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Homepage Annuario 2002
p. 425
Una raccolta udinese*
Università di Verona
Nel 1995 usciva a Padova, per
le cure di Coman Lupu e Lorenzo Renzi, una Festschrift
in onore di Florica Dimitrescu e Alexandru Niculescu. Si trattava di una
poderosa miscellanea contenente lavori di amici, allievi e studiosi di varia
provenienza, i cui articoli si distribuivano in tre grossi tomi seguendo
princìpi ordinativi di ripartizione disciplinare[1].
Oggi, dopo un intervallo di soli sei anni, Alexandru Niculescu riceve in dono
una nuova collettanea, curata questa volta da Sergio Vatteroni, che raduna
contributi di colleghi e discepoli del Dipartimento
di lingue e letterature germaniche e del Centro Internazionale sul Plurilinguismo dell'Università di
Udine, istituzioni entro le quali si sono dispiegati per lunghi anni il
magistero e l'«impetuosa attività»[2]
del professor Niculescu. Come ha sottolineato opportunamente Giovanni Frau
nella Presentazione della raccolta
udinese (p. 9)[3], la
pubblicazione a breve distanza di tempo di due volumi omaggiali implica la
coesistenza, nella persona del Destinatario, di eccezionale prestigio
accademico e di doti umane fuori dal comune. Quanto alla rilevanza e all'estensione
dell'attività di ricerca del Festeggiato, esse sono ampiamente
documentate dalla Bibliografia degli
scritti di Alexandru Niculescu dal 1991 al 2000 compilata da Adriana Job e
posta in apertura della Festschrift
più recente[4]. Negli anni
Novanta, la produzione scientifica e pubblicistica di Alexandru Niculescu
riflette vecchi interessi e aperture inedite: i suoi scritti da un lato tendono
a concentrarsi attorno ad alcuni temi già affrontati in precedenza,
dall'altro lato testimoniano di una curiosità sempre più viva che
si indirizza verso un ampio ventaglio di nuove problematiche. La parte
più cospicua e importante degli studi dell'ultimo decennio resta quella
consacrata alla linguistica balcanica e romanza, che conta un buon numero di
articoli dedicati a specifiche questioni di morfosintassi del romeno[5].
Ma per quanto riguarda
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il lavoro del linguista va soprattutto ricordata la
terza serie di Individualitatea limbii
române între limbile romanice. 3. Noi contribuþii (Cluj: Clusium, 1999),
libro fondamentale non soltanto per ricchezza e vastità di informazione,
ma per densità di risvolti metodologici: le strutture e i fenomeni
linguistici sono infatti indagati muovendo da una prospettiva teorica che
integra le tradizionali tecniche d'analisi con l'esame dei contesti storici e
dei quadri di riferimento socio-culturali[6].
In questa rapida carrellata vanno citati anche alcuni ricordi e profili di
studiosi, che si segnalano per acutezza critica e icasticità di
scrittura: e in tale galleria di ritratti spicca il commovente e bellissimo Tombeau di Marian Papahagi[7],
principe dell'italianistica romena e infaticabile promotore di iniziative
culturali. Infine, ricordo l'assidua collaborazione a periodici quali România Literarã, Jurnalul Literar, Apostrof,
con decine di articoli in cui le competenze dello specialista si intrecciano
con l'impegno di comprensione e analisi di tematiche più ampie.
All'interno di questa attività di intervento culturale mi sembra
opportuno evidenziare la centralità di un gruppo di scritti nei quali
l'attenzione porta sull'esilio come momento forte di militanza intellettuale e
di elaborazione di pensiero[8].
Ne risulta una rivisitazione della cultura romena in esilio che fonde la
lucidità dello sguardo retrospettivo con l'esigenza di fissare nella
memoria figure e snodi dotati di valore esemplare. È un modo nobile e
costruttivo di fare i conti col passato, dopo che il 22 dicembre 1989 ha
cambiato radicalmente le prospettive: din
exil, dupa exil, secondo la bella formulazione di Niculescu cel tânar ...
