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Annuario 2004-2005
p. 353
Adriano Papo,
Università degli Studi
di Udine
Ludovico Gritti, figlio naturale del doge di Venezia,
Andrea, era nato attorno al 1480 a Costantinopoli, dove il padre praticava con
grandi profitti il mestiere di mercante e di banchiere[1].
Sua madre, molto probabilmente, era una concubina del padre, non si sa se
greca, turca o slava. Non sappiamo nulla della madre di Ludovico Gritti e dei
suoi tre fratelli naturali nati sul Bosforo: Lorenzo, Gregorio (Giorgio o
Zorzi) e Pietro, come nulla sappiamo delle sue compagne e madri dei suoi tre
figli: Antonio, Pietro e Marietta. Ludovico Gritti era dotato d’un fisico molto
robusto, ma ben proporzionato; aveva la carnagione bruna, gli occhi neri, le
sopracciglia lunghe e folte, il naso un po’ aquilino e storto e una barba nera.
Conservò un aspetto giovanile anche dopo aver superato i cinquant’anni
d’età. Era religiosissimo, caritatevole e oltremodo generoso. Viveva con
mirabile grandezza: aveva al suo servizio centinaia di schiavi e servitori;
possedeva bellissimi cavalli di razze diverse, numerosissimi cammelli e muli
per i carriaggi; teneva perfino un serraglio di donne ed efebi, proprio come
fosse un vero pascià turco. Organizzava nel suo palazzo, alle vigne di
Pera, feste e banchetti sfarzosi, anche se egli era sobrio nel bere e nel
mangiare. Vestiva pomposamente, alla “turchesca”, indossando abiti di seta con
decorazioni d’oro e d’argento; non portava però il turbante, ma teneva
sul capo un berretto di pregiatissimi zibellini, da cui non si separava mai.
Era molto loquace e convincente: parlava con voce sonora, gesticolando con le
mani e roteando gli occhi. Aveva familiarità con le lingue greca,
italiana, latina e turca: il segretario veneziano Benedetto Ramberti sostiene
che aveva studiato lettere all’Università di Padova, ma invero il suo
nome non è stato rintracciato negli elenchi di coloro che in quegli anni
si diplomarono all’Ateneo patavino[2].
Manifestava un certo interesse anche per la cultura e gli intellettuali;
probabilmente, è anche il coautore d’un libretto, l’Opera nova …,
sull’organizzazione dello Stato ottomano e della corte del sultano, uscito
postumo nel 1537.
Siccome nella Repubblica di Venezia non poteva accedere
alla carriera politica né entrare nella cancelleria dogale poiché era un figlio
naturale anche se d’un patrizio
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veneziano,
Ludovico Gritti, dopo un breve soggiorno nella sua città d’origine, si
stabilì definitivamente sul Bosforo, dove attese alla professione di mercante
e di banchiere e divenne in breve tempo uno degli uomini finanziariamente
più potenti di Costantinopoli, ma anche il leader carismatico dei mercanti europei della città di
Galata. Gritti commerciava ogni sorta di merci: grano, pietre preziose, sale,
salnitro, salumi, seta, stagno, vino dolce, zafferano; fu un attivo partner commerciale della Repubblica di
Venezia, cui procurò importanti privilegi mercantili, ma anche un suo
fedele e zelante informatore politico-militare, proprio come lo era stato il
padre Andrea prima dello scoppio della guerra veneto-turca del 1499. La sua
ascesa finanziaria ed economica fu anche favorita dall’amicizia di cui godeva
da parte del gran visir Ibrahim pascià, che addirittura lo introdusse
alla corte del sultano Solimano il Magnifico, di cui divenne intimo amico e
fidato consigliere, oltreché il principale fornitore di pietre preziose.
L’immenso potere economico e finanziario acquisito sul Bosforo non tardò
a dischiudergli le porte della politica, grazie alla quale salì alle
più alte cariche del Regno d’Ungheria di Giovanni Zápolya: l’occasione
gli fu data dalla missione compiuta a Costantinopoli dal diplomatico polacco
Hieronym Laski, che era stato mandato sul Bosforo alla fine del 1527 dallo
Zápolya per negoziare con la Porta un’alleanza in funzione antiasburgica. La
missione di Laski ebbe successo proprio in virtù delle capacità
diplomatiche del Gritti, il quale alla fine dei negoziati fu nominato dal
sultano “ambasciatore e agente” del re Giovanni presso la Porta.
L’alleanza stipulata tra l’Ungheria e l’Impero Ottomano
finì per coinvolgere direttamente Ludovico Gritti nell’offensiva
osmanica contro Vienna dell’estate del 1529. Il figlio del doge, però,
si fermò a Buda, che, cacciate le truppe asburgiche da parte degli Ottomani,
fu riconsegnata al re Giovanni Zápolya, il quale ricompensò il veneziano
per i suoi servigi con la nomina a “sommo tesoriere” e “consigliere” del Regno
d’Ungheria e l’assegnazione delle rendite dell’importante vescovado ungherese
di Eger; Gritti ottenne anche, da parte del sultano, la signoria sui territori
dalmati di Clissa, Poglizza e Segna. L’anno dopo, per essersi distinto nella
difesa di Buda da un attacco delle truppe asburgiche, fu nominato conte
camerario di Máramaros (oggi Maramureº) e, addirittura, governatore del Regno
d’Ungheria. Infine, fu insignito anche dell’ultima e prestigiosa carica che
mancava al suo curriculum, quella di
capitano generale, ossia di comandante supremo dell’esercito magiaro.
Nell’estate del 1532, dunque, Ludovico Gritti era all’apice della carriera
politica, militare e finanziaria, la sua ricchezza era smisurata, la sua
influenza presso la Porta immensa. E proprio in questo periodo si sparse la
falsa notizia che avesse ripudiato la religione cristiana e si fosse fatto
musulmano per entrare nella schiera dei pascià ottomani[3].
Sennonché, i suoi metodi dispotici di governo, il suo
immenso potere politico e finanziario e la sua smisurata ambizione gli
procurarono numerosi e acerrimi avversari sia in Ungheria che a Costantinopoli.
Nell’estate del 1534, caduto alfine in disgrazia anche
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a
Costantinopoli a causa delle macchinazioni di alcuni notabili ottomani, che mal
tolleravano la sua ingerenza negli affari politici dell’Impero e l’amicizia che
nutrivano verso di lui lo stesso sultano e il gran visir, Gritti fu costretto a
lasciare in fretta e furia la sua residenza di Pera e a intraprendere quello
che sarebbe stato il suo ultimo viaggio alla volta dell’Ungheria. Una sommossa
in Transilvania gli sbarrò però la strada per Buda, e l’uccisione
da parte dei suoi uomini del vescovo di Várad, Imre Czibak, che aveva aizzato
il popolo a prendere le armi contro di lui, accelerò gli eventi: Gritti
cadde vittima dell’odio dei suoi nemici, trovando una morte atroce a Medgyes
(oggi Mediaº) il 29 settembre 1534.
Ludovico Gritti aveva fatto la conoscenza del principe di
Valacchia, Vlad Vintilã, alla fine di luglio del 1534, in occasione del suo
quarto e ultimo viaggio alla volta dell’Ungheria, quello che gli sarebbe stato
fatale e che lo avrebbe condotto al patibolo in quel di Medgyes. Il figlio del
doge percorse lo stesso itinerario che aveva seguito nel 1532:
Costantinopoli–Adrianopoli–Filippopoli–Sofia–Nicopoli–Turnu Mãgurele; era stato
incaricato dal sultano di riscuotere a Târgoviºte il tributo per l’anno in
corso che il principe valacco non aveva ancora corrisposto alla Porta e di
ricevere da parte dello stesso principe romeno un supporto di 3.000 cavalieri,
con cui avrebbe dovuto continuare il viaggio attraverso la Transilvania e
l’Ungheria. Il tributo ammontava a 1.400.000 aspri, cioè a 28.000
zecchini d’oro (a soli 12.000 ducati, invece, secondo le informazioni di
Francesco della Valle). In effetti, Gritti riscosse il tributo, ma dovette
inviare un messaggero a Solimano il Magnifico per avvisarlo che aveva bisogno
di altro denaro per il prosieguo del viaggio[4].
Il viaggio di Gritti attraverso la Valacchia è
descritto dallo stesso figlio del doge in un rapporto, in lingua turca, inviato
al sultano da Brassó (oggi Braºov) il 6 agosto 1534. Il rapporto è
trascritto integralmente nella sua lingua originaria e nella traduzione romena
in un corposo e puntuale articolo di Aurel Decei[5].
Il figlio del doge trovò in Valacchia un ambiente molto ostile, perché
s’era sparsa la voce che volesse destituire il voivoda Vlad, come del resto
risulta inequivocabilmente dallo stesso rapporto inviato da Gritti al sultano.
La notizia è confermata dal diplomatico imperiale Cornelius Duplicius
Schepper, il quale accenna nel suo diario del 7 giugno 1533 a un futuro ma non
identificato voivoda valacco: “Intellexi – scrive Schepper – hoc die filiam bastardam Ludovici Gryti
datam esse in uxorem cuidam vayvodae Valachie futuro, cui eum eodem vaywodatum
promissurus est imperator Thurcarum”[6].
Anche in un documento del 3 agosto 1579, citato
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da
A. Decei, si menziona un principe (domn)
che faceva segretamente parte della scorta di Ludovico Gritti durante il suo
viaggio del 1534: potrebbe anche trattarsi del futuro voivoda consorte della
figlia “bastarda” di Gritti, di cui parla Schepper nel suo diario. Ion Ursu
identifica questo pretendente al trono valacco con Stefano Lãcustã, il quale
invece avrebbe sostituito Pietro Rareº sul trono moldavo nel 1538[7].
Dalle fonti, e in particolare da Marino Sanuto, sappiamo però che
Ludovico Gritti aveva un’unica figlia, Marietta, che il 20 o 27 maggio 1529
andò in sposa al mercante veneziano Vincenzo Cicogna, e due anni dopo,
in seconde nozze, con Alvise Bragadin[8].
In base alla testimonianza di Tranquillo Andronico, invece, Vlad Vintilã era
stato informato dal vescovo di Várad, Imre Czibak, che Gritti intendeva
insediare sul trono valacco uno dei suoi due figli; questo fu il motivo per cui
il principe romeno, con un ingente esercito, tese insidie ai grittiani lungo il
loro cammino in terra valacca. Ma, alla fine, il voivoda, accortosi
dell’inganno e della falsità della notizia ricevuta da Czibak, il quale
non perdeva occasione per denigrare il Gritti, suo acerrimo avversario, si
riconciliò col figlio del doge, garantendogli la scorta di cui
necessitava per il prosieguo del viaggio[9].
La notizia di Tranquillo Andronico non è del tutto infondata se si pensa
che anche nella città di Szeben (oggi Sibiu) era corsa voce che Gritti
aveva l’intenzione d’insediare sul trono valacco il figlio Antonio[10].
Gritti avanzò in Valacchia ostentando la sua autorità di
governatore, di cui diede un chiaro e inequivocabile segnale lasciando sulla
riva del Danubio, come monito per i popoli bulgaro e valacco, il corpo del
boiaro Ilie (Elias), che era stato impiccato perché non gli aveva procurato un
numero sufficiente di barche per traghettare la sua scorta al di là del
fiume[11].
Ma la notizia dell’esecuzione del boiaro Ilie, in effetti poco verosimile, non
trova riscontro in altre fonti.
Appena arrivato in terra valacca il 25 luglio 1534,
Ludovico Gritti fu raggiunto da 184 boiari (nobili) filoturchi e avversari del
voivoda Vlad, i quali offrirono il proprio
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aiuto
per detronizzare il principe romeno. Tra loro c’erano il cancelliere Viºan,
già tesoriere di Vlad Vintilã, e il castellano Stan, che, due anni
prima, avevano partecipato insieme con Gritti all’assedio della fortezza di
Esztergom; i boiari erano seguiti da 6-700 cavalieri valacchi. Del clima di
rivolta che serpeggiava in Valacchia la stessa Porta era stata informata
tramite un emissario dei nobili dissidenti, un certo Peia, che aveva
accompagnato Gritti nel suo viaggio di ritorno in Valacchia. Il 26 luglio, a
tre giorni di cammino dall’incontro fissato col principe Vlad, la scorta di
Gritti fu accostata da una pattuglia valacca di più di 2.000 cavalieri,
comandati dal boiaro Coadã. Il giorno seguente, il corteo del veneziano fu
circondato da ambo i lati dai 4.000 cavalieri del capitano Dragomir, un altro
valacco che era stato al seguito di Gritti durante l’assedio di Esztergom: il
capitano Dragomir doveva arrestare i boiari che si erano aggregati alle truppe
di Gritti in marcia verso la Transilvania. La sera dello stesso giorno, a
Piteºti, un ingente esercito valacco – si dice di 30.000 cavalieri e circa 200
fanti – con a capo il principe Vlad in persona fece prigionieri i nobili
dissidenti.
Della congiura ordita da Gritti e dai boiari ribelli
contro il voivoda Vlad Vintilã ce ne parla pure il comes di Pozsony, János Zalay Kerecsényi, secondo il quale Gritti
stesso permise agli uomini del principe valacco di cercare e arrestare i nobili
che si trovavano nel suo accampamento: sette di loro, sorpresi proprio nella
tenda del veneziano, furono portati non si sa dove e giustiziati col taglio del
naso e della bocca[12].
Il 28 luglio Gritti fece il suo ingresso in Târgoviºte a fianco dello stesso
principe valacco, che, riappacificatosi con lui, gli garantì il
pagamento del tributo dovuto e l’assegnazione del contingente di soldati romeni
richiesti come scorta. Secondo la testimonianza di Francesco della Valle si
presentarono nella capitale valacca anche alcuni ambasciatori del voivoda
moldavo, Pietro Rareº, i quali offrirono a Gritti doni, uomini e denaro e
quant’altro avesse avuto bisogno per il proseguimento del viaggio. Ricevettero
in cambio quattro bellissimi cavalli turchi e ricchissime vesti d’oro e di seta
per sé e per il loro principe[13].
Paolo Giovio scrive di un incontro di Gritti con lo stesso Pietro il Moldavo,
che allora era in buoni rapporti col sultano: Gritti offrì al voivoda
romeno ricchi doni in cambio “di consiglio e di forze”. Pietro Rareº
accettò i doni, lo accolse come un amico e gli garantì la propria
fiducia[14].
L’incontro di Gritti con i due principi romeni preoccupò non poco il re
Giovanni Zápolya e i suoi partigiani, da sempre diffidenti nei confronti del
veneziano, di cui temevano da un momento all’altro qualche astuto e
irreparabile colpo di mano[15].
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A Târgoviºte, Gritti e il suo seguito dovettero
però assistere al supplizio cui venne sottoposta la maggior parte dei
boiari che erano stati precedentemente arrestati dal capitano Dragomir: furono
loro tagliati il naso e le orecchie e gli occhi furono estratti dalle orbite.
