente fecondo nella definizione della spiritualità romena e
della psicologia dei popoli; una certa concezione della spiritualità
geto‑dacica e della dacità troverà infatti una grande eco
in molte istanze
p. 529
ideali
che si venivano delineando nel periodo interbellico, dalla vecchia generazione
di L. Blaga (1895‑1961), A. Maniu (1891‑1968) o M. Sadoveanu (1894‑1961),
che si esprimerà soprattutto sul versante letterario è
dobbligo ricordare almeno le pièce
Zamolxe. Mister păgân (1921) di L.
Blaga e Lupii de aramă (1929) di A.
Maniu e il romanzo Creanga de aur (1933)
di M. Sadoveanu alla giovane generazione, che esprimerà un dacismo
sui generis soprattutto in campo
filosofico: basti pensare alle relazioni di Dan Botta (1907‑1958) e
Mircea Vulcănescu (1904‑1952) nel quadro del ciclo di conferenze dal
titolo Ideea dacică, organizzate nel
maggio 1941 presso la Sala Dalles di Bucarest dal Comitato di iniziativa per
il disseppellimento delle cittadelle daciche dei Monti di Orăștie (a cui
parteciparono alcuni dei più noti intellettuali dellepoca, quali il
geografo Simion Mehedinți, lo storico Constantin Daicoviciu, Ion Conea): Spiritul
dacic în lume di D. Botta[10]
e Componenta dacică a sufletului românesc
di M. Vulcănescu[11]. Nel
tentativo di dare nuova dignità e lustro al vecchio e ormai frusto cliché di stampo romantico che
imponeva una concezione della cultura romena quale cultura di sorgente
esclusivamente (o quasi) popolare, lindividuazione delle radici di tale
spiritualità nello spazio mitico‑rituale dei geto‑daci si
costituiva, inoltre, quale titolo di nobiltà e di antichità,
nonché quale garanzia di originarietà.
In particolare, grazie ad uninterpretazione soggettiva e
orientata delle fonti, la religione geto‑dacica si trasformava in una
sorta di cristianesimo ante litteram,
che faceva affermare agli ortodossisti più convinti che il popolo
romeno è nato cristiano. Già da tempo entrato nella letteratura
romena dai drammi dacici di M. Eminescu (la cui genesi risale allepoca
berlinese, 1873), in particolare Pacea
pământului vine s‑o ceară, fino alla Daciada (1890) di G. Baronzi (1818‑1896) il problema del rapporto tra
cristianesimo e mondo dacico diventerà poi uno dei temi centrali
dellortodossismo dacista del periodo tra le due guerre. Lidea di un
protocristianesimo dacico, accolta e promossa dagli ambienti conservatori
della destra più estrema, rappresenterà infatti uno dei nodi
centrali dellideologia legionaria. Lentità e la natura della
specificità romena si prestarono alle più diverse interpretazioni
e/o deformazioni, culminando nelle esagerazioni dello zalmoxianesimo
ortodossista e della mistica della morte degli ambienti e degli intellettuali
più o meno guardisti, cioè simpatizzanti o membri effettivi
della Guardia di Ferro, le cui sorgenti erano invariabilmente ricercate nellappetitus mortis dacico[12].
p. 530
Attratti dal lato mistico, spirituale oppure
semplicemente nazionalista del movimento, molti degli intellettuali
dellinquieta giovane generazione aderirono a simili posizioni[13],
per cui resta esemplare il testo composto dal poeta Radu Gyr (1905‑1975) per lInno della Giovinezza Legionaria:
intrecciando riferimenti a Miorița e
alla ballata di Maestro Manole, i due componimenti popolari da sempre
considerati paradigmatici per la spiritualità più autenticamente
romena[14],
la morte vi è rappresentata come un atto nuziale: Mortea, numai moartea
legionară/ Ne este cea mai scumpă nuntă dintre nunți, che si consustanzia di
un atto creativo che implica lestremo sacrificio del sangue dacico: Cu
brațele suim în soare/ Catapetesme pentru veac./ Le zidim din stânci, din foc,
din mare,/ Și dârz le tencuim cu sânge dac[15].
III. La base ultima di tali associazioni è in gran
parte ravvisabile nel travisamento o in una lettura parziale e politicamente
orientata dei Getica pârvaniani.
Infatti, lopera che impose in modo definitivo i (geto‑)daci
allattenzione della coscienza intellettuale romena rappresentando nel
contempo, insieme alle esplosive critiche di B. P. Hasdeu[16],
il punto di partenza e la prima legittimazione della viarie correnti daciste
fu senza
p. 531
dubbio
la monumentale sintesi di V. Pârvan (1882‑1927), Getica (1926). In
modo sorprendente, dati la ricchezza dellopera e il vasto materiale adunato e
studiato da V. Pârvan, la parte che allepoca destò più interesse
anche sullonda dellinnegabile prestigio morale e accademico dellautore,
soprattutto tra le fila dellinquieta gioventù intellettuale dellepoca
fu quella relativa alla spiritualità e alla religione geto‑dacica.
Dellimponente mole di materiale portato alla luce da V. Pârvan nella sua
opera, infatti, la cultura romena contemporanea parve selezionare
esclusivamente laspetto spirituale, orientandosi secondo dei trend ben precisi che rappresentavano al
momento alcune delle direttrici fondamentali di una buona parte del pensiero
filosofico, politico e letterario romeno. In questa appropriazione delle idee
pârvaniane da parte di correnti culturali che spesso avevano intenti ideologici
più che scientifici si insinua ovviamente una grande percentuale di
mancata comprensione e un certo travisamento più o meno involontario
delle idee originali del magistru.
Nelledizione più recente di Getica,
delle circa 460 pagine occupate dal testo propriamente detto, solo 19 sono
dedicate alla ricostruzione della cultura getica in senso stretto[17],
delle quali meno della metà sono consacrate in modo specifico alla
religione[18], cui si
aggiungono alcune considerazioni sviluppate nella parte conclusiva[19].
La quantità impressionate di speculazioni e di discussioni intorno alle
interpretazioni pârvaniane non ultime le critiche di L. Blaga a distanza di
quasi ventanni rispetto allo spazio minimo occupato dallillustrazione della
cultura getica nella mole complessiva dellopera, è difficile da
comprendere senza aver un quadro del clima intellettuale e spirituale
dellepoca.
Mircea Eliade (1907‑1986) stesso, uno dei
protagonisti della scena culturale della Romania degli anni 30 e
personalità di punta della giovane generazione, in uno scritto
risalente al controverso periodo portoghese, parlava dellorizzonte spirituale
straordinariamente puro e vasto della religiosità getica[20], esprimendo di questa una visione
vicina alle posizioni del cristianesimo zalmoxista: romanizarea Daciei n-a însemnat schimbarea radicală a substanței etnice
băștinașe. Dacul a învățat latina, dar și-a păstrat obiceiurile, modul său de
viață, virtuțile sale strămoșești. În noile orașe erau venerați toți zeii
Imperiului, dar în sate și în munții se continua cultul lui Zalmoxis, chiar și
atunci când, mai târziu, și-a schimbat numele. [il corsivo è degli
editori] Astfel, când primii misionari au adus noua credință daco‑romanilor,
aceștia au îmbrățișat imediat creștinismul înaintea
p. 532
altora:
Zalmoxis îi pregătise cu secole în urmă pentru noul crez [
][21].
Posizioni simili si ritrovano anche in un ampio studio dedicato dallo studioso
alla figura del dio geto‑dacico: Non è concepibile che una
tradizione religiosa caratterizzata dalla speranza di ottenere
limmortalità attraverso il modello e la mediazione del dio di un
culto misterico, sia stata ignorata dai missionari cristiani. Tutti gli aspetti
della religione di Zalmoxis escatologia, iniziazione, «pitagorismo»,
ascetismo, erudizione di tipo misterico (astrologia, terapeutica, teurgia,
ecc.) suggerivano il confronto col cristianesimo. La più semplice e
probabile spiegazione della scomparsa del culto di Zalmoxis, la si dovrebbe
forse cercare nella precoce conversione della Dacia al cristianesimo (270 a.
C.)[22];
Eliade tuttavia corregge tali affermazioni in un nota esplicativa a
differenza delle altre, più bibliografiche volta evidentemente a
frenare possibili deviazioni zalmoxiste sullo stile di quelle del periodo
interbellico: Ciò non significa, come pensano alcuni autori romeni, che
Zalmoxis abbia anticipato o preparato il cristianesimo[23].
Del resto, Eliade stesso rievoca proprio in questo
studio, a distanza di anni e con occhio critico, il tardivo risveglio del
sostrato e della protostoria che segna gli anni 30 e 40 del Novecento e di
cui proprio la sua generazione, accanto ad alcuni insigni rappresentanti di
quella precedente, era stata protagonista: Bisogna attendere il 1920 perché la
protostoria e la storia antica della Dacia cominci ad essere affrontata
scientificamente, soprattutto grazie al V. Pârvan e alla sua scuola. Assai
presto si sviluppa fra gli studiosi e fra gli uomini interessati alla storia
patria, una corrente di pensiero che per le sue espressioni più stravaganti
è stata chiamata «tracomania»[24].
Si parlava di «rivolta della cultura autoctona» per intendere rivolta della
cultura geto‑tracia contro le influenze del pensiero latino, penetrate
nel periodo di formazione del popolo romeno[25].
Come afferma
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anche
L. Blaga, al cui celebre articolomanifesto del 1920[26]
si riferisce certamente laccenno eliadiano alla rivolta, De atâtea dintre
ideile puse în circulație de Vasile Pârvan asupra mitologiei și religiozității
gete istoriografia românească a luat act ca de un triumf. Și nu numai
istoriografia, ci și o anume opinie publică ce arată interes față de largi
orientări culturale[27].
Ma, come hanno a ragione osservato Alexandru Zub e Radu
Vulpe, profondi conoscitori della figura e dellopera di V. Pârvan, nonché suoi
attenti editori, esisteva un vero e proprio abisso tra la finalità
scientifica della pratica pârvaniana e la ricezione assurda a cui era disposto
una certa parte dellauditorio dellepoca[28].
