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Istituto Romeno’s Publications
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2004-2005
p. 185
Ioan–Aurel Pop,
Università degli Studi “Babeº-Bolyai” di
Cluj-Napoca/
Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di
Venezia
Nella metà del XVI secolo, la situazione interna e
la posizione internazionale della Transilvania mutarono radicalmente, con la
fondazione del principato, nato in seguito al crollo del Regno d’Ungheria[1].
Sul piano interno, i cambiamenti furono dovuti innanzitutto alla penetrazione e
al successo tra gli stati (gruppi privilegiati o nazioni politiche) del paese
delle correnti della Riforma religiosa, ma anche all’avvio di un processo di
formazione e di affermazione dei sentimenti nazionali moderni, attraverso la
trasformazione graduale delle nazioni politiche in comunità etnico-nazionali[2].
Di grande portata furono anche i cambiamenti riguardanti lo statuto politico
internazionale del paese, nella fase in cui si assisteva alla dissoluzione
dell’Ungheria storica e dell’aumento della rivalità asburgo-ottomane per
il controllo dell’eredità ungherese. Benché avesse la propria
individualità storica e uno statuto di autonomia – come la Croazia e la
Slavonia , che erano fondate su un’evoluzione storica ed etnica distinta –,
fino al 1541 la Transilvania fece parte (terra,
regnum) del Regno d’Ungheria, essendo
governata da un voivoda (dignitario
incaricato dal sovrano ungherese a svolgere tale carica). In seguito alla
caduta del regno, dopo il disastro di Mohács, l’ex-voivodato cambiò
sostanzialmente il suo statuto politico e territoriale e diventò principato
autonomo (quasi indipendente), riconoscendosi vassallo del sultano ottomano[3]
(con uno statuto, nei rapporti politici con la Porta, simile a quello della
Valacchia e della Moldavia[4]).
Esso possedeva, inoltre, una superficie e una popolazione all’incirca due volte
più consistenti rispetto ai tempi del voivodato. D’ora in poi, si
può dire che la Transilvania si stacca dal mondo medievale e diventa, in
un certo senso, uno stato moderno anzitempo, con una organizzazione propria e
con una superficie di circa 100.000 km quadrati. In altre parole, dalla
metà del secolo XVI, la Transilvania non è più la
provincia inter-carpatica dei sette comitati nobiliari tradizionali, con le
terre dei sassoni e dei secui/sekleri comprese, bensì vi si aggiunse il Partium (le “parti occidentali”,
staccati della vera e propria Ungheria), vale a dire il Banato (occupato
però
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in
gran parte dagli ottomani nel 1552), la Criºana ed altre zone (Sãtmar, Ung,
Bereg, Ugocea e Maramureº ecc.). A partire da quel momento s’impose questa
nozione larga del nome della Transilvania, usata anche oggi.
Naturalmente, le grandi trasformazioni menzionate non
avvennero tutte insieme nel 1541[5].
I confini del paese si stabilizzarono con molta difficoltà tra ovest e
nord-ovest (se mai si potranno ritenere stabili!); in certe fasi, grandi zone
del Partium furono effettivamente
controllate dagli austriaci o soggette al dominio diretto degli Ottomani.
D’altra parte, lo statuto internazionale del paese, in quanto principato
vassallo della Porta, fu sempre tema di dibattito e contestazioni da parte
degli Asburgo, che imposero la loro autorità, talvolta temporaneamente,
sulla Transilvania, ancor prima che lo facessero in maniera definitiva nel 1688
(fino al 1918). Una siffatta totale occupazione del principato transilvano –
diventato di recente tributario al sultano – da parte degli Asburgo si
verificò tra il 1551 e il 1556[6].
A quei tempi, all’inizio della seconda metà del XVI secolo, non era
affatto chiaro quale sarebbe stata la sorte della Transilvania. La
rivalità tra gli Ottomani e gli Asburgo per il dominio dell’Ungheria e
del suo patrimonio politico aveva degli antecedenti storici e, dopo la vittoria
della Porta a Mohács (1526), ossia in seguito al “disastro” ungherese di
Mohács, le due potenze si scontravano annualmente, ingaggiando anche dei
violenti combattimenti per il controllo d’ogni lembo di terra. Dopo che gli
Ottomani occuparono l’Ungheria Centrale e gli austriaci s’impossessarono
dell’ovest del paese, il che avvenne negli anni 1541 e 1542, la Transilvania
(l’est dell’ex-Ungheria) continuò ad essere oggetto di controversie e
campo di battaglia tra le truppe di Ferdinando d’Asburgo e gli eserciti di
Solimano il Magnifico[7].
Alla contesa per la Transilvania non erano interessati solo i protagonisti,
bensì anche altre potenze europee come la Polonia, la Francia, la Spagna
e perfino la Russia. Tra gli Stati della Penisola italiana, Venezia continuava
ad avere il ruolo più importante nella parte orientale dell’Europa,
nell’Impero Ottomano, nel Levante, e anche nei rapporti con gli Asburgo. La
Serenissima confinava con i territori ottomani e austriaci, svolgendo ancora un
ruolo notevole nel commercio levantino; di conseguenza, lo scontro tra le due
grandi potenze incombeva direttamente sui suoi interessi strategici. Per
questo, i baili veneziani a Costantinopoli seguivano con attenzione, in modo
diretto, ma anche tramite le notizie fornite da terzi, la situazione
dell’Europa Centro-Orientale e gli sviluppi del problema transilvano. Essi
informavano accuratamente i vertici politici della Repubblica (il doge, il
Senato, il Consiglio dei Dieci) sulle mosse dei protagonisti dello scontro
politico-militare per il dominio della
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Transilvania.
Le informazioni raccolte erano per lo più il risultato di azioni di
spionaggio; le più importanti erano trasmesse per via cifrata, usando
cifrari che venivano cambiati periodicamente. Gli archivi veneziani hanno
conservato cospicui dati di tal genere, risalenti agli anni in cui gli Asburgo
si erano impadroniti della Transilvania, cioè al periodo 1551-1556. Per
conoscere la sostanza degli eventi politici abbozzati nei dispacci dei
rappresentanti diplomatici veneti, occorre un breve excursus delle principali
vicende collegate alla contesa ottomano-asburgica per il controllo della
Transilvania.
Dopo la morte di Giovanni Zápolya, la Porta riconobbe
quale principe della Transilvania Giovanni Sigismondo Zápolya (il figlio
minorenne del defunto voivoda e re), sotto la reggenza di sua madre, Isabella[8],
ma il potere effettivo fu conferito al vescovo-tesoriere Martinuzzi ovvero
“Fra’ Giorgio” – come veniva solitamente chiamato questo prelato e uomo
politico di origine croata. La Dieta della Transilvania approvò tale
situazione, riconoscendo anche la sovranità del sultano, di cui il
principe si rese vassallo.
Ovviamente, l’imperatore non si accontentò del
nuovo ordine politico e riuscì ad attirare dalla sua parte persino il
governatore Martinuzzi. Questi consolidò sempre più il suo potere
e la sua posizione nella Transilvania, spianando la strada alla dominazione
asburgica. Tuttavia, l’imperatore Carlo V, artefice di una politica mondiale e
padrone di un mondo nel quale “il sole non tramontava mai”, trovò modo
di concludere, il 19 gennaio 1547, una nuova pace – valida per cinque anni –
con la Porta Ottomana, accettando pure il pagamento di un tributo annuo di
30.000 monete d’oro al sultano. In tali condizioni, le speranze di suo fratello
– Ferdinando d’Asburgo – di mettere le mani sulla Transilvania, come egli cercava
di fare sin dal 1526, sembravano sempre meno probabili. Un impulso ai progetti
di Ferdinando fu dato, però, dall’atteggiamento di Martinuzzi, il quale,
insieme con gli stati politici transilvani, si era opposto alla sottoscrizione
della pace del 1547 con gli Ottomani, offrendo la Transilvania agli imperiali e
chiedendo aiuto militare immediato. Nel 1548, quindi, il paese fu ceduto agli
Asburgo, mentre il figlio di Giovanni Zápolya e sua madre ebbero in compenso i
principati silesiani di Oppeln e Ratibor e alcune rendite vitalizie. Anche
Martinuzzi, a sua volta, fu profumatamente ricompensato per la parte svolta:
egli, infatti, divenne arcivescovo di Strigonium (Esztergom) e cardinale in spe.
Spettava alla Porta reagire, poiché essa stava pianificando
da tempo la rimozione di Giorgio Martinuzzi e perciò, rispondendo
tempestivamente alle richieste di Pietro Petrovici, il governatore del comitato
di Timiº, e della regina Isabella, spedì le sue truppe in Transilvania.