L’atroce esecuzione, che lo stesso Gritti definì nel suo rapporto “pura
tirannia”, aveva verosimilmente lo scopo d’intimorire il veneziano e la sua
scorta e dimostrare la forza del principe Vlad. Probabilmente Vlad Vintilã era
al corrente che il prestigio di Gritti presso la Porta era in declino; d’altro
canto, il 2 agosto precedente aveva ricevuto un dispaccio del tesoriere turco e
avversario di Gritti, Mehmed çelebi,
che gli vietava tassativamente di rifornire il veneziano sia di denaro che di
soldati, senza i quali egli e la sua scorta si sarebbero trovati in gran pericolo
una volta entrati in Transilvania. Furono senz’altro la prova di forza di Vlad
Vintilã e la lettera di Mehmed çelebi
a convincere Gritti a rinunciare alla destituzione del voivoda valacco e a
partire quanto prima per la Transilvania, dove forse confidava nei rinforzi dei
suoi partigiani ungheresi. Ma, inaspettatamente, appena varcati i Carpazi il
veneziano fu raggiunto da 7-800 cavalieri valacchi, che Vlad Vintilã, ormai
conscio della sua impotenza, gli aveva messo a disposizione[16].
L’esecuzione dei boiari valacchi trova conferma in una lettera inviata dal
Senato della città di Szeben al vescovo di Transilvania Miklós Gerendi
il 4 agosto 1534; in base a questa testimonianza, 75 boiari furono giustiziati
nella maniera descritta dallo stesso Gritti, mentre altri cinque, di cui si
ignora la fine, furono condotti prigionieri al castello di Poienari, presso
Argeº[17].
La veridicità dei fatti di Valacchia trova ancora
riscontro in una cronaca sassone coeva riprodotta da Heinrich Kretschmayr nella
versione ungherese della sua monografia su Ludovico Gritti; il testo, tradotto
in lingua italiana, viene di seguito riportato: “Il figlio del doge di Venezia
Ludovico Gritti, cresciuto a Costantinopoli presso la corte turca, partì
con 1.000 giannizzeri e 800 cavalieri alla volta della Valacchia. Dopo aver
attirato dalla sua parte alcuni dei signori più potenti della Valacchia,
aveva intenzione di destituirne lo stesso voivoda. Ma questi, avvertito per
tempo dei suoi progetti, costrinse Gritti a fermarsi in Valacchia;
tagliò quindi le orecchie e il naso ad alcuni dei boiari che erano
passati dalla parte di Gritti e fece decapitare gli altri. Il voivoda
negò di voler disubbidire agli ordini del sultano, ma precisò che
lo stesso aveva ordinato che bisognava trattare con lui. Gritti lo pregò
di poter proseguire per la Transilvania senza danni; ciò gli fu concesso
e in più ottenne una scorta di 1.000 uomini”[18].
Infine, scrive Kilian Leib: “Ludovicus Grittus, Andreae Gritti Venetorum
Ducis ex scorto filius, iniquus homo (ut ferme sunt eo modo progeniti), qui diu
apud Turcam sanguinarium etiam contra christianum sanguinem
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militaverat, ut fuerat potens et magnus in conspectu
illius cruentae bestiae, Septembri mense missus est ab Turca ipso in Walachiam cum
mille Janitzeris ac octingentis militibus. Quoi dum venisset, Magnatis sibi
conciliatis decrevit, Woiwodam Valachiae submovere officio. Id, ubi cognovit
ille, collecta valida manu coëgit Grittum prodere reddere sibi Walachos, qui ad
eum defecerunt, in quos animadvertit severiter. Cui cum diceret Grittus, numne
contra Imperatorem rebellare contenderet? respondit, se quidem non rebellare,
verum scire se id, quod adversum ageret Grittus ipse, non fieri iussu Turcarum
Principis. Grittus ut vidit se turc minorem viribus, rogabat Waywodam, ut
salvum se in Septemcastrensem sineret transire provinciam. Concessit additis
mille viris”[19].
Il principe romeno, Pietro Rareº, voivoda di Moldavia,
ebbe invece un ruolo importante nella tragica fine di Ludovico Gritti e dei
suoi figli. Gritti ne aveva fatto la conoscenza in occasione della crisi
scoppiata tra il Regno di Polonia e il Principato di Moldavia, allorché si fece
mediatore di pace tra il re Sigismondo I Jagellone e appunto Pietro il Moldavo,
dopo che quest’ultimo aveva invaso con 10-12.000 uomini la regione polacca
della Pocuzia ed era stato sconfitto nel 1531 a Obertyn da Jan Tarnówski[20].
Il figlio del doge prese a cuore la questione: forse aveva nell’animo la
segreta intenzione di tenere la Moldavia per sé o per l’amico Laski o per lo
stesso re Giovanni, dal quale avrebbe ricevuto in cambio la corona d’Ungheria.
L’appoggio negato da Gritti al principe romeno gli
costò caro già nel corso del suo viaggio per l’Ungheria del 1532,
allorché il veneziano riuscì a malapena a evitare un’imboscata tesagli
da 15.000 soldati moldavi e fu costretto a rientrare precipitosamente a
Târgoviºte. L’astuto e opportunista voivoda Pietro Rareº, non essendo riuscito
a sbarazzarsi del figlio del doge, di cui tra l’altro si diceva volesse deporre
il principe romeno per impossessarsi del suo voivodato, temendo la reazione sua
e della Porta, ritenne allora conveniente inviare suoi ambasciatori nella
capitale valacca per omaggiare con doni importanti il governatore ungherese
“offerendogli appresso se medesimo et il suo potere”. Gritti
contraccambiò i regali con “quattro bellissimi cavalli turchi […] molte
cere bianche lavorate […] zuccheri fini, et […] molte belle vesti d’oro et di
seta”[21].
Anzi, riuscì a ottenere dal principe romeno 3.000 uomini che avrebbe
utilizzato nell’assedio di Esztergom dell’agosto del 1532 insieme con 3.000
soldati valacchi[22].
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Sennonché, due anni dopo il fallimento dell’imboscata sui
Carpazi, Pietro Rareº non avrebbe mancato di approfittare dell’occasione
offertagli dalla rivolta transilvana organizzata dal vescovo di Várad Imre
Czibak, dal seclero Gotthárd Kun e dal signore di Fogaras (Fãgãraº) István
Maylád[23]
per sbarazzarsi dell’ingombrante governatore d’Ungheria, di cui si sospettavano
e si temevano sempre più le mire ambiziose non solo sul Regno
d’Ungheria, ma anche sui due principati romeni[24].
A Brassó, Gritti instaurò una piccola signoria dispotica, esigendo che
tutti i nobili e i magistrati locali gli andassero incontro a omaggiarlo come
rappresentante del sultano; tenne in prigione il cittadino sassone Johann
Schirmer senza alcuna motivazione, ma solo per dimostrare anche lui il suo
potere e la sua forza[25].
Quando Ludovico Gritti arrivò a Brassó, tutta la Transilvania era allora
in gran subbuglio. Ci sono testimonianze – almeno per quanto riguarda la
città di Szeben – che all’inizio del 1534 i prezzi dei generi alimentari
erano addirittura sestuplicati e molti abitanti della città erano stati
costretti a emigrare: l’aumento dei prezzi giustificherebbe quindi la rivolta
popolare che avrebbe portato all’uccisione di Ludovico Gritti. L’anno
precedente era stato anche segnato dalle esondazioni dei fiumi della
Transilvania[26]. Agostino
Museo, precettore del figlio di Gritti, Antonio, aveva riscontrato dappertutto
un gran fermento nell’attraversare la Transilvania nel corso del suo viaggio da
Buda a Brassó: a Várad, in particolare, aveva notato che tutti i contadini
erano armati con fucili e lance nuove di zecca, che ricevevano gratuitamente
dal vescovo di Várad, Imre Czibak. Nessuno celava il progetto del complotto
organizzato contro Gritti[27].
L’organizzazione, anche sotto la luce del sole, dell’insurrezione transilvana
è senz’altro da mettere in relazione con il calo dell’autorità
goduta da Gritti presso la Porta, calo di cui gli Ungheresi erano venuti a
conoscenza molto verosimilmente tramite Cornelius Schepper, che l’8 luglio, di
ritorno da Costantinopoli, si era fermato a Buda alla corte del re Giovanni,
prima di raggiungere quella asburgica a Praga[28].
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Anche il voivoda di Moldavia Pietro Rareº, ormai pronto a
passare dalla parte di Ferdinando I d’Asburgo, si era accordato con István
Maylàd e aveva inviato un’ambasceria a Szeben per aizzare i suoi
abitanti contro il governatore d’Ungheria: aveva progettato un piano secondo
cui, simulando di correre in aiuto a Gritti, sarebbe disceso in Transilvania e
lo avrebbe catturato e fatto assassinare. Sennonché gli abitanti di Szeben
diffidavano della lealtà di Pietro Rareº, al pari di quella di Gritti[29].
Ambiguo fu anche il comportamento del principe valacco, che, pur tenendosi in
contatto con i ribelli transilvani, non prese però decisa posizione al
loro fianco: informato per tempo da István Maylád che le tre “nazioni”
transilvane erano insorte contro il governatore, si era limitato a mandare un
suo messo al campo degli insorti. Vlad Vintilã non voleva forse suscitare la
reazione dei sangiacchi turchi che confinavano con le sue terre, i quali
d’altro canto si erano già da tempo dichiarati estranei al conflitto[30].
Come detto, l’uccisione del vescovo Imre Czibak da parte
dei grittiani fece precipitare gli eventi facendo deflagrare la rivolta
transilvana: chiuso nella città di Medgyes e stretto dall’assedio d’un
grosso esercito moldavo-valacco-transilvano, Gritti non disperava però di
essere liberato dallo stesso Pietro Rareº, perché ignorava che il voivoda aveva
complottato con lo stesso Czibak la sua eliminazione. Seguiamo gli ultimi
momenti della vita del Gritti, focalizzando l’attenzione sui suoi contatti col
voivoda moldavo. Vistosi perduto – racconta Francesco della Valle[31],
Gritti mandò un soldato turco “vestito da moldavo” a trattare la
salvezza dei suoi due figli, Antonio e Pietro, col capitano degli uomini di
Pietro Rareº, Hurul. I suoi figli furono quindi condotti nel campo dei Moldavi,
nei quali il veneziano, ingenuamente, riponeva ancora piena fiducia. Sennonché,
gli stessi suoi soldati ungheresi aprirono le porte della città agli
invasori, dopo che erano stati da loro tranquillizzati che avrebbero avuto
salva la vita. I soldati ottomani furono trucidati da quelli moldavi e dagli
stessi fanti ungheresi di cui fino a un momento prima erano stati compagni
d’arme. Un servitore consigliò al figlio del doge, tra l’altro
febbricitante, di consegnarsi agli ungheresi anziché ai moldavi; il veneziano
però confidava ancora nel salvacondotto che gli era stato rilasciato dal
capitano Hurul. La lettera, compilata in latino, recita testualmente: “Signor
Gritti, uscite sicuro coi vostri figli, con la vostra roba, coi vostri servitori
e con quant’altri vi piaccia, perché noi vi promettiamo in nome di Dio, della
Vergine Maria, per i quattro elementi, per il pane, per il vino, per la nostra
scimitarra, che sarete al sicuro e verrete accompagnato dove vorrete voi. In
fede di questa promessa v’inviamo la presente lettera col sigillo di Pietro il
Moldavo”. Uscito dalla città, Gritti fu raggiunto da un cavaliere
moldavo, che gli sferrò un pugno sulla spalla e gli tolse il berretto di
zibellini; fu proprio il provvidenziale intervento del suo ciambellano,
Francesco della Valle, a salvarlo da morte certa. Alfine fu catturato e
decapitato: la sua testa venne
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consegnata
a Pietro Rareº come trofeo; il suo corpo fu invece sepolto nella chiesa di S.