La
prodigiosa molteplicità di interessi di Alexandru Niculescu e il fitto
reticolo di relazioni scientifiche e umane da lui intessute con studiosi di
diversa formazione si rispecchiano nella miscellanea allestita dagli amici
udinesi, nella quale si trovano raccolti studi afferenti vari àmbiti
disciplinari. Un posto di primo piano è accordato naturalmente alla
romenistica, con scritti che svariano dalla linguistica, alla critica
letteraria e fino alla storia delle religioni. Nel suo Contributo al lessico del romeno antico, Daniele Pantaleoni
fornisce i primi dati di uno spoglio lessicale condotto sul ms. R-1854 della
Biblioteca dell'Accademia Romena di Cluj (in-folio ridotto, di pp. 414,
databile alla seconda metà del secolo xvii),
latore di quarantadue componimenti religiosi di ispirazione calvinista e della
versione romena del Psalterium ungaricum
di Szenci Molnár Albert. L'esame sistematico del codice permette di isolare un
nucleo consistente di arcaismi e regionalismi, con abbondante attestazione di
lemmi ungheresi. Frequenti anche gli slavismi, provenienti dal
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serbo o dallo slavo ecclesiastico. Un altro notevole
documento manoscritto è sottoposto a esame linguistico e
storico-culturale da Teresa Ferro (Per la
storia della propaganda cattolica in Moldavia alla fine del sec. xviii): si tratta dei testi romeni
in alfabeto latino attualmente conservati a Bologna (nel cartone xiii [già x] del fondo Mezzofanti
dell'Archiginnasio) e dovuti ai missionari cattolici attivi in Moldavia nel
corso del Settecento[9].
I 129 ff. del fascicolo mezzofantiano (di vari formati e differenti
qualità di carta) sono stati vergati con ogni probabilità negli
anni 1790-1814 e sono dunque riportabili alla fase più vivace e intensa
dell'attività di propaganda cattolica in area moldava[10].
Rispetto agli scritti missionari della prima metà del secolo xviii, quelli dell'epoca immediatamente
successiva mostrano tratti di più marcata colloquialità e
spontaneità, ragion per cui essi rappresentano un campione prezioso e
attendibile per l'indagine linguistica. L'esame della Ferro, accurato e
rigoroso, mette in risalto vistose emergenze di particolarità dialettali
e/o di registro colloquiale: ricordo soltanto, per la fonetica, la riduzione
del dittongo [ea] ad [e] (ace
= acea, me = mea, ave = avea ecc.) e per la morfosintassi alcuni casi di ripetizione
pronominale (es. nu i au dat lor = nu le au dat lor). Quanto al lessico,
sono numerose le voci di uso regionale e popolare. Ancora nel dominio della
romenistica si situano i lavori di Celestina Fanella (Di chimere e di cose terrene. Appunti sul ritratto femminile) e di
Laura Miani (Mircea Eliade, il mito e la
finzione), che toccano diversi aspetti dell'opera narrativa e della
produzione scientifica di Mircea Eliade. Suggestivo e ricco di spunti,
l'articolo della Fanella rintraccia nella letteratura romena
dell'Otto-Novecento le ipostasi di alcune presenze archetipiche del folklore
romeno. Particolarmente persuasiva è l'agnizione della fisionomia
selenica di Ileana Cosinzeana (o Sinzeana) nei due attanti femminili del
romanzo eliadiano Nuntã în cer
(Bucuresti: Editura Cugetarea, 1938)[11].
La ballata popolare Soarele ºi Luna
narra l'impossibile matrimonio tra il Sole e sua sorella Ileana, che per
sfuggire al connubio incestuoso si tuffa in mare, viene trasformata in barbio e
infine proiettata in cielo dove prende il nome di Luna, sottratta per sempre
all'incontro con l'astro solare. Ebbene, i personaggi femminili di Nuntã în cer intrattengono rapporti
privilegiati con questa dea lunare, tanto da proporsi come suoi avatars. Le omologie tra mito e fiction sono stringenti, decisive: le
due donne del romanzo si chiamano Ileana e Lena[12],
suscitano amori unici e irresistibili, scaturiscono dall'ignoto e all'ignoto ritornano,
dopo aver presentito e verificato l'impossibilità di un'unione
matrimoniale piena e compiuta. Le nozze
celesti (cioè cosmiche) del titolo alludono alla favola del Sole e
della Luna che nutre e sostanzia il récit
romanzesco. Funzione e significato del mito nell'orizzonte teorico e poetