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Ludovico Gritti e i principi romeni*

 

 

Adriano  Papo,

Università degli Studi di Udine

 

Ludovico Gritti, figlio naturale del doge di Venezia, Andrea, era nato attorno al 1480 a Costantinopoli, dove il padre praticava con grandi profitti il mestiere di mercante e di banchiere[1]. Sua madre, molto probabilmente, era una concubina del padre, non si sa se greca, turca o slava. Non sappiamo nulla della madre di Ludovico Gritti e dei suoi tre fratelli naturali nati sul Bosforo: Lorenzo, Gregorio (Giorgio o Zorzi) e Pietro, come nulla sappiamo delle sue compagne e madri dei suoi tre figli: Antonio, Pietro e Marietta. Ludovico Gritti era dotato d’un fisico molto robusto, ma ben proporzionato; aveva la carnagione bruna, gli occhi neri, le sopracciglia lunghe e folte, il naso un po’ aquilino e storto e una barba nera. Conservò un aspetto giovanile anche dopo aver superato i cinquant’anni d’età. Era religiosissimo, caritatevole e oltremodo generoso. Viveva con mirabile grandezza: aveva al suo servizio centinaia di schiavi e servitori; possedeva bellissimi cavalli di razze diverse, numerosissimi cammelli e muli per i carriaggi; teneva perfino un serraglio di donne ed efebi, proprio come fosse un vero pascià turco. Organizzava nel suo palazzo, alle vigne di Pera, feste e banchetti sfarzosi, anche se egli era sobrio nel bere e nel mangiare. Vestiva pomposamente, alla “turchesca”, indossando abiti di seta con decorazioni d’oro e d’argento; non portava però il turbante, ma teneva sul capo un berretto di pregiatissimi zibellini, da cui non si separava mai. Era molto loquace e convincente: parlava con voce sonora, gesticolando con le mani e roteando gli occhi. Aveva familiarità con le lingue greca, italiana, latina e turca: il segretario veneziano Benedetto Ramberti sostiene che aveva studiato lettere all’Università di Padova, ma invero il suo nome non è stato rintracciato negli elenchi di coloro che in quegli anni si diplomarono all’Ateneo patavino[2]. Manifestava un certo interesse anche per la cultura e gli intellettuali; probabilmente, è anche il coautore d’un libretto, l’Opera nova, sull’organizzazione dello Stato ottomano e della corte del sultano, uscito postumo nel 1537.

Siccome nella Repubblica di Venezia non poteva accedere alla carriera politica né entrare nella cancelleria dogale poiché era un figlio naturale anche se d’un patrizio

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veneziano, Ludovico Gritti, dopo un breve soggiorno nella sua città d’origine, si stabilì definitivamente sul Bosforo, dove attese alla professione di mercante e di banchiere e divenne in breve tempo uno degli uomini finanziariamente più potenti di Costantinopoli, ma anche il leader carismatico dei mercanti europei della città di Galata. Gritti commerciava ogni sorta di merci: grano, pietre preziose, sale, salnitro, salumi, seta, stagno, vino dolce, zafferano; fu un attivo partner commerciale della Repubblica di Venezia, cui procurò importanti privilegi mercantili, ma anche un suo fedele e zelante informatore politico-militare, proprio come lo era stato il padre Andrea prima dello scoppio della guerra veneto-turca del 1499. La sua ascesa finanziaria ed economica fu anche favorita dall’amicizia di cui godeva da parte del gran visir Ibrahim pascià, che addirittura lo introdusse alla corte del sultano Solimano il Magnifico, di cui divenne intimo amico e fidato consigliere, oltreché il principale fornitore di pietre preziose. L’immenso potere economico e finanziario acquisito sul Bosforo non tardò a dischiudergli le porte della politica, grazie alla quale salì alle più alte cariche del Regno d’Ungheria di Giovanni Zápolya: l’occasione gli fu data dalla missione compiuta a Costantinopoli dal diplomatico polacco Hieronym Laski, che era stato mandato sul Bosforo alla fine del 1527 dallo Zápolya per negoziare con la Porta un’alleanza in funzione antiasburgica. La missione di Laski ebbe successo proprio in virtù delle capacità diplomatiche del Gritti, il quale alla fine dei negoziati fu nominato dal sultano “ambasciatore e agente” del re Giovanni presso la Porta.

L’alleanza stipulata tra l’Ungheria e l’Impero Ottomano finì per coinvolgere direttamente Ludovico Gritti nell’offensiva osmanica contro Vienna dell’estate del 1529. Il figlio del doge, però, si fermò a Buda, che, cacciate le truppe asburgiche da parte degli Ottomani, fu riconsegnata al re Giovanni Zápolya, il quale ricompensò il veneziano per i suoi servigi con la nomina a “sommo tesoriere” e “consigliere” del Regno d’Ungheria e l’assegnazione delle rendite dell’importante vescovado ungherese di Eger; Gritti ottenne anche, da parte del sultano, la signoria sui territori dalmati di Clissa, Poglizza e Segna. L’anno dopo, per essersi distinto nella difesa di Buda da un attacco delle truppe asburgiche, fu nominato conte camerario di Máramaros (oggi Maramureº) e, addirittura, governatore del Regno d’Ungheria. Infine, fu insignito anche dell’ultima e prestigiosa carica che mancava al suo curriculum, quella di capitano generale, ossia di comandante supremo dell’esercito magiaro. Nell’estate del 1532, dunque, Ludovico Gritti era all’apice della carriera politica, militare e finanziaria, la sua ricchezza era smisurata, la sua influenza presso la Porta immensa. E proprio in questo periodo si sparse la falsa notizia che avesse ripudiato la religione cristiana e si fosse fatto musulmano per entrare nella schiera dei pascià ottomani[3].

Sennonché, i suoi metodi dispotici di governo, il suo immenso potere politico e finanziario e la sua smisurata ambizione gli procurarono numerosi e acerrimi avversari sia in Ungheria che a Costantinopoli. Nell’estate del 1534, caduto alfine in disgrazia anche

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a Costantinopoli a causa delle macchinazioni di alcuni notabili ottomani, che mal tolleravano la sua ingerenza negli affari politici dell’Impero e l’amicizia che nutrivano verso di lui lo stesso sultano e il gran visir, Gritti fu costretto a lasciare in fretta e furia la sua residenza di Pera e a intraprendere quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio alla volta dell’Ungheria. Una sommossa in Transilvania gli sbarrò però la strada per Buda, e l’uccisione da parte dei suoi uomini del vescovo di Várad, Imre Czibak, che aveva aizzato il popolo a prendere le armi contro di lui, accelerò gli eventi: Gritti cadde vittima dell’odio dei suoi nemici, trovando una morte atroce a Medgyes (oggi Mediaº) il 29 settembre 1534.

Ludovico Gritti aveva fatto la conoscenza del principe di Valacchia, Vlad Vintilã, alla fine di luglio del 1534, in occasione del suo quarto e ultimo viaggio alla volta dell’Ungheria, quello che gli sarebbe stato fatale e che lo avrebbe condotto al patibolo in quel di Medgyes. Il figlio del doge percorse lo stesso itinerario che aveva seguito nel 1532: Costantinopoli–Adrianopoli–Filippopoli–Sofia–Nicopoli–Turnu Mãgurele; era stato incaricato dal sultano di riscuotere a Târgoviºte il tributo per l’anno in corso che il principe valacco non aveva ancora corrisposto alla Porta e di ricevere da parte dello stesso principe romeno un supporto di 3.000 cavalieri, con cui avrebbe dovuto continuare il viaggio attraverso la Transilvania e l’Ungheria. Il tributo ammontava a 1.400.000 aspri, cioè a 28.000 zecchini d’oro (a soli 12.000 ducati, invece, secondo le informazioni di Francesco della Valle). In effetti, Gritti riscosse il tributo, ma dovette inviare un messaggero a Solimano il Magnifico per avvisarlo che aveva bisogno di altro denaro per il prosieguo del viaggio[4].

Il viaggio di Gritti attraverso la Valacchia è descritto dallo stesso figlio del doge in un rapporto, in lingua turca, inviato al sultano da Brassó (oggi Braºov) il 6 agosto 1534. Il rapporto è trascritto integralmente nella sua lingua originaria e nella traduzione romena in un corposo e puntuale articolo di Aurel Decei[5]. Il figlio del doge trovò in Valacchia un ambiente molto ostile, perché s’era sparsa la voce che volesse destituire il voivoda Vlad, come del resto risulta inequivocabilmente dallo stesso rapporto inviato da Gritti al sultano. La notizia è confermata dal diplomatico imperiale Cornelius Duplicius Schepper, il quale accenna nel suo diario del 7 giugno 1533 a un futuro ma non identificato voivoda valacco: “Intellexi scrive Schepperhoc die filiam bastardam Ludovici Gryti datam esse in uxorem cuidam vayvodae Valachie futuro, cui eum eodem vaywodatum promissurus est imperator Thurcarum[6]. Anche in un documento del 3 agosto 1579, citato

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da A. Decei, si menziona un principe (domn) che faceva segretamente parte della scorta di Ludovico Gritti durante il suo viaggio del 1534: potrebbe anche trattarsi del futuro voivoda consorte della figlia “bastarda” di Gritti, di cui parla Schepper nel suo diario. Ion Ursu identifica questo pretendente al trono valacco con Stefano Lãcustã, il quale invece avrebbe sostituito Pietro Rareº sul trono moldavo nel 1538[7]. Dalle fonti, e in particolare da Marino Sanuto, sappiamo però che Ludovico Gritti aveva un’unica figlia, Marietta, che il 20 o 27 maggio 1529 andò in sposa al mercante veneziano Vincenzo Cicogna, e due anni dopo, in seconde nozze, con Alvise Bragadin[8]. In base alla testimonianza di Tranquillo Andronico, invece, Vlad Vintilã era stato informato dal vescovo di Várad, Imre Czibak, che Gritti intendeva insediare sul trono valacco uno dei suoi due figli; questo fu il motivo per cui il principe romeno, con un ingente esercito, tese insidie ai grittiani lungo il loro cammino in terra valacca. Ma, alla fine, il voivoda, accortosi dell’inganno e della falsità della notizia ricevuta da Czibak, il quale non perdeva occasione per denigrare il Gritti, suo acerrimo avversario, si riconciliò col figlio del doge, garantendogli la scorta di cui necessitava per il prosieguo del viaggio[9]. La notizia di Tranquillo Andronico non è del tutto infondata se si pensa che anche nella città di Szeben (oggi Sibiu) era corsa voce che Gritti aveva l’intenzione d’insediare sul trono valacco il figlio Antonio[10]. Gritti avanzò in Valacchia ostentando la sua autorità di governatore, di cui diede un chiaro e inequivocabile segnale lasciando sulla riva del Danubio, come monito per i popoli bulgaro e valacco, il corpo del boiaro Ilie (Elias), che era stato impiccato perché non gli aveva procurato un numero sufficiente di barche per traghettare la sua scorta al di là del fiume[11]. Ma la notizia dell’esecuzione del boiaro Ilie, in effetti poco verosimile, non trova riscontro in altre fonti.

Appena arrivato in terra valacca il 25 luglio 1534, Ludovico Gritti fu raggiunto da 184 boiari (nobili) filoturchi e avversari del voivoda Vlad, i quali offrirono il proprio

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aiuto per detronizzare il principe romeno. Tra loro c’erano il cancelliere Viºan, già tesoriere di Vlad Vintilã, e il castellano Stan, che, due anni prima, avevano partecipato insieme con Gritti all’assedio della fortezza di Esztergom; i boiari erano seguiti da 6-700 cavalieri valacchi. Del clima di rivolta che serpeggiava in Valacchia la stessa Porta era stata informata tramite un emissario dei nobili dissidenti, un certo Peia, che aveva accompagnato Gritti nel suo viaggio di ritorno in Valacchia. Il 26 luglio, a tre giorni di cammino dall’incontro fissato col principe Vlad, la scorta di Gritti fu accostata da una pattuglia valacca di più di 2.000 cavalieri, comandati dal boiaro Coadã. Il giorno seguente, il corteo del veneziano fu circondato da ambo i lati dai 4.000 cavalieri del capitano Dragomir, un altro valacco che era stato al seguito di Gritti durante l’assedio di Esztergom: il capitano Dragomir doveva arrestare i boiari che si erano aggregati alle truppe di Gritti in marcia verso la Transilvania. La sera dello stesso giorno, a Piteºti, un ingente esercito valacco – si dice di 30.000 cavalieri e circa 200 fanti – con a capo il principe Vlad in persona fece prigionieri i nobili dissidenti.

Della congiura ordita da Gritti e dai boiari ribelli contro il voivoda Vlad Vintilã ce ne parla pure il comes di Pozsony, János Zalay Kerecsényi, secondo il quale Gritti stesso permise agli uomini del principe valacco di cercare e arrestare i nobili che si trovavano nel suo accampamento: sette di loro, sorpresi proprio nella tenda del veneziano, furono portati non si sa dove e giustiziati col taglio del naso e della bocca[12]. Il 28 luglio Gritti fece il suo ingresso in Târgoviºte a fianco dello stesso principe valacco, che, riappacificatosi con lui, gli garantì il pagamento del tributo dovuto e l’assegnazione del contingente di soldati romeni richiesti come scorta. Secondo la testimonianza di Francesco della Valle si presentarono nella capitale valacca anche alcuni ambasciatori del voivoda moldavo, Pietro Rareº, i quali offrirono a Gritti doni, uomini e denaro e quant’altro avesse avuto bisogno per il proseguimento del viaggio. Ricevettero in cambio quattro bellissimi cavalli turchi e ricchissime vesti d’oro e di seta per sé e per il loro principe[13]. Paolo Giovio scrive di un incontro di Gritti con lo stesso Pietro il Moldavo, che allora era in buoni rapporti col sultano: Gritti offrì al voivoda romeno ricchi doni in cambio “di consiglio e di forze”. Pietro Rareº accettò i doni, lo accolse come un amico e gli garantì la propria fiducia[14]. L’incontro di Gritti con i due principi romeni preoccupò non poco il re Giovanni Zápolya e i suoi partigiani, da sempre diffidenti nei confronti del veneziano, di cui temevano da un momento all’altro qualche astuto e irreparabile colpo di mano[15].

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A Târgoviºte, Gritti e il suo seguito dovettero però assistere al supplizio cui venne sottoposta la maggior parte dei boiari che erano stati precedentemente arrestati dal capitano Dragomir: furono loro tagliati il naso e le orecchie e gli occhi furono estratti dalle orbite. L’atroce esecuzione, che lo stesso Gritti definì nel suo rapporto “pura tirannia”, aveva verosimilmente lo scopo d’intimorire il veneziano e la sua scorta e dimostrare la forza del principe Vlad. Probabilmente Vlad Vintilã era al corrente che il prestigio di Gritti presso la Porta era in declino; d’altro canto, il 2 agosto precedente aveva ricevuto un dispaccio del tesoriere turco e avversario di Gritti, Mehmed çelebi, che gli vietava tassativamente di rifornire il veneziano sia di denaro che di soldati, senza i quali egli e la sua scorta si sarebbero trovati in gran pericolo una volta entrati in Transilvania. Furono senz’altro la prova di forza di Vlad Vintilã e la lettera di Mehmed çelebi a convincere Gritti a rinunciare alla destituzione del voivoda valacco e a partire quanto prima per la Transilvania, dove forse confidava nei rinforzi dei suoi partigiani ungheresi. Ma, inaspettatamente, appena varcati i Carpazi il veneziano fu raggiunto da 7-800 cavalieri valacchi, che Vlad Vintilã, ormai conscio della sua impotenza, gli aveva messo a disposizione[16]. L’esecuzione dei boiari valacchi trova conferma in una lettera inviata dal Senato della città di Szeben al vescovo di Transilvania Miklós Gerendi il 4 agosto 1534; in base a questa testimonianza, 75 boiari furono giustiziati nella maniera descritta dallo stesso Gritti, mentre altri cinque, di cui si ignora la fine, furono condotti prigionieri al castello di Poienari, presso Argeº[17].

La veridicità dei fatti di Valacchia trova ancora riscontro in una cronaca sassone coeva riprodotta da Heinrich Kretschmayr nella versione ungherese della sua monografia su Ludovico Gritti; il testo, tradotto in lingua italiana, viene di seguito riportato: “Il figlio del doge di Venezia Ludovico Gritti, cresciuto a Costantinopoli presso la corte turca, partì con 1.000 giannizzeri e 800 cavalieri alla volta della Valacchia. Dopo aver attirato dalla sua parte alcuni dei signori più potenti della Valacchia, aveva intenzione di destituirne lo stesso voivoda. Ma questi, avvertito per tempo dei suoi progetti, costrinse Gritti a fermarsi in Valacchia; tagliò quindi le orecchie e il naso ad alcuni dei boiari che erano passati dalla parte di Gritti e fece decapitare gli altri. Il voivoda negò di voler disubbidire agli ordini del sultano, ma precisò che lo stesso aveva ordinato che bisognava trattare con lui. Gritti lo pregò di poter proseguire per la Transilvania senza danni; ciò gli fu concesso e in più ottenne una scorta di 1.000 uomini”[18]. Infine, scrive Kilian Leib: “Ludovicus Grittus, Andreae Gritti Venetorum Ducis ex scorto filius, iniquus homo (ut ferme sunt eo modo progeniti), qui diu apud Turcam sanguinarium etiam contra christianum sanguinem

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militaverat, ut fuerat potens et magnus in conspectu illius cruentae bestiae, Septembri mense missus est ab Turca ipso in Walachiam cum mille Janitzeris ac octingentis militibus. Quoi dum venisset, Magnatis sibi conciliatis decrevit, Woiwodam Valachiae submovere officio. Id, ubi cognovit ille, collecta valida manu coëgit Grittum prodere reddere sibi Walachos, qui ad eum defecerunt, in quos animadvertit severiter. Cui cum diceret Grittus, numne contra Imperatorem rebellare contenderet? respondit, se quidem non rebellare, verum scire se id, quod adversum ageret Grittus ipse, non fieri iussu Turcarum Principis. Grittus ut vidit se turc minorem viribus, rogabat Waywodam, ut salvum se in Septemcastrensem sineret transire provinciam. Concessit additis mille viris[19].

Il principe romeno, Pietro Rareº, voivoda di Moldavia, ebbe invece un ruolo importante nella tragica fine di Ludovico Gritti e dei suoi figli. Gritti ne aveva fatto la conoscenza in occasione della crisi scoppiata tra il Regno di Polonia e il Principato di Moldavia, allorché si fece mediatore di pace tra il re Sigismondo I Jagellone e appunto Pietro il Moldavo, dopo che quest’ultimo aveva invaso con 10-12.000 uomini la regione polacca della Pocuzia ed era stato sconfitto nel 1531 a Obertyn da Jan Tarnówski[20]. Il figlio del doge prese a cuore la questione: forse aveva nell’animo la segreta intenzione di tenere la Moldavia per sé o per l’amico Laski o per lo stesso re Giovanni, dal quale avrebbe ricevuto in cambio la corona d’Ungheria.

L’appoggio negato da Gritti al principe romeno gli costò caro già nel corso del suo viaggio per l’Ungheria del 1532, allorché il veneziano riuscì a malapena a evitare un’imboscata tesagli da 15.000 soldati moldavi e fu costretto a rientrare precipitosamente a Târgoviºte. L’astuto e opportunista voivoda Pietro Rareº, non essendo riuscito a sbarazzarsi del figlio del doge, di cui tra l’altro si diceva volesse deporre il principe romeno per impossessarsi del suo voivodato, temendo la reazione sua e della Porta, ritenne allora conveniente inviare suoi ambasciatori nella capitale valacca per omaggiare con doni importanti il governatore ungherese “offerendogli appresso se medesimo et il suo potere”. Gritti contraccambiò i regali con “quattro bellissimi cavalli turchi […] molte cere bianche lavorate […] zuccheri fini, et […] molte belle vesti d’oro et di seta”[21]. Anzi, riuscì a ottenere dal principe romeno 3.000 uomini che avrebbe utilizzato nell’assedio di Esztergom dell’agosto del 1532 insieme con 3.000 soldati valacchi[22].

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Sennonché, due anni dopo il fallimento dell’imboscata sui Carpazi, Pietro Rareº non avrebbe mancato di approfittare dell’occasione offertagli dalla rivolta transilvana organizzata dal vescovo di Várad Imre Czibak, dal seclero Gotthárd Kun e dal signore di Fogaras (Fãgãraº) István Maylád[23] per sbarazzarsi dell’ingombrante governatore d’Ungheria, di cui si sospettavano e si temevano sempre più le mire ambiziose non solo sul Regno d’Ungheria, ma anche sui due principati romeni[24]. A Brassó, Gritti instaurò una piccola signoria dispotica, esigendo che tutti i nobili e i magistrati locali gli andassero incontro a omaggiarlo come rappresentante del sultano; tenne in prigione il cittadino sassone Johann Schirmer senza alcuna motivazione, ma solo per dimostrare anche lui il suo potere e la sua forza[25]. Quando Ludovico Gritti arrivò a Brassó, tutta la Transilvania era allora in gran subbuglio. Ci sono testimonianze – almeno per quanto riguarda la città di Szeben – che all’inizio del 1534 i prezzi dei generi alimentari erano addirittura sestuplicati e molti abitanti della città erano stati costretti a emigrare: l’aumento dei prezzi giustificherebbe quindi la rivolta popolare che avrebbe portato all’uccisione di Ludovico Gritti. L’anno precedente era stato anche segnato dalle esondazioni dei fiumi della Transilvania[26]. Agostino Museo, precettore del figlio di Gritti, Antonio, aveva riscontrato dappertutto un gran fermento nell’attraversare la Transilvania nel corso del suo viaggio da Buda a Brassó: a Várad, in particolare, aveva notato che tutti i contadini erano armati con fucili e lance nuove di zecca, che ricevevano gratuitamente dal vescovo di Várad, Imre Czibak. Nessuno celava il progetto del complotto organizzato contro Gritti[27]. L’organizzazione, anche sotto la luce del sole, dell’insurrezione transilvana è senz’altro da mettere in relazione con il calo dell’autorità goduta da Gritti presso la Porta, calo di cui gli Ungheresi erano venuti a conoscenza molto verosimilmente tramite Cornelius Schepper, che l’8 luglio, di ritorno da Costantinopoli, si era fermato a Buda alla corte del re Giovanni, prima di raggiungere quella asburgica a Praga[28].

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Anche il voivoda di Moldavia Pietro Rareº, ormai pronto a passare dalla parte di Ferdinando I d’Asburgo, si era accordato con István Maylàd e aveva inviato un’ambasceria a Szeben per aizzare i suoi abitanti contro il governatore d’Ungheria: aveva progettato un piano secondo cui, simulando di correre in aiuto a Gritti, sarebbe disceso in Transilvania e lo avrebbe catturato e fatto assassinare. Sennonché gli abitanti di Szeben diffidavano della lealtà di Pietro Rareº, al pari di quella di Gritti[29]. Ambiguo fu anche il comportamento del principe valacco, che, pur tenendosi in contatto con i ribelli transilvani, non prese però decisa posizione al loro fianco: informato per tempo da István Maylád che le tre “nazioni” transilvane erano insorte contro il governatore, si era limitato a mandare un suo messo al campo degli insorti. Vlad Vintilã non voleva forse suscitare la reazione dei sangiacchi turchi che confinavano con le sue terre, i quali d’altro canto si erano già da tempo dichiarati estranei al conflitto[30].

Come detto, l’uccisione del vescovo Imre Czibak da parte dei grittiani fece precipitare gli eventi facendo deflagrare la rivolta transilvana: chiuso nella città di Medgyes e stretto dall’assedio d’un grosso esercito moldavo-valacco-transilvano, Gritti non disperava però di essere liberato dallo stesso Pietro Rareº, perché ignorava che il voivoda aveva complottato con lo stesso Czibak la sua eliminazione. Seguiamo gli ultimi momenti della vita del Gritti, focalizzando l’attenzione sui suoi contatti col voivoda moldavo. Vistosi perduto – racconta Francesco della Valle[31], Gritti mandò un soldato turco “vestito da moldavo” a trattare la salvezza dei suoi due figli, Antonio e Pietro, col capitano degli uomini di Pietro Rareº, Hurul. I suoi figli furono quindi condotti nel campo dei Moldavi, nei quali il veneziano, ingenuamente, riponeva ancora piena fiducia. Sennonché, gli stessi suoi soldati ungheresi aprirono le porte della città agli invasori, dopo che erano stati da loro tranquillizzati che avrebbero avuto salva la vita. I soldati ottomani furono trucidati da quelli moldavi e dagli stessi fanti ungheresi di cui fino a un momento prima erano stati compagni d’arme. Un servitore consigliò al figlio del doge, tra l’altro febbricitante, di consegnarsi agli ungheresi anziché ai moldavi; il veneziano però confidava ancora nel salvacondotto che gli era stato rilasciato dal capitano Hurul. La lettera, compilata in latino, recita testualmente: “Signor Gritti, uscite sicuro coi vostri figli, con la vostra roba, coi vostri servitori e con quant’altri vi piaccia, perché noi vi promettiamo in nome di Dio, della Vergine Maria, per i quattro elementi, per il pane, per il vino, per la nostra scimitarra, che sarete al sicuro e verrete accompagnato dove vorrete voi. In fede di questa promessa v’inviamo la presente lettera col sigillo di Pietro il Moldavo”. Uscito dalla città, Gritti fu raggiunto da un cavaliere moldavo, che gli sferrò un pugno sulla spalla e gli tolse il berretto di zibellini; fu proprio il provvidenziale intervento del suo ciambellano, Francesco della Valle, a salvarlo da morte certa. Alfine fu catturato e decapitato: la sua testa venne

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consegnata a Pietro Rareº come trofeo; il suo corpo fu invece sepolto nella chiesa di S. Francesco di Medgyes.

La versione di Tranquillo Andronico conferma grossomodo quella precedenti[32]. Gritti, vistosi abbandonato dai suoi uomini, uscì dalla città coi figli, con alcuni servitori e con le sue guardie del corpo, dopo aver mandato un messo al capitano dei Moldavi con la proposta di consegnarsi a loro se fosse stata garantita la vita a lui e ai figli. I Moldavi accettarono la proposta, ma non mantennero la promessa di assicurare al veneziano e ai suoi salva la vita: Gritti fu decapitato per ordine di Ferenc Kendi e la sua testa fu inviata al principe Pietro, il suo cadavere fu orribilmente mutilato: il cuore fu estratto dal petto, le mani, i piedi e le singole dita furono amputati e spediti in varie città dell’Ungheria. Gotthárd Kun inumò pietosamente ciò che restava del corpo del figlio del doge.

Paolo Giovio conferma che Gritti tenne “pratica segreta” con Pietro il Moldavo perché lasciasse passare lui e i suoi figli indenni. Alla fine, ingannato dagli stessi soldati moldavi, fu raggiunto da Ferenc Kendi, che con un urlo “carico di villania” gli si scagliò addosso togliendogli dal capo il berretto di zibellini. Gritti, fiaccato dalla malattia, non oppose resistenza alla cattura; fu quindi condotto al cospetto del comandante supremo István Maylád, che non volle ascoltare la sua dichiarazione di discolpa ed estraneità alla morte di Imre Czibak e lo restituì a Ferenc Kendi, il quale con una grande spada gli mozzò la testa[33].

Sulla sorte dei figli di Gritti, che, dopo l’eccidio di Medgyes, non furono più rivisti, circolarono le notizie più disparate. Secondo alcune testimonianze, essi furono decapitati assieme allo stesso padre e a János Dóczy; secondo altre fonti, essi finirono nelle mani di Pietro Rareº il quale prima attese invano il riscatto da parte del loro nonno, il doge di Venezia, poi li trucidò: Pietro fu fatto annegare, Antonio fu decapitato; pochissimi ritenevano invece che si fossero salvati. Anche secondo altre fonti, i due figli del governatore furono condotti in Moldavia e fatti trucidare dall’efferato voivoda[34].

Nell’estate del 1536, il sultano Solimano il Magnifico mosse guerra a Pietro Rareº, reo non solo di non aver corrisposto il tributo annuale alla Porta, ma anche di aver partecipato alla spoliazione dei tesori di Gritti e di esser poi passato dalla parte di Ferdinando I d’Asburgo. Era opinione diffusa che gli Ottomani avessero dichiarato guerra alla Moldavia dopo i fatti di Medgyes anche per vendicare la morte di Ludovico Gritti e dei suoi figli[35]; in realtà, l’attacco alla Moldavia doveva servire per limitarne l’autonomia del suo voivoda. La guerra finì col bando di Pietro Rareº, il quale trovò rifugio presso Giovanni Zápolya, che non lo avrebbe però mai estradato nonostante le sollecitazioni del sultano. Ma Pietro Rareº riconquistò ben presto il trono perduto, e nel 1541 fu impiegato dallo stesso sultano per la cattura di István Maylád, suo ex alleato, il quale fu alla fine condotto in prigionia a Costantinopoli, dove morì nel 1550[36].

 

 

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© ªerban Marin, October 2005, Bucharest, Romania

Last Updated: July 2006

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* Conferenza tenuta presso l’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia il 16 novembre 2004.

[1] Su Ludovico Gritti si veda il libro di Gizella Nemeth Papo, Adriano Papo, Ludovico Gritti. Un principe-mercante del Rinascimento tra Venezia, i Turchi e la Corona d’Ungheria, Mariano del Friuli (GO) 2002.

[2] Cfr. Benedetto Ramberti, Delle cose de’ Turchi. Libri tre, Bernardin Milanese, Venetia 1541, libro III, c. 35r; e anche Elda Martellozzo Forin, Note d’archivio sul soggiorno padovano di studenti ungheresi (1493-1563), in Venezia e Ungheria nel Rinascimento, a cura di Vittore Branca, Firenze 1973, pp. 245-260.

[3] Cfr. G. Nemeth Papo, A. Papo, La presunta apostasia di Ludovico Gritti e le sue aspirazioni alla corona magiara, in “Transylvanian Review”, VIII, no. 4, 1999, pp. 109-131; gli autori del saggio hanno smentito con prove anche oggettive la supposta conversione di Gritti alla religione islamica.

[4] Sul tributo Cfr. Francesco della Valle, Una breve narracione della grandezza, virtù, valore, et della infelice morte dell’Illustrissimo Signor Conte Alouise Gritti …, a cura di Iván Nagy, in “Magyar Történelmi Tár”, III, 1857, pp. 9-60: p. 37.

[5] Cfr. Aurel Decei, Aloisio Gritti în slujba Sultanulni Soliman Kanunî, dupã unele documente turceºti inedite (1533-1534) [Aloisio Gritti al servizio del sultano Solimano il Legislatore, sulla base di alcuni documenti turchi inediti], in “Studii ºi materiale de istorie medie”, VI, 1974, pp. 101-160: pp. 143-155.

[6] Cfr. Henrik Kretschmayr, Schepper C. D. konstantinápolyi követ naplótöredéke 1533. év’l [Frammenti del diario dell’ambasciatore a Costantinopoli C. D. Schepper dell’anno 1533], in Adalékok Szapolyai János király történetéhez [Contributi alla storia del re Giovanni Zápolya], in “Történelmi Tár”, 1903, pp. 36-66: p. 56.

[7] Cfr. A. Decei, op. cit., p. 56; Ion Ursu, Die auswärtige Politik des Peter Rares, Fürst von Moldau (1527-1538), Vienna 1908, pp. 105-106; i piani di Gritti per la Valacchia sono confermati da quanto riportato nella Vapovii (Wapowski) Bernardi Chronica, trascritta negli Scriptores Rerum Polonicarum, vol. II, Cracovia 1874, p. 253. Sull’investitura di Gritti a voivoda di Valacchia da parte del sultano Cfr. la lettera del signore de Baïf al vescovo d’Auxerre, Venezia, 20 dicembre 1532, in Négotiations de la France dans le Levant, a cura di Ernest Charrière, Parigi 1848, p. 237.

[8] Cfr. G. Nemeth Papo, A. Papo, op. cit., p. 32.

[9] Cfr. Tranquilli Andronici Dalmatae Traguriensis de Rebus in Hungaria Gestis ab Illustrissimo et Magnifico Ludovico Gritti Deque eius Obitu Epistola, a cura di Florio Banfi, in “Archivio Storico per la Dalmazia”, IX, vol. XVIII, no. 105, 1934, pp. 417-468: pp. 455-456.

[10] Cfr. B. Martgreb a M. Pemfflinger, Szeben, 27 aprile 1534, in Friedrich Schuller, Urkundliche Beiträge zur Geschichte Siebenbürgens von der Schlacht bei Mohács bis zum Frieden von Grosswardein. Aus dem k. u. k. Hof-, Haus- und Staatsarchiv in Wien, in “Archiv des Vereins für Siebenbürgische Landeskunde”, nuova serie, XXVIII, 1898, pp. 441-581: doc. 157, pp. 574-576.

[11] Cfr. Istvanfii Nicolai Pannoni Historiarum De Rebus Ungaricis Libri XXXIV, Colonia Agrippina 1622, ed. Historia Regni Hungariae, post obitum gloriosissimi Matthiae Corvini regis, a quo apostolicum hoc regnum Turcarum potissimum armis barbare invasum, Libris XXXIV, Vienna 1758, pp. 122-123.

[12] Cfr. J. Zalay Kerecsényi [de Kerhen] a Ferdinando I, Gyalu, 24 agosto 1534, in F. Schuller, op. cit., pp. 508-640: doc. 172, pp. 518-520.

[13] Cfr. F. della Valle, op. cit., p. 37.

[14] Cfr. Delle Istorie del suo tempo di Mons. Paolo Giovio da Como, vescovo di Nocera, tradotte da M. Lodovico Domenichi, parte II, Altobello Salicato, Vinegia 1572, p. 304. Sull’incontro con Pietro Rareº Cfr. anche György Pray, Annales Regum Hungariae, parte V, Vindobonae 1770, p. 265.

[15] Cfr. E. Thurzó a Ferdinando I, Sempte, 24 luglio 1534, in Eudoxiu di Hurmuzaki, Documente privitoare la istoria românilor [Documenti concernenti la storia dei Romeni], vol. II/1, Bucarest 1891, doc. 61, pp. 87-88.

[16] Cfr. il già citato rapporto di Gritti del 6 agosto 1534; J. Zalay Kerecsényi praticamente conferma il fatto secondo cui Vlad, riappacificatosi con Gritti, gli accordò, per la continuazione del viaggio, una scorta di 300 cavalieri, che andarono ad aggiungersi ai 500 cavalieri ottomani e agli 800 giannizzeri del suo seguito.

[17] Cfr. F. Schuller, Urkundliche Beiträge cit., in “Archiv des Vereins für Siebenbürgische Landeskunde”, n. s., XXIX, 1899, doc. 168, pp. 514-515.

[18] Cfr. H. Kretschmayr, Gritti Lajos, 1480-1534 [Luigi Gritti, 1480-1534], in “Magyar Történelmi Életrajzok”, XVII, 1901, pp. 149-151.

[19] Cfr. Kilian Leib, Historiarum sui temporis ab anno 1524 usque ad annum 1548. Annales, in J. J. Ignaz von Döllinger, Beiträge zur politischen, kirchlichen und Culturgeschichte der sechs letzten Jahrhunderten, vol. II, Regensburg 1863, pp. 445-611: pp. 588-589.

[20] Cfr. E. di Hurmuzaki, Documente cit., vol. I, suppl. II, Bucarest 1893, docc. 21-23, pp. 54-65; secondo Nicolae Iorga, Geschichte des osmanischen Reiches nach den Quellen, vol. II, Gotha 1909, p. 422, Pietro Rareº si sarebbe in seguito vendicato di Gritti proprio perché non era stato da lui appoggiato presso la Porta in occasione del contenzioso con la Polonia, organizzando la cospirazione che lo avrebbe portato al patibolo di Medgyes.

[21] Cfr. F. della Valle, op. cit., pp. 23-24.

[22] Cfr. Marino Sanuto, I Diarii, vol. LVI, a cura di Rinaldo Fulin et alii, Venezia 1879-1903, pp. 828-831 e pp. 982-983; erroneamente il Sanuto chiama Pietro Rareº, Stefano Carabogdano.

[23] In particolare su István Maylád Cfr. Ioan–Aurel Pop, ªtefan Mailat ºi Þara Fãgãraºului [Stefano Mailat e il paese di Fãgãraº], in “Mediaevalia Transilvanica”, II, no. 2, 1998, pp. 239-244.

[24] Sulle aspirazioni di Gritti alla corona d’Ungheria e ai troni dei due principati romeni si veda il saggio già citato di G. Nemeth Papo, A. Papo, La presunta apostasia cit., passim.

[25] Cfr, la lettera del borgomastro di Szeben a Ferdinando I, Szeben, 15 agosto 1534, in Collection des Voyages des Souverains des Pays-Bas [Collection de Chroniques Belges Inedites], vol. III, a cura di Louis–Prosper e Charles Piot, Bruxelles 1881, doc. 53, pp. 554-555.

[26] Sulla grave situazione economica della Transilvania nel 1534 Cfr. l’annotazione riportata da Michele Sigleri nella sua cronaca: Michaelis Sigleri Chronologiae rerum hungaricarum, transilvanicarum, et vicinarum regionum, Cibinii 1572, in Matthias Bel, Adparatus ad historiam Hungariae, sive collectio miscella, Monumentorum ineditorum partim, partim editorum, sed fugientium, Posonii 1735, p. 69: “Magna annonae caritas in Transsilvania. Cibinii modius tritici tribus et dimidio floreno venditur. Anno sequente modius tritici denariis quatuordecim emitur”.

[27] Cfr. Fr. Augustini Musei Tarvisini Constitutio sive Interrogatio a Mareschalco Caesariae Maiestatis sibi et socio Petro Cremensi post facta suum de Buda in Viennam reditum Anno 1535, a cura di I. Nagy, in “Magyar Történelmi Tár”, III, 1857, pp. 75-81: pp. 64-65.

[28] Cfr. Ferdinando I a Bernardo di Cles, Praga, 16 luglio 1534, in Urkunden und Actenstücke zur Geschichte der Verhältnisse zwitschen Österreichs, Ungarns und der Pforte. Gesandschaft König Ferdinands I an Sultan Suleiman I, vol. II/2, a cura di Anton Gévay, Vienna 1838-1842, doc. 39, pp. 141-142.

[29] Cfr. M. Armbruster a Ferdinando I, Szeben, 20 aprile 1534, in F. Schuller, Urkundliche Beiträge cit., in “Archiv des Vereins für Siebenbürgische Landeskunde”, n. s., XXVIII, doc. 155, pp. 570-571.

[30] Cfr. Quellen zur Geschichte der Stadt Kronstadt in Siebenbürgen, vol. II, Rechnungen aus dem Archiv der Stadt Kronstadt, Kronstadt [Braºov] 1889, p. 366 e p. 370.

[31] Cfr. F. della Valle, op. cit., pp. 45-49.

[32] Cfr. T. Andronico, op. cit., p. 464.

[33] Cfr. P. Giovio, op. cit., pp. 310-311.

[34] Sulla fine incerta dei figli di Gritti Cfr. F. della Valle, op. cit., p. 52.

[35] Ne è consapevole anche il F. della Valle, op. cit., p. 52.

[36] Cfr. Béla Majláth, Majlád István, Budapest 1889, pp. 80-114.