Le truppe capeggiate dal pascià di Buda, da Pietro Petrovici e dai
principi di Valacchia (Mircea il Pecoraio) e di Moldavia (Iliaº Rareº)
attaccarono Martinuzzi (1550), il quale, però, resistette. A situazione
indecisa, Ferdinando prese i provvedimenti necessari per assicurarsi l’occupazione
della Transilvania: nell’estate dell’anno 1551, un esercito di mercenari, sotto
il comando dell’italiano Giambattista Castaldo, costringeva Giovanni Sigismondo
Zápolya – il quale otteneva il principato di Oppeln – a rinunciare al trono a
favore di Ferdinando. Martinuzzi gradì la dignità di voivoda
della Transilvania, nonché il promesso titolo di cardinale. Sembrava al colmo
della gloria, quando, sospettato di tradimento per aver cercato di
temporeggiare la reazione contro gli Ottomani, fu assassinato
p. 188
(dicembre
1551) da Castaldo, cui Ferdinando aveva dato pieni poteri. Questo violento
episodio segnò l’avvio della dominazione asburgica nella Transilvania,
protrattasi fino al 1556. Il nuovo regime non era gradito dalla popolazione e
dalla stragrande maggioranza dell’élite
politica, a causa delle requisizioni, della fiscalità eccessiva, delle
rapine a mano armata, dell’arroganza di Castaldo. Nel 1552, la mancata reazione
da parte delle truppe imperiali stanziate in Transilvania favorì
l’occupazione della maggior parte delle fortezze di Banat dalla parte degli
Ottomani, e quindi la trasformazione di una grande porzione di questa area (la
fortezza di Timiºoara compresa) in pascialato. Gli stati transilvani, seppur
scontenti, riuniti in dieta a Cluj (Klausenburg, Kolozsvar), porsero giuramento
di fedeltà a Ferdinando d’Asburgo. Il malcontento della nobiltà
transilvana riguardava, in fin dei conti, la persona di Castaldo, che fu
obbligato a lasciare la Transilvania nella primavera del 1553. La Porta seguiva
la situazione con la massima attenzione, sfruttandola a suo favore. Giovanni
Sigismondo Zápolya e sua madre erano appoggiati, dall’esterno, non solo dal
sultano, ma anche dalla Francia, godendo di un supporto politico interno sempre
più forte, animato con abilità da Pietro Petrovici. Cercando di
consolidare il suo controllo sulla Transilvania, Ferdinando d’Asburgo
conferì la carica di voivoda a Francisc Kendy e ªtefan Dobó (maggio
1553) e investì un nuovo vescovo, Paul Bornemisza, ad Alba Iulia. Questi,
tuttavia, non erano che provvedimenti palliativi, che non furono in grado di
arginare le azioni antiaustriache: la ribellione armata dei sekleri, l’appello
della Dieta al principe Mircea il Pecoraio affinché egli facesse da tramite in
un’intesa con Solimano il Magnifico (giugno 1553), l’invio di messaggeri al sud
e ad est dei Carpazi, per compromettere il regime imposto dagli imperiali. Il
sultano, trattenuto dal conflitto con la Persia, ma sotto la spinta della
partita “del figlio del re Giovanni” e persino dall’ambasciatore della Francia
a Costantinopoli, decise di agire solo nell’autunno del 1555, ordinando ai
beylerbey di Rumelia e a quelli di Buda e Timiºoara, come anche ai principi
della Valacchia e della Moldavia, di preparare la campagna militare per
scacciare gli imperiali e per insediare di nuovo Giovanni Sigismondo Zápolya
nella Transilvania. All’inizio del 1556, le forze locali capeggiate da Pietro
Petrovici e quelle dei principi di Valacchia (Pãtraºcu il Buono) e di Moldavia
(Alessandro Lãpuºneanu) scacciarono gli imperiali dalla Transilvania e
riportarono sul trono Giovanni Sigismondo, in quanto vassallo del sultano. Gli
Asburgo non sarebbero più ritornati ad impossessarsi della Transilvania,
se non dopo l’assedio di Vienna del 1683.
Dalla sua posizione neutrale, la Serenissima seguì
con attenzione tutti questi sviluppi e il Consiglio dei X oppure il Consiglio
dei Dieci[9],
tramite i suoi tre capi eletti mensilmente (Capi del Consiglio dei Dieci), era
a conoscenza degli avvenimenti riguardanti la Transilvania. Le fonti dei baili
erano di prima mano, secondo quanto si può intendere da una lettera
autografa redatta nel febbraio 1553[10],
nel quartiere Pera di Costantinopoli,
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da Domenigo Trivisan, bailo; questi
riferiva al doge e ai Capi del Consiglio dei Dieci che era stato visitato da Zuan Miches (Giovanni Mikes) – nome
redatto in dialetto veneziano come d’altronde l’intera lettera. Il bailo fa
sapere di aver discusso di molte cose,
ma sottolinea la qualità dell’ospite, venuto allora a “fare riverenza” a
lui, inviato del doge (ministro di Vostra
Serenità), non in quanto servo del sultano, come era stato prima
questo Mikes, bensì in quanto uomo dell’imperatore cristiano (al servitio della maiestà
christianesima). Trivisan aggiunge che Mikes sperava di riconquistare la
grazia del doge, per mezzo di servizi utili alla Serenissima. Fu con tali
uomini e tali mezzi, normali per il mondo diplomatico di un certo livello, che
i baili veneziani a Costantinopoli entrarono in possesso di alcuni documenti che
furono il più delle volte inviati quale copie (alcune cifrate) alle
autorità della Repubblica veneta.
La prima copia che riportiamo in extenso nell’appendice (doc. 1) è la riproduzione di una
lettera che Ferdinando d’Asburgo indirizza al sultano Solimano il Magnifico,
chiamato dal mittente, in modo cortese, “vicino e confederato”. In questa
epistola viene espresso il desiderio di rinnovare la pace tra i due Stati,
ultimamente interrotta a causa delle controversie transilvano-ungheresi. Per
questo motivo, il sovrano romano-germanico chiese al sultano di rilasciare
lettere di libero passaggio (salvacondotti) e di sicurezza, affinché il suo
messaggero o i suoi delegati potessero trattare le condizioni di pace. E perché
i detti inviati arrivassero a negoziare più facilmente – continua
Ferdinando – egli aveva inviato alcune lettere al sultano, nella capitale
dell’Impero Ottomano, attraverso Buda e Timiºoara, con la richiesta di
acconsentire ad un armistizio di almeno sei mesi, però senza ricevere
alcuna risposta. Il sovrano cristiano si vantava ancora del possesso della
“nostra provincia transilvana”, ottenuta non per inganno o con l’oppressione
degli abitanti di quel paese né per avanzare dubbi circa il “diritto ungherese”
del sultano, bensì in quanto parte di quel Regno ungherese spettante
agli Asburgo. Per questa ragione, Ferdinando aveva trattato e si era accordato,
in via amichevole, con il re Giovanni Zápolya e poi di nuovo con la regina
Isabella e “il suo molto illustre figlio”, nonché con il defunto “fra Giorgio”
e con Pietro Petrovici, affinché cedessero a lui la provincia per
volontà propria e liberi da ogni vincolo, pur accettando la riconferma
del pagamento del tributo al sultano. Quindi Ferdinando d’Asburgo ricorda di
aver mandato alla Porta i 30.000 ducati annui ecc. e di essere desideroso di
inviare i suoi messaggeri per trattare i termini della nuova pace.
Come risposta (doc. 2) alla lettera ricevuta, Solimano
scrive a Ferdinando, dimostrando la sua disponibilità ad analizzare le
proposte di pace, rassicurandolo che in tal senso aveva ordinato l’avvio del
dialogo con gli imperiali, sia tramite il pascià di Buda, sia tramite
quello di Timiºoara. Il sultano confermava il rilascio del salvacondotto
richiesto per quel tale messaggero e quindi questi poteva venire indisturbato a
Costantinopoli, poiché i suoi “governatori” posti ai confini o sul tragitto
erano stati avvisati di riceverlo con onore e di condurlo in salvo a
Costantinopoli. In un’altra epistola (quasi simultanea alla precedente, il doc.
3), il sovrano ottomano scriveva a Ferdinando che gli inviati di quest’ultimo –
Antonius Verantius (Verancsics), vescovo di Pécs e Franciscus Zaicum – erano
arrivati alla Porta con il messaggio di pace, ma il problema della
Transilvania, da loro riaperto,
p. 190
era
già stato chiarito in passato attraverso altri scambi di messaggeri[11];
quindi il sultano aveva assegnato il principato al giovane Giovanni Sigismondo
Zápolya, riconoscendo tuttavia agli Asburgo quella parte del territorio che
aveva occupato, purché pagasse regolarmente il tributo annuo dovuto al sultano.
