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Quaderni 2004
p. 85
Monumenta Graeca ac Veneta Historiae Romaniae (I)
Cristian Luca,
Università degli Studi “Dunãrea de Jos” di Galaþi/
Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di
Venezia
Cristina Papakosta,
Università degli Studi
“Εθνικό και
Καποδιστριακό”
di Atene
Nell’Archivio di Stato di Venezia è conservato un
cospicuo numero di documenti scritti in greco, in originale o in copia, redatti
per ragioni politiche o commerciali. Oltre a quelli prodotti abitualmente dalla
numerosa comunità greca, che si era insediata da secoli nella laguna
veneta, molti altri documenti, con le relative traduzioni italiane autenticate,
si conservano tra i registri e i carteggi provenienti dal bailaggio veneto di
Costantinopoli. La capitale ottomana, sede del patriarcato ecumenico e vertice
della Chiesa Ortodossa, contava naturalmente una comunità greca alquanto
numerosa, formata da sudditi ottomani ma anche veneti e di altre nazioni. I
greci del Levante, così come quelli della Confraternita di S. Giorgio a
Venezia, ebbero continui legami con i Principati Romeni, dedicandosi
soprattutto al commercio, ma, spesse volte, interessandosi anche alle vicende
politiche della Moldavia e della Valacchia, in veste di dignitari e consiglieri
di molti fra quei principi che governarono le terre romene durante il Seicento[1].
La fortuna del greco nelle terre romene è dovuta, non solo, al suo
impiego come lingua colta, ma anche alla sua adozione da parte della pubblica
amministrazione, sia per i documenti rilasciati dalla cancelleria di Stato, che
per la corrispondenza ufficiale e privata dei principi.
Dai documenti ancora inediti e conservati nell’archivio
veneziano, ne abbiamo tratti alcuni, in lingua greca, che riguardano
essenzialmente questioni private, cercando di gettar luce sull’attività
di alcuni personaggi, più o meno noti, che si muovevano allora tra
Costantinopoli e i Paesi Romeni. Per ragioni tipografiche, nel pubblicare gli
originali greci, ricorriamo ad un metodo non strettamente filologico,
trascurando volutamente gli accenti e alcuni segni particolari del greco
scritto. I testi, tuttavia, preservano le peculiarità dell’epoca e
mantengono viva la lingua impiegata, nella comunicazione scritta, da personaggi
appartenenti a ceti sociali diversi.
p. 86
Nel caso del primo documento, una lettera scritta in
greco, ma corredata da una traduzione italiana, ci troviamo di fronte ad un
autografo di Mose Movilã, che il principe di Moldavia (1630-1631, 1633-1634)
redasse il 12 giugno 1629, a Costantinopoli, per attestare un accordo di
pagamento: il mittente infatti si obbligava a versare 3.000 monete d’argento a
due francesi, tali Jacques Roussel e Charles Tallerand, per ragioni che
rimangono oscure, ma che, presumibilmente, riguardavano un qualche rapporto
commerciale. Il Roussel, su raccomandazione dell’ambasciatore olandese presso
la Porta, già il 6 luglio 1629 richiese una procura presso il bailaggio
veneto, per il ricupero di un credito di 400 scudi dal veneziano Alessandro
Vidali[2].
Verso la fine del mese di agosto dello stesso anno, Jacques Roussel era “alle
bocche del Mar Nero, imbarcato alla volta di Caffa”, dove raggiunse l’altro
francese, Charles Tallerand[3].
È probabile che il principe moldavo avesse incontrato i due francesi,
che riteniamo presumibilmente protestanti, nell’entourage del diplomatico
olandese Cornelius Haga, dati i rapporti che essi avevano con l’ambasciata
delle Province Unite a Costantinopoli. Mose Movilã, infatti, doveva molto al
prestigio politico dell’ambasciatore olandese Haga, il quale, per agevolarne la
nomina al trono di Moldavia, era ricorso ad alcuni dignitari ottomani, coi
quali intratteneva rapporti privilegiati[4].
La somma pattuita, dunque, fu versata nelle mani di Charles Tallerand, che
provvide a dividerla in parti eguali e a consegnare al Roussel quanto gli
spettava, inoltre, in tal senso, redasse una scrittura che venne autenticata,
presso lo stesso bailaggio veneto di Costantinopoli, il 16 agosto 1629[5].
Il secondo documento, una memoria[6]
del mercante greco Mano Giolma di Giannina,
indirizzata l’8 gennaio 1672 a Giacomo
Querini, bailo veneto a Costantinopoli, rende più chiara una vicenda
privata svoltasi in Moldavia nella prima metà del XVII secolo. Essendo
deceduto nel 1642 Londarin Giolma, zio di Mano, nella città di Iassi, all’epoca
capitale del Principato di Moldavia, il principe Basilio Lupu (1634-1653) ne
ordinò la confisca dei beni, di cui una parte passò, fra gli
altri correligionari del Giolma, nelle mani di Stefano Babulagio[7],
facoltoso mercante che era dedito al commercio fra le terre romene, i domini
della Porta e la città lagunare. La confisca dei beni del defunto
avvenne in base al diritto consuetudinario del paese, il quale attribuiva al
principe la prerogativa di appropriarsi dei beni appartenuti a chi, fra gli stranieri
residenti, fosse deceduto senza eredi legalmente accertati[8].
Invece, la consegna
p. 87
ad
altri mercanti greci di alcuni beni di Leondarin Giolma pare che fosse dovuta a
qualche debito in sospeso, ciò che in seguito fu veementemente
contestato da Mano Giolma. Questi, recandosi con ritardo sul posto, non ebbe
modo di recuperare nulla di quanto appartenesse allo zio, quindi si rivolse ai
competenti tribunali veneti, dal momento che i mercanti greci, venuti in
possesso di una parte del patrimonio di Leondarin Giolma, erano sudditi della
Serenissima. Ma la causa fu lunga e la decisione dei magistrati veneti venne
ripetutamente ritardata, finché –stando alla memoria di Mano Giolma– il
querelato, Stefano Babulagio, scampò senza sottostare al giudizio.
Il minuto memoriale del mercante greco Mano Giolma
solleva un altro problema, quello riguardante la richiesta che egli fece di
avere accesso al presunto deposito finanziario di Leondarin Giolma presso la
Zecca di Venezia. A tale fine, il richiedente produsse, a suo favore, la
testimonianza scritta di Giorgio Cantacuzeno[9],
personaggio di indiscussa rilevanza all’epoca, in quanto era ritenuto
discendente in linea diretta dell’antica famiglia imperiale bizantina.
L’intricata questione riguardante l’eredità del defunto mercante greco
chiama in causa alcuni protagonisti, all’epoca, della politica e soprattutto
del commercio che si svolgeva con il Levante e l’Europa Centro-Orientale. Tra i
testimoni spicca indubbiamente il nome del suddetto Giorgio Cantacuzeno. Chi fosse
esattamente costui, uno dei tanti che si dichiaravano discendenti dell’antica
famiglia bizantina, è difficile dire, in mancanza di documenti
attendibili in grado di certificare la sua origine. È possibile
l’identificazione con l’omonimo Giorgio Cantacuzeno (?-1692), figlio di Elena
Bassarab e Costantino Cantacuzeno il Ciambellano, ma tale ipotesi ci sembra
poco probabile. Un Giorgio Cantacuzeno, residente a Costantinopoli e membro del
sinodo patriarcale nel 1641[10],
giunse in Moldavia e fu gran ciambellano nel periodo 1644-1645, cioè
proprio durante il principato di Basilio Lupu. Questo Cantacuzeno, con
l’autorevolezza acquisita attraverso gli incarichi ricoperti nella capitale
ottomana e in Moldavia, poteva essere assai informato sugli affari di Leondarin
Giolma, col quale probabilmente fu in contatto a Costantinopoli. È ovvio
dunque che il Cantacuzeno fosse invocato come testimone, per certificare la
fondatezza della richiesta indirizzata dal Giolma al bailo Querini. Fu dunque
perché Giorgio Cantacuzeno si trovava nella capitale dell’Impero Ottomano a
cavallo tra il 1672 e il 1673, che l’interessato si rivolse a lui, in quanto
persona informata sulla situazione patrimoniale del defunto mercante greco.
Dalla testimonianza autografa che il nostro Cantacuzeno
inviò al bailo veneto, non potendo presentarsi di persona giacché
sofferente di gotta, emergono dettagli molto interessanti. Così emerge
il nobile intento del Giolma di finanziare, con gli interessi ricavati dai
depositi della Zecca di Venezia, la fondazione di una scuola pubblica a
Costantinopoli. Giorgio Cantacuzeno si limita a riferire, dell’attività
e della consistenza dei beni di Leondarin Giolma, soltanto ciò che
conosceva per diretta esperienza; spettava al diplomatico veneziano il compito
di chiarire, grazie agli accertamenti eseguiti dai
p. 88
Provveditori
della Zecca, l’attendibilità delle pretese del Giolma, unico erede del
defunto mercante di Giannina.
Le informazioni ricavate dai documenti greci che abbiamo
esaminato, e che provengono dall’Archivio di Stato di Venezia, pur trattando di
questioni private, offrono molteplici notizie su personaggi che ebbero un ruolo
di rilievo nella storia della Moldavia durante il secolo XVII.
p. 89
διⓠ τού
παρόντου
γραματος
διλοπηο εγο
ιω(αννης) μοϊση
βοϊβοτας το
πός εστόντας
και ο
ευγενεστατος
άρχοντας ϊάκοβος
ροζελος και ο
αρχοντας
Καρόλης
ταλουραντος το
να μας διγγουν
φηληας περί το
καλο μας τασο
και εγο της
ευγενήας τους
τρις χηληάδες
κροσηα τον
διον και αλο
ητη ορήσουν
από τον τένπον
νεκηνον να ενε
στους ορισμους
τους και δια
πήστεος αληθηάς
εγινεν τό
παρόν γράμα
υπογραμένον
και βουλομένο
από το ήδιον
μου χέρι.
έτ╗υς 1629
ηουνήου 12 ης
πολ(ιν).
(ASV,
Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 278, cc. nn., ad datum,
originale)
Presentate sottoo 16 agosto 1629; scritture due in
greco, et in francese, et loro traduzione, presentate ad instanza de Signor
Giacomo Roussello et registrate in Libro l’anno corrente 158 detto, vedi in
libro la ratificatione. No. 53.
[…] Per la preseente scrittura faccio manifesto io
Giovanni Moise Voivoda, essendo che il generoso Signore Jacobo Rosselo et il
Signor Carolo da Lusendos ci dimostrano amore per il nostro bene, prometto
ancor io alle generosità loro tre millia grossi ad essi doi, et altro
che comandano da noi possibile che sia al servitio loro, et per fede della
verità si è fatta la presente scrittura sottoscritta et signata
di mia propria mano. L’anno 1629, alle 13 [sic!] di giugno.
