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Per una storia semantica delle idee:

l’“interiorità” e il “gusto”*

 

 

Mira  Mocan,

Università degli Studi “La Sapienza” di Roma

 

Vorrei, in questo intervento, presentare in breve alcuni punti fondamentali del progetto di ricerca che svolgerò nell’ambito del dottorato in filologia romanza presso il Dipartimento di Studi Romanzi dell’Università “La Sapienza” di Roma. L’obiettivo della ricerca consiste in un’analisi dei contesti e delle metafore che coinvolgono il senso del “gusto” –a partire dai lemmi sapere, gustus e derivati– sulla base dei quali sarà in seguito possibile ricostruire un campo semantico più ampio, in ambito mediolatino, e con particolare attenzione alle articolazioni del tema nella poesia provenzale e nella lirica siciliana e italiana, dallo stilnovismo fino a Petrarca.

I testi medievali –filosofici, religiosi o letterari– trattano spesso delle modalità della conoscenza, nel tentativo di descrivere il processo di acquisizione del sapere. Il riferimento ai cinque sensi è in questi casi frequente, e ciò non soltanto dove si tratti della conoscenza sensibile, ma anche in relazione all’interiorizzazione dell’esperienza.[1] Le metafore che coinvolgono il motivo dei cinque sensi assumono dunque un ruolo di primo piano anche nei contesti legati all’espressione dell’affettività e del sentimento. Mi sono soffermata sul ruolo assunto, in questo contesto, dal senso del gusto, soprattutto alla luce dell’ambivalenza semantica propria già al latino SAPĔRE, che significa in primo luogo “gustare”, “aver gusto”, ma anche conoscere: un’ambivalenza che si è mantenuta

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nelle principali lingue romanze. Questa ambiguità, che approda a un’assimilazione del senso del gusto alla categoria intellettuale della “sapienza”, era ancora ben presente agli autori del periodo medioevale, che la sfruttano a fini metaforici e allegorici[2]: un’espressione esplicita quanto concisa di questa identificazione è presente nel De spiritu ed anima, trattato agostiniano del XII secolo, che dichiara, in un paragrafo sui significati allegorici dei cinque sensi: “Gustus sapientia est”[3].

Si tratterà dunque di seguire l’evoluzione e le trasformazioni dei termini e dei vocaboli legati al concetto di “gusto”, inteso in primo luogo come l’uno dei cinque sensi, ma anche come la facoltà del giudizio estetico. La tesi è da considerarsi parte di un progetto più vasto, promosso e coordinato dal Prof. Roberto Antonelli presso il Dipartimento di Studi Romanzi, intitolato “Sensi, sensazioni, sentimenti”, il cui obiettivo è, a grandi linee, quello di descrivere e di circoscrivere, sulla base dei testi, (letterari, filosofici, teologici ecc.), il concetto di “interiorità” quale si è venuto formando nel periodo medievale. Centrale in questo senso, dal punto di vista del metodo, è l’analisi del lessico impiegato nei testi: il lessico dell’affettività, da una parte, e il lessico legato alla percezione sensibile e al ruolo dei cinque sensi nell’acquisizione della conoscenza, dall’altra. Il modello metodologico da seguire sarà quello di una “semantica storica”[4] nel senso proposto da Leo Spitzer: esso consiste nel seguire l’evoluzione di un concetto, di un’idea, nel tempo, attraverso l’analisi delle vicende semantiche di alcuni termini-chiave ad esso collegati, delle loro oscillazioni di senso, nel tentativo di definire il significato che di volta in volta assumono nei contesti. Grazie al gioco di sinonimie e di antinomie in cui i vocaboli sono coinvolti, ai rapporti stabiliti con altri termini, è spesso possibile ricostruire, a un livello superiore, il grande sistema concettuale in cui il testo affonda le radici e la particolare visione del mondo che in esso si riflette, ed allo stesso tempo individuare gli altri ambiti semantici ad esso affini o complementari, all’interno di alcune grandi “costellazioni di senso”. Una ricerca di tipo lessicale e lessicografico si coniuga in questo modo, grazie all’analisi di tipo onomasiologico e semasiologico, alla storia della idee, del pensiero, e trova una base nel supporto materiale offerto dai testi.

È quanto ha mostrato Leo Spitzer in Armonia del mondo. Storia semantica di un’idea[5], opera pensata come un’analisi del concetto tedesco di Stimmung, dove lo studioso ricostruisce la vasta rete di significati che si intrecciano, nel tempo, intorno ai due termini latini cor–, “cuore”, e chord–, “corda” (e ai loro derivati). Sulla base dell’affinità, anche fonetica, dei due termini, si configura infatti una concezione, viva ancora oggi, dell’“armonia del mondo” come con-sonanza, o risonanza armonica delle “corde” del cuore con quelle del mondo, come accordo tra le vibrazioni di una musica

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interiore con le armonie più alte delle sfere celesti, all’interno di un’unità che comprende mondo dell’interiorità e mondo esterno, riflettendoli l’uno nell’altra. La nostra concezione di armonia e concordia è, anche se in modo largamente inconsapevole, debitrice di questa lunga tradizione letteraria e cristiana sull’unità del mondo, sull’armonia come riflesso estetico di una “totalità ben armonizzata”, con-sonante.

Un metodo analogo a quello spitzeriano illustrato sopra, applicato a una serie di lemmi appartenenti al campo semantico dell’attività di pensiero –come ad esempio considerare, contemplare, speculare, riflettere ecc.– ci porta a risalire, sulla base dell’etimologia dei questi termini, a una grande immagine metaforica e archetipica che collega l’attività speculativa, di riflessione, all’ambito dell’osservazione del cielo, e in particolare delle stelle[6]: il significato originario di questi termini è quello di “scrutare il firmamento per trarne dei presagi, o per ritrovare la rotta sul mare”. Con-templare deriva infatti da templum, termine che indica in origine una zona ritagliata nel cielo per leggere il futuro nei segni offerti dal volo degli uccelli, speculare da specula, un osservatorio astronomico. Per quanto riguarda considerare, il legame con l’ambito stellare è ancora più esplicito: il termine deriva etimologicamente da con+sidus, ed è interpretato già nel periodo classico come “osservare le stelle”[7]. Esso diventa soltanto in seguito espressione di un’attività mentale, di pensiero. A un livello ancor più profondo, questi lemmi significanti oggi l’attività di pensiero sono collegati all’attività visiva, mantenendo le tracce di una originaria concezione del “pensare” come analogo al “vedere”. [8] Nel caso del già citato considerare, ad esempio, la radice indoeuropea ricostruibile alla base dello stesso sidus è *ueid, e contribuirà alla formazione di gran parte dei termini legati alla vista, da una parte, e alla conoscenza, dall’altra, come gli stessi vedere o idea[9].

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Centrale è dunque ancora uno dei cinque sensi, in questo caso la vista, come “modello” primario di un’attività razionale e mentale, di riflessione.

Si tratta, sia nel caso illustrato da Spitzer, dell’armonia come “consonanza” del cuore con il mondo, sia in quello del pensiero come osservazione stellare, di grandi metafore che riassumono una concezione, spesso inconscia o inconsapevole, sulle attività espresse dai termini stessi. Essa è a sua volta il riflesso di una determinata visione del mondo, tradita proprio da queste “spie” lessicali ed etimologiche. È senz’altro lecito parlare qui, con Hans Blumenberg, di “metafore assolute” [10], di immagini metaforiche, cioè, irriducibili a una decodificazione in termini razionali e logici, che sono espressione figurale di un determinato modo di interpretare il mondo, e sulla base delle quali poggia un intero sistema concettuale attivo a tutti i livelli, nelle manifestazioni letterarie e culturali come nella vita di tutti i giorni. E che sono sottoposte, nel tempo, a mutamenti e metamorfosi spesso impercettibili, ma registrati dall’uso della lingua.

Ho parlato all’inizio di questo intervento del concetto di “interiorità” come idea centrale nell’ambito del progetto di ricerca “Sensi, sensazioni, sentimenti” che ho brevemente illustrato. Nel contesto del rinnovamento spirituale del XII secolo e del suo “rinascimento”, un capitolo importante e particolare è infatti rappresentato da quella che è stata definita l’“invenzione” dell’interiorità[11], cioè di una nuova concezione dell’individualità. Essa si fonda su una diversa percezione e su un nuovo senso dell’“Io”, dell’individuo[12], e si accompagna alla scoperta e alla progressiva conquista di uno “spazio” interiore e spirituale, di una dimensione immateriale, dell’anima, come terreno sul quale nasce e si sviluppa l’affettività. È possibile seguire le tracce di questa “invenzione” della vita interiore in tutti gli ambiti della vita spirituale dell’epoca, nell’arte e nella riflessione teologica: sarà qui sufficiente ricordare che essa accompagna anche la nascita di una letteratura laica, rappresentata dalla lirica dei primi trovatori nel sud e dalla narrativa in lingua d’oïl nel nord della Francia, e che sta alla base delle nostre