A questo scambio di lettere tra i due sovrani, segue una
cosiddetta “petizione” dei “miseri abitanti della Transilvania” (di fatto,
degli stati o “nazioni” del principato, ovvero, più esattamente, dell’ampio
gruppo nobiliare che si opponeva a Ferdinando d’Asburgo) indirizzata al sultano
il 10 agosto 1553 (doc. 4). Risulta che, nel frattempo, il sultano aveva
scritto agli stati, concedendo “la sua pietà” all’orfano regale e a sua
madre, Isabella, e intimando nuovamente a questi “compassionevoli abitanti” di
appoggiare il legittimo erede al trono del principato. Di seguito, gli stati
rispondevano di voler sottomettersi di tutto cuore all’imperatore turco e
servirlo, così come dimostravano piena fedeltà nei confronti del
figlio del defunto Giovanni Zápolya e di sua moglie, Isabella, poiché
percepivano l’accrescersi del potere del sultano e l’estensione dell’Impero
Ottomano come prova indubbia della volontà di Dio. Per iscritto, nella
suddetta lettera, gli stati transilvani, che si autodenominavano “schiavi e
servi sventurati ed indegni” del sultano, si prostravano umilmente ai piedi di
Solimano il Magnifico e chiedevano di non scambiare il loro precedente silenzio
– vale a dire la mancanza di atteggiamento anti-imperiale – con noncuranza o
sconsideratezza, poiché da molte voci false e da certe lettere di Ferdinando e
persino del sultano (le ultime vengono chiamate false senz’altro in modo
retorico) seppero che si era conclusa la pace e che si era raggiunta l’intesa
tra i due. Da quanto si dichiara nella stessa epistola, fu proprio questa la
ragione per la quale gli abitanti transilvani non osarono prendere le armi
contro il re Ferdinando e i suoi fedeli. Inoltre, inducendo in errore il popolo
con quelle notizie ingannevoli che avevano diffuso in Transilvania, gli Asburgo
avevano assegnato di recente la carica di voivoda a due nobili magiari –
Stefano Dobó, ex castellano di Eger e Francesco Kendy – mentre, accanto a loro,
veniva consacrato un vescovo della Transilvania (Paolo Bornemisza), già
intimo della corte imperiale. Gli stati però non si fecero intimidire da
queste iniziative istituzionali, benché dalla morte di Martinuzzi in poi (dopo
il 17 dicembre 1551) gli ordini del sultano non giunsero più
all’assemblea del principato (alla Dieta), perciò furono ritenuti
colpevoli gli uomini di Ferdinando – dei quali si asserisce che hanno portato
il paese alla rovina –, dunque “gli abitanti onesti e fedeli” del paese si
rivolgono a Solimano il Magnifico pregandolo di non essere puniti. Questi
“umili abitanti” affermano inoltre di non voler riconoscere l’autorità
di Ferdinando d’Asburgo, perché in questo modo perderebbero le loro
libertà, e stimano che l’insediamento degli imperiali nella Transilvania
porterebbe il principato alla rovina. Ammettono anche di temere il potere e
l’odio del sultano, “il monarca del mondo intero”, e di aspettare la sua difesa
e la sua grazia, mentre loro, in cambio, loro offrono perpetua fedeltà a
lui, a Giovanni Sigismondo Zápolya e alla regina Isabella. Gli stati di
Transilvania s’impegnavano a lavorare d’ora in poi solo per il bene di Giovanni
Sigismondo e di sua madre, secondo la volontà del “consiglio di Dio” e
secondo l’ordine di “vostra maestà” (il sultano). Per questa “smisurata
fedeltà”, “gli abitanti” chiedevano
p. 191
di
essere lasciati in vita e protetti nella loro patria contro Ferdinando
d’Asburgo. Di conseguenza, il sultano viene pregato di ordinare ai principi
della Moldavia e della Valacchia d’indirizzarsi con i loro eserciti, come
avevano già fatto altre volte[12],
in difesa dei transilvani, “impazienti di poter compiere gli ordini del
sultano”, con il prezzo dei loro beni e delle loro vite. Gli stati ribadiscono
che contribuiranno all’arresto dei fedeli di Ferdinando d’Asburgo, i quali
saranno trattenuti finché verranno il legato (l’araldo) imperiale e gli uomini
di fiducia eletti dai due principi romeni, e sarà convocata l’assemblea
generale dei nobili, insieme alla quale si deciderà il futuro del paese,
secondo la volontà del sultano. All’ordine di Solimano il Magnifico di
fornire rapidamente dettagli sulla sorte di Giovanni Sigismondo Zápolya e di
sua madre, “gli abitanti” scrivono che “il loro uomo” lasciò in buono
stato “le loro maestà” in Polonia, a Cestohova, e che nel frattempo i
due dovevano essere giunti a Cracovia. I mittenti della lettera aggiungono che
i due sovrani mandarono Pietro Petrovici in Ungheria e che lui si troverebbe
con l’esercito nelle fortezze d’oltre Tisa, che ormai erano in possesso del
sultano e dei transilvani, e che tutti quelli che non temono gli ordini, il
potere e l’odio del sultano saranno costretti a sottomettersi con la forza.
Verso la fine dell’ampia lettera, si rinnovano gli impegni di fedeltà
eterna verso il sultano, al quale vengono fatti i più generosi auguri.
Gli ultimi due documenti riprodotti nell’appendice
risalgono al 1556, l’anno che segnò la fine della dominazione austriaca
in Transilvania. In quell’anno gli eserciti congiunti del sultano, degli stati
del principato, dei principi romeni e delle forze di Pietro Petrovici
scacciarono le truppe imperiali e sconfissero i fedeli di Ferdinando d’Asburgo,
riportando il paese sotto la sovranità ottomana. Nel settembre 1556, la
Dieta di Sebeº (Mühlbach, Szaszsebes) riconobbe Giovanni Sigismondo Zápolya
quale principe di Transilvania, vassallo del sultano ottomano. Questi riprese
effettivamente il trono, essendo protetto dalle truppe di Alessandro
Lãpuºneanu, principe di Moldavia, e di Pãtraºcu il Buono, principe di
Valacchia. Prima di questo esito, momento in cui la sorte della Transilvania
era già stata decisa sul campo di battaglia, Ferdinando d’Asburgo
cercò di ritirarsi dalla disputa per il controllo del principato in
maniera quanto più dignitosa. I documenti del 1556 sono un’ottima
testimonianza in questo senso. Si tratta di una lettera degli Asburgo al
sultano (doc. 5) e dell’estratto da una lettera degli inviati imperiali presso
la Porta, i quali condussero le trattative che portarono al riconoscimento
ufficiale del nuovo statuto della Transilvania. I due documenti hanno, in
grandi linee, lo stesso contenuto, poiché contengono “i desideri” minimi di
Ferdinando d’Asburgo, presentati al sultano nell’ambito della consegna del
principato a Giovanni Sigismondo Zápolya e a sua madre. “Il Re dei Romani”,
ansioso di ottenere l’intesa con Solimano il Magnifico, chiede di essere
scusato per non aver potuto esaudire prima le richieste del sultano riguardanti
la Transilvania. Dopo l’occupazione del principato da parte degli eserciti
anti-imperiali, Ferdinando d’Asburgo si dichiara disposto a consegnare anche le
fortezze ancora presidiate dai suoi soldati, a patto che gli vengano esaudite
certe richieste. Quindi chiede la restituzione
p. 192
dei
due ducati della Silesia – che erano stati ceduti ai due Zápolya in compenso
per la Transilvania –, il rilascio dei suoi soldati stanziati nelle fortezze e
dei suoi fedeli imprigionati, dovunque essi fossero, liberi e illesi insieme
con le loro famiglie e con le armi e le munizioni che avevano. Inoltre si
reclama la restituzione della fortezza di Muncaci (oggi Mukacevo, in Ucraina),
pervenuta nelle mani di Pietro Petrovici. In chiusura, Ferdinando d’Asburgo
esprime, anche a nome dei principi cristiani, preoccupati per la sicurezza dei
loro sudditi e per la sorte del loro stato, il “sincero” impegno per arrivare
ad un accordo e la speranza di pace.
Di là dalle formule diplomatiche e riverenti,
questi documenti cinquecenteschi conservati nell’archivio veneziano contengono
dettagli importanti sulla situazione della Transilvania negli anni della
temporanea dominazione imperiale (1551-1556). Da queste fonti si evincono
alcune informazioni molto interessanti: entrambe le potenze che miravano ad
ottenere il controllo sulla Transilvania invocavano, in modo diretto o
indiretto, pretese fondate sulle stesse basi, dal diritto storico alla corona
dell’Ungheria fino al diritto della spada (la presa in possesso per via
armata); “gli abitanti” della Transilvania erano divisi e disorientati di
fronte alle forti rivalità politiche dell’epoca, ai successi militari
variabili, alla diplomazia segreta, alla paura, alle distruzioni; Anton
Verancsics, prelato, uomo politico, cronista e umanista (di origine croata),
ottimo conoscitore della Transilvania e degli abitanti del principato, appare,
secondo la fonte ottomana citata indirettamente, quale rappresentante
diplomatico mandato a Costantinopoli per trattare a nome di Ferdinando
d’Asburgo con il sultano Solimano il Magnifico; gli stati (“le nazioni”) del
paese (compresi i sassoni, alla fine del conflitto), costretti a scegliere tra
due mali, non si sacrificarono per il campo “cristiano” e occidentale,
bensì preferirono la relativa tranquillità della “protezione” del
sultano, più facile da sopportare. Un giudizio esterno e superficiale
potrebbe far ritenere sconvolgente questa posizione “anticristiana” di tanti
cristiani della Transilvania. In realtà, si tratta di un atteggiamento,
assolutamente abituale all’epoca, dettato prevalentemente dalla
necessità di autodifesa, a patto che venissero conservati l’assetto
istituzionale del paese, le usanze, la propria religione e, soprattutto, i
privilegi degli stati. L’episodio asburgico nella storia della Transilvania,
alla metà del XVI secolo, merita una particolare attenzione, soprattutto
perché molteplici dettagli sono tuttora da chiarire.