Giovanni Moise VVoivoda[11]
(ASV, Bailo a
Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 278, cc. nn., ad datum, copia
coeva)
Illustrissimo
et Eccellentissimo Signor Bailo della Serenissima Repubblica di Venetia,
Il Signor Iddio perdonij a
quelli che, privi del suo amore, hanno di lapidar et assorbir in varij modi la
facoltà di consideratione del quondam Signor Leondarin Giolma dalla
Gianina, zio di me Mano Giolma. Quel povero morse [sic!] in una città
nominata Giasso di Bogdania, in greco, l’anno 1642 in tempo che io ero a
Corfù, esercitando il Consolato di mercanti di Terraferma, onde tarda
hebbi la notitia di detta morte, e quando mi son trasferito in Bogdania ho
trovato che la sua facoltà havevano tolto il Signor Voivoda di Giasso et
un tal Stefano Babulagio, Nicolò Nomeco, et altri, né ho potuto
ricoperar cosa alcuna. Ho inteso bensì che nella città
famosissima di Venetia si ritrovavano suoi effetti di rilevante importanza,
sicché mi portai anco colà e feci lite col Babulagio qual mi
strassinò dall’anno 1658 fino l’anno 1659, e quando ero per sententiarlo
scampò, né mai in
p. 90
qual in poi s’haa potuto saper niuna di luj. Ho
levato successione con li modi che vuol una così santa e religiosa
Repubblica, e fattomi degno, legittimo e vero successore nelli effetti, crediti
et altra facoltà di detto mio zio, ma non ho conseguito altro se non
dispendij, strussij, patimenti, fatiche e disturbi che m’hanno sterminato da
perché fu inventata da debitori, per intoppo et obstacolo di disperato refugio,
una carta che si asserisse esser testamento par fatto dal suddetto Signor
Leondarin mio zio nella predetta città di Giasso l’anno 1642 alli 16
luglio; l’ho querelata avanti l’Eccellentissimo Magistrato dell’Avogaria e dopo
esser stato formato un processo diligente fu anco intromessa dalle
Eccellentissime Signorie Avogadori et ottenuto il pender nell’Eccellentissimo
Magistrato di 40 per il taglio, ma perché ha portò alli Eccellentissimi
Savij contraditorij di ricercar informatione di questo affare, stimando vero et
sussistente testamento detta carta et che in Bogdania potrebbe ricercarsi detto
taglio, pensando che in quel Paese siano Tribunali che giudicano [os]servando
Juris ordine similj materie, si stimò mezzo proprio di tagliar il pender
per seguir quanto contiene la parte di 15 luglio passato e questa serve de
fatti si contiene nel processo delle scritture, che presento avanti Vostra
Eccellenza per essermi poi rese. Son necessitato dunque Eccellentissimo Signor
Bailo di grandissimo rappresentante della Serenissima e Giustissima Repubblica
di portarmi in questa città con maggiori mie spese, pericoli, patimenti,
per delusitar nella miglior forma il fatto suddetto, perché la verità
largamente relata con insidie, il sangue correr debba per le sue vene, e la
ragione prevaglia. Rappresento a Vostra Eccellenza qualmente nella suddetta carta
sono nominati commissarij l’Honoratissimo et Illustrissimo Signor Giorgio
Cantacusino, del sangue imperiale di Greci, e li Signori Michiel Cunupi, Chir
Giasi Selina, Sguromali Gugliano et Epifanio, tutti morti eccetto il Signor
Cantacusino (che gratie a Dio!) è ancora vivo, e dice detta carta che si
facesse deposito in Cecca di Venetia di ducati 20 mille, perché il prò
che sono ducati mille all’anno capitasse in mano di detto Signor Cantacusino
per far qui a Costantinopoli uno studio nel modo che in essa si contiene, e
pure non hebbe mai esecutione che non verrà se non che sforzato il
Signor Epifanio con replicate denunzie, fu fatto un deposito di poca summa e
non di detti ducati 20 mille per il schivar quel colpo che gli soprastava non
maj di sua spontanea volontà, ma perché così fosse il vero anzi
nel suo testamento postero in detto fatto, che si ritrova nelle penultime carte
del suddetto mio processo, di lettere non fa nissuna mentione delle cose
predette, né sin hora da nissuno fu levato prò di alcuna sorte. Notifico
dunque tutti questj fatalj all’Illustrissimo Signor Cantacusino e lo supplico
il dir quanto gli pare per Giustitia, per verità e per la scienza in
obstracolo [sic!] et oppositione delle cose da me meschino sinceramente
narrate, intendendo io per Giustitia conseguir gli effetti suddetti et scoder
il suddetto danaro depositato col suo prò, et per giù amplamente
conzar il vero ricerco che Vostra Eccellenza admettermi li seguenti capitoli
per esser esaminati li Testimonij et poi di tutto mi sia data copia col bollo
di Vostra Eccellenza adorabile per prevalermj ove occorresse e me Le inchino
umilmente.