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letterature moderne[13]. Si è parlato di “spazio” interiore perché, nella descrizione della fenomenologia di questa nuova dimensione, gli autori si avvalgono di metafore spaziali o architettoniche: si parlerà così del tempio o del chiostro dell’anima, in ambito religioso, ma anche della “foresta” selvaggia in cui gli eroi della narrativa antico-francese devono sostenere le prove iniziatiche che li condurranno a una nuova conoscenza di sé[14].

Questa “invenzione” di una vita interiore trova due pilastri fondamentali nella cultura precedente. È importante, da una parte, la rinnovata attenzione nei confronti della dottrina agostiniana sul homo interior[15]; dall’altra la riscoperta e la nuova interpretazione in chiave più strettamente scientifica, mediata dai commenti ad Aristotele dei filosofi arabi (Avicenna, Al-Farabi, Averroé ecc.), degli scritti aristotelici che hanno per oggetto le facoltà conoscitive dell’anima. Nel movimento di “rinascita” che caratterizza il XII secolo la nuova fiducia nelle capacità della razionalità umana converge con una nuova valorizzazione della dimensione individuale dell’esperienza conoscitiva, con un’attenzione particolare rivolta a tutti gli aspetti legati all’affettività e al sentimento. Un punto centrale in questo contesto rimane, esplicitamente o implicitamente, il ruolo attribuito alle facoltà percettive e ai sensi[16] nella ricezione e nell’interpretazione del mondo. Il tema è centrale, ad esempio, non soltanto nel De anima di Aristotele (che stabilisce una precisa gerarchia dei sensi in funzione del loro valore conoscitivo, il

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primato della vista sugli altri sensi in relazione alla conoscenza), ma anche negli scritti agostiniani, dove si insiste sulla preminenza dei sensi interiori su quelli esteriori nel raggiungimento della conoscenza divina.[17] Basterà qui ricordare il famoso brano del X libro delle Confessioni (dove lux corrisponde al senso della vista, vox all’udito, olor all’olfatto, cibum al gusto e amplexus al tatto: dove dunque a ciascuno dei cinque sensi esteriori viene assegnato un senso interiore corrispondente, appartenente all’homo interior):

 

Quid autem amo, cum te amo? Non speciem corporis nec decus temporis, non candorem lucis ecce istum amicum oculis, non dulces melodias cantilenarum omnimodarum, non florum et ungentorum et aromatum suaveolentiam, non manna et mella, non membra acceptabilia carnis amplexibus: non haec amo, cum amo deum meum. Et tamen amo quandam lucem et quandam vocem et quendam olorem et quendam cibum et quendam amplexum, cum amo deum meum, lucem, vocem, odorem, cibum, amplexum interioris hominis mei, ubi fulget animae meae, quod non capit locus, et ubi sonat, quod non rapit tempus, et ubi olet, quod non spargit flatus, et ubi sapit, quod non minuit edacitas, et ubi haeret, quod non divellit satietas. Hoc est quod amo, cum deum meum amo[18].

 

La rilevanza assunta dalla riflessione intorno ai cinque sensi e alle loro funzioni è giustificata dal loro essere il primo “punto di passaggio”, il primo momento di contatto tra mondo esterno, tra ciò che si potrebbe definire l’“esteriorità”, e la dimensione interiore dell’esperienza, l’interiorità: essi definiscono i confini e la forma dello spazio interiore, presentandosi, per usare un’espressione agostiniana, come i nuntii[19], i messaggeri dell’istanza interiore che accoglierà l’esperienza. La percezione sensibile offre, in questa prospettiva, una prima “chiave di lettura” del mondo, trasformandosi, da mera ricettività del già dato, del mondo esterno, in un’operazione interpretativa: tanto che anche le istanze interiori, mentali, dell’anima saranno pensate e concepite, immaginate, come analoghe ai sensi esteriori, i quali presteranno loro, a livello linguistico, le immagini metaforiche per circoscriverle e descriverle: si parlerà allora degli “occhi dell’anima” o del “cuore”, della “visione intellettuale”, del “gusto della sapienza” ecc.

Ciò che vorrei sottolineare, in conclusione, è come delle categorie in apparenza ovvie, scontate, appartenenti alla vita quotidiana e legate alla nostra percezione immediata, che quindi apparentemente non hanno necessità di essere “spiegate” o analizzate –come, per esempio, ciò che è legato direttamente all’attività del pensare, o alla nostra percezione di un’armonia, o al termine di “gusto” come definizione del

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giudizio di tipo estetico, o ancora proprio il concetto di “interiorità”, la cui “esistenza” non ha oggi bisogno di essere provata (anche soltanto in considerazione del grande apporto gnoseologico e epistemologico introdotto dalla psicanalisi di tipo freudiano e junghiano)– possano in realtà rivelarsi, pur nella loro immediata trasparenza e comprensibilità ai nostri occhi, come il risultato di una lunga storia e di una lunga elaborazione, fatta di lente evoluzioni e di mutamenti. Proprio in virtù di questa loro “storicità”, tali categorie apparentemente immediate e “date” si presentano come dei “prodotti culturali” le cui radici affondano nei momenti fondamentali della nostra cultura e della storia, nel medioevo e nell’antichità classica.

Le tracce di questa “storicità” delle idee si è però mantenuta proprio a livello linguistico, nelle stratificazioni semantiche ed etimologiche conservate dai lemmi stessi, e nei rapporti che essi intrecciano, nei testi, con altri termini affini o contrari. I testi diventano in questo modo depositari della storia del pensiero, anche a livello del lessico, rivelando, a un’analisi di storia semantica, la percezione che una determinata epoca ha di un determinato concetto, come, ad esempio, quella della “sapienza” in quanto “gusto” della conoscenza.

 

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Whether you intend to utilize it in scientific purposes, indicate the source: either this web address or the Quaderni della Casa Romena 3 (2004) (a cura di Ioan-Aurel Pop e Cristian Luca), Bucarest: Casa Editrice dell’Istituto Culturale Romeno, 2004

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© ªerban Marin, June 2005, Bucharest, Romania

 

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* Riprendo qui la relazione presentata in occasione delle «Giornate di studio. Storia, letteratura, arte» che si sono svolte nei giorni 28-29 marzo 2003 presso l’Accademia di Romania in Roma, mantenendo quindi la forma colloquiale del testo e integrandola con le note bibliografiche essenziali.

[1] Si indicano qui di seguito (in ordine cronologico di pubblicazione) alcuni titoli relativi al tema dei “sensi interiori” nel Medioevo – a quelle istanze dell’anima, cioè, che sono responsabili dell’interiorizzazione del dato sensibile e dell’acquisizione di una conoscenza intellettuale: K. Rahner, La Doctrine des ‘sens spirituels’ au Moyen-Âge, surtout chez Bonaventure, in “Revue d’Ascétique et de Mystique”, no. 14, 1933, pp. 236-299; H. A. Wolfson, The Internal Senses in Latin, Arabic and Hebrew Philosophic Texts, in “Harward Theologic Review”, XXVIII, 1935, pp. 69-133; S. Vanni Rovighi, La fenomenologia della sensazione in S. Agostino, in “Rivista di filosofia neoscolastica”, LIV, 1962, pp. 18-32 (ora in Idem, Studi di filosofia medievale, vol. I, Da Sant’Agostino al XII secolo, Milano 1978, pp. 3-21); E. R. Harvey, The Inward Wits. Psychological Theory in the Middle Ages and the Renaissance («Warburg Institute Surveys», VI), Londra 1975; J. Pépin, Augustin et Origene sur les sensus interiores, in Sensus – Sensatio. VII Colloquio Internazionale, Roma 6-8 gennaio 1995 («Lessico Intellettuale Europeo», LXVI), Roma 1996, pp. 11-23; M. Camille, Before the Gaze. The Internal Senses and Late Medieval Practices of Seeing, in AA. VV., Visuality before and beyond Renaissance: Seeing As Others Saw, a cura di R. C. Nelson, Cambridge 2000, pp. 197-223; T. Ricklin, Le goût du Paradis. Les cinq sens et l’au-delà. Quelques remarques à propos de la description de la vie future par Honorius d’Autun, in “Micrologus”, X, 2002, pp. 163-176.

[2] Cfr. P. Adnès, Goût spirituel, in Dictionnaire de Spiritualité, vol. VI, Parigi 1967, coll. 626-644.

[3] Alchero di Clairvaux, De spiritu et anima, in Patrologiae latinae cursus completus, vol. 40, a cura di J. P. Migne, Parigi 1857-1904, col. 786.

[4] Per una definizione del termine Cfr. L. Spitzer, Critica stilistica e storia del linguaggio, a cura di A. Schiaffini, Bari 1954.

[5] L. Spitzer, Classical and Christian Ideas of World Harmony, Baltimore 1963 (traduzione italiana: L’armonia del mondo, Bologna 1967).

[6] Sul motivo del “pensiero stellare”, Cfr. C. Bologna, La testa oltre le nuvole. Per un lessico del pensiero nella tradizione europea, in AA. VV., Il sole e la luna The Sun and the Moon («Micrologus», XII), Firenze 2004, pp. 343-371. Mi permetto di rinviare, relativamente a questo argomento (come anche per una più dettagliata trattazione delle accezioni latine di considerare) anche a M. Mocan, I pensieri del cuore. Per la semantica del provenzale «cossirar», Roma 2004, pp. 53-78.

[7] A. Walde, J. B. Hoffmann, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 1938, alla voce ‘sidus’: “Ursprünglich t. der Seemannssprache oder ev. der Auguralsprache: die Gestirne beobachten bzw. mit dem Blick erfassen”; A. Ernout, A. Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, vol. 2, Parigi 1959, alla voce ‘sidus’: “Ce sont sans doute d’anciens termes de la vie augurale (ou marine), […], laïcisés en passant dans la langue courante […]”.

[8] Sul tema della visione sensibile come metafora della conoscenza intellettuale, si vedano: C. Bultmann, Zur Geschichte der Lichtsymbolik im Altertum, in “Philologus”, no. 97, 1948, pp. 1-36; B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, Torino 1963; D. C. Lindberg, Theories of Vision from Al-Kindi to Kepler, Chicago 1976; K. Tachau, Vision and Certitude in the Age of Ockham: Optics, Epistemology and the Foudations of Semantics 1250-1345, Leida 1988; G. Spinosa, Visione sensibile e intellettuale. Convergenze gnoseologiche e linguistiche nella semantica della visione medievale, in “Micrologus”, V/1, 1997; G. Stabile, Teoria della visione come teoria della conoscenza, in “Micrologus”, V/1, 1997; C. Hahn, Visio Dei. Changes in Medieval Visuality, in AA. VV., Visuality before and beyond Renaissance cit.

[9] Cfr. E. Panofsky, Idea. Ein Beitrag zur Begriffsgeschichte der älteren Kunsttheorie, Leipzig–Berlino 1924 (traduzione italiana: Idea. Contributo alla storia dell’estetica, Firenze 1975); J. Pokorny, Indogermanisches etymologisches Wörterbuch, Berna–Monaco di Baviera 1969, alla voce ‘*ueid–’ e ‘*sueid–’; A. Ernout, A. Meillet, Dictionnaire cit., vol. VI, alla voce ‘video’.

[10] H. Blumenberg, Paradigmen zu einer Metaphorologie, Bonn 1960 (traduzione italiana: Paradigmi per una metaforologia, Bologna 1969).

[11] C. Bologna, L’“invenzione” dell’interiorità (spazio della parola, spazio del silenzio: monachesimo, cavalleria, poesia cortese), in AA. VV., Luoghi sacri e spazi della santità, Torino 1990, pp. 243-266.

[12] Cfr. sulla “rinascita del XII secolo”, in particolare in relazione alla questione dell’individualità e dell’‘io’: Ch. Haskins, The Renaissance of the 12th Century, Cambridge, 1927 (traduzione italiana: La rinascita del XII secolo, Bologna 1972); D. Knowless, The Humanism of the Twelfth Century, in Idem, The Historian and the Character, Cambridge 1963; W. Ullmann, The Individual and Society in the Middle Ages, Baltimore 1966 (traduzione italiana: Individuo e società nel Medioevo, Bari 1974); C. N. L. Brooke, The Twelfth Century Renaissance, Londra 1969; M.–D. Chenu, L’éveil de la conscience dans la civilisation médievale, Parigi 1969; R. W. Hanning, The Individual in XIIth century romance (Chrétien de Troyes, Hue de Rotelande, Renaut de Beujeau, Partenopeus de Blois), New York–Londra 1977; C. W. Bynum, Did the Twelfth Century Discover the Individual?, in “Journal of Ecclesiastical History”, XXXI, 1980, pp. 1-17 (anche in Jesus as Mother. Studies in the Spirituality of the High Middle Ages, Berkeley–Los Angeles–Londra 1982, pp. 82-109); C. Morris, The Discovery of the Individual, 1050-1200, Toronto–Buffalo–Londra 1987 (traduzione italiana: La scoperta dell’Individuo (1050-1200), Napoli 1985); R. Antonelli, Cavalcanti o dell’interiorità, in “Critica del testo”, IV, no. 1, 2001, pp. 1-22.