I
Graz, 1553 marzo 14
[Ferdinando
d’Asburgo, Re dei Romani, dell’Ungheria, della Boemia ecc., scrive a Solimano
il Magnifico, imperatore degli Ottomani, per rinnovare e confermare la pace tra
loro, già infranta nel passato, chiedendo un salvacondotto per i
messaggeri che doveva mandare alla Porta per trattare questa pace e per
motivare il controllo imperiale sulla Transilvania dato che essa costituiva
parte dell’eredità della corona dell’Ungheria]
p. 193
Copia delle lettere scritte
dal Serenissimo re de Romani al Serenissimo Signor Turco
Serenissimo et potentissmo
Principi et Domino, Domino Sultan Soleimano, Imperatori/ Turcorum ac Asiae et
Gretiae et caet., vicino et confederato/ nobis honorando, Ferdinandus Divina
favente clementia Roma/norum, Hungariae, Bohemiae et caet., Rex semper
Augustus,/ Infans Hispaniarum, Archidux Austriae, Dux Burgundiae etc.,/ Marchio
Moraviae etc., Comes Tirolis etc. salutem,/ amicitiam et benevolentiam
perpetuam et omnis boni incremen/tum!
Serenissime ac potentissime
princeps, vicine et confederate/ nobis honorande, scripsimus iam saepius
magnitudini vestrae/ de voluntate ac propensione nostra, quam gerimus ad
renovandam et confirmandam, sub honestis conditionibus pro publico ac
universali bene[13] cum
magnitudine vestra, pacem superioribus annis interruptam, petiimus ut magnitudo
vestra nobis litteras salviconductus vel securitatis pro oratore vel oratoribus
nostris ad sublimem magnitudinis vestrae Portam, in hac pacis vel induciarum
tractatione seu renovatione expediendis mittere vellet, et quo facilius
oratores isti nostri talia tractare possent, postulavimus etiam nobis a
magnitudine vestra inducias ad minus sex menses[14]
concedi illasque litteras licet per diversas vias Budae scilicet et Temesvarii
miserimus, tamen hactenus a magnitudine vestra nullum responsum accepimus.
Praeterea antea quoque non semel magnitudini vestrae veraciter ostendimus, quod
provintiam nostram Transilvanensem non aliquo dolo aut fraude seu vi, et subditorum
regnicolarumque illorum nostrorum fidelium oppressione, vel etiam in
preiudicium magnitudinis vestrae occupaverimus, sed eam antiquitus ab initio
Imperii nostri Hungarici iure optimo, tanquam membrum regni nostri Hungariae,
pacifice possederimus et tenuerimus, et postea ratione illius cum Serenissimo
Rege Ioanne quoque tractaverimus et amicabiliter concordaverimus quinetiam
eandem novissime a serenissima Regina Isabella atque illustrissimo eius filio,
necnon quondam frater Georgio et Petro Petrovich, nobis spontanee et voluntarie
cedentibus rursus in fidem et potestatem nostram receperimus, prout eosdem
huiusce cessionis et resignationis causa plene et realiter secundum ipsorum[15]
petitionem et voluntatem intentari atque satisfactos[16],
atque ut magnitudo vestra aperte videret, a nobis omnia candide agi et fieri
magnitudini vestre saepius nos obtulimus eandem pensionem inde quotannis ad
excelsam magnitudinis vestrae Portam persolvere, que antea predicta regina
Isabella, fratre olim Georgio ac Petro Petrovich solvi consuevit, sed neque ad
hanc amicabilem et sinceram oblationem nostram magnitudo vestra quicque nobis
hucusque respondit, iam autem advenit in prenominatam nostram provintiam
Transilvanensem quidam Chiaussius[17]
magnitudinis vestrae, Seuan aga vocatus, ab eadem cum fidelibus nostris
regnicolis eiusdem provintiae de pace tractandi gratia expeditus, is nobis
scripsit magnitudinem vestram regnicolis illis nostris concessisse, ut sibi
quem vellint regem vel Dominum eligant, modo magnitudini vestrae solitum
quotannis tributum persolvant, thesaurario autem nostro Transilvanensi Petro
Haller narravit Illustrem Rustenum bassam dixisse si[18]
nos singulis annis honorarium munus ut antea triginta millium ducatorum ad
excelsam magnitudinis vestrae Portam transmiserimus et nos pacem habere velle
per litteras ostenderimus, quod eandem magnitudo vestra nobiscum pro caeteris
etiam regni nostri Hungariae partibus ac quibuslibet regnis et provinciis
nostris inire velet proinde, cum Chiaussius
p. 194
ille talia retullerit neque tamen ullam commissionem
vel facultatem de reliquis pacis conditionibus tractandi, concludendi ne
habuerit, consensimus, ut fideles illi regnicole nostri cum predicto chiaussio
Seuan Aga nuncios suos ad sublimem magnitudinis vestre Portam expediant, qui
pacifice et expresse de omnibus pacis conditionibus cum magnitudine vestra aut
eius Bassis tractent et concludent, quo citius hec negocia conficerentur ac
curabimus, nos, tanquam Rex et Dominus Transilvaniae, ut conditionibus illis
conclusis consuetum tributum, pro illa nostra provintia magnitudini vestrae
statim ad diem et locum, de quo inter magnitudinem vestram seu eius Bassis et
ipsos regnicolarum nostrorum nuncios pactum et transactum fuerit, transmittatur
atque pro reliquis etiam universis regnis et provintiis nostris pace frui
possent, cum eadem tractare parati sumus, quia admodum propensam voluntatem
habemus in bona pace, amicitia et vicinitate cum magnitudine vestra vivere,
eamque ipsam ob causam nunc cum magnitudinis vestrae Bassa Budensi de induciis
utrinque observandis quo ad negocium hoc pacis inter magnitudinem vestram ac
non penitus transigatur, tractamus. Quare, si magnitudinis vestrae adhuc placet
hac de re cum oratoribus nostris agere, rogamus et hortamur eandem, ut nobis
primo quoque tempore litteras securitatis vel salviconductus pro illis
transmittat, si fortassis nondum transmisisset queque primum enim ille allatae
fuerint, oratores ipsos statim ablegabimus, nec ullam ulteriorem moram
expeditioni ipsorum interponemus et munus quoque honorarium pace conclusa
magnitudini vestrae annuatim mittere non negligemus, factura autem est
magnitudo vestra in eo rem tum preclarum multisque virtutibus ornato animo suo
dignam, tum nobis summopere gratam, quam omnibus amicitiae et bonae vicinitatis
officiis erga eandem promereri studebimus, quam diutissime recte valere
optamus.
Datae in oppido nostro Gratz,
die 14 Martii, anno Domini 1553, regnorum nostrorum Romani 23, aliorum vero 27.
Ferdinandus
Thomas D. vicecancellarius.
A tergo: Serenisssimo et Potentissimo Principi et
Domino Sultano Suleimano, Imperatori Turcorum, ac Asiae et Gretiae etc., vicino
et confederato nobis honorando.
(ASV, Capi del Consiglio dei X. Lettere di ambasciatori. Costantinopoli,
1551-1562, b. 2, c. 28, copia secondo l’originale cifrato del dispaccio del
bailo Domenico Trevisan, spedito il 9 maggio 1553)
II
[1553]
[Solimano il
Magnifico, imperatore degli Ottomani, scrive a Ferdinando d’Asburgo, Re dei
Romani, confermando il recapito delle lettere riguardanti la disponibilità
di avviare le trattative di pace e lo rassicura che il messaggero cristiano
sarà accolto adeguatamente e portato alla Porta]
Traductio litterarum
Serenissimi Imperatoris Turcarum ad Serenissimum Romanorum Regem
Serenissime Princeps, amice,
vicineque nobis dilecte!
p. 195
Pervenerunt per Transilvaniam
litterae Maiestatis Vestrae ad Excelsam Portam magnitudinis nostrae, in quibus
nobis Maiestas Vestra notificavit, quod per diversas vias nobis litteras
misistis, ut possemus tractare pacem secum notificantque nobis quod responsum
super[19]
illas litteras non habuit, et sic quam primum nobis ante litterae Maiestatis
Vestrae per Bassam Budensem, aliaeque per Bassam Temesvariensem[20]
perveniebant per ambas vias, nos responsum tam[21]
per Bassam Budensem, quam etiam per Bassam Temesvariensem misimus
scripsimusque, quod Porta Magnitudinis nostrae, si etiam aliqui pervenissent
pro amicitia vel inimicitia omnibus semper aperta est et sine ulla offensione
omnes venire et discudere[22]
semper possunt, oratorique Maiestatis Vestrae salvumconductum et securitatem
dedimus, gubernatoribusque omnibus nostris, qui in confinibus vel in via sunt,
commandamenta magnitudinis nostrae misimus, ut, quando orator magnitudinis
vestrae pervenisset, ut cum eo honoratos dignosque fideles nostros mittant,
eumque sanum et salvum ad portam Celsitudinis nostrae ducant, nunc etiam
Maiestati Vestrae similem salvumconductum atque gubernatoribus nostris simile
commandamentum misimus notificamusque eis, quod salvum conductum atque
securitatem oratori Maiestati Vestrae dedimus, sed etiam non licet ut Maiestas
Vestra habeat tam magnam curam et opinionem in Regno Transilvaniensi,
Maiestatem Vestram felicem et sanam valere optamus.
Domenico Trevisan Bailo
(ASV, Capi del Consiglio dei X. Lettere di ambasciatori. Costantinopoli,
1551-1562, b. 2, c. 24, copia in chiaro, secondo l’originale cifrato,
allegata al dispaccio del bailo Domenico Trevisan, spedito il 9 maggio 1553)
III
[1553]
[Solimano il Magnifico,
imperatore degli Ottomani, scrive a Ferdinando d’Asburgo, Re dei Romani,
confermando l’arrivo alla Porta dei suoi inviati, vale a dire Antonius
Verantius e Franciscus Zaicum, dove hanno consegnato il messaggio di amicizia e
di pace, ma fa sapere che il problema della Transilvania era già stato
deciso, il paese essendo affidato “al figlio del re Giovanni”, Giovanni
Sigismondo Zápolya, vassallo del sultano]
Exemplum litterarum
Inclitissimi Imperatoris Turcarum quas scribit Serenissimo Ferdinando Regi
Romanorum etc.
Serenissime Princeps, amice
vicineque nobis confederate!
p. 196
Quando pervenient litterae
magnitudinis nostrae ad manus magnitudinis vestrae, sciat Maiestas vestra quod
provenerunt ad Portam magnitudinis nostre oratores Antonius Verentius,
Episcopus Quinqueecclesiensis et Franciscus Zaicum[23],
amicabilibus atque in omnibus eis credentionalibus litteris, qui magnitudine
nostrae parte maiestatis vestrae amicitiam atque benevolentiam declaraverunt,
preteritamque amicitiam et inducias renovare atque confirmare parte maiestatis
vestrae cum magnitudine nostra optabant atque desiderabant. Scripsi enim
maiestas vestra predictis oratoribus quaecunque dixissent, ut eis plenam et
integram fidem adhiberemus, predicti oratores quicquid pro parte maiestatis
vestrae narrarunt de Transilvania et de aliis negociis omnia benissime ac
preoptime magnitudinis nostre intellectum dederunt, benissime etiam omnia
intelleximus et sic oratorem maiestatis vestrae, qui antea in Porta
magnitudinis nostrae demorabat, Ioannem Mariam, ad maiestatem vestram missimus,
oratores autem qui nunc a maiestate vestra venerunt, usque predictus orator a
maiestate vestra cum responso veniet, eos hic intertenuimus, amicitiam atque
inducias cum maiestate vestra renovare, ut certa et firma durabit inter nos,
concessimus, dummodo de Transilvania nihil loquatur, Transilvania iamdiu filio
regis Ioannis dedimus. Et, si de Transilvania spem dimitteris hominesque vel
milites ex illa auferetis, eam etiam non nominabitis secundum iuratas litteras quas
vobis dedimus et inducit, quomodo et prius inter nos morabantur in regno et in
provinciis, quae in manibus prius maiestatis vestrae essent, ut non
impedientur, nisi ut etiam munera illa, aut aureos illos quos mittere soliti
estis, rursus mitteris, amicitiam certissime certificando litteras iuratas et
amicitiam induciasque certe concessimus quam primum orator cum litteris
maiestatis vestrae redibit, litteras iuratas pro induciis ac amicitia
concordare ac mittere volumus more preteritorum annorum etc.
(ASV, Capi del Consiglio dei X. Lettere di ambasciatori. Costantinopoli,
1551-1562, b. 2, c. 32, copia in chiaro, secondo l’originale cifrato del
dispaccio del bailo Domenico Trevisan, spedito il 16 settembre 1553)
IV
Transilvania, 1553 agosto 10
[“I compassionevoli
abitanti della Transilvania” si chinano ai piedi di Solimano il Magnifico,
imperatore degli Ottomani, e confermano di aver ricevuto il suo ordine di
appoggiare “suo figlio” Giovanni Sigismondo Zápolya, e la madre di
quest’ultimo, Isabella. Inoltre, gli garantivano di sottomettersi in tutto alla
volontà del sultano, essendo loro desiderosi di sollevarsi contro
Ferdinando d’Asburgo, con l’aiuto dei principi di Moldavia e di Valacchia]
Invictissime, Sacratissime,
Potentissime ac Serenissime Imperator, Sacratissima Cesarea Maiestas, Domine et
Defensor noster Clementissime!
Nos miseri Transilvaniae
incolae vestre Invictissime ac Sacratissime Maiestatis indignissima mancipia
supplices et prostrati ad misericordiosissimos pedes vestre Sacratissime
p. 197
Maiestatis, nosttra humilima et perpetuo fidelissima
servitia comendamus vestre Invictissime Maiestati nobis imperpetuum
metuendissimo ac Clementissimo Domino.
Invictissime, Sacratissime ac
Potentissime Imperator, Clementissima Cesarea Maiestas, Domine nobis
Clementissime, oblatum est nobis vestre Invictissime Maiestatis potentissimum
ac gratiosissimum mandatum, in quo vestra Sacratissima Maiestas satis manifeste
declarat et ostendit suam innatam et ab initio suae Invictissimae potentiae ac
imperii gratuito promissam et hactenus fidelissime observatam clementissimam
clementiam erga pupillum et orphanum suum filium Regis Ioannis, Dominum nostrum
clementissimum et reginalem Maiestatem, Dominam nostram gratiosissimam, deinde
etiam erga nos omnes suae Invictissimae Maiestatis misera et indigna mancipia
ac servos, ob quam efusissimam clementiam Vestrae Serenitati ac Invictissime
Maiestati inmensas ac perpetuas agimus gratias et supplices, sine intermissione
Deum oramus, ut vestram Invictissimam Maiestatem ad nostram et omnium miserorum
salutem et fortunam et diutissime et saluberime vivere concedat et in omnibus
rebus ac ceptis, iuxta optata[24]
vota dirigat et felicissime fortis Invictissima ac Potentissima sacratissimaque
Caesarea Maiestas, iuxta mandatum inviolabile vestre Invictissime Maiestatis,
semper et in omnibus ex corde sincero nitimur obedire, et fidelissime servire
vestre Invictissime Maiestati, maxime et potentissime cesar, ac filio Ioannis
Regis, Domino nostro Clementissimo ac reginali Maiestati, Dominae nostrae
Clementissimae, nam et religio ac fides nostra id tenet, sicut in sacris
paginis legimus insuper testantur firmissime externa et dietim accidentia
signa, quod insuperabilis potentia et totius orbis imperium vestre invictissime
Maiestati ab ipso altissimo Deo ex suo impervestigabili et irrevocabili
consilio et voluntate sit concessum datum et confirmatum.
Quod autem hactenus iuxta
Maiestatis vestrae Invictissimae gratiosissimum et nulli hominum contemnendum
mandatum in servitiis Domino nostro Clementissimo et Domine nostre
Clementissime debitis in scilentio fuimus supplices et prostrati ad
gratiosissimos pedes vestrae Invictissimae Maiestatis humilime veniam petimus,
quia hoc scilentium nostrum non est factum ex nostra negligentia et temeritate,
sed ex falsis et multiplicibus rumoribus[25],
quos Rex Ferdinandus per creberimas literas[26]
scribebat et nunciabat, quos rumores iam ex gratiosissimis litteris vestrae
Invictissimae Maiestatis certo inteligimus falsos fuisse; inter quos hic fuit
primus, quod a rege Ferdinando tantum censum postularet Vestra Maiestas
Invictissima ex ditione filii Ioannis Regis et reginalis Maiestatis; alter
rumor erat et ferrebatur, quod vestra Invictissima Maiestas cum Ferdinando Rege
perpetuam pacem faceret. Hae igitur fuerunt cause quod non sumus ausi contra
Regem Ferdinandum et eius fideles manus erigere, quia totum regnum huiusmodi
falsis rumoribus impleverant et ab executione vestre invictissime Maiestatis
gratiosissimi mandati et a nostra consulta et deliberata voluntate, nos et
universum populum abstraxerant; ut autem verba nostra vera sint coram Vestra
Invictissima Maiestate hinc potest intelligi, quod sub his rumoribus persuaso
populo, Rex Ferdinandus nunc novos vaivodas creavit, quorum alter est Stephanus
Dobo, qui anno preterito fuit castellanus in Hogher, alter vero est Franciscus
Kendy, unus ex regnicolis Dominis, deinde etiam ex curia sua episcopum misit
huc collateralem vaivodis, qui vocabatur Paulus Bornemizza, et speramus non
multo post tempore eos requisituros vestrae Invictissimae Maiestatis felicem
Portam et omnibus modis suam erga Ferdinandum regem fidelitatem dissimulaturos
ac tecturos. At certum est eos operibus non executuros vestrae Invictissimae
Maiestatis potentissimum mandatum, sed tantum
p. 198
simulatione et vverbis et sic omnibus viribus
conabuntur, nos ab invictissimae vestrae Cesaree Maiestatis gratiosissimi
mandati impletione et satisfactione inhibere, sicut hactenus fecerunt, at, ut
vera reperiantur, loqui coram vestra Invinctissima ac potentissima Maiestate
vel inde potest inteligere vestra invictissima Maiestas, quod a morte fratris
Georgii usque ad hoc tempus nunquam[27]
adhuc vestrae Invictissimae Maiestatis mandatum manifeste, coram toto regno in
comuni congregatione est fideliter et iuxta voluntatem vestre Invictissime
Cesaree Maiestatis interpretatum et pronuntiatum, quia vestre Invictissimae
Cesareae Maiestatis fideles, legatos ac chiaussos nunquam permittunt coram
produci et venire, sed tantum aliquot homines ad summum quatuor aut quinque,
quorum conscientiam perfidia et inexplebilis avaritia pungit et excecavit, et
qui ne cuius miseri et afflicti regni futura prorsus ruina afficiuntur, nec
vestrae Maiestatis Invictissime prepotentissimam ac horendissimam iram
cogitant, nec denique de Deo et giustitia[28]
ac equitate cogitant, tales inquam soli audiunt legatos et chiaussos, et
perceptis ac intelectis gratiosissimis mandatis et nuntiis vestrae
Invictissimae Cesareae Maiestatis postea tantummodo ea coram regno et populo,
sub nomine vestre Invictissime Cesareae Maiestatis pronuntiant et
interpretantur, quibus propria sua negotia et voluntate stabiliunt et firmant,
pro quibus rebus iam diu deservissemus, prepotentissime ac Invictissime Cesar,
ut a vestra Maiestate, ut ex sua digna et horenda ira nos usque ad unum e medio
per ignem et ferrum sustulisset et prorsus a facie terre delevisset, sed vel
hinc apparet vestre invictissime Cesaree Maiestatis, erga nos omnes
indignissima mancipia naturalis et maxima clementia, quod nos, iuxta demeritum
nostrum non punit, sed gratiosissime nobis morte dignis mancipiis gratis vitam
promittit et dat; quibus omnibus et singulis consideratis, nos nullo modo
volumus sub Ferdinandi vexillo, quod hic inter nos errectum circumportatur,
manere quam certo[29]
cognoscimus quod nobis non est ad edificationem et libertatis confirmationem,
sed ad destructionem perpetuam. Nam religio et fides nostra docet nos, preterea
etiam oculis bene videmus ex progressu et fortuna propagationis Imperii vestrae
Invictissimae Maiestatis totius Orbis monarcam esse, ab altissimo Deo
constitutam vestram Invictissimam ac potentissimam Maiestatem. Ideo per
Ferdinandum nullis rationibus cognoscimus, nec unquam credimus nos misera
mancipia vestrae Maiestatis Invictissimae vitam ac libertatem assecurari posse.
Dignum est itaque nos timere et pererhorescere[30]
vestrae Invictissimae Maiestatis maximam potentiam ac mefugiendam iram, quibus
perspectis, iuxta vestrae Invictissimae Cesareae Maiestatis Clementissimum
mandatum, propter libertatis vitae et patriae ex vestre Invictissimae
Maiestatis naturali et gratuita gratia et defensione retentionem ad vestrae
invictissime Maiestatis perpetuam fidem et fidelitatem et iuxta mandatum
potentissimum ac gratiosissimum vestrae Invictissimae Cesareae Maiestatis ad
fidelitatem filii regis Ioannis et reginalis Maiestatis nos servamus.
Et propterea, Invictissimae
et potentissimae Cesar, quod vestra Maiestas ex sua innata clementia dignata
est suum pupillum et orphanum nobis pro et in Dominum constituere et reduti
curare, propter hanc rem una cum suis maiestatibus nos videlicet cum regis
filio Domino nostro Clementissimo ac cum regali Maiestate Domina nostra
Clementissima, pro vestra Invisctissima Cesarea Maiestate, sine intermissione
et perpetuo Deum altissimum exoramus et ingentes gratias agimus, ac una cum
suis maiestatibus perpetuo volumus in vestrae Invictissimae Cesareae Maiestatis
fidelitate et sub eiusdem Maiestatis vestrae defensione et protectione,
secundum divini consilii voluntatem et iuxta Maiestatis vestrae Cesareae Invictissime
gratiosissimum mandatum permanere.
p. 199
Et supplicamus humilime
vestrae Invictissimae Cesareae Maiestati, prepotentissime Imperator, ut nos,
indigna mancipia propter altissimum Deum primo, propterea ut nostra erga
vestram Invictissimam et potentissimam Maiestatem Cesaream fidelitas, fiducia
et verborum nostrorum verificatio probetur et manifestetur.
Deinde, ut Maiestatis vestrae
Invictissime mandatum et voluntas plenius et confidentius undique possit
impleri nobis ex suae Invictissimae et potentissimae Maiestatis naturali
clementia conservet vitam contra Ferdinandum et suos fideles, hic in patria et
terra nostra et precipiat Maiestas vestra Invictissima Moldaviensi et
Transalpino vaivodis, ut sese quamprimum moveant cum suis copiis et nobiscum
consentiant et sint et, prout regni huius status et negotium postulat, una
nobiscum iuxta mandatum vestrae Invictissimae Cesareae Maiestatis possimus,
primo vestre Invictissime Maiestati, deinde filio regis Domino nostro
clementissimo ac regali Maiestati Dominae nostrae gratiosissimae servire, quia
nos, Invictissime Imperator, usque ad omnium nostrarum rerum defectum et eo
usque donec capita nostra erigere possumus, vestre Invictissime ac Potentissime
Cesareae Maiestatis mandata volumus sequi et servire filio regis Domino nostro
ac reginali Maiestati Dominae nostrae Clementissimae.
Secundo, prostrati humiliter,
supplicamus vestrae Invictissime Maiestati Cesareae, quod, si ante
satisfactionem et implectionem mandati clementissimi vestrae Invictissime ac
Cesareae Maiestatis, nos una cum regis filio et reginali Maiestate, ex auxilio
et potentia vestrae Invictissime Cesareae Maiestatis in hoc regno, statutionem
et firmationem Ferdinandi Regis fideles vestrae Invictissimae et Potentissime
Maiestatis felicem Portam, sub nomine missionis totius regni, extunc vestra
Invictissima Cesarea Maiestas eos retineat, donec per suum fidelem legatum et
chiaussium huc cum fidis et electis hominibus utriusque vaivodae Moldaviensis
et Transalpinensis videlicet missum, precepta et coacta comuni congregatione
universarum regnicolarum intellexerit vestra Invictissima Cesarea Maiestas
utrum ex communi regnicolarum nobilium legatione et voluntate ambulent, vel
non, et mox intelliget vestra Invictissima Cesarea Maiestas, quomodo sese res
habeat et quid sit faciandum.
Tertio, supplicamus humillime
vestrae Invictissimae ac prepotentissimae Cesareae Maiestati nos indigna
mancipia eiusdem vestrae Sacratissimae Maiestatis, ut propter nostram tam
crebrarum supplicationum instantiam et impetitionem importunam nobis
Clementissime ignoscat vestra Invictissima Cesarea Maiestas ac nos in nostris
humilimis ac confidentissimis supplicationibus, pro sua innata erga nos
benevolentia Clementissime dignetur exaudire, defendere ac conservare, quia
post altissimum Deum sub celo in toto mundo alium nec scimus, nec volumus in
nostris miseriis et necessitatibus supplicare, nisi vestrae Invictissimae ac
potentissimae Cesareae Maiestati, quia et credimus, et oculis videmus a Deo
tantum vestrae Maiestati datam esse insuperabilem potentiam totius orbis,
preterea cernimus erga clementissimum Dominum nostrum, filium regis Ioannis ac
regalem Maiestatem[31]
Dominam nostram Clementissimam, insuper erga nos, sua indignissima ac misera
mancipia, inefabilem clementiam et benevolentiam.
Quod autem vestra
Invictissima ac prepotentissima Maiestas, Sacratissime Imperator, nobis
diligentissime ac severissime mandat, ut vestrae Serenissime Maiestati certo
rescribamus, nunc ubinam sunt sue Maiestates filius regius ac regalis Maiestas,
de hac re haec possumus vestrae Invictissime ac Serenissime Maiestati scribere,
quod nunc venerunt ad nos et littere a regali Maiestate et homo noster, qui cum
suis maiestatibus constitutus fuit in faciem in Polonia et reliquit suas
Maiestates in Chestekovia et credemus iam suas Maiestates venisse et esse
Cracovie et suae Maiestates
p. 200
premiserunt Petrrum Petrovich in Hungaria, qui est
cum exercitu in castris iam ex hac parte Ticii fluminis, qui cum auxilio et potentia
vestre Sacratissime et Invictissime Maiestatis una nobiscum eos, qui vestre
Invictissime Cesareae Maiestatis mandata et inevitabilem potentiam ac iram non
timent ac a Ferdinando Rege nolunt avelli, illi etiam cogantur a nobis ex omni
parte iuxta mandatum vestrae Invictissimae ac potentissimae Cesareae Maiestatis
sese vestrae Maiestati humiliari ac filio Regis Ioannis, Domino nostro ac
Maiestati reginali, Dominae nostrae clementissimae servire.
Quod reliquum est vestrae
Invictissime ac Potentissime Cesareae Maiestati nos, indigna ac misera mancipia
vestra, humilima, et perpetua servitia comendamus, quod saluberime, felicissime
et ad optatos multos annos valere optamus, ac sedulo Deum oramus pro felicibus
ac prosperis successibus eiusdem vestre Invictissime ac Potentissime Cesareae
Maiestatis.
Datum ex Transilvania, Xmo
die mensis Augusti 1553.
Invictissimae, SSacratissimae ac potentissimae
Vestrae Cesareae Maiestatis, humillima ac etc.
A tergo: Invictiissimo, potentissimo ac Serenissimo
Sultano Suleimano, Imperatori Turcarum, Asiae, Affrice totiusque ac Universis
Orbis … unico[32] etc. Domino
nostro Clementissimo.
(ASV, Capi del Consiglio dei X. Lettere di ambasciatori. Costantinopoli,
1551-1562, b. 2, c. 33, copia in chiaro, secondo l’originale cifrato del
dispaccio del bailo Domenico Trevisan, spedito il 16 settembre 1553)
V
Vienna, 1556 giugno 14
[Ferdinando
d’Asburgo, Re dei Romani, scrive al sultano ottomano dichiarandosi d’accordo di
restituire, a certe condizioni, la Transilvania nelle mani di Giovanni
Sigismondo Zápolya, il figlio del re Giovanni Zápolya, e di sua madre Isabella]
Exemplum litterarum
Serenissimi Regis Romanorum ad Signorem Imperatorem Turcarum
Serenissimo et Potentissimo
Principi et Domino, Domino Sultano Soleimano, Imperatori Turcarum, ac Asiae, et
Gretiae et caetera, vicino et confederato nobis honorando, Ferdinandus, divina
favente clementia Romanorum, Ungariae, Bohemiae et caetera, Rex, Infans
Hispaniarum, Archidux Austriae et caetera, salutem, amicitiam, et benevolentiam
perpetuam ac omnis boni incrementum!
Serenissime et Potentissime
Principe, vicine, et confederate nobis honorande, accepimus litteras
Magnitudinis vestrae quas nobis ad nostras[33]
nuper ad eandem per proprium tabelarium nostrorum datas, amice et benevole scripsit,
in quibus Magnitudo Vestra nobis significavit, quod tametsi oratores nostri, in
excelsa magnitudinis vestrae Porta existentes magnitudini vestre proposuerint
nos iam restituisse filio Serenissimi quondam regis Ioannis eas provintias,
quas Magnitudo Vestra potenti suo gladio subactas olim eius patri et post modum
ipsi quoque filio ex singulari benignitate concesserat, quia tamen Magnitudini
Vestrae in litteris nostris nullam eius rei
p. 201
mentionem factamm viderit, nec alias a beglierbegis
litterisque prefectis et officialibus suis limitaneis quicquam desuper
cognoverit. Ideo magnitudo Vestra desiderare huius rei notitiam ac animum et
voluntatem nostram a nobis ipsis et litteris nostris primo quoque tempore
excipere, an ea ex commissione nostra per dictos oratores nostros proposita
fuerint, nec neque quidem prout in litteris Magnitudinis Vestrae continentur.
Nos benevole omnia intelleximus eandemque Magnitudini Vestre celare nolumus,
omnia et singula quod oratores nostri de restiuenda per nos eidem Serenissime
quondam regis Ioannis filii Transilvania dixerunt nostro iussu atque voluntate
ipsos dixisse, nam quamvis nos, propter[34]
gravissimas et arduas illas causas, quas Magnitudo Vestra ab oratoribus nostris
intelligere potuit, antehac postulatis Magnitudini Vestre de Transilvania non
potuerimus satisfacere et propterea tamdiu apud Magnitudinem Vestram
laboraverimus, ut relicta in manibus nostris ipsa Transilvania, tributo
contentari vellet precipue, quam provintiam eam neque armis, neque dolo, sed
spontanea cessione et permutatione ad instantiam Serenissime Regine Isabelle
suisque filii ac fratris quondam Georgii et Petrovich, ad manus nostras
acceperimus, postquam tamen Magnitudinem Vestram eius animi esse perspeximus,
ut omnino Transilvania ipsa filio quondam regis Ioannis restituatur, nos
Vestrae Magnitudinis postulatis acquescentes habita ratione amplitudinis, et
excellentis famae et nominis Magnitudinis Vestre ipsiusque amicitiam et bonam
vicinitatem conservare cupientes, nihil impedimenti uti nobis licebat fecimus
Petro Petrovich Transilvaniam ipsam armis ad fidelitatem atque obedientiam
dictique regis Ioannis filii redigenti, quinnimo intuitu magnitudini vestrae
libere illam possessionem recipere promisimus, atque insuper arces etiam illas
in Transilvania existentesque ad huc in manibus nostris sunt, ad manus eiusdem
filii regis quondam Ioannis reddi facere parati sumus, recepturi vicissim ad
manus nostras, ut iustum et equum est, ducatus illos duos et relinqua bona in
Silesia habita quondam dicto regis Ioannis filio in recompensationem
Transilvaniae, quam nobis cesserat serenissime vero matri[35]
eius[36]
pro dote contuleramus ceterumque dictas arces in Transilvania existentes
hactenus quoque non restituerimus in causa fuit, responsi Magnitudinis Vestre
longa expectatio, quod per oratores nostros fieri debebat et sine quo nihil
certi decernere poteramus, sed iam intellecta ut promissum est magnitudini
vestre voluntate illarum quoque artium restitutionem dicto quondam regis
Ioannis filio facere consentimus sperantes in Deo optimo maximo hac ratione et
via bonam et firmam amicitiam, concordiam et pacem inter magnitudinem vestram
et nos in posterum futurum quemadmodum vestra magnitudo in suis litteris huius
rei non obscuram mentionem facit, rogamus autem magnitudinem vestram diligenti
et benevole velit serio excipere et mandare, primum predicto quondam regis
Ioannis filio, ut fideles servitores nostros in predictis arcibus
Transilvanicis[37] existentes,
etiam captivos, si qui forent, cum eorum familia et rebus, atque apparatibus
nostris in earum manibus existentibus, e Transilvania exire et ad nos libere ac
pacifice venire, tam ipse quam alii promittant; deinde vero Petrovichio, ut
arcem Muncatz, quam ille ad singularem petitionem reginae Isabelle, propter
resignationem castrorum Temesvar, Bechebecgliche unacum Partibus Inferioribus
Regni, per illum ad manus nostras factum accepta ab illo de fidelitate perpetua
nobis servanda ac firmissimo iuramento ac litteris reversalibus ad vite sue die
dederamus, ad manus nostras restituat porro, quoniam optamus ut ab aliquot
annis incepti tractatus iam tandem feliciter finiantur, utque et solidior pax,
constantior amicitia mutuaque concordia inter magnitudinem vestram et nos
coalescat et stabiliatur, oratoribus nostris, qui iam ab aliquot annis in
excelsa Porta
p. 202
magnitudinis vesstrae agant, cum expressa voluntate
nostra instructionem dedimus, ut ad magnitudine vestra super munere honorario
et ratione Ungariae et singularum Partium sibi subiectarum transigant, quo de
cetero tam ipsa Ungaria, quam Dalmatia et Sclavonia, secundum indutias antea
cum magnitudine vestra factas et conclusas, unacum litteris, regnis atque
provintiis nostris, in pace conserventur et relinquantur et propter
Magnitudinem Vestram rogamus, ut habita ratione nostrae amicitiae et sincerae
constantiae, quam erga magnitudinem vestram cum alias semper tum vel maxime cum
magnitudo vestra in utraque Persica expeditione occuparetur neglecta, etiam
occasione rei et Dei benignitate benegerende amplissime testati summus, velit
oratores nostros sine longiori mora cum optato responso per sua in nobis
benevolentia et bona vicinitate iam tandem remittere id etiam erga magnitudinem
nostram omni sincere amicitie ac bone vicinitatis studio compensare enitemur,
cui et prosperam valetudinem, et omnem felicitatem optamus.
Datum in civitate nostra
Viena, die 14 Iunii 1556, regnorum nostrorum Romani 26, aliorum vero 30.
Ferdinandus
A tergo: Serenisssimo et Potentissimo Principe et Domino,
Domino Sultano Suleimano, Imperatori Turcarum, ac Asie, et Gretie etc., vicino
et confederato nobis honorando.
