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p. 85

Monumenta Graeca ac Veneta Historiae Romaniae (I)

 

 

Cristian  Luca,

Università degli Studi “Dunãrea de Jos” di Galaþi/

Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia

 

Cristina  Papakosta,

Università degli Studi “Εθνικό και Καποδιστριακό” di Atene

 

Nell’Archivio di Stato di Venezia è conservato un cospicuo numero di documenti scritti in greco, in originale o in copia, redatti per ragioni politiche o commerciali. Oltre a quelli prodotti abitualmente dalla numerosa comunità greca, che si era insediata da secoli nella laguna veneta, molti altri documenti, con le relative traduzioni italiane autenticate, si conservano tra i registri e i carteggi provenienti dal bailaggio veneto di Costantinopoli. La capitale ottomana, sede del patriarcato ecumenico e vertice della Chiesa Ortodossa, contava naturalmente una comunità greca alquanto numerosa, formata da sudditi ottomani ma anche veneti e di altre nazioni. I greci del Levante, così come quelli della Confraternita di S. Giorgio a Venezia, ebbero continui legami con i Principati Romeni, dedicandosi soprattutto al commercio, ma, spesse volte, interessandosi anche alle vicende politiche della Moldavia e della Valacchia, in veste di dignitari e consiglieri di molti fra quei principi che governarono le terre romene durante il Seicento[1]. La fortuna del greco nelle terre romene è dovuta, non solo, al suo impiego come lingua colta, ma anche alla sua adozione da parte della pubblica amministrazione, sia per i documenti rilasciati dalla cancelleria di Stato, che per la corrispondenza ufficiale e privata dei principi.

Dai documenti ancora inediti e conservati nell’archivio veneziano, ne abbiamo tratti alcuni, in lingua greca, che riguardano essenzialmente questioni private, cercando di gettar luce sull’attività di alcuni personaggi, più o meno noti, che si muovevano allora tra Costantinopoli e i Paesi Romeni. Per ragioni tipografiche, nel pubblicare gli originali greci, ricorriamo ad un metodo non strettamente filologico, trascurando volutamente gli accenti e alcuni segni particolari del greco scritto. I testi, tuttavia, preservano le peculiarità dell’epoca e mantengono viva la lingua impiegata, nella comunicazione scritta, da personaggi appartenenti a ceti sociali diversi.

p. 86

Nel caso del primo documento, una lettera scritta in greco, ma corredata da una traduzione italiana, ci troviamo di fronte ad un autografo di Mose Movilã, che il principe di Moldavia (1630-1631, 1633-1634) redasse il 12 giugno 1629, a Costantinopoli, per attestare un accordo di pagamento: il mittente infatti si obbligava a versare 3.000 monete d’argento a due francesi, tali Jacques Roussel e Charles Tallerand, per ragioni che rimangono oscure, ma che, presumibilmente, riguardavano un qualche rapporto commerciale. Il Roussel, su raccomandazione dell’ambasciatore olandese presso la Porta, già il 6 luglio 1629 richiese una procura presso il bailaggio veneto, per il ricupero di un credito di 400 scudi dal veneziano Alessandro Vidali[2]. Verso la fine del mese di agosto dello stesso anno, Jacques Roussel era “alle bocche del Mar Nero, imbarcato alla volta di Caffa”, dove raggiunse l’altro francese, Charles Tallerand[3]. È probabile che il principe moldavo avesse incontrato i due francesi, che riteniamo presumibilmente protestanti, nell’entourage del diplomatico olandese Cornelius Haga, dati i rapporti che essi avevano con l’ambasciata delle Province Unite a Costantinopoli. Mose Movilã, infatti, doveva molto al prestigio politico dell’ambasciatore olandese Haga, il quale, per agevolarne la nomina al trono di Moldavia, era ricorso ad alcuni dignitari ottomani, coi quali intratteneva rapporti privilegiati[4]. La somma pattuita, dunque, fu versata nelle mani di Charles Tallerand, che provvide a dividerla in parti eguali e a consegnare al Roussel quanto gli spettava, inoltre, in tal senso, redasse una scrittura che venne autenticata, presso lo stesso bailaggio veneto di Costantinopoli, il 16 agosto 1629[5].

Il secondo documento, una memoria[6] del mercante greco Mano Giolma di Giannina, indirizzata l’8 gennaio 1672 a Giacomo Querini, bailo veneto a Costantinopoli, rende più chiara una vicenda privata svoltasi in Moldavia nella prima metà del XVII secolo. Essendo deceduto nel 1642 Londarin Giolma, zio di Mano, nella città di Iassi, all’epoca capitale del Principato di Moldavia, il principe Basilio Lupu (1634-1653) ne ordinò la confisca dei beni, di cui una parte passò, fra gli altri correligionari del Giolma, nelle mani di Stefano Babulagio[7], facoltoso mercante che era dedito al commercio fra le terre romene, i domini della Porta e la città lagunare. La confisca dei beni del defunto avvenne in base al diritto consuetudinario del paese, il quale attribuiva al principe la prerogativa di appropriarsi dei beni appartenuti a chi, fra gli stranieri residenti, fosse deceduto senza eredi legalmente accertati[8]. Invece, la consegna

p. 87

ad altri mercanti greci di alcuni beni di Leondarin Giolma pare che fosse dovuta a qualche debito in sospeso, ciò che in seguito fu veementemente contestato da Mano Giolma. Questi, recandosi con ritardo sul posto, non ebbe modo di recuperare nulla di quanto appartenesse allo zio, quindi si rivolse ai competenti tribunali veneti, dal momento che i mercanti greci, venuti in possesso di una parte del patrimonio di Leondarin Giolma, erano sudditi della Serenissima. Ma la causa fu lunga e la decisione dei magistrati veneti venne ripetutamente ritardata, finché –stando alla memoria di Mano Giolma– il querelato, Stefano Babulagio, scampò senza sottostare al giudizio.

Il minuto memoriale del mercante greco Mano Giolma solleva un altro problema, quello riguardante la richiesta che egli fece di avere accesso al presunto deposito finanziario di Leondarin Giolma presso la Zecca di Venezia. A tale fine, il richiedente produsse, a suo favore, la testimonianza scritta di Giorgio Cantacuzeno[9], personaggio di indiscussa rilevanza all’epoca, in quanto era ritenuto discendente in linea diretta dell’antica famiglia imperiale bizantina. L’intricata questione riguardante l’eredità del defunto mercante greco chiama in causa alcuni protagonisti, all’epoca, della politica e soprattutto del commercio che si svolgeva con il Levante e l’Europa Centro-Orientale. Tra i testimoni spicca indubbiamente il nome del suddetto Giorgio Cantacuzeno. Chi fosse esattamente costui, uno dei tanti che si dichiaravano discendenti dell’antica famiglia bizantina, è difficile dire, in mancanza di documenti attendibili in grado di certificare la sua origine. È possibile l’identificazione con l’omonimo Giorgio Cantacuzeno (?-1692), figlio di Elena Bassarab e Costantino Cantacuzeno il Ciambellano, ma tale ipotesi ci sembra poco probabile. Un Giorgio Cantacuzeno, residente a Costantinopoli e membro del sinodo patriarcale nel 1641[10], giunse in Moldavia e fu gran ciambellano nel periodo 1644-1645, cioè proprio durante il principato di Basilio Lupu. Questo Cantacuzeno, con l’autorevolezza acquisita attraverso gli incarichi ricoperti nella capitale ottomana e in Moldavia, poteva essere assai informato sugli affari di Leondarin Giolma, col quale probabilmente fu in contatto a Costantinopoli. È ovvio dunque che il Cantacuzeno fosse invocato come testimone, per certificare la fondatezza della richiesta indirizzata dal Giolma al bailo Querini. Fu dunque perché Giorgio Cantacuzeno si trovava nella capitale dell’Impero Ottomano a cavallo tra il 1672 e il 1673, che l’interessato si rivolse a lui, in quanto persona informata sulla situazione patrimoniale del defunto mercante greco.

Dalla testimonianza autografa che il nostro Cantacuzeno inviò al bailo veneto, non potendo presentarsi di persona giacché sofferente di gotta, emergono dettagli molto interessanti. Così emerge il nobile intento del Giolma di finanziare, con gli interessi ricavati dai depositi della Zecca di Venezia, la fondazione di una scuola pubblica a Costantinopoli. Giorgio Cantacuzeno si limita a riferire, dell’attività e della consistenza dei beni di Leondarin Giolma, soltanto ciò che conosceva per diretta esperienza; spettava al diplomatico veneziano il compito di chiarire, grazie agli accertamenti eseguiti dai

p. 88

Provveditori della Zecca, l’attendibilità delle pretese del Giolma, unico erede del defunto mercante di Giannina.

Le informazioni ricavate dai documenti greci che abbiamo esaminato, e che provengono dall’Archivio di Stato di Venezia, pur trattando di questioni private, offrono molteplici notizie su personaggi che ebbero un ruolo di rilievo nella storia della Moldavia durante il secolo XVII.

 

p. 89

Appendice

 

 

 

I

 

διⓠ τού παρόντου γραματος διλοπηο εγο ιω(αννης) μοϊση βοϊβοτας το πός εστόντας και ο ευγενεστατος άρχοντας ϊάκοβος ροζελος και ο αρχοντας Καρόλης ταλουραντος το να μας διγγουν φηληας περί το καλο μας τασο και εγο της ευγενήας τους τρις χηληάδες κροσηα τον διον και αλο ητη ορήσουν από τον τένπον νεκηνον να ενε στους ορισμους τους και δια πήστεος αληθηάς εγινεν τό παρόν γράμα υπογραμένον και βουλομένο από το ήδιον μου χέρι.

έτ╗υς 1629 ηουνήου 12 ης πολ(ιν).

 

(ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 278, cc. nn., ad datum, originale)

 

 

I a

 

Presentate sottoo 16 agosto 1629; scritture due in greco, et in francese, et loro traduzione, presentate ad instanza de Signor Giacomo Roussello et registrate in Libro l’anno corrente 158 detto, vedi in libro la ratificatione. No. 53.

 

[…] Per la preseente scrittura faccio manifesto io Giovanni Moise Voivoda, essendo che il generoso Signore Jacobo Rosselo et il Signor Carolo da Lusendos ci dimostrano amore per il nostro bene, prometto ancor io alle generosità loro tre millia grossi ad essi doi, et altro che comandano da noi possibile che sia al servitio loro, et per fede della verità si è fatta la presente scrittura sottoscritta et signata di mia propria mano. L’anno 1629, alle 13 [sic!] di giugno.

Giovanni Moise VVoivoda[11]

 

(ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 278, cc. nn., ad datum, copia coeva)

 

 

II

 

Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Bailo della Serenissima Repubblica di Venetia,

 

Il Signor Iddio perdonij a quelli che, privi del suo amore, hanno di lapidar et assorbir in varij modi la facoltà di consideratione del quondam Signor Leondarin Giolma dalla Gianina, zio di me Mano Giolma. Quel povero morse [sic!] in una città nominata Giasso di Bogdania, in greco, l’anno 1642 in tempo che io ero a Corfù, esercitando il Consolato di mercanti di Terraferma, onde tarda hebbi la notitia di detta morte, e quando mi son trasferito in Bogdania ho trovato che la sua facoltà havevano tolto il Signor Voivoda di Giasso et un tal Stefano Babulagio, Nicolò Nomeco, et altri, né ho potuto ricoperar cosa alcuna. Ho inteso bensì che nella città famosissima di Venetia si ritrovavano suoi effetti di rilevante importanza, sicché mi portai anco colà e feci lite col Babulagio qual mi strassinò dall’anno 1658 fino l’anno 1659, e quando ero per sententiarlo scampò, né mai in

p. 90

qual in poi s’haa potuto saper niuna di luj. Ho levato successione con li modi che vuol una così santa e religiosa Repubblica, e fattomi degno, legittimo e vero successore nelli effetti, crediti et altra facoltà di detto mio zio, ma non ho conseguito altro se non dispendij, strussij, patimenti, fatiche e disturbi che m’hanno sterminato da perché fu inventata da debitori, per intoppo et obstacolo di disperato refugio, una carta che si asserisse esser testamento par fatto dal suddetto Signor Leondarin mio zio nella predetta città di Giasso l’anno 1642 alli 16 luglio; l’ho querelata avanti l’Eccellentissimo Magistrato dell’Avogaria e dopo esser stato formato un processo diligente fu anco intromessa dalle Eccellentissime Signorie Avogadori et ottenuto il pender nell’Eccellentissimo Magistrato di 40 per il taglio, ma perché ha portò alli Eccellentissimi Savij contraditorij di ricercar informatione di questo affare, stimando vero et sussistente testamento detta carta et che in Bogdania potrebbe ricercarsi detto taglio, pensando che in quel Paese siano Tribunali che giudicano [os]servando Juris ordine similj materie, si stimò mezzo proprio di tagliar il pender per seguir quanto contiene la parte di 15 luglio passato e questa serve de fatti si contiene nel processo delle scritture, che presento avanti Vostra Eccellenza per essermi poi rese. Son necessitato dunque Eccellentissimo Signor Bailo di grandissimo rappresentante della Serenissima e Giustissima Repubblica di portarmi in questa città con maggiori mie spese, pericoli, patimenti, per delusitar nella miglior forma il fatto suddetto, perché la verità largamente relata con insidie, il sangue correr debba per le sue vene, e la ragione prevaglia. Rappresento a Vostra Eccellenza qualmente nella suddetta carta sono nominati commissarij l’Honoratissimo et Illustrissimo Signor Giorgio Cantacusino, del sangue imperiale di Greci, e li Signori Michiel Cunupi, Chir Giasi Selina, Sguromali Gugliano et Epifanio, tutti morti eccetto il Signor Cantacusino (che gratie a Dio!) è ancora vivo, e dice detta carta che si facesse deposito in Cecca di Venetia di ducati 20 mille, perché il prò che sono ducati mille all’anno capitasse in mano di detto Signor Cantacusino per far qui a Costantinopoli uno studio nel modo che in essa si contiene, e pure non hebbe mai esecutione che non verrà se non che sforzato il Signor Epifanio con replicate denunzie, fu fatto un deposito di poca summa e non di detti ducati 20 mille per il schivar quel colpo che gli soprastava non maj di sua spontanea volontà, ma perché così fosse il vero anzi nel suo testamento postero in detto fatto, che si ritrova nelle penultime carte del suddetto mio processo, di lettere non fa nissuna mentione delle cose predette, né sin hora da nissuno fu levato prò di alcuna sorte. Notifico dunque tutti questj fatalj all’Illustrissimo Signor Cantacusino e lo supplico il dir quanto gli pare per Giustitia, per verità e per la scienza in obstracolo [sic!] et oppositione delle cose da me meschino sinceramente narrate, intendendo io per Giustitia conseguir gli effetti suddetti et scoder il suddetto danaro depositato col suo prò, et per giù amplamente conzar il vero ricerco che Vostra Eccellenza admettermi li seguenti capitoli per esser esaminati li Testimonij et poi di tutto mi sia data copia col bollo di Vostra Eccellenza adorabile per prevalermj ove occorresse e me Le inchino umilmente.

Che tutti li Testamenti che si fanno in Bogdania et altri luochi al Dominio della Casa Ottomana non vagliono in conto alcuno se in essi non si sottoscrivano, oltre il Testatore, almeno cinque Testimonij degni di fede, di credito e di buona fama; che nelli luochi come sopra mentionati si costuma d’esser pubblicato il Testamento e letto sopra il cadavere del morto alla presenza di Testimonij, che poi si sottoscrivino in detta pubblicatione, e ciò per esser eseguita la volontà del Testatore et per non esser tolta la sua roba dal Signor che comanda in esso luoco; che nel tempo che morse [sic!] il quondam Leondarin Giolma corse voce a pubblica fama che il medesimo fosse morto così senza Testamento e fu sepolto senza che fosse pubblicato, né letto alcun Testamento sopra il suo cadavere, e così il Signor Voivoda ha tolto quella facoltà che ha saputo esser in Giasso.

p. 91

Testimonij:>

Chir Thoma Migloo.

Chir Pano Chircoo.

Chir Nicol&ogravve; Vhimo, habitante qui a Costantinopoli.

Zorzi de Nicol&oograve;.

Stathi Iomsusi [[?] mercante.

Partenio Diaconoo.

 

[A tergo::] [da un’altra mano:] 8 gennaio 1672. Constituito in questa Cancelleria Nicolò Vimo testimonio citato et interrogato sopra il senno de’ soprascritti Capitoli, rispose esser vero in tutto quanto contengono li sopradetti capitoli.

R. 8 et P. Consttituito in questa Cancelleria Statio di Jhoani testimonio citato et interrogato sopra il tenore de’ soprascritti capitoli, rispose esser veri in tutte le sue parti i due primi; all’ultimo rispose non essersi ritrovato presente alla sua morte, ma così haver sentito dire da tutta la città per pubblica voce et fama.

[da un’altra manno:] R. 8 et P., 8 gennaio. Costituito in questa Cancelleria Partenio Diacono testimonio citato et interrogato sopra il tenore de’ soprascritti capitoli, rispose esser veri in tutte le sue parti i due primi; all’ultimo rispose non essersi ritrovato presente alla sua morte, ma così haver sentito dire da tutta la città per pubblica voce et fama.

R. C. et I.>

 

(ASV, Bailo a Costantinopoli. Cancelleria, b. 373/II, cc. nn., ad datum, originale)

 

 

III

 

† Τιμιώτατε, και ευγενέστατε άρχων κυρίτζη Αμβρόσιε, και ημέ/τερε εν Χριστώ περιπόθητε, την ευγένειάν σου ακριβώς προσκούμεν, ό/μως την παρακαλούμεν ιδού όπου έγραψα τω αυθέντη μπάϊλον/ τω εκλαμπροτάτω, επειδή και δεν ημπόρεσα αυτός μου να έλθω / από την ποδαλγίαν και αναγγείλλω την υπόθεσιν του παρόντος κύρ Μάνου Γγιόν/μα ανεψιού του ποτέ κύρ Λεονταρή, νά μαρτυρούμεν την αλή/θειαν εν φόβω Θεού, εκείν όπου ηκούσαμεν από του στόματός του / και να λάβεις τον κόπον, να παραδώσης την μαρτυρίαν μου / εις τον εκλαμπρότατον αυθέντην μπάϊλον, καθώς γράφομεν / να γενή το θέλημα του παρόντος χριστιανου, επειδή είναι θείος / σκοπός και θέλεις έχει και η ευγένειά σου μισθόν εκ θεού, και έ/παινον εξ αυτών. Ταύτα και το παρόν, και οι χρόνοι της ευγενείας / σου, είησαν πολλοί, και καλλοί, αχοβ, δεκεμβρίου κζ.

ο δούλλος εγώ ταπεινός

Γεώργιος Καντακουζηνός

 

(ASV, Bailo a Costantinopoli. Cancelleria, b. 373/II, no. 23, originale)

 

 

IV

 

Εkλαμπρότατε και υψηλότατε αυθέντη μπάϊλε της Γαληνοτά/της αυθεντίας Βενετίας, προσκυνούμεν την

p. 92

† εγώ ο Γεώργιος Καντακουζηνός είχα αγάπην να / έλθω να προσκυνήσω την εκλαμπρό/τητά σου αυτοπροσώπως, μα με το να πάσχω από την ποδαλγίαν, δεν ημπόρεσα, μά/λιστα να αναγγείλω την υπόθεσιν διά ζώσης φωνής τη εκλαμπρότητί σου του παρόντος / κύρ Μάνου, ανεψιού και κληρονόμου του ποτέ κύρ Λεονταρή Γγιόνμα, όμως ιδού όπου γρά/φω εν φόβω Θεού, και αληθεία, εκείν όπου ήκουσα από εκείνου του μακαρίτου του Λεονταρή, / το στόμα, ότι ζόντος, ο οποίος έλεγεν έμπροσθεν ημών, ότι έχει εις την τζέκαν δου/κάτα, των οποίων το διάφορον, να εξοδεύεται, και να γένεται σχολείον εδώ εις την Κων/σταντινούπολιν, να μανθάνουν παιδιά, ή αν δεν είναι μόδος να γενή το σχολείον εδώ, να / γένεται εις την πατρίδα του εις τά Ιωάννινα, και να δίδονται εις μοναστήρια, και εις πτωχά, και / άλλα διά την ψυχήν του, και έλεγεν ότι να κάμη, και να αφήσει εμένα επίτροπον εις αυτή, και κάποιον Μιχαλάκην Κουνούπην, και Σγουρομάλην Γουλιανόν, να τα διοικούμεν / και ο μέν Μιχαλάκης Κουνούπης, και ο Σγουρομάλης Γουλιανός έδωσαν το κοινόν χρέος, ημείς μόνον / απομείναμεν εν ζώσι, και μαρτυρούμεν την αλήθειαν ταύτην έμπροσθεν Θεού, και επειδή ο πα/ρών κύρ Μάνος Γγιόνμας είναι ανεψιός του μαρτυρημένος, και κληρονόμος, η Γαληνοτάτη / Ρεπούπλικα, ας κάμη με λόγου του εκείν όπου είναι το δίκαιον, επειδή και πάσχει να / κάμη εκείν όπου ο θείος του ήθελεν, να μην χαθή το μνημόσυνό του, αν καλά και / διαθήκην εκείνου του κύρ Λεονταρή δεν ίδαμεν, ούτε ηξεύρομεν να έκανε, τον / δε βόον όπου είχε εκείνος ο μακαρίτης Λεονταρής, με τον θάνατον του εις το Γιάσι, το επήρεν / ο Βασίλειος. Αυτά ηξεύρομεν, και μαρτυρούμεν, και όπως είναι ο ορισμός σας.

εν έτει σωτηρίω 1672, δεκεμβρίου 27 εν Κωνσταντινουπόλι .

δούλλος εγώ ταπεινός

Γεώργιος Καντακουζηνός

 

(ASV, Bailo a Costantinopoli. Cancelleria, b. 373/II, cc. nn., no. 22, originale)

 

 

IV a

 

Illustrissimo et Eccellentissimo Bailo di Venetia,

 

Io Giorgio Cantaacusino, humilissimo servitore dell’Eccellenza Vostra, averei desiderio portarmene riverirLe personalmente ma per causa della podagra che mi tormenta mi leva il modo venire per rappresentarLa la causa nella forma conviene del lettor delle presenti. Signor Mano nipote et hereditario del quondam Leondari Gionoma [sic!] è qui fa servo in paura, e nella verità del Signor Iddio quello sentij dalla bocca del detto Leondari defonto, in ben egli vivo quale diceva avanti di me aver in Cecca ducati e il prò delli medesimi spendersi in far scola qui in Costantinopoli e imparar gli putti, e non potendo farsi la scola qui, possa essere fatta nella sua Patria a Janina dalli suoi parenti e darsi nelli Monasterij et a poveri, come in altre opere più per l’anima sua e disegno di far a lasciarme per Commissario suo nelli medesimi, et un tal Mighalachi Cunnupi et Sguromali Guliano per eseguire come detto, li quali Mighalachi e Sguromali suddetti passarono da questa alla miglior vita, restando solo io vivo, e testimoniamo la verità medesima avanti Dio de stante il sopradetto Signor Mano Gionoma esser suo nipote testimoniato et ereditario; la Serenissima Repubblica di Venezia faci con il medesimo quello sij di Giustitia mentre lui procura adempire e far quello che tanto che il suddetto testator quondam suo barba voleva acciò non vengono perse l’elemosine per l’anima sua, benché il Testamento del quondam Leondari medesimo non habbiamo visto, né sappiamo haver fatto qual robe e facoltà d’importanza, che avesse lui quondam Leondari; dopo la sua morte nel loco chiamato Giasi, tolse ogni cosa il Signor Vassili Voivoda, in

p. 93

tutto e per tuttto, che di come suddetto [?], sappiamo e testimoniamo, rimettendo il tutto alla Sua Illustre Giustitia.

Costantinopoli, li 27 dicembre 1672 m. v. [gennaio 1673].

Humilissimo servvitore,

Giorgio Cantacussino scrissi.

 

(ASV, Bailo a Costantinopoli. Cancelleria, b. 373/II, cc. nn., ad datum, copia coeva)

 

 

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© ªerban Marin, June 2005, Bucharest, Romania

 

Last updated: July 2006

 

serban_marin@rdslink.ro

 

 

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[1] Olga Cicanci, Dregãtori greci în Þãrile Române în veacul al XVII-lea, in Faþetele istoriei. Existenþe, identitãþi, dinamici. Omagiu Academicianului ªtefan ªtefãnescu, a cura di Tudor Teoteoi, Bogdan Murgescu e ªarolta Solcan, Bucarest 2000, pp. 199-210.

[2] Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi sarà citato ASV), Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 282, cc. nn. [carte non numerate].

[3] Ibidem, c. 158v.

[4] Andrei Pippidi, Tradiþia politicã bizantinã în þãrile române în secolele XVI-XVIII, 2a edizione, rivista e aggiornata, Bucarest 2001, p. 159.

[5] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 278, cc. nn., ad datum.

[6] Si veda doc. II dell’Appendice.

[7] “[…] Il Signor Stefano Babulagio, quondam Signor Marcho dalla Giannena, mercante di Moldavia, senza parenti, heredi et successori […]”, Cfr. ASV, Notarile. Atti (notaio Nicolò Velano), b. 13565, c. 313r, cc. 493r-493v .

[8] Istoria dreptului românesc, vol. I, coordinato da Vladimir Hanga, Bucarest 1980, p. 525; Instituþii feudale din Þãrile Române. Dicþionar, coordinatori: Ovid Sachelarie e Nicolae Stoicescu, Bucarest 1988, p. 307.

[9] Si vedano i docc. III, IV e IV a dell’Appendice.

[10] Ioan C. Filitti, Notice sur les Cantacuzène du XIe au XVIIe siècle, Bucarest 1936, p. 16.

[11] Il protocollo notarile di questo atto sottoscritto dal principe moldavo si trova in ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 282, c. 159r.