Che tutti li Testamenti che
si fanno in Bogdania et altri luochi al Dominio della Casa Ottomana non
vagliono in conto alcuno se in essi non si sottoscrivano, oltre il Testatore,
almeno cinque Testimonij degni di fede, di credito e di buona fama; che nelli
luochi come sopra mentionati si costuma d’esser pubblicato il Testamento e
letto sopra il cadavere del morto alla presenza di Testimonij, che poi si sottoscrivino
in detta pubblicatione, e ciò per esser eseguita la volontà del
Testatore et per non esser tolta la sua roba dal Signor che comanda in esso
luoco; che nel tempo che morse [sic!] il quondam Leondarin Giolma corse voce a
pubblica fama che il medesimo fosse morto così senza Testamento e fu
sepolto senza che fosse pubblicato, né letto alcun Testamento sopra il suo
cadavere, e così il Signor Voivoda ha tolto quella facoltà che ha
saputo esser in Giasso.
p. 91
Testimonij:
Chir Thoma Migloo.
Chir Pano Chircoo.
Chir Nicol&ogravve; Vhimo, habitante qui a
Costantinopoli.
Zorzi de Nicol&oograve;.
Stathi Iomsusi [[?] mercante.
Partenio Diaconoo.
[A tergo::] [da un’altra mano:] 8 gennaio
1672. Constituito in questa Cancelleria Nicolò Vimo testimonio citato et
interrogato sopra il senno de’ soprascritti Capitoli, rispose esser vero in
tutto quanto contengono li sopradetti capitoli.
R. 8 et P. Consttituito in questa Cancelleria Statio
di Jhoani testimonio citato et interrogato sopra il tenore de’ soprascritti
capitoli, rispose esser veri in tutte le sue parti i due primi; all’ultimo
rispose non essersi ritrovato presente alla sua morte, ma così haver
sentito dire da tutta la città per pubblica voce et fama.
[da un’altra manno:] R. 8 et P., 8 gennaio.
Costituito in questa Cancelleria Partenio Diacono testimonio citato et
interrogato sopra il tenore de’ soprascritti capitoli, rispose esser veri in
tutte le sue parti i due primi; all’ultimo rispose non essersi ritrovato
presente alla sua morte, ma così haver sentito dire da tutta la
città per pubblica voce et fama.
R. C. et I.
(ASV, Bailo a
Costantinopoli. Cancelleria, b. 373/II, cc. nn., ad datum,
originale)
†
Τιμιώτατε, και
ευγενέστατε
άρχων κυρίτζη
Αμβρόσιε, και
ημέ/τερε εν
Χριστώ
περιπόθητε,
την ευγένειάν
σου ακριβώς
προσκούμεν,
ό/μως την
παρακαλούμεν
ιδού όπου
έγραψα τω
αυθέντη μπάϊλον/
τω
εκλαμπροτάτω,
επειδή και δεν
ημπόρεσα αυτός
μου να έλθω / από
την
ποδαλγίαν και
αναγγείλλω την
υπόθεσιν του
παρόντος κύρ
Μάνου Γγιόν/μα
ανεψιού του
ποτέ κύρ Λεονταρή,
νά μαρτυρούμεν
την αλή/θειαν
εν φόβω Θεού,
εκείν όπου ηκούσαμεν
από του
στόματός του /
και να λάβεις
τον κόπον, να
παραδώσης την
μαρτυρίαν μου /
εις τον εκλαμπρότατον
αυθέντην
μπάϊλον, καθώς
γράφομεν / να γενή
το θέλημα του
παρόντος
χριστιανου,
επειδή είναι
θείος / σκοπός
και θέλεις
έχει και η
ευγένειά σου
μισθόν εκ θεού,
και έ/παινον εξ
αυτών. Ταύτα
και το παρόν,
και οι χρόνοι
της ευγενείας /
σου, είησαν
πολλοί, και
καλλοί, αχοβ,
δεκεμβρίου κζ.