Lo straordinario successo di pubblico dei suoi corsi universitari e il
travisamento palese a cui erano soggette le sue tesi da parte di un pubblico
non avvezzo a pensare alla storia delle religioni come alloggetto di uno
studio razionale condussero addirittura lo storico secondo quanto sostiene R.
Vulpe a rinunciare ad tali argomenti di natura delicata non appena si rese
conto del pericolo di una falsa interpretazione e dellaura di predicatore
mistico di cui cominciava ad essere investito[29],
tantè vero che di questi corsi V. Pârvan non pubblicò che alcune
prolusioni[30]. Di un
simile atteggiamento da parte di una fetta dellauditorio pârvaniano è
indicativo il misticismo dei saggi tracici di D Botta[31].
Sotto lapparenza razionale della
p. 534
forma
si dispiega un universo misterioso, rivelato dalla conoscenza mistica che
dà vita ad una lettura sui generis
della storia romena; in uno studio dedicato proprio a V. Pârvan, D. Botta
eleva la conoscenza intuitiva, invocata nellopposizione tra sterilità dellarcheologia
e della Minerva tedesca e la forza di uno spirito esaltato fino alla
contemplazione, al rango di vera e propria metodologia storica: Istoria e, în
acest înțeles, un obiect de cunoaștere mistică[32].
IV. Di lì a quasi un ventennio, in un momento in cui
gli eccessi dellideologia dacista, adottati i presupposti teorici del razzismo
ariano, stavano toccando il culmine[33],
L. Blaga risponderà con dei propri Getica
(1943)[34] alle
esagerazioni e agli estremismi misticheggianti dello zalmoxianesimo fioriti in
margine alle tesi pârvaniane[35],
adducendo ritocchi, rovesciamenti o precisazioni ai pareri dello storico
allo scopo dichiarato di porre un freno al misticismo zalmoxista che
imperversava allepoca. Nonostante il tono decisamente critico nei confronti
tanto dellopera quanto del suo autore, infatti, le critiche di L. Blaga si
rivelano, ad una più attenta lettura parallela delle due opere, molto
meno sostanziali di quanto non possa parere a prima vista. Il dissenso di Blaga
mira in realtà alle posizioni estremiste del momento in cui scriveva,
attaccandone la base dichiarata (linterpretazione pârvaniana della religione
geto‑dacica); in tale tentativo, però, L. Blaga assume anche una
parte delle letture e delle interpretazioni devianti degli epigoni di Pârvan,
dando maggior peso alle differenze (reali o presunte) che non alle analogie
di pareri e di vedute col grande storico. In realtà, le divergenze di
Blaga rispetto alle teorie pârvaniane si limitano sostanzialmente ad una
critica di metodo (come si vedrà
p. 535
immediatamente,
§ IV.1) e si basano in essenza su una sola, macroscopica, differenza di base
(come si vedrà poco più avanti, § IV. 2).
IV. 1. Criticando il grande quoziente di soggettività
che struttura limmagine della religiosità dacica abbozzata
dallarcheologo[36], L. Blaga
che definisce V. Pârvan una figura di gran sacerdote, al servizio di
chissà quale rito pagano ed esoterico[37]
afferma: Vasile Pârvan a fost o personalitate dominată de un spiritualism
stoic cu unele vagi nuanțe creștine. Acest spiritualism avea un pronunțat
caracter raționalist‑ascetic. Cert lucru, părerile lui V. Pârvan despre
religia dacilor se resimt de orientarea sa spirituală și de toată concepția sa
despre viața[38]. L. Blaga,
come lo Zalmoxe del dramma omonimo rispetto al Sommo Sacerdote, si pone in
contrasto con la visione razionalista, apollinea[39],
della mitologia getica proposta secondo lui dal grande storico, una sorta di
proiezione soggettiva di un animo preoccupato dai più sublimi problemi[40].
Ma se V. Pârvan crea una divinità ad uso personale[41],
L. Blaga, combattendo la separazione operata da V. Pârvan tra daco‑geti e
traci meridionali[42]
e la sua concezione di un monoteismo getico di natura uranica (V. Pârvan si
orienta in realtà, formalmente, verso lenoteismo[43]),
giudicata una răstălmăcire sublimă[44],
propone una visione certamente altrettanto personale, definita dalla critica
una ricostruzione empatica[45].
IV. 2. La questione fondamentale su cui L. Blaga dissentiva da V.
Pârvan, e da cui derivano altri punti di contrasto, riguarda lesistenza o meno
di una distinzione fra le tribù traciche separate dal Danubio, i traci
settentrionali e i traci meridionali. V. Pârvan, a differenza di L. Blaga,
sosteneva lidea di una separazione dei
(geto‑)daci (traci settentrionali) dal resto delle popolazioni traciche
sud‑danubiane, accostando il mondo religioso geto‑dacico a quello
delle popolazioni indoeuropee settentrionali[46].
A contatto col mondo mediterraneo[47],
i traci egeici sarebbero stati sottoposti ad un processo di
p. 536
ctonizzazione
e di orgiastizzazione ancora in corso in epoca storica, a differenza dei
traci danubiani, che invece continuavano a vivere nellidealismo ingenuo e
irriducibilmente uranico delle primitive concezioni indoeuropee[48].V.
Pârvan, infatti, considerava la religione getica una religione di specchiata
moralità, quasi ascetica, del tutto estranea alla follia dionisiaca
traco‑frigia[49].
Nella visione di V. Pârvan il nucleo essenziale della religiosità getica
è costituito dalla fede nellimmortalità dellanima[50],
alla quale si accede tramite un cammino ascetico di rifiuto della
corporeità e delle sue tentazioni, come il vino e le donne[51].
Sulla base di simili premesse, appaiono chiare le motivazioni e i meccanismi
mediante i quali le tendenze ortodossiste contemporanee a L. Blaga si siano
potute appropriare più o meno tacitamente delle interpretazioni
pârvaniane[52],
affascinate certamente nonostante le cautele e le precisazioni dello storico
anche da quelle che potevano essere interpretate come tendenze teocratiche:
il sommo sacerdote era rispettato, adorato quasi come un dio, ascoltato dal re
stesso[53].
p. 537
IV. 3. Ma la soggettività di V. Pârvan ha basi ben
diverse (come del resto osserva anche L. Blaga). Il grande storico, infatti,
pur strutturando la religione getica lungo le linee portanti della propria
personalità, inserisce il cristianesimo e la sua aspettativa di una
seconda resurrezione legata allinumazione (accanto ad altre religioni in cui,
sotto varie forme mummificazione, inumazione ecc. il corpo viene
conservato, quali quelle egiziana, siriana e greco‑tracica), nel quadro
di una spiritualità mediterranea specifica dellEuropa meridionale,
opposta ad una spiritualità genericamente settentrionale, cui viene
invece affiliata (insieme alle religioni celtica e germanica) la religione dei
traci nord‑danubiani. Nella visione di V. Pârvan, la religione geto‑dacica
e quella cristiana appartengono quindi a due paralleli spirituali differenti,
rispettivamente quello settentrionale e quello meridionale: per lo storico,
dunque, cristianesimo e religione dacica (tracica settentrionale), lungi dal
convergere, appaiono invece appartenere a due universi religiosi diversi e
separati.
IV. 4. Altro nucleo importante dellinterpretazione pârvaniana
combattuto da L. Blaga è il presunto monoteismo dei geti. In
realtà, lo storico parla di enoteismo[54],
concentrandosi di fatto su una figura di dio unico, privo di nome proprio e dai
molti attributi (tra cui Zalmoxis e Gebeleizis). Interpretando non tanto la
lettera quanto piuttosto la pratica di V. Pârvan, e rilevandone leffettiva
contraddizione di fatto, L. Blaga preoccupato di ridimensionare le
interpretazioni devianti della propria epoca coglie perfettamente il
nocciolo della questione: il monoteismo di fatto di V. Pârvan
reinterpretato dai suoi epigoni mirava a fare del monoteismo protocristiano
dei geto‑daci la base per una definizione della romenità in senso
cristiano ortodosso: V. Pârvan voia însă să vadă chiar pe geți, ca popor, în
chip originar, într‑o lumină ideală, religia zeului unic devenind astfel
o particularitate etnică[55].
Al di là delle osservazioni di L. Blaga, lelogio
dei geti da parte di V. Pârvan è senzaltro equilibrato e ha una base
ben più ampia che non la sola sfera religiosa, accumulando testimonianze
sulleconomia, lorganizzazione sociale e militare, le arti figurative, la
musica, la letteratura, labbigliamento ecc. per giungere ad una conclusione
p. 538
chiara,
certo non esente dallidentificazione corrente al tempo come ad ogni epoca
nel caso di qualsiasi rivendicazione del passato orientata politicamente
con i loro discendenti: geto‑dacii au fost un popor de țărani, așezați, statornici, supuși și cu frica de Zeul
lor, amărâți de vecini cu nesfârșitele războaie și prădăciuni și sălbătăciți și
ei de multe ori de ticăloșiile lor, totuși veseli și glumeți la vreme de pace,
mânioși la război, îndeobște însă cu un bun simț și mereu întorcându‑se
la străvechea lor credință optimistă în zei și oameni[56].
V. Posizioni queste che ritroveremo, daltra parte, anche
nel pur critico L. Blaga. Oltre che per la luce che contribuiscono a gettare
sulle filiazioni e sugli orientamenti del dacismo della destra interbellica, i Getica di questultimo sono oltremodo
interessanti anche su un altro versante. Il filosofo, infatti, affianca al
momento critico anche un momento costruttivo, in cui esplicita la propria
visione della matrice spirituale geto‑dacica. Lanalisi di tale visione
permette di capire meglio il tracismo di Blaga e, a più di un
ventennio di distanza dalla prima Rivoltă[57], le sue posizioni rispetto al sostrato
più antico della spiritualità romena, tenendo conto delle quali
è inoltre possibile cogliere con maggior chiarezza quali fossero i
tratti peculiari della concezione della matrice spirituale romena che entravano
in conflitto durante periodo interbellico e di che carica simbolica essi si
connotassero.
Disperando fin dallinizio, a causa della loro
scarsità, della possibilità di una ricostruzione della mitologia
e della religiosità dei geti basata sulle fonti (come aveva invece
proceduto V. Pârvan), la ricostruzione di L. Blaga parte da tuttaltre basi: il
filosofo della cultura si propone di mostrare dove approssimativamente si
collocherebbe la spiritualità dacica nel quadro di una topografia
stilistica indoeuropea[58],
ponendo un freno alla fantasia e invitandola ad un saggio compromesso tra
ipotesi e criterio[59].
Come nella tavola di Mendeleev gli scienziati sono stati in grado di predire
lesistenza di un elemento e le sue caratteristiche sulla base del luogo
occupato dagli altri e dalle loro caratteristiche, così L. Blaga con
tutte le riserve metodologiche del caso procede alla ricostruzione di alcuni
elementi della religiosità geto‑dacica.
Nella tavola periodica della mitologia indoeuropea i geti
occupavano, secondo L. Blaga, un posto geograficamente privilegiato, al centro
dellarea indoeuropea[60],
che permetteva di postulare solo una differenziazione attenuata rispetto alle
popolazioni affini vicine[61].
Basandosi sulla comparazione dal punto di vista stilistico di varie mitologie
ariane (che nella terminologia dellepoca stava per indoeuropee), L. Blaga
determina
p. 539
alcuni
punti di riferimento di questa topografia stilistica: utilizzando, per
interpretare questo abbozzo di topografia stilistica comparata delle
religioni indoeuropee, le categorie postulate da L. Blaga e da lui impiegate
della definizione della matrice stilistica[62],
si ottengono risultati interessanti[63].
mitologia
à |
Germanica |
Celtica |
Getica |
Slava |
Greca |
Iranica |
Indiana |
|
categorie
â |
||||||||
Orizzontiche |
orizzonte infinito |
orizzonte in crescita |
orizzonte sconfinato |
orizzonte sconfinato, piatto |
orizzonte limitato |
orizzonte vasto, espansivo |
orizzonte eccessivo |
|
Di atmosfera |
affermazio-ne offensiva nel mondo |
affermazio-ne offensiva |
affermazione difensiva |
affermazione vege-tativa nel mondo |
affermazione misurata nel mondo |
affermazione offensiva |
ritrazione dalloriz-zonte |
|
Formative |
ornamen-tazione |
realismo individua-lizzatore |
geometri-smo, stilizzazione |
geometri-smo, stilizzazione molto
astratta |
realismo fantastico |
statico, tipico |
forme elementari |
elementa-rismo |
rappre-sentazione
divina |
antropo-morfismo |
antropo-morfismo |
antropo-morfismo |
antropo-morfismo |
antropo-morfismo |
antropo-morfismo |
antropo-morfismo |
|
Dellorien-tamento |
lotta per la supremazia |
partecipa-zione ma-gico-attiva
allesistenza |
partecipa-zione ma-gico-attiva
allesistenza |
partecipa-zione paci-fica
allesi-stenza |
luomo ritocca lesistenza secondo
un modello ideale |
partecipa-zione del-luomo alla
lotta cosmica tra bene e male |
distacco sereno dal mondo |
|
drammaticità tragica |
Realizzazi-one nella
post-esistenza |
realizzazione nella post-esistenza |
spirito epico |
|
Drammati-cità
dual-ottimista |
|
p. 540
V. 1. Nonostante le differenze di metodo (interpretazione
delle fonti e del materiale archeologico vs. mitologia comparata) e di
concezione (traci meridionali≠traci settentrionali vs. traci
meridionali=traci settentrionali) possano a prima vista rendere difficilmente
confrontabili e conciliabili le posizioni di V. Pârvan e L. Blaga, questi
giungono in più punti ad una stessa conclusione. In primo luogo, si
osservano immediatamente due cose: che lunica topografia stilistica a non
avere assolutamente nulla in comune con quella getica è quella greca e
che le analogie maggiori si incontrano tra la topografia stilistica getica e
quella celtica (nonché, in misura molto minore, germanica e slava).
Se la distanza tra le topografie stilistiche greca e
getica spiegherebbe perfettamente le interpretazioni della spiritualità
getica in senso pitagorico o egizio date dei greci (i quali avrebbero in tal
modo ricondotto i dati getici alla propria topografia stilistica) combattute da
V. Pârvan, è soprattutto nelle analogie che L. Blaga istituisce con le
mitologie germanica e soprattutto celtica[64]
che i due autori si avvicinano maggiormente, giungendo a conclusioni identiche,
luno con gli strumenti dello storico e dellarcheologo, laltro con quelli del
filosofo della cultura. V. Pârvan, infatti, collocava la mitologia getica nello
stesso spazio nordico dei celti e dei germani, richiamandosi ai barbari
nordici anche nel caso delle pratiche, delle cerimonie e delle
attività magiche attestate presso le popolazioni traciche[65].
L. Blaga, a sua volta, rileva che a livello di topografia stilistica le
analogie maggiori sono quelle che uniscono per lappunto tra la mitologia geto‑dacica
e quella celtica, derivanti dal comune vigoroso fondo di pensiero magico che
lautore individua in entrambi questi orizzonti religiosi. La matrice
stilistica celtica, secondo Blaga, ha in comune con quella geto‑dacica
lampiezza dellorizzonte in crescita nelluna e
p. 541
sconfinato
nellaltra, caratteristica che del resto, in altre forme, si riscontra anche in
altre matrici, in particolare in quella germanica (infinito) e slava
(sconfinato, piano) ma anche in quella iranica (vasto, espanso) la preferenza
per un certo tipo di ornamentazione in entrambe geometrico e stilizzato,
cioè tipicizzante, con un plus di
astrazione presso i geti, rispetto al realismo individualizzante germanico e
slavo e allelementarizzazione indo‑iranica e, soprattutto, lidentico
atteggiamento nei confronti dellesistenza. La partecipazione magico‑attiva
allesistenza che contraddistingue le matrici stilistiche geto‑dacica e
celtica è riconducibile ad unattitudine catabasica di tipo magico, che
si avvicina vagamente a quella di tipo cosmico iranica; tale attitudine si
differenzia tanto da quella di tipo guerriero dei germani quanto da quella di
tipo pacifico degli slavi, contrapponendosi nettamente allattitudine anabasica
indiana. Nello stesso ordine di idee secondo L. Blaga la realizzazione
nella post‑esistenza si distingue, proprio in virtù della
dimensione magica in cui si muovevano celti e geti, dalla drammaticità
germanica e iranica e dallo spirito epico slavo. La differenza tra la matrice
celtica e quella getica si riduce ad una moderata tendenza allespansione della
prima, caratterizzata da un orizzonte in crescita, e dal suo accento
assiologico moderatamente offensivo (contiguo a quello decisamente offensivo
germanico) rispetto a quello difensivo getico. La matrice slava appare in
genere affine a quella getica, caratterizzandosi però in generale per
una maggiore passività. In generale, le topografie stilistiche delle
religioni che V. Pârvan raggruppava in un comune spazio nordico appaiono in
L. Blaga legate da affinità categoriali che rappresentano soprattutto
delle variazioni sul tema, mentre la contigua area greca, individualizzata
per V. Pârvan dallinflusso del sostrato mediterraneo, si stacca nettamente da
questo insieme (così come prevedibilmente se ne dimostrano lontane
le topografie stilistiche indiana e, in minor misura, iranica). Le analogie che
saltano immediatamente agli occhi nello schema del filosofo della cultura L.
Blaga, in primo luogo quelle con i celti, vanno nella stessa direzione delle
influenze ipotizzate dallo storico V. Pârvan. Con queste affermazioni, su un
piano che è specifico del dibattito filosofico, L. Blaga entra di fatto
in contrasto con le tendenze della cultura ultraconservatrice del tempo.
Affermando chiaramente laffinità della matrice spirituale geto‑dacica
che lautore pone evidentemente alla base della spiritualità popolare
romena con quella celtica, L. Blaga afferma implicitamente lappartenenza
dello spazio romeno a quello europeo centro‑occidentale, da cui gli
ortodossisti e i tradizionalisti più intransigenti chiedevano a gran
voce il distacco.
V. 2. In margine alle evidenti analogie che legano i risultati
cui approdano i due studiosi, pur così diversi per temperamento e
metodologie applicate, appaiono interessanti anche le palesi similitudini
presenti tra la matrice stilistica getica e la matrice stilistica romena,
così come L. Blaga la definiva ne Lo
spazio mioritico: orizzonte elevato ed indefinitamente ondulato
(simboleggiato dal plai[66]),
accento assiologico positivo (solidarietà organica e solidarietà
assiologica nei confronti dellorizzonte spaziale inconscio) mitigato da una
aspirazione trans‑orizzontica, preferenza per lornamentazione
elementarizzante temperata dalla predilezione per le categorie dellorganico,
orientamento anabasico specifico, un sentimento del destino vissuto anchesso
come un ondulazione.
p. 542
Soprattutto,
osserviamo come la tendenza ad unaffermazione difensiva nel mondo conduca i
geti ad una ritrazione spirituale analoga a quel boicottaggio della storia
che L. Blaga, alcuni anni prima, aveva individuato quale costante del rapporto
tra i romeni e la Storia[67].
Tale atteggiamento dei romeni verrà esaminato tanto da Blaga quanto da
M. Eliade, i quali, per vie e con metodi diversi, giungono alla definizione di
questo atteggiamento difensivo in due prospettive diverse: L. Blaga come un
grande processo di regressione dalla storia ad un tipo di vita organico[68],
M. Eliade come capacità di fronte al terrore della storia di trasfigurare
il valore e il senso degli eventi (in particolare quelli tragici) grazie ad un
atteggiamento definito cristianesimo cosmico[69].
Tale osservazione, che evidenzia il legame che nella visione blaghiana
pareva unire, oltre i secoli, la spiritualità romena a quella geto‑dacica,
appare tanto più significativa se teniamo conto del fatto che, nel
quadro delle spiritualità affini (in ordine decrescente celtica,
germanica, slava e iranica), la religione getica si individualizza in modo
assoluto proprio per questa sua affermazione difensiva. Essa, in definitiva,
altro non è che una versione in chiave stilistica della
caratterizzazione dei (geto‑)daci data da V. Pârvan una ventina di anni
prima e sopra ricordata. Senza voler stabilire filiazioni o influenze, notiamo
semplicemente come ancora una volta entrambi gli intellettuali, diversi per
temperamento e approccio ai problemi, si incontrino nel tentativo di delimitare
uno spazio spirituale autoctono, in delicato equilibrio tra passato e presente,
tra prospettiva e identificazione, così come imponeva lo Zeitgeist di allora.
V. 3. Certo, rimangono delle differenze essenziali tra le
concezioni di L. Blaga e quelle di V. Pârvan, derivanti principalmente
dallunica divergenza sostanziale di fondo per cui Pârvan (sulla base
dellinflusso del sostrato mediterraneo, di natura ctonia, che individuava
presso i traci meridionali) riteneva che i geto‑daci rappresentassero una
realtà diversa dai traci egeici, mentre Blaga li considerava un corpo
unico. L. Blaga sosteneva che la mitologia getica coltivasse una moltitudine di
dei, tra cui Zalmoxis poteva vantare un primato analogo a quello vantato da
Zeus presso i greci[70]
e che, sempre analogamente a Zeus, Zalmoxis poteva benissimo rappresentare un
dio delle forze celesti ed essere nello stesso tempo anche un dio della
vegetazione o, più precisamente, dellabbondanza[71].
V. Pârvan riconosceva appunto presso i traci meridionali, ma solo presso questi, lesistenza di un
dio supremo di natura uranica, paragonato a Zeus o Apollo, profondamente
permeato come voleva L. Blaga di idee ctonie e naturalistiche[72].
Per L. Blaga, lo Zalmoxis traco‑dacico è una sorta Pan, di daimónion che media tra terra (animale
totemico) e cielo
p. 543
(dio
antropomorfo) e che, in quanto coincidentia
oppositorum, mediazione tra Olimpo e Tartaro, rappresenta lincarnazione
del principio di base del pensiero magico che Blaga stesso poneva alla base
della topografia stilistica getica (e celtica). Egli, infatti, affermava che la
mitologia getica andasse ricostruita tenendo conto del suo vigoroso fondale
magico[73],
riconosciuto del resto anche da V. Pârvan il quale, esattamente come L. Blaga a
distanza di anni, lo accostava al mondo celtico. In generale, dunque, per
riprendere una caratterizzazione di Mircea Muthu, lorizzonte tracico di L.
Blaga è lorizzonte di starea lui «între»[74],
al limite di un equilibrio dinamico e instabile tra dimensioni diverse e
contrastanti, così come lo è anche lo Zalmoxe della pièce omonima, in funzione di
mediatore temporaneo tra divinità e uomo[75].
Laddove la religione getica nella visione di V. Pârvan, e soprattutto dei suoi
successori, era monoteista, zoomorfa e uranica, la ricostruzione di L. Blaga ne
fa una religione politeista, antropomorfa e caratterizzata da una prospettiva
di mediazione cosmica che non è difficile mettere in relazione, da un
lato, con la concezione blaghiana del sofianico e, dallaltro, con Marele Orb di Zamolxe, uno degli abbozzi metafisici contenuti nel manoscritto
intitolato Minciunile lui Dumnezeu,
attribuito in Luntrea lui Caron al
filosofo Leonte Pătrașcu, alter ego
di L. Blaga[76].
Se la credenza getica nellimmortalità dellanima
si concretizzava per V. Pârvan nella convinzione che esistesse una vita dello
spirito oltre la morte del corpo (da cui il disprezzo per il corpo tanto in
vita, mortificato con astinenze e tenuto in nessun conto in guerra, quanto in
morte, cremato), per L. Blaga questa ha alla base la speranza nella post‑esistenza
di un doppione coporeo[77],
così comera presso i celti e i germani. Esso non costituiva tanto un
attributo naturale dellanima quanto piuttosto un dono da ottenere tramite incantesimi, magia farmacologica e riti,
quali il sacrificio in guerra ecc.: Il geta non teme di cadere sul campo di
battaglia, poiché per questa via spera di ottenere limmortalità del suo
doppione corporeo[78].
V. 4. In tali posizioni è facile leggere una
perorazione pro domo in difesa del
mistero, del pensiero magico che non va snaturato dallinterpretazione
razionalista o spiritualista; linterpretazione di L. Blaga è quindi
certamente soggettiva quanto quella di V. Pârvan[79]:
la mitologia dei traci è continuata direttamente dalla visione
folclorica
p. 544
romena[80].
Analogie e rimandi al folclore romeno del resto abbondano: laldilà
stesso dei geti è concepito da L. Blaga in conformità con i
modelli folclorici locali[81]:
La geți, intrarea în «celălalt tărâm» va fi fost imaginată ca o intrare «în
munte», prin peșteri sau prin guri de plaiuri [riferimento alla ballata Miorița]. Celălalt tărâm este țara
fericirii, patria unei vieți potențate, trăită în veșnică tinerețe [riferimento
alla fiaba Tinerețe fără bătrănețe și
viața fără de moarte][82].
Così come il romeno, sia per V. Pârvan sia per L.
Blaga il geta è un om de pădure[83],
che va situato tra i suoi simili: lo stendardo dacico stesso col bălaur dalla
testa di lupo e dalla coda di serpente lo situa in questo spazio. Il geta
doveva avere divinità silvestri, così come le hanno i loro
discendenti e omologhi moderni[84].
Nella analogie tra folclore romeno e mitologia getica svolge sicuramente un
ruolo importante il già ricordato meccanismo della proiezione e
dellidentificazione, ma il legame reale e più profondo tra queste due
realtà si colloca nel quadro di una concezione più ampia e
articolata, in cui spicca il comune fondale magico, sullo sfondo del quale
entrambi questi popoli, uno antico e uno moderno, si muovono, ma che non
rappresenta unesclusiva geto‑daco‑romena, abbracciando anche
altri popoli, quali i celti (oltre che, come ritenevano partendo da altri
presupposti Iorga e Hasdeu, le altre popolazioni dellEuropa sud‑orientale[85]).
In tale senso, lanalogia più evidente tra la
visione dello storico e quella del filosofo che lo critica risiede certamente
nella valutazione del suicidio di Decebalo. Esso non è visto da L.
Blaga, così come lo intendevano invece il romanticismo ottocentesco o
soprattutto, il nazionalismo dacista interbellico, come un gesto
eroico/patriottico, bensì come un comportamento di natura religiosa, un
sacrificio propiziatorio analogo a quello rappresentato da uno dei miti
fondamentali (George Călinescu) della cultura romena, quello di Meșterul Manole: i capi tribù
celtici si suicidavano in seguito ad una sconfitta allo scopo di stemperare,
tramite il loro olocausto, la rabbia
degli dei affinché questi avesso pietà almeno di coloro che restavano in
vita. Perché non dovremmo vedere anche nel suicidio di Decebalo un sacrificio
magico, compiuto per ammansire la furia degli dei e salvare il popolo dacico?[86].
In questa stessa direzione andava anche la lettura pârvaniana dei Parentalia (sottointitolati Închinarea împăratului Traian la XVIII
veacuri de la moarte
p.
545
e
datati XXVI SEPTEMVRIE MCMXIX), nonostante la persistenza comprensibile
dato il momento storico, allindomani delle conquiste pagate a caro prezzo nel
corso del Primo Conflitto mondiale di una certa qual retorica patriottica
(nella finzione retorica di V. Pârvan, è ArtemisDianaBendis che si
rivolge al consesso divino): Cetate de zei, ori cetate de oameni, zid al
titanilor, ori zid de mâini muritoare, nu va trăi fără jertfa celei mai scumpe
vieți zidite în piatră de maeștri. Ci cel mai scump suflet al cetății mele de
munți și de ape e sufletul regelui dacic, cumpănit în balanța de aur. Pe veci
să trăiască cetatea, cu sufletul lui prins în ziduri. [
] În zidul cetății de
munți și de râuri, sufletul lui părintesc ocrotește, etern, dăinuirea Daciei[87].
Linterpretazione blaghiana, già accennata da V. Pârvan, caricando di
significati metafisici il gesto di Decebalo, si inserisce pienamente nel solco
dellinteresse per la dimensione spirituale dello spazio dacico (mistica,
magica, teologica ecc.) che percorre tutto il primo Novecento, ossessionato
soprattutto dalla figura divina di Zalmoxis, mentre lOttocento era stato
affascinato soprattutto da quella eroica di Decebalo. Anzi in Blaga, il quale
privilegia lo strato di pensiero arcaico, magico, sciamanico, si osserva una
certa avversione per il culto delleroe, inflazionato in quegli anni dagli
insistenti richiami della Guardia di Ferro.
VI. La nostra analisi è tesa a dimostrare che nel
confronto tra L. Blaga e V. Pârvan le critiche dirette dal filosofo allo
storico non miravano tanto alle teorie vere e proprie di V. Pârvan, con cui linterpretazione
e il punto di vista di L. Blaga sono comunque in parziale disaccordo, bensì alle estremizzazioni
misticheggianti degli anni 40 che segnano lapogeo del dacismo interbellico e
dello zalmoxianesimo. In un panorama ideologico variegato e contraddittorio, in
cui si scontravano europeismo e antieuropeismo, cosmopolitismo rivoluzionario e
particolarismo conservatore, liberalismo cattolicizzante e integralismo
ortodossista[88], in cui gli
ultimi paladini della latinità pura erano messi alle corde tanto dagli
attacchi dei nuovi dacisti, quanto dalle più equilibrate posizioni di un
nuovo autoctonismo moderato e integratore, allinsegna della cultura (in
cui si ritrovano, in modi e in tempi diversi, personalità quali, ad
esempio, A. D. Xenopol, D. Onciul, N. Iorga, V. Pârvan, L. Blaga nonché, per
certi versi, M. Vulcănescu), tali estremizzazioni, che postulavano la
predisposizione dei daci al cristianesimo, partivano dallingigantimento e
dallo stravolgimento delle affermazioni pârvaniane in alcuni punti in
realtà molto vicine a quelle proposte da L. Blaga un ventennio
più tardi per deviare in maniera pericolosa verso un integralismo
pseudo‑religioso e un culto della morte di presunta eredità
dacica, esaltati in quegli anni dalla Guardia di Ferro e dagli intellettuali ad
essa vicini. Combattendo le posizioni della tracomania (Șerban Cioculescu)
zalmoxista, L. Blaga combatteva di fatto le posizioni della destra
intellettuale spiritualista più estrema,
p. 546
che
(siamo nel 1943) aveva contribuito a suo modo a trascinare la Romania negli
orrori della dittatura legionaria e nel disastro della Seconda Guerra mondiale.
Laddove il più volte ricordato dramma Zamolxe di Blaga rappresenta un perfetto
esempio del dacismo estetico del Novecento, in cui lo scenario geto‑dacico
non costituisce un fondale inerte, bensì una matrice viva e attiva,
dotata di una certa autonomia, su cui lautore come nel dacismo emineschiano
proietta una visione di sé, Getica,
mediante la proiezione di sé sulla collettività che L. Blaga opera
tramite i riferimenti al folclore, si dimostra un perfetto esempio di dacismo
etico novecentesco (accanto, ad esempio, alle speculazioni vulcaneschiane),
in cui lo spazio geto‑dacico diventa più che mai lo spazio di una
definizione della romenità. Tale natura dei Getica blaghiani nasce dal fatto che essi rappresentano,
essenzialmente, una risposta al clima generale del dacismo degli anni 40, in
cui i daci venivano assunti quale paradigma assoluto nella definizione della
spiritualità romena su ogni piano, incluso quello religioso di un
cristianesimo sui generis[89].
Getica, collocandosi in un momento in
cui la filosofia di Blaga era già in grandissima parte strutturata,
rappresenta certamente il punto più alto di elaborazione del suo tracismo,
che matura, dalle goffaggini giovanili (secondo le parole di L. Blaga stesso)
di Revolta fondului nostru nelatin (1921)
e dallinerente esperienza del mistero pagano di Zamolxe (1921), nella
visione di un tracismo inclusivo e integratore, soprattutto in senso locale,
sud‑est europeo, di una coscienza identitaria forte ma non esclusivista,
vicina per certi versi ad alcune delle pozioni ecumeniche di N. Iorga e B. P.
Hasdeu sopra ricordate[90].
Le opinioni espresse da L. Blaga rappresentano la presa
di posizione di un intellettuale responsabile ed esigente di fronte ad una
deriva nazionalista ascientifica e intellettualmente viziata che, travisando ed
ingrossando le posizioni in realtà moderate di V. Pârvan, si era creata
una spiritualità dacica su misura, a proprio uso e consumo. Al di
là di alcune questioni di fondo e di metodo che li contrappongono in
modo netto, i due studiosi si incontrano su molte questioni essenziali, quali
linserimento dello spazio spirituale geto‑dacico in una dimensione
europea o lesistenza nella religione geto‑dacica di un sostanziale fondo
magico; nella sua critica a V. Pârvan, L. Blaga, di fatto, si scaglia piuttosto
contro il misticismo esaltato e antioccidentale che era venuto consolidandosi
negli anni 30 e nei primi anni 40 e contro le sue esagerazioni.
p. 547
Così come in altre occasioni (come ad esempio nel
dibattito sulla razza[91]),
anche nella disputa intorno al fenomeno dacico L. Blaga rappresenta un modello
di intellettuale. Infatti, pur partendo da posizioni conservatrici e
condividendo in gioventù alcune premesse
dellideologia dacista, nella polemica con V. Pârvan, L. Blaga si fa
consapevolmente carico di quella funzione di moderatore degli animi e di
coscienza critica che da sempre costituisce una ragion dessere
dellintellettuale ed è parte integrante del suo ruolo allinterno della
società in cui vive e che contribuisce a formare con la propria
attività. Lassunzione di tale ruolo rappresenta un imperativo morale a
maggior ragione in un momento di crisi e di deriva, come quello che la Romania
stava attraversando alla fine degli anni 40.
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[1] Il quale, ad esempio, in De neamul moldovenilor, VI. De
numerile neamului acestor țări și de port și de limba graiului, de unde au luat
citava a tale proposito lo storico sassone L. Toppeltin, il quale però
considerava erroneamente i daci antenati dei sassoni transilvani (Cfr. Miron
Costin, Opere, vol. II, edizione
critica a cura di P. P. Panaitescu, Bucarest 1965, p. 48).
[2] Ad esempio nella Descriptio
Moldaviae, III. 4. De lingua Moldavorum (Cfr. Dimitrie
Cantemir, Descrierea Moldovei,
Bucarest 1973, p. 364).
[3] Il quale, a proposito dellultima rivolta dei daci
liberi, avvenuta al tempo dellimperatore Eusebio, afferma che i daci si sarebbero
infine quietati e mescolati con i romeni (Cfr. C. Cantacuzino, Istoria Țării Rumânești (post 1706), in Cronicari munteni, vol. I, edizione a cura di Mihail Gregorian,
studio introduttivo di Eugen Stănescu, Bucarest 1961, pp. 1‑80: p. 55).
[4] Limitatamente allambito storiografico, il primo
«dacomane» precedente, da un lato, tanto le indagini archeologiche di C.
Bolliac (si veda infra, nota 6) e agli studi storico-filologici di Hașdeu (si veda infra, nota 5) quanto, dallaltro, alle
speculazioni del Teohari Antonescu di Dacia,
patria primitivă a popoarelor ariene, in Convorbiri literare, XXVIII,
1894, o alle fantasticherie (V. Pârvan) del Nicolae Densușianu di Dacia preistorică, Bucarest 1911, e
dello scrittore Ioan Alexandru BrătescuVoinești di Originea neamului românesc și a limbii noastre, Bucarest 1942 (1943ii) pare essere stato lex sostenitore della latinità
dei romeni Alexandru Popovici, Dovezi
literare pentru Țara Românească și Moldova că nu s-au numit Dacia și că limba
noastră n-a avut nici un amestec cu latina, o disertatie repede asupra
articulilor vestite prin foile literare a Transilvaniei de la nr. 1 până la nr.
6, Bucarest 1847, criticato da Gh. Barițiu e ridicolizzato da N. Iorga (si
veda Alexandru Zub, A scrie și a face
istorie. Istoriografia română postpașoptistă, Iași 1981, pp. 150-151).
[5] Linteresse del giovane Hasdeu per i daci, testimoniato
da poesie e da alcuni studi sulla religione e la mitologia daciche (circa
1850-1857) e dalle Introduzioni al
canovaccio drammatico Domnița Roxana
e a Domnița Vochița (tutti in russo),
salirà agli onori della ribalta con il celeberrimo saggio-pamphlet antilatinista Pierit-au dacii? (1860), che rappresenta
latto di nascita ufficiale unanimemente riconosciuto del dacismo, seguito poi
dal ciclo di conferenze tenute nel 1868 allAteneo Romeno sotto il titolo Cine au fost dacii? (pubblicate nel
1868) e da vari altri articoli dedicati allo studio dei più diversi
resti dacici della cultura popolare romena (abbigliamento, pastorizia,
mitologia popolare ecc.), fino a Cine
sunt albanezii? (1901). Molte pagine dedicate ai più disparati
aspetti della storia e della vita della Dacia e dei daci trovano inoltre posto
nelle summae di ampio respiro
culturale del frenetico periodo bucarestino, Istoria critică a românilor (1873-1875 ma in fieri fin dal 1870) ed Etymologicum
Magnum Romaniae (4 voll., Bucarest 1886-1898), come anche in studi postumi,
quale Elementele dacice în limba română.
Note după cursul universitar 1896-1897, conservato presso la Direzione Centrale
degli Archivi Storici Nazionali di Bucarest. Agli studi originali Hasdeu
affiancò inoltre la traduzione di opere inerenti alla mitologia e alla
scrittura dei daci.
[6] Il dacismo di
Bolliac, visibile già tanto in testi poetici come O dimineață pe Caraiman (datata 1843), La România (datata 1856) o Acvila
străbună (di poco anteriore) quanto in saggi quali Unitatea României (1853), Topographie
de la Roumanie (1856) o Scrisori din
țeară (1856), rivela la profondità di una nuova visione che
anticipa tutti i temi del dacismo successivo, da Hasdeu fino allo
zalmoxianesimo interbellico nel lungo studio incompiuto Despre daci (1858-1863) e nelle relazioni e negli studi
archeologici quali Din itinerarul d.
Bolliac (1845-1846), Cercetări prin
mănăstiri (1861), Excursiune
arheologică din anul 1869 (1869) e Peștera
de la obârșia Ialomiței (1870).
[7] Lidea delle radici traco-daciche quale scudo storico
da contrapporre allespansionismo slavo dellImpero russo e a quello germanico
dellImpero asburgico appare infatti più che evidente negli scritti
dellintraprendente scrittore-archeologo pioniere: Ne sfiim kă daka vom
sfredeli trekutul maĭnainte de Traian vom da peste Daèĭ și so ivi
atunèĭ vre o pikătură de sănğe Dak în vinele noastre? apoĭ și
Daèii naŭ fost țiganĭ, nièi Muskalĭ ka să ne ia pentru asta
Muskaliĭ, nièĭ Austriaèĭ ka să ne ia pentru asta
Austriaèiĭ. Daèiĭ aŭ fost și eĭ o nație mare și tare dupe
kum ne spun istorièiĭ luĭ Kiru, aĭ luĭ Darie, aĭ
luĭ Aleksandru, aĭ luĭ Lisimak și chiar aĭ luĭ
Trai[a]n (Cezar Bolliac, Despre daci
(I), in Românul, II, no. 55 (14/26 luglio), 1858). Anzi, lorigine
traco-dacica del popolo romeno, della sua cultura e della sua
spiritualità specifica diventa, nei confronti di queste popolazioni
confinanti, persino un titolo di superiorità: Civilizațiunea la noi a
venit pre două părți: pre țermii Mării Negre, din Persia și India, în
antichitate; și pe Dunăre, mai în urmă, prin Tracia și Macedonia, din Grecia.
[
] La spate aveam Sarmația
[cioè la Russia] și Germania
[cioè lImpero degli Asburgo], mai inculte cu mult decât noi (Idem, Peștera de la Obârșia Ialomiței. Peștera cu
oalele. Comoara din Cumpăna Ciocârlăului. Valea Caselor și mormintele de pre
Vulcana Mare, in Trompeta Carpaților, VIII, no. 846 (20 agosto/1
settembre), 1870, ora in Idem, Scrieri,
vol. II, Articole literare. Cronici
dramatice. Articole politice. Arheologie, edizione a cura, note e
bibliografia di Andrei Rusu, premessa di Mircea Scarlat, Bucarest 1983, pp.
313-346: p. 342).
[8] Sotto la multiforme realtà europea, Nicolae Iorga
vedeva ununità di fondo, unitatea raselor fundamentale, a legăturilor
de comerț și a civilizației străvechi. Questo è il principio dialettico
delle sintesi, che guiderà lo storico anche nello studio della storia
romena, in particolare nel quadro della storia dEuropa e del Sud-est europeo,
sotto il cui polimorfismo Iorga scorgeva lunità del sostrato comune
traco-illirico (Nicolae Iorga, Istoria
românilor, vol. I/1, Strămoșii
înainte de romani, testo stabilito, note, commento, postfazione e indice a
cura di Vasile Chirica, Virgil MihăilescuBârliba, Ion Ioniță, introduzione e
nota sulledizione a cura di Gheorghe Buzatu e Victor Spinei, Bucarest 1988, p.
74). Le idee di Iorga, per certi versi analoghe a quelle esposte da Hasdeu in Strat și substrat. Genealogia popoarelor
balcanice (1898) (ora in Bogdan P. Hasdeu, Etymologicum Magnum Romaniae, vol. III, edizione a cura e studio
introduttivo di Grigore Brâncuși, Bucarest 1976, pp. 7-30), rappresentavano,
alla vigilia del sanguinoso primo conflitto mondiale, un invito come del
resto quelle di Hasdeu alla fratellanza dei popoli balcanici.
[9] Si vedano, ad titolo esemplificativo, alcuni scritti
dello storico Alexandru Randa (1906-1975), emigrato alla fine della Seconda
Guerra mondiale, del sociologo T. Herseni o del medico N. Roșu (si veda anche infra, nota 33). Tramite i traco-daci i
romeni mettendo a frutto alcune suggestioni della già citata Dacia preistorică di N. Densușianu
entrano a far parte per linea diretta della prestigiosa famiglia delle razze
superiori, il sangue blu della specie: non solo Baza rasială a României este
aceeași cu a Europei ariene (Alexandru Randa, Rasism Românesc, Cernăuți 1941, p. 1, apud Zigu Ornea, Anii
treizeci. Extrema dreaptă românească, Bucarest 1995, p. 108), ma
addirittura Spațiul tracic este cel mai important rezervor rasial al lumii
ariene (Al. Randa, op. cit., p. 17, apud Dionisie Petcu, Naționalismul extremei drepte românești din
perioada interbelică, in Alexandru Florian et alii, Idea care ucide.
Dimensiunile ideologiei legionare, Bucarest 1994, pp. 55-102: p. 85).
[10] Diventato poi Poezie
și cântec, in Dan Botta, Limite și
alte eseuri, edizione a cura di Dolores Botta, premessa di Alexandru
Paleologu, Bucarest 1996, pp. 211-216; per il tracismo di D. Botta, si veda
anche più avanti, nota 31.
[11] Divenuto poi Ispita dacică, in Mircea Vulcănescu, Dimensiunea românească a existenței,
III. Către ființa spiritualității
românești, selezione dei testi, note e commenti di Marin Diaconu e Zaharia
Balica, Bucarest 1996, pp. 130-140.
[12] Ecco cosa affermava in proposito Alexandru Cantacuzino
(1901‑1939), attivista e ideologo legionario, nel 1926‑1927 capo di
gabinetto del Ministero degli Affari Esteri romeno: În lumea legionară noi nu
numai că ne mândrim cu nepăsarea față de moarte dar ne fălim cu iubirea de
moarte. Concepția legionară față de moarte se înfrățește, peste douăzeci de
veacuri, cu învățămintele lui Zamolxis care a propăvăduit printre geto-traci
cultul nemuririi sufletului (Al. Cantacuzino, Între lumea legionară și lumea comunistă, Bucarest 1935 (1940II),
p. 14, apud Z. Ornea, op. cit., p. 354).
[13] Persino il giovane Constantin Noica, in un momento di
grande tensione emotiva, causata, da un lato, dallinumazione a Predeal dei
legionari morti nel settembre del 39 nel corso delle rappresaglie seguite
allassassinio del premier Armand
Călinescu e, dallaltro, dalla perdita della Transilvania in seguito al Diktat revisionista di Berlino
invocava sinistramente esaltato la resurrezione delle virtù marziali
degli antenati dacici, signori della vita e della morte. I legionari
avrebbero potuto lottare contro il nemico ungherese con la loro stessa morte,
come strigoi, sullesempio del
martire Ion Moța, dal campo di Miercurea Ciuc furono inizialmente seppelliti.
Nello spazio-matrice edificato dal messianismo legionario, la Dacia superiore
strappata con la forza dellideologia ai romani e pienamente restituita ai
daci/romeni passa da realtà storica del II-III sec. d. C. ad
attualità dellultima ora: Așa i-a învățat Moța: să lupte cu cenușa din
ei. Poate că ei voiau încă să se lupte. Ca Moța. Ca Dacii! Căci noi, ceilalți,
cum știm să luptăm pentru dreptate? Noi vorbim despre dreptatea noastră asupra
Ardealului; noi aducem hărți, facem statistici, tragem de mânecă pe unii și pe
alții și întoarcem pe toate fețele istoria. Nu vedeți spunem noi că acolo a
fost Dacia Superioară? Smintiții de noi! Acolo nu a fost Dacia Superioară:
acolo este. Și nu de hărți avem nevoie, ci de suflet dacic. Cine ne-ar fi pus
vreodată în discuție dreptul de a domni peste 1.400.000 de unguri întâmplați
peste pământul Daciei, dacă am fi fost domni peste viață și moarte, ca Dacii?
(Constantin Noica, Cumplita lor călătorie,
in Buna Vestire, IIa serie, IV, no. 4 (12 settembre), 1940, in Al.
Florian et alii, op. cit., pp. 305-306: ivi).
[14] Proprio per la centralità generalmente e
tradizionalmente accordata loro nella definizione dellanimo romeno, la
determinazione dellesatta natura del sostrato spirituale di queste due
ballate ha dato luogo alle più diverse e contraddittorie
interpretazioni: per una lettura depoca, in chiave traco‑dacica, si veda
ad esempio D. Botta, Frumosul românesc,
in Gândirea, XIV, no. 8, 1935, e
Unduire și moarte, in Gândirea, XIV, no. 9, 1935, ora in Idem, Limite cit., pp. 28‑34 e pp. 35‑43.
[15] Sui canti legionari, in italiano si può vedere Al passo con lArcangelo. Ritmi Legionari,
traduzione e presentazione dei testi a cura di Claudio Mutti, Parma 1982 (la
traduzione dellInno è alle
pp. 101‑102).
[16] Contenute nello sferzante saggio‑pamphelt già ricordato alla nota
5.
[17] Vasile Pârvan, Getica,
o protoistorie a Daciei, edizione a cura, note, commento e postfazione di
Radu Vulpe, Bucarest 1982, pp. 81-100.
[18] Ibidem, pp.
91-96.
[19] Ibidem, pp.
99-100.
[20] Mircea Eliade, Los
Rumanos. Breviario histórico, Madrid 1943 (ed. port. Idem, Os Romenos, Latinos do Oriente, Lisboa
1943), trad. rom. Idem, Românii. Breviar
istoric, in Idem, Meșterul Manole.
Studii de etnologie și mitologie, edizione e note di Magda Ursache e Petru
Ursache, studio introduttivo di Petru Ursache, Iași 1992, pp. 3-54: p. 6.
Di questo testo esiste anche una traduzione pirata italiana, Mircea
Eliade, Breve storia della Romania e dei
romeni, prefazione di Enrico Montanari, Roma 1997, che ho preferito non
utilizzare.
[21] M. Eliade, Românii
cit., p. 10; il capitolo in questione, il primo, si intitolava appunto Sub semnul lui Zalmoxis. Osserviamo
anche, en passant, che la
sottolineatura editoriale è a sua volta indicativa dellorientamento e
degli interessi specifici delle ufficialità e di una parte del pubblico
del periodo ceauscista, e di come certi scritti di Eliade (effettivamente
minori) siano stati recepiti soprattutto tramite il filtro del dacismo nazional‑comunista.
[22] Idem, Zalmoxis (1944, 1969), in Idem, Da Zalmoxis a Gengis-Khan, traduzione
italiana di A. Sobrero, Roma 1975, pp. 26‑71: pp. 65-66.