Francesco di Medgyes.
La versione di Tranquillo Andronico conferma grossomodo
quella precedenti[32].
Gritti, vistosi abbandonato dai suoi uomini, uscì dalla città coi
figli, con alcuni servitori e con le sue guardie del corpo, dopo aver mandato
un messo al capitano dei Moldavi con la proposta di consegnarsi a loro se fosse
stata garantita la vita a lui e ai figli. I Moldavi accettarono la proposta, ma
non mantennero la promessa di assicurare al veneziano e ai suoi salva la vita:
Gritti fu decapitato per ordine di Ferenc Kendi e la sua testa fu inviata al
principe Pietro, il suo cadavere fu orribilmente mutilato: il cuore fu estratto
dal petto, le mani, i piedi e le singole dita furono amputati e spediti in
varie città dell’Ungheria. Gotthárd Kun inumò pietosamente ciò
che restava del corpo del figlio del doge.
Paolo Giovio conferma che Gritti tenne “pratica segreta”
con Pietro il Moldavo perché lasciasse passare lui e i suoi figli indenni. Alla
fine, ingannato dagli stessi soldati moldavi, fu raggiunto da Ferenc Kendi, che
con un urlo “carico di villania” gli si scagliò addosso togliendogli dal
capo il berretto di zibellini. Gritti, fiaccato dalla malattia, non oppose
resistenza alla cattura; fu quindi condotto al cospetto del comandante supremo
István Maylád, che non volle ascoltare la sua dichiarazione di discolpa ed
estraneità alla morte di Imre Czibak e lo restituì a Ferenc
Kendi, il quale con una grande spada gli mozzò la testa[33].
Sulla sorte dei figli di Gritti, che, dopo l’eccidio di
Medgyes, non furono più rivisti, circolarono le notizie più
disparate. Secondo alcune testimonianze, essi furono decapitati assieme allo
stesso padre e a János Dóczy; secondo altre fonti, essi finirono nelle mani di
Pietro Rareº il quale prima attese invano il riscatto da parte del loro nonno,
il doge di Venezia, poi li trucidò: Pietro fu fatto annegare, Antonio fu
decapitato; pochissimi ritenevano invece che si fossero salvati. Anche secondo
altre fonti, i due figli del governatore furono condotti in Moldavia e fatti
trucidare dall’efferato voivoda[34].
Nell’estate del 1536, il sultano Solimano il Magnifico
mosse guerra a Pietro Rareº, reo non solo di non aver corrisposto il tributo
annuale alla Porta, ma anche di aver partecipato alla spoliazione dei tesori di
Gritti e di esser poi passato dalla parte di Ferdinando I d’Asburgo. Era
opinione diffusa che gli Ottomani avessero dichiarato guerra alla Moldavia dopo
i fatti di Medgyes anche per vendicare la morte di Ludovico Gritti e dei suoi
figli[35];
in realtà, l’attacco alla Moldavia doveva servire per limitarne
l’autonomia del suo voivoda. La guerra finì col bando di Pietro Rareº,
il quale trovò rifugio presso Giovanni Zápolya, che non lo avrebbe
però mai estradato nonostante le sollecitazioni del sultano. Ma Pietro
Rareº riconquistò ben presto il trono perduto, e nel 1541 fu impiegato
dallo stesso sultano per la cattura di István Maylád, suo ex alleato, il quale
fu alla fine condotto in prigionia a Costantinopoli, dove morì nel 1550[36].
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Annuario 2004-2005
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Istituto Romeno’s Publications
* Conferenza tenuta presso l’Istituto Romeno di Cultura e
Ricerca Umanistica di Venezia il 16 novembre 2004.
[1] Su Ludovico Gritti si veda il libro di Gizella Nemeth
Papo, Adriano Papo, Ludovico Gritti. Un
principe-mercante del Rinascimento tra Venezia, i Turchi e la Corona d’Ungheria,
Mariano del Friuli (GO) 2002.
[2] Cfr. Benedetto Ramberti, Delle cose de’ Turchi. Libri
tre, Bernardin Milanese, Venetia 1541, libro III, c. 35r; e
anche Elda Martellozzo Forin, Note
d’archivio sul soggiorno padovano di studenti ungheresi (1493-1563), in Venezia e Ungheria nel Rinascimento, a
cura di Vittore Branca, Firenze 1973, pp. 245-260.
[3] Cfr. G. Nemeth Papo, A. Papo, La presunta apostasia di Ludovico Gritti e le sue aspirazioni alla
corona magiara, in “Transylvanian Review”, VIII, no. 4, 1999, pp. 109-131;
gli autori del saggio hanno smentito con prove anche oggettive la supposta
conversione di Gritti alla religione islamica.
[4] Sul tributo Cfr. Francesco della Valle, Una breve narracione della grandezza,
virtù, valore, et della infelice morte dell’Illustrissimo Signor Conte
Alouise Gritti …, a cura di Iván Nagy, in “Magyar Történelmi Tár”, III,
1857, pp. 9-60: p. 37.
[5] Cfr. Aurel Decei, Aloisio
Gritti în slujba Sultanulni Soliman Kanunî, dupã unele documente turceºti inedite (1533-1534) [Aloisio Gritti
al servizio del sultano Solimano il Legislatore, sulla base di alcuni documenti
turchi inediti], in “Studii ºi
materiale de istorie medie”, VI, 1974, pp. 101-160: pp. 143-155.
[6] Cfr. Henrik Kretschmayr, Schepper C. D. konstantinápolyi követ naplótöredéke 1533. év’l
[Frammenti del diario dell’ambasciatore a Costantinopoli C. D. Schepper
dell’anno 1533], in Adalékok Szapolyai
János király történetéhez [Contributi alla storia del re Giovanni Zápolya],
in “Történelmi Tár”, 1903, pp. 36-66: p. 56.
[7] Cfr. A. Decei, op.
cit., p. 56; Ion Ursu, Die auswärtige
Politik des Peter Rares, Fürst von Moldau (1527-1538), Vienna 1908, pp.
105-106; i piani di Gritti per la Valacchia sono confermati da quanto riportato
nella Vapovii
(Wapowski) Bernardi Chronica, trascritta
negli Scriptores Rerum Polonicarum, vol.
II, Cracovia 1874, p. 253. Sull’investitura di Gritti a voivoda di
Valacchia da parte del sultano Cfr. la lettera del signore de Baïf al
vescovo d’Auxerre, Venezia, 20 dicembre 1532, in Négotiations de la France dans le Levant, a cura di Ernest
Charrière, Parigi 1848, p. 237.
[8] Cfr. G. Nemeth Papo, A. Papo, op. cit., p. 32.
[9] Cfr. Tranquilli
Andronici Dalmatae Traguriensis de Rebus in Hungaria Gestis ab Illustrissimo et
Magnifico Ludovico Gritti Deque eius Obitu Epistola, a cura di Florio
Banfi, in “Archivio Storico per la Dalmazia”, IX, vol. XVIII, no. 105, 1934,
pp. 417-468: pp. 455-456.
[10] Cfr. B. Martgreb a M. Pemfflinger, Szeben, 27 aprile
1534, in Friedrich Schuller, Urkundliche
Beiträge zur Geschichte Siebenbürgens von der Schlacht bei Mohács bis zum
Frieden von Grosswardein. Aus dem k. u. k. Hof-, Haus- und Staatsarchiv in Wien,
in “Archiv des Vereins für Siebenbürgische Landeskunde”, nuova serie, XXVIII,
1898, pp. 441-581: doc. 157, pp. 574-576.
[11] Cfr. Istvanfii
Nicolai Pannoni Historiarum De Rebus Ungaricis Libri XXXIV, Colonia
Agrippina 1622, ed. Historia Regni
Hungariae, post obitum gloriosissimi Matthiae Corvini regis, a quo apostolicum
hoc regnum Turcarum potissimum armis barbare invasum, Libris XXXIV, Vienna
1758, pp. 122-123.
[12] Cfr. J. Zalay Kerecsényi [de Kerhen] a Ferdinando I,
Gyalu, 24 agosto 1534, in F. Schuller, op.
cit., pp. 508-640: doc. 172, pp. 518-520.
[13] Cfr. F. della Valle, op.
cit., p. 37.
[14] Cfr. Delle Istorie
del suo tempo di Mons. Paolo Giovio da Como, vescovo di Nocera, tradotte da M.
Lodovico Domenichi, parte II, Altobello Salicato, Vinegia 1572, p. 304.
Sull’incontro con Pietro Rareº Cfr. anche György Pray, Annales Regum Hungariae, parte V, Vindobonae 1770, p. 265.
[15] Cfr. E. Thurzó a Ferdinando I, Sempte, 24 luglio 1534,
in Eudoxiu di Hurmuzaki, Documente
privitoare la istoria românilor [Documenti concernenti la storia dei
Romeni], vol. II/1, Bucarest 1891, doc. 61, pp. 87-88.
[16] Cfr. il già citato rapporto di Gritti del 6
agosto 1534; J. Zalay Kerecsényi praticamente conferma il fatto secondo cui
Vlad, riappacificatosi con Gritti, gli accordò, per la continuazione del
viaggio, una scorta di 300 cavalieri, che andarono ad aggiungersi ai 500
cavalieri ottomani e agli 800 giannizzeri del suo seguito.