ο
δούλλος εγώ
ταπεινός
Γεώργιος
Καντακουζηνός
(ASV,
Bailo a Costantinopoli. Cancelleria, b. 373/II, no. 23, originale)
Εkλαμπρότατε
και υψηλότατε
αυθέντη μπάϊλε
της Γαληνοτά/της
αυθεντίας
Βενετίας,
προσκυνούμεν
την
p.
92
† εγώ ο
Γεώργιος
Καντακουζηνός
είχα αγάπην να /
έλθω να
προσκυνήσω την
εκλαμπρό/τητά
σου αυτοπροσώπως,
μα με το να
πάσχω από την
ποδαλγίαν, δεν
ημπόρεσα,
μά/λιστα να
αναγγείλω την
υπόθεσιν διά
ζώσης φωνής τη
εκλαμπρότητί
σου του
παρόντος / κύρ Μάνου,
ανεψιού και
κληρονόμου του
ποτέ κύρ
Λεονταρή
Γγιόνμα, όμως
ιδού όπου
γρά/φω εν φόβω
Θεού, και αληθεία,
εκείν όπου
ήκουσα από
εκείνου του
μακαρίτου του
Λεονταρή, / το
στόμα, ότι
ζόντος, ο
οποίος έλεγεν
έμπροσθεν
ημών, ότι έχει
εις την τζέκαν
δου/κάτα, των
οποίων το
διάφορον, να
εξοδεύεται,
και να γένεται
σχολείον εδώ
εις την
Κων/σταντινούπολιν,
να μανθάνουν
παιδιά, ή αν δεν
είναι μόδος να
γενή το
σχολείον εδώ,
να / γένεται εις
την πατρίδα
του εις τά
Ιωάννινα, και
να δίδονται
εις
μοναστήρια,
και εις πτωχά, και
/ άλλα διά την
ψυχήν του, και
έλεγεν ότι να
κάμη, και να
αφήσει εμένα
επίτροπον εις
αυτή, και κάποιον
Μιχαλάκην
Κουνούπην, και
Σγουρομάλην
Γουλιανόν, να
τα διοικούμεν /
και ο μέν
Μιχαλάκης
Κουνούπης, και
ο Σγουρομάλης
Γουλιανός
έδωσαν το
κοινόν χρέος,
ημείς μόνον /
απομείναμεν εν
ζώσι, και μαρτυρούμεν
την αλήθειαν
ταύτην
έμπροσθεν
Θεού, και επειδή
ο πα/ρών κύρ
Μάνος Γγιόνμας
είναι ανεψιός
του μαρτυρημένος,
και
κληρονόμος, η
Γαληνοτάτη /
Ρεπούπλικα, ας
κάμη με λόγου
του εκείν όπου
είναι το
δίκαιον, επειδή
και πάσχει να /
κάμη εκείν
όπου ο θείος
του ήθελεν, να
μην χαθή το
μνημόσυνό του,
αν καλά και / διαθήκην
εκείνου του
κύρ Λεονταρή
δεν ίδαμεν,
ούτε ηξεύρομεν
να έκανε, τον / δε
βόον όπου είχε
εκείνος ο μακαρίτης
Λεονταρής, με
τον θάνατον
του εις το Γιάσι,
το επήρεν / ο
Βασίλειος.
Αυτά
ηξεύρομεν, και
μαρτυρούμεν,
και όπως είναι
ο ορισμός σας.
εν
έτει σωτηρίω 1672,
δεκεμβρίου 27 εν
Κωνσταντινουπόλι
.
δούλλος
εγώ ταπεινός
Γεώργιος
Καντακουζηνός
(ASV,
Bailo a Costantinopoli. Cancelleria, b. 373/II, cc. nn., no. 22,
originale)
Illustrissimo
et Eccellentissimo Bailo di Venetia,
Io Giorgio Cantaacusino, humilissimo servitore
dell’Eccellenza Vostra, averei desiderio portarmene riverirLe personalmente ma
per causa della podagra che mi tormenta mi leva il modo venire per
rappresentarLa la causa nella forma conviene del lettor delle presenti. Signor
Mano nipote et hereditario del quondam Leondari Gionoma [sic!] è qui fa
servo in paura, e nella verità del Signor Iddio quello sentij dalla
bocca del detto Leondari defonto, in ben egli vivo quale diceva avanti di me
aver in Cecca ducati e il prò delli medesimi spendersi in far scola qui
in Costantinopoli e imparar gli putti, e non potendo farsi la scola qui, possa
essere fatta nella sua Patria a Janina dalli suoi parenti e darsi nelli
Monasterij et a poveri, come in altre opere più per l’anima sua e
disegno di far a lasciarme per Commissario suo nelli medesimi, et un tal
Mighalachi Cunnupi et Sguromali Guliano per eseguire come detto, li quali
Mighalachi e Sguromali suddetti passarono da questa alla miglior vita, restando
solo io vivo, e testimoniamo la verità medesima avanti Dio de stante il
sopradetto Signor Mano Gionoma esser suo nipote testimoniato et ereditario; la
Serenissima Repubblica di Venezia faci con il medesimo quello sij di Giustitia
mentre lui procura adempire e far quello che tanto che il suddetto testator
quondam suo barba voleva acciò non vengono perse l’elemosine per l’anima
sua, benché il Testamento del quondam Leondari medesimo non habbiamo visto, né
sappiamo haver fatto qual robe e facoltà d’importanza, che avesse lui
quondam Leondari; dopo la sua morte nel loco chiamato Giasi, tolse ogni cosa il
Signor Vassili Voivoda, in
p. 93
tutto e per tuttto, che di come suddetto [?],
sappiamo e testimoniamo, rimettendo il tutto alla Sua Illustre Giustitia.
Costantinopoli, li 27 dicembre 1672 m. v. [gennaio
1673].
Humilissimo servvitore,
Giorgio Cantacussino scrissi.
(ASV, Bailo a
Costantinopoli. Cancelleria, b. 373/II, cc. nn., ad datum, copia
coeva)
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Alcuni ‘confidenti’
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Sur le vénitien Gian
Giacomo Locatello, un prétendant princier peu connu
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(2004) (a cura di Ioan-Aurel Pop e Cristian Luca), Bucarest: Casa Editrice dell’Istituto
Culturale Romeno, 2004
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© ªerban Marin, June 2005,
Bucharest, Romania
Last updated: July 2006
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[1] Olga Cicanci, Dregãtori
greci în Þãrile Române în veacul al XVII-lea, in Faþetele istoriei.
Existenþe, identitãþi, dinamici. Omagiu Academicianului ªtefan ªtefãnescu,
a cura di Tudor Teoteoi, Bogdan Murgescu e ªarolta Solcan, Bucarest 2000, pp.
199-210.
[2] Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi sarà
citato ASV), Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b. 282, cc. nn.
[carte non numerate].
[3] Ibidem, c. 158v.
[4] Andrei Pippidi, Tradiþia politicã bizantinã în þãrile române în secolele
XVI-XVIII, 2a edizione, rivista
e aggiornata, Bucarest 2001, p. 159.
[5] ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli, b.
278, cc. nn., ad datum.
[6] Si veda doc. II dell’Appendice.
[7] “[…] Il Signor Stefano Babulagio, quondam Signor Marcho
dalla Giannena, mercante di Moldavia, senza parenti, heredi et successori […]”,
Cfr. ASV, Notarile. Atti (notaio Nicolò Velano), b. 13565, c. 313r,
cc. 493r-493v .
[8] Istoria dreptului românesc, vol. I, coordinato da
Vladimir Hanga, Bucarest 1980, p. 525; Instituþii feudale din Þãrile Române.
Dicþionar, coordinatori: Ovid Sachelarie e Nicolae Stoicescu, Bucarest
1988, p. 307.
[9] Si vedano i docc. III, IV e IV a dell’Appendice.
[10] Ioan C. Filitti, Notice sur les Cantacuzène du
XIe au XVIIe siècle, Bucarest 1936, p. 16.
[11] Il protocollo notarile di questo atto sottoscritto dal
principe moldavo si trova in ASV, Bailo a Costantinopoli. Atti Protocolli,
b. 282, c. 159r.