[23] Ibidem, p. 65,
nota 135. La spiegazione di tale correzione si trova forse nella duplice
datazione che Eliade stesso dà di questo studio: 1944, 1969. La prima data, che rimanda al periodo portoghese,
potrebbe infatti essere un indizio a favore dellipotesi che Zalmoxis possa costituire un (abbozzo
di) capitolo il primo? di una progettata storia religiosa dei daci
menzionata da Eliade nel suo Jurnal
portughez il 12 gennaio 1942 (Cfr. Mac Linscott Ricketts, The Tangled Tale of Eliades Writing of
«Traité dhistoire des religions», in Archæus, IV, no. 4, 2000, pp.
51-77, in part. p. 56); la nota potrebbe allora
appartenere ad una revisione successiva, risalente al periodo indicato dalla
seconda datazione.
[24] Il termine appartiene al critico letterario Șerban
Cioculescu, Un nou fenomen mistic:
thracomania (1941), in Idem, Aspecte
literare contemporane (1932-1947), Bucarest 1972, pp. 636-642.
[25] M. Eliade, Zalmoxis,
cit., p. 70.
[26] Lucian Blaga, Revolta
fondului nostru nelatin, in Gândirea, I, no. 10, 1921, pp. 181-182, ora
in Idem, Ceasornicul de nisip,
edizione a cura, premessa e bibliografia di Mircea Popa, Cluj-Napoca 1973, pp.
47-50.
[27] L. Blaga, Izvoade,
IIa edizione, Bucarest 2002, p. 139.
[28] Al. Zub, Pe urmele
lui Vasile Pârvan, Bucarest 1983, p. 341.
[29] Radu Vulpe, Vasile
Pârvan, gânditorul, savantul, profesorul, in Luceafărul, IX, no. 2, 1996,
p. 7, apud Al. Zub, op. cit., p. 341.
[30] Della straordinaria influenza delloratoria pârvaniana,
soprattutto sulla giovane generazione, parlano tutte le testimonianze dei
protagonisti dellepoca, da M. Eliade a D. Botta a M. Vulcănescu. Come
testimonia proprio questultimo, le lezioni di V. Pârvan, tenute tra 1920 e
1921 allUniversità degli Studi di Bucarest, sunt, fără îndoială, în
arta vorbitului din epoca de după război, lucruri rămase fără seamăn și care au
exercitat asupra formației spiritului român din epoca de după război, o
influența pe care numai Nae Ionescu a putut-o ajunge mai târziu (Mircea
Vulcănescu, Vasile Pârvan, inedito
allepoca, ora in Idem, Dimensiunea
românească a existenței, vol. III, Chipuri
spirituale, selezione dei testi, note e commenti di Marin Diaconu e Zaharia
Balica, Bucarest 1996, pp. 208-211).
[31] Per il tracismo di D. Botta, a parte studi come Unduire și moarte e la serie di studi
dedicati a M. Eminescu, restano indicativi i saggi pubblicati nei primi anni
40 sulla rivista da lui fondata e diretta con O. Tăslăuanu ed E. Giurgiurica,
Dacia (1941-1943). Forse ancor più che i saggi di estetica e di
filosofia, questi studi di storia della cultura, in cui lautore coniuga in
un quadro europeo tutte le principali istanze culturali che allepoca
interessavano la definizione dello specificità romena (tracismo,
latinismo, orientalismo in stile Crainic, conservatorismo ecc.) e in cui il
mondo tracico dionisiaco esaltato nei saggi degli anni 30 si coniuga con
quello romano-bizantino, sotto il segno dellidea imperiale, rappresentano il
momento veramente originale del tracismo bottiano (tutti questi saggi, alcuni
dei quali comparivano già nei volumi di Scrieri, I‑IV, Bucarest 1968, sono ora raccolti in Dan Botta,
Limite cit.).
[32] D. Botta, V.
Pârvan și contemplația istorică, in Gândirea, XIV, no. 4 (aprile), 1936,
ora in Idem, Limite cit., pp. 45‑49:
p. 45.
[33] Sono gli anni in cui si fa strada un razzismo romeno
scientificamente motivato si veda, ad esempio, T. Herseni, Mitul sângelui, in Cuvântul, n. s.,
XVII, no. 41 (23 novembre), 1940 (in Al. Florian et alii, op. cit., pp.
340-342); Idem, Rasă și destin național,
in Cuvântul, n. s., XVII, no. 91 (16 gennaio), 1941 (in Al. Florian et alii, op. cit., pp. 357-359); N. Roșu, Hărțile rasei românești, in Revista Fundațiilor Regale, VII, no.
10 (1 ottobre), 1940 (in Al. Florian et
alii, op. cit., pp. 310-313); N.
Roșu, Biologia culturii, in
Cuvântul, n. s., XVII, no. 85 (10 gennaio), 1941 (in Al. Florian et alii, op. cit., pp. 354-357) e in cui le tesi di Nicolae Densușianu,
creatore di un vero e proprio universo parallelo dacocentrico, aprono la via
a posizioni ancor più drastiche, spregiudicate e ideologicamente
connotate.
[34] Nu ne-am fi hotărât la asemena lucrare dacă unii din
discipoli lui Pârvan n-ar manifesta o prea mare ardoare întru exagerarea unor
erori prea vădite a maestrului (L. Blaga, Izvoade
cit., IIa edizione, p. 124).
[35] Idem, Getica,
in Sæculum, I, no. 4, 1943, pp. 3-24, ora in Idem, Izvoade cit., IIa edizione, pp. 124-148; la versione
contenuta in Idem, Izvoade, a cura di
Dorli Blaga e Petre Nicolau, premessa di George Gană, Bucarest 1971, pp. 63-86, differisce leggermente: cito da
L. Blaga, Izvoade cit., IIa edizione.
Non ho potuto verificare sulla base delle riviste originali se una seconda
parte di Getica, in Sæculum,
I, no. 6, 1943, pp. 94-96 e un altro articolo di Blaga, Din nou Getica, in Sæculum, II, no. 2, 1944, pp. 71-73, menzionati
da Al. Zub, op. cit., p. 349, nota 39, siano confluiti o meno nelle edizioni
qui ricordate, dove per altro non sono affatto citate.
[36] În interpretările profesorului a intrat însă un grav
coeficient de spiritualitae personală (L. Blaga, Izvoade cit., IIa edizione, p. 125).
[37] Ibidem, p.
124.
[38] Ibidem, p.
139.
[39] Per usare la terminologia nietzschiana applicata da M.
Eliade allapproccio pârvaniano nei confronti della civiltà greco-romana
(si veda M. Eliade, Vasile Pârvan, in
Cuvântul, III, no. 945 (3 dicembre), 1927, pp. 1-2, ora in Idem, Itinerariul spiritual (Scrieri de tinerețe
1927), Bucarest 2003, pp. 376-380).
[40] L. Blaga, Izvoade
cit., IIa edizione, p. 139.
[41] Ibidem, p.
140.
[42] De sigur rude, dar nu și unul și același popor (V.
Pârvan, op. cit., p. 93).
[43] Ibidem, p. 92;
Cfr. anche infra, nota 54.
[44] L. Blaga, Izvoade
cit., IIa edizione, p. 142.
[45] Corin Braga, Lucian
Blaga. Geneza lumilor imaginare, Iași 1998, p. 180.
[46] Nordul barbar (blonzii Europei alpine), unde [
] tot gândul religios a fost mânat spre
cer și spre disprețul trupului [
], întrucât viața viitoare era în altă lume,
iar nu în aceasta, a trupului (V. Pârvan, op.
cit., p. 94).
[47] Dove străvechile culte chthoniene preindogermanice mânau
întregul gând religios în întunericul trist de sub pământ, și unde trupul era
singura chezășuire a existenței, iar omul, ca și plantele, își avea rădăcinile
și începutul în pământ (Ibidem).
[48] Ibidem.
[49] În această privință, de la Herodot până la Iulian
Apostatul, antichitatea e unanimă în a recunoaște geților o adâncă și severă
religiozitate, care le pătrunde și determină viața lor națională în toate
împrejurările, fie de zilnică închinare puterilor supranaturale, fie de
catastrofală unire cu divinitate nemuritoare, prin renunțare de bunăvoie la
viața chinuită în pace ori biruită în război (Ibidem, p. 91).
[50] Sufletul e nemuritor (Ibidem).
[51] Oameni sfinți vor fi la ei asceți, cari nu vor să mai
știe nici de lume, nici de femei, ci în renunțare la orice bucurie a trupului,
se devotează gândului bun despre nemurirea de dincolo de viața trupului. De
abia prin moarte omul înviază la viața cea vecinică (Ibidem, pp. 91-92).
[52] Si può fare in questa sede il nome di padre Ioan
Coman (1902‑1987), il quale, senza capire che Zalmoxis non era una rivista tematica di filologie classica né,
soprattutto, che era stata concepita per promuovere la resurrezione, difficile,
del paesaggio religioso dello spazio tracico (Eugen Ciurtin, Zalmoxis (1938-1942), in Zalmoxis. Revistă de studii religioase,
I-III (1938-1942), pubblicata sotto
la direzione di M. Eliade, edizione, introduzione, note e addenda a cura di E. Ciurtin, traduzione di E. Ciurtin, Mihaela
Timuș e Andrei Timotin, Iași 2000, pp. 7‑55: p. 27), diresse la rivista
fondata da M. Eliade, in seguito allassenza di questi dal paese, orientandola
in modo palese verso studi zalmoxisti, tanto con contributi propri quanto con
recensioni. In Zalmoxis, III, ad
esempio, la metà delle recensioni sono relative a libri di argomento non
solo dacico ma più precisamente zalmoxiano (Cfr. Zalmoxis. Revista cit.,
pp. 468‑470); cito: Zalmoxis este simbolul prin excelență al forței
rasiale și al elevației spirituale a geto-dacilor, strămoși noștri autohtoni.
În aceste timpuri de lupte apocaliptice și de eroism legendar pentru
recuperarea teritoriilor noastre ancestrale [si parla della Transilvania
settentrionale, restituita con un Diktat nazista allUngheria horthysta nel
1940], se cuvine să reamintim, cel puțin pentru noi înșine, originile sângelui
și izvoarele spiritului nostru (recensione ad A. Nour, Cultul lui Zalmoxis, Bucarest 1941, in Zalmoxis. Revista cit.,
p. 468).
[53] Cu atât mai mult, dacă e nevoie, [marele preot al
geților] poate deci fi și regele
poporului său (V. Pârvan, op. cit.,
p. 92). Quale spia dellinteresse destato in certi ambienti da tale possibile
aspetto della religione dacica possiamo segnalare, tra gli altri, lo studio del
già ricordato I. Coman, Decenée,
pubblicato dapprima in Gândirea, XX, no. 8-10, 1941, e poi in Zalmoxis.
Revue des études religieuses, III, 1942
(ora in Zalmoxis. Revista cit., pp. 434‑464); tiraggio a parte: Idem,
Decenée, Paris, 1943. In seguito,
linteresse di padre Coman per la religione geto‑dacica scemerà di
fronte al fascino discreto della patristica daco-romana o protoromena (I. Coman, Scriitori bisericești
din epoca străromână, Bucarest 1979), ravvivandosi negli anni clou del secondo dacismo novecentesco,
in studi come Idem, Deceneu, reformatorul
religios și promovatorul culturii geto‑dacice, in Mitropolia
Banatului, XXX, no. 4-6, 1980, pp. 249‑264 e Idem, Marele preot Deceneu, colaboratorul lui Burebista, in Biserica
Ortodoxă Română, XCVIII, no. 78, 1980, pp. 757-781.
[54] Total deosebiți de thraci care sunt polytheiști
geții se arată în credințele lor henotheiști (Ibidem, p. 92); tale termine venne introdotto originalmente da
Friedrich Wilhelm Schelling e non, come afferma L. Blaga, da Friedrich Max
Müller, che ne consacrò invece luso (si veda enoteismo in Dizionario delle
religioni, diretto da Giovanni Filoramo, Torino 1993, pp. 233‑234).
[55] L. Blaga, Izvoade
cit., IIa edizione, p. 141, in nota.
[56] V. Pârvan, op.
cit., p. 100.
[57] In quello stesso periodo, ricordando gli inizi teorici
del suo volgersi verso le radici spirituali autoctone dello spirito romeno, L.
Blaga definirà il suo celeberrimo articolo un scurt articol cu
stângăcii juvenile, și prea unilateral poate, pentru un spiritualism autohton,
dar liber și creator, liber până la barbarie (L. Blaga, Începuturile și cadrul unei prietenii, in Gândirea, XIX, no. 4,
1940, p. 225, apud Eugen Todoran, Lucian Blaga. Mitul dramatic, Timișoara
1985, p. 65).
[58] L. Blaga, Izvoade
cit., IIa edizione, p. 125.
[59] Ibidem, p.
140.
[60] Un loc care are însușirea de a nu fi periferial, ci mai
curând central (Ibidem, p. 138).
[61] [
] Ei nu putea să prezinte, față de ceilalți arieni
și mai ales față de vecinii lor de la margine decât particularității care îi
mențin în limitele unei diferențieri atenuate.
Tracii se găsesc așadar într-un loc prin care, în perspectivă stilistică, se
delimitează eo ipso profilul imaginar
susceptibil de a le fi atribuit (Ibidem,
p. 139).
[62] Si tratta della categorie della matrice stilistica
teorizzate in Orizzonte e stile (1935)
e applicate in Lo spazio mioritico (1936)
allanalisi della matrice stilistica romena (dettagli in Marco Cugno, Lucian Blaga filosofo della cultura, in
L. Blaga, Lo spazio mioritico,
traduzione e note di Riccardo Busetto e M. Cugno, introduzione di M. Cugno,
Alessandria 1994, pp. 5‑45, in particolare pp. 15‑24). Tra i tratti
caratteristici delle varie topografie stilistiche presentate in Getica, il modello di rappresentazione
della divinità viene ricondotto alle categorie formative, mentre
latteggiamento nei confronti della vita ricadono ovviamente nel dominio delle
categorie dellorientamento.
[63] L. Blaga prende in considerazione, in ordine, le
mitologie indiana, germanica, greca, iranica, slava e celtica. I tratti sono
organizzati in maniera leggermente differente nelle due riedizioni dello studio
(Cfr. supra, nota 35): come si
è detto, si segue qui L. Blaga, Izvoade
cit., IIa edizione.
[64] L. Blaga, daltra parte, afferma esplicitamente di sentirsi tentato, per molti versi, di avvicinare
i geti ai celti (Idem, Izvoade cit.,
IIa edizione, p. 142).
[65] V. Pârvan, op.
cit., p. 94.
[66] L. Blaga, Lo
spazio mioritico cit., p. 56.
[67] Per quasi un millennio, i pre-romeni e i romeni
manifestano una sorta di istintivo atteggiamento di autodifesa, che si
può definire boicottaggio della storia (Ibidem, p. 173).
[68] Ibidem, p.
172.
[69] Per quanto riguarda le popolazioni rurali dellEuropa
orientale, esse sono riuscite a sopportare i disastri e le persecuzioni
soprattutto con laiuto del critianesimo cosmico (M. Eliade, La pecorella veggente (1962-1969), in Idem, Da Zalmoxis a
Gengis-Khan cit., pp. 199‑224: p. 223).
[70] L. Blaga, Izvoade
cit., IIa edizione, p. 142.
[71] Ibidem, p.
143.
[72] V. Pârvan, op.
cit., p. 92.
[73] L. Blaga, Izvoade
cit., IIa edizione, p. 146.
[74] Mircea Muthu, Lucian
Blaga dimensiuni răsăritene, PiteștiBrașovCluj-Napoca 2000, p. 13, p.
19.
[75] Temporaneo, poiché la figura di un mediatore è
necessaria, in virtù della cesura presente tra sfera umana e sfera
divina, solo finché la nuova dottrina, diffondendosi, non abbia portato al
contatto diretto tra uomo e Demiurgo/Spirito della Terra, tramite la presa di
coscienza collettiva della parte umana che partecipa direttamente della natura
divina.
[76] L. Blaga,
Ceasornicul cit., pp. 224-228, e poi in Idem, Luntrea lui Caron roman, edizione a cura e testo stabilito da D.
Blaga e M. Vasilescu, nota sulledizione di D. Blaga, postfazione di M.
Vasilescu, Bucarest 1998, pp. 545-548.
[77] L. Blaga, Izvoade
cit., IIa edizione, p. 144.
[78] Ibidem, p.
145.
[79] Blaga reconstituie mitologia geto-dacilor prin masive
infuzii și aluviuni provenind din fondul focloric al copilăriei sale; Geții
sunt văzuți ca niște români transportați într-o altă vârsta istorică (C.
Braga, op. cit., p. 179).
[80] Ibidem, p.
175.
[81] Locul în care se duc morții după credințele strămoșilor
geți ni-l închipuim mai curând ca un «celălalt tărâm», așa cum acest motiv
înflorește în unele basme de-ale noastre (L. Blaga, Izvoade cit., IIa edizione, p. 143).
[82] Ibidem.
[83] Ibidem, p.
146.
[84] Noi, români, mai cunoaștem și astăzi o «mumă a
pădurii», cel puțin din povești. De multe ori, memoria istorică se refugiază în
povești. Chiar dacă această mumă a pădurii n-ar fi o rămășiță arhaică și nu
vedem de ce n-ar fi , e îngăduit totuși să bănuim în dosul unor atare figuri
pălpitând un străfund de mitologie și de magie a pădurii, un străfund
geto-trac (Ibidem, p. 147).
[85] Cfr. supra,
nota 8.
[86] L. Blaga, Izvoade
cit., IIa edizione, p. 148.
[87] V. Pârvan, Parentalia
(1919), in Idem, Memoriale, testo
stabilito, introduzione e note a cura di Al. Zub, Bucarest 2001 (1923), pp. 131‑161:
pp. 147‑148.
[88] Come nella polemica portata da Nae Ionescu, in una serie
di articoli dal titolo A fi «bun român» ospitati
dalle pagine di Cuvântul (30 ottobre-17 novembre 1930), intorno alla
dicotomia romenobuon romeno; si veda Nae Ionescu, Roza vânturilor (1926-1933), raccolta di testi scelti a cura di M.
Eliade, Bucarest 1990 (1936), pp. 194-214.
[89] Come ha acutamente osservato A. Oișteanu, il cristianesimo ostentatamente e
aggressivamente propugnato dalla Legione e dai suoi dottrinari faceva in
realtà appello ad una mistica pagana, precristiana o semplicemente non
cristiana: Creștinismul era perceput ca o religie «internațională», care nu
servea cum se cuvine ideologiile naționaliste (dacă nu ultra-naționaliste) și
etnocentrice (dacă nu etnocrate). Fiind o doctrină pacifistă, a resemnării și a
toleranței, creștinismul nu rima cu frisonul «eroic» și marțial de care era
cuprinsă Europa. Filozofia creștină a «iubirii aproapelui» și a «întoarcerii
celuilalt obraz» era în total dezacord cu cultul violenței, cu militantismul și
virilismul propovăduite de noii profeți ai neopăgânismului (A. Oișteanu, Mircea Eliade,
între ortodoxism și zalmoxism, in
Observator Cultural, III, no. 127, 2002 versione elettronica su www.observatorcultural.ro/arhivaarticol.phtml?xid=4078).
[90] Cfr. supra,
nota 8.
[91] L. Blaga, Despre
rasă și stil, in Gândirea, XIV, no. 2, 1935, pp. 69-73, ora in Idem, Izvoade cit., IIa edizione,
pp. 45-46: O problemă dificilă și
delicată: rasa. Il testo è stato riprodotto anche in Dilema, I, no. 34 (3-9 settembre), 1993, pp. 14-15,
come appare nel dattiloscritto originale delle Isvoade preparato da Blaga (pp. 98‑106).