[17] Cfr. F. Schuller, Urkundliche
Beiträge cit., in “Archiv
des Vereins für Siebenbürgische Landeskunde”, n. s., XXIX, 1899, doc. 168, pp.
514-515.
[18] Cfr. H. Kretschmayr, Gritti
Lajos, 1480-1534 [Luigi Gritti, 1480-1534], in “Magyar Történelmi
Életrajzok”, XVII, 1901, pp. 149-151.
[19] Cfr. Kilian Leib, Historiarum
sui temporis ab anno 1524 usque ad annum 1548. Annales, in J. J. Ignaz von Döllinger, Beiträge zur politischen, kirchlichen und Culturgeschichte der sechs
letzten Jahrhunderten, vol. II, Regensburg 1863, pp. 445-611: pp. 588-589.
[20] Cfr. E. di Hurmuzaki, Documente cit., vol. I, suppl.
II, Bucarest 1893, docc. 21-23, pp. 54-65; secondo Nicolae Iorga, Geschichte des osmanischen Reiches nach den
Quellen, vol. II, Gotha 1909, p. 422, Pietro Rareº si sarebbe in seguito
vendicato di Gritti proprio perché non era stato da lui appoggiato presso la
Porta in occasione del contenzioso con la Polonia, organizzando la cospirazione
che lo avrebbe portato al patibolo di Medgyes.
[21] Cfr. F. della Valle, op.
cit., pp. 23-24.
[22] Cfr. Marino Sanuto,
I Diarii, vol. LVI, a cura di Rinaldo Fulin et alii, Venezia 1879-1903, pp. 828-831 e pp. 982-983; erroneamente
il Sanuto chiama Pietro Rareº, Stefano Carabogdano.
[23] In particolare su István Maylád Cfr. Ioan–Aurel Pop, ªtefan Mailat ºi Þara Fãgãraºului
[Stefano Mailat e il paese di Fãgãraº], in “Mediaevalia Transilvanica”, II, no.
2, 1998, pp. 239-244.
[24] Sulle aspirazioni di Gritti alla corona d’Ungheria e ai
troni dei due principati romeni si veda il saggio già citato di G.
Nemeth Papo, A. Papo, La presunta
apostasia cit., passim.
[25] Cfr, la lettera del borgomastro di Szeben a Ferdinando
I, Szeben, 15 agosto 1534, in Collection
des Voyages des Souverains des Pays-Bas [Collection de Chroniques Belges Inedites], vol. III, a cura di Louis–Prosper
e Charles Piot, Bruxelles 1881, doc. 53, pp. 554-555.
[26] Sulla grave situazione economica della Transilvania nel
1534 Cfr. l’annotazione riportata da Michele Sigleri nella sua cronaca: Michaelis Sigleri Chronologiae rerum
hungaricarum, transilvanicarum, et vicinarum regionum, Cibinii 1572, in
Matthias Bel, Adparatus ad historiam
Hungariae, sive collectio miscella, Monumentorum ineditorum partim, partim
editorum, sed fugientium, Posonii 1735, p. 69: “Magna annonae caritas in
Transsilvania. Cibinii modius tritici tribus et dimidio floreno venditur. Anno
sequente modius tritici denariis quatuordecim emitur”.
[27] Cfr. Fr. Augustini
Musei Tarvisini Constitutio sive Interrogatio a Mareschalco Caesariae
Maiestatis sibi et socio Petro Cremensi post facta suum de Buda in Viennam
reditum Anno 1535, a cura di I. Nagy, in “Magyar Történelmi Tár”, III,
1857, pp. 75-81: pp. 64-65.
[28] Cfr. Ferdinando I a Bernardo di Cles, Praga, 16 luglio
1534, in Urkunden und Actenstücke zur Geschichte
der Verhältnisse zwitschen Österreichs, Ungarns und der Pforte. Gesandschaft
König Ferdinands I an Sultan Suleiman I, vol. II/2, a cura di Anton Gévay,
Vienna 1838-1842, doc. 39, pp. 141-142.
[29] Cfr. M. Armbruster a Ferdinando I, Szeben, 20 aprile
1534, in F. Schuller, Urkundliche
Beiträge cit., in “Archiv
des Vereins für Siebenbürgische Landeskunde”, n. s., XXVIII, doc. 155, pp.
570-571.
[30] Cfr. Quellen zur
Geschichte der Stadt Kronstadt in Siebenbürgen, vol. II, Rechnungen aus dem Archiv der Stadt
Kronstadt, Kronstadt [Braºov] 1889, p. 366 e p. 370.
[31] Cfr. F. della Valle, op.
cit., pp. 45-49.
[32] Cfr. T. Andronico, op.
cit., p. 464.
[33] Cfr. P. Giovio, op.
cit., pp. 310-311.
[34] Sulla fine incerta dei figli di Gritti Cfr. F. della
Valle, op. cit., p. 52.
[35] Ne è consapevole anche il F. della Valle, op. cit., p. 52.
[36] Cfr. Béla Majláth, Majlád
István, Budapest 1889, pp. 80-114.