(ASV, Capi del Consiglio dei X. Lettere di ambasciatori. Costantinopoli,
1551-1562, b. 2, c. 97, copia in chiaro, secondo l’originale cifrato del
dispaccio del bailo Antonio Erizzo, spedito il 17 luglio 1556)
VI
[1556]
[I messaggeri
di Ferdinando, Re dei Romani, mandati alla Porta, presentano al sultano
l’assenso dell’imperatore per la consegna della Transilvania nelle mani del
figlio del re Giovanni Zápolya e le condizioni in cui doveva verificarsi questo
riconoscimento]
Exemplum unius scripture
oratorum Serenissimi Regis Romanorum ad Imperatorem Turcarum
Ad ea quae postremo
requisivit Magnitudo Vestra a Serenissimo Regi nostro, hec nos maiestas eius
per presentes suas litteras eidem iussit respondere, quod videlicet cupida
maiestas sua, etiam nunc redere in amicitiam et pacem pristinam cum eadem
vestra magnitudine, animo sincero et propenso, uti semper fuit, ab initio optat
excusatam fieri apud excelsam magnitudinem vestram, quod antehac postulatis
suis de Transilvania nequieverit satisfacere, ait enim valde arduas et graves
fuisse huius dilationis causas, nec certe alias quam quas a nobis diligenter
sepius enumeratas et expositas intellexit, dum potissimum maiestas sua freta
liberalitatis et benevolentie eius erga se fidutia diutius ac firmis speravit
ab ipsius magnitudine pacificam possessionem Transilvanie impetraturam, post
quam autem plane prospexit nullo pacto nullisque rationibus magnitudinem
vestram ad id exorari posse et omnino velle Serenissimi quondam Ioannis regis
filio Transilvaniam remitti, quam spontanea cessione et permutatione aliorum
bonorum in suas manus sine vi ac dolo, uti iam sepe antea diximus, receperat,
eadem Maiestas regis nostri ultro ac libens postulatis vestre magnitudini
aquievit habita
p. 203
ratione solius aamplissime excellentis fame ac
nominis eius cupiens pristinam amicitiam, et bonam vicinitatem cum ea renovare,
nullo interim uti poterat Petro Petrovich in recipienda possessione
Transilvanie impedimento exhibito, quam violenter armatus invaserat eandem,
Serenissimi quondam Ioannis regis filio subiugandam, quove clarius animi sui
propensitatem erga voluntatem vestre magnitudinis ostenderet, ac probaret, dicit
maiestas sua se arces quoque illas in Transilvania reliquasque adhuc maiestas
eius tenentur presidiis eidem Ioannis regis filio reddi facere paratam esse
vicissimque ipsa, etiam interim denuo ad manus suas, uti equum et iustum est,
duos ducatus cum reliquis bonis in Silesia habitis recepturaque prefato
Illustrissimo Ioannis filio ac serenissime eius matri, ratione ditis[38]
pro recompensatione Transilvanie, contulerat, cuius Transilvanie arces
supradicte, que hactenus non fuerint restituite, factum est expectatione
responsi vestre magnitudinis de iis quam nuper egeramus quoque nostra opera
mitti debuerat cum interea nihil certi sine eo potuerit constituere, sed nunc
intellecta eiusdem firma voluntate maiestatis eius restitutioni quoque dictarum
artium morem eiusdem gerens desideris annuit libens petit, tamen ut Magnitudo
Vestra Illustrissimo Ioannis regis filio et suis omnibus velit firmiter
excipere ut fideles servitores sue maiestatis in eisdem arcibus Transilvanicis
existentibus et captivos omnes quicumque apud eosdem et ubivis eorum potestate
tenerentur, cum omnibus familiis ac rebus suis et bellicis Maiestatis eius
apparatibus libere, secure et pacifice e Transilvania exire ad suamque
Maiestatem venire permittant, petit, etiam velit et Petro Petrovich serio
mandare, ut ipse quoque arcem Muncac Maiestati sue, sine dilatione et
controversia debeat restituire, postquam Maiestas sua his carere cogitur, in
quorum recompensationem dictam arcem ei concesserat et idem Petrovich noluit in
fide sue Maiestatis constanter permanere, ad quam illi perpetuo servando
iuramento et suis chirographis sese obligaverat ad Hungariam vero, quod attinet
maiestas sua quum eam inde iam ab initio suorum gladium semper libere
possederit, honorarium munus pendendo sue magnitudini nec ad id tempus vel
unico verbo unquam est expedita, nec habita est ulla giusta[39]
causa, ut in eius statu[40]
prorsus maiestas eius nescit quid aliud respondeat aut agat, quam quod antea a
nobis est clare auditum et cognitum, petit itaque maiestas sua, ne hoc et
insperato et immerito impedimento eam Magnitudinem Vestram agravari cupiat, sed
postquam ditius Transilvanie, iuxta voluntatem Vestre Magnitudinis facta sit
per eam remissio sic apud se pro sua excelsa amplitudine velit potius
constituere, ut eadem Hungaria cum reliquis provintiis ac partibus solito more
illi adherentibus iuxta modum ac formam priorum indutiarum, sub pensione
honorarii muneris eiusdem maiestati promissa non gravate secum in amicitiam et
concordiam, vel perpetuam, vel temporariam, uti eidem amplitudini Vestre
placuerit redire, certe plures etiam esse principes cristianos[41],
qui opera sue Maiestatis eius expectant benevolentia Maiestatis sue[42]
quotannis ipsum munus honorarium Magnitudini suae tale ac tantum offert se
misurum de quanto hic nunc nobis cum nomine Vestre Magnitudinis, uti a Sua
Maiestate iam data est nobis commissio statuetur et ordinabitur, cupida enim
Maiesta Sua multorum iam annorum huiusmodi discordiis finem imponi et quietem a
tanta vastitate in eo regno miseris populis ac securitatem restitui non
pretemittit ad id obtinendum omnia remedia experiri non refugiens gravius,
etiam aliquid subire morem Magnitudinis Vestre gestura, dummodo in totum eius
honorem ac existimationem deprimi et ledi nolit, nam cum sua quoque Maiestatis
insignita sit regia dignitate
p. 204
Dei beneficio, qquo et excelsa Magnitudine Vestra ad
tantum felicitatis ac potentie apicem erecta sit, non difidit Maiestas eius,
quia Vestra excelsa magnitudo habitura sit ipsius conditionis preclaram et
dignam famam suam nominemque celeberimo rationem.
Sacratissimi Regis Romanorum
servitores et oratores
(ASV, Capi del Consiglio dei X. Lettere di ambasciatori. Costantinopoli,
1551-1562, b. 2, c. 98, copia in chiaro, secondo l’originale cifrato del
dispaccio del bailo Antonio Erizzo, spedito il 17 luglio 1556)
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[1] Cristina Feneºan, Constituirea
principatului autonom al Transilvaniei, Bucarest 1997, passim.
[2] David Prodan, Supplex
Libellus Valachorum. Din istoria formãrii naþiunii române, Bucarest 1984, passim; Ioan–Aurel Pop, Naþiunea românã medievalã. Solidaritãþi
etnice româneºti în secolele XIII-XVI, Bucarest 1998, passim.
[3] Cãlin Felezeu, Statutul
Principatului Transilvaniei în raporturile cu Poarta Otomanã (1541-1688),
Cluj-Napoca 1997, passim.
[4] Mihai Maxim, Þãrile
Române ºi Înalta Poartã. Cadrul juridic al relaþiilor româno-otomane în Evul
Mediu, con una premessa del Prof. Halil İnalcık, Bucarest 1993, passim.
[5] Si veda Stelian Obiziuc, Transilvania de la voievodat la principat (1538-1542), Cluj-Napoca
2004, passim (tesi di dottorato di
ricerca) (con l’intero problema dello svolgimento della transizione, collocato
anche all’infuori del periodo menzionato nel titolo).
[6] Per il ruolo degli Asburgo, si veda Rodica Ciocan, Politica Habsburgilor faþã de Transilvania
în vremea lui Carol Quintul, Bucarest 1945, passim, e, di recente, Florin–Dumitru Soporan, Afirmarea monarhiei habsburgice în Europa Central-Orientalã, 1526-1556,
in “Studia Medievalia. Lucrãrile Masteratului de Studii Medievale
Central-Europene”, I, 2004, pp. 253-292.
[7] Ileana Cãzan, Habsburgi
ºi otomani pe linia Dunãrii. Tratate ºi negocieri de pace, 1526-1576,
Bucarest 2000, passim.
[8] Endre Veress, Izabella
Királyné. 1519-1559, Budapest 1901, passim.
[9] Andrea Da Mostro, L’Archivio
di Stato di Venezia. Indice generale, storico, descrittivo ed analitico,
vol. I, Archivi dell’Amministrazione
Centrale della Republica Veneta e archivi notarili, Roma 1937, pp. 52-60.
[10] Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi sarà
citato ASV), Capi del Consiglio dei X.
Lettere di ambasciatori. Costantinopoli, b. [busta] 2, doc. 38.
[11] Si veda V. Biró, Erdély
Követei a Portán, Cluj 1921, passim.
[12] Sulle relazioni tra la Moldavia, la Valacchia e la
Transilvania, rispecchiate nelle fonti coeve, si veda A. Veress, Documente privitoare la istoria Ardealului,
Moldovei ºi Þãrii Româneºti, voll. I-IX, Bucarest 1929-1936.
[13] Così nella copia.
[14] Corretto da mensis.
[15] Segue una parola indecifrabile.
[16] Segue uno spazio privo di scrittura di ca. 5 cm.
[17] Araldo.
[18] Segue nolis
cancellata.
[19] Parola corretta da superioris,
con il cancellamento della parte finale.
[20] Segue pe
cancellata.
[21] Soprascritto.
[22] Così nella copia; forse una corruttela da discutere=spiegare, esaminare, giudicare ecc.
[23] Parola scritta inzialmente Zaicu, le lettere cu furono
tagliate e poi soprascritte nella forma cum.
[24] Segue nostra
cancellata.
[25] Soprascritto.
[26] Sic!
[27] Soprascritto.
[28] Italianismo, al posto di iustitia.
[29] Segue g
tagliata.
[30] Sic!
[31] Segue et tagliata.
[32] Lacune nella copia.
[33] Probabilmente doveva seguire manus.
[34] Segue gravas, cancellata.
[35] Segue una parola indecifrabile, cancellata.
[36] Segue una parola indecifrabile, cancellata.
[37] Corretto da Transilvanensium.
[38] Così nella copia; forse al posto di dotis.
[39] Italianismo, corretto iusta.
[40] Segue una lacuna segnata con … nella copia.
[41] Sic!
[42] Segue una parola indecifrabile, tagliata.