[13] Cfr., su questo punto, almeno C. Bologna, Figure dell’autore nel Medioevo romanzo, in A.A. V.V., Lo spazio letterario del Medioevo. 2. Il Medioevo volgare, a cura di P. Boitani, M. Mancini e A. Varvaro, Roma 1999.

[14] A proposito delle “architetture interiori”, Cfr. almeno G. Bauer, Claustrum animae, Monaco di Baviera 1973; C. Bologna, L’“invenzione” dell’interiorità cit.; I. Gallinaro, I castelli dell’anima. Architetture della ragione e del cuore nella lettaratura italiana, Firenze 1999.

[15] E. Gilson, Introduction à l’étude de S. Augustin, Parigi 1969; E. H. Cousins, «Intravi in intima mea»: Augustine and the Neoplatonism, in Neoplatonismo e religione. Atti del Colloquio indetto dal Centro Internazionale di Studi Umanistici e dall’Istituto di Studi Filosofici «Enrico Castelli», Roma 5-8 gennaio 1982, Roma 1983.

[16] Si riporta qui di seguito una bibliografia selettiva dei contributi che riguardano il ruolo ricoperto dai cinque sensi esteriori nel periodo medievale e la loro simbologia nell’arte: D. W. Hamlyn, Sensation and Perception. A History of the Philosophy of Perception, Londra– New-York 1961; S. Vanni Rovighi, op. cit.; W. Holzapfel, Mundus sensibilis. Die Analyse der menschlichen Sensualität nach dem heiligen Augustinus, Düsseldorf 1968; L. Schrader, Sinne und Sinensverknüpfungen. Studien zur Vorgschichte der Synästhesie und zur Bewertung der Sinne in der italienischen, spanischen und französischen Literatur, Heidelberg 1969; L. Vinge, The Five Senses. Studies in a Literary Tradition («Acta Regiae Societatis Humaniarum Litterarum Lundensis»), Lund 1975; C. Nordenfalk, Les Cinq Sens dans l’art du Moyen Age, in “Revue de l’art”, no. 34, 1976, pp. 17-28; Idem, The Five Senses in Late Medieval and Renaissance Art, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, no. 48, 1985, pp. 1-9; G. Spinosa, Sensazione e percezione tra platonismo e aristotelismo: semantica greca del sensus medievale, in Sensus – Sensatio cit., pp. 37- 65; T. H. Johansen, Aristotle on the Sense-Organs, Cambridge 1997; L. Konneèny, Los cinco sentidos desde Aristóteles a Constantin Brancusi, in Los cinco sentidos y el arte, Madrid 1997, pp. 29-54; G. O’Daly, Sense–Perception and Imagination in Boethius, in Platonism Pagan and Christian: Studies in Plotinus and Augustine, Aldershot 2001; P. Dronke, Les cinq sens chez Bernard Silvestre et Alain de Lille, in “Micrologus”, X, 2002 (=I cinque sensi), pp. 1-14; J.–Y. Tilliette, Le symbolisme des cinq sens dans la littérature morale et spirituelle des XIe et XIIe siècles, in “Micrologus”, X, 2002 (=I cinque sensi), pp. 15-32.

[17] Per una sintesi di questa problematica, Cfr. L. Vinge, op. cit., pp. 15-46.

[18] Agostino, Confessiones, X, 6, in Patrologiae cit., vol. 32, col. 782.

[19] Ibidem, col. 786: “ego interior cognovi haec, ego, ego animus per sensum corporis mei. Interrogavi mundi molem de deo meo, et respondit mihi: non ego sum, sed ipse me fecit. Nonne omnibus, quibus integer sensus est, apparet haec species? Cur non omnibus eadem loquitur? Animalia pusilla et magna vident eam, sed interrogare nequeunt. Non enim praeposita est in eis nuntiantibus sensibus iudex ratio”; Cfr. anche J. Pépin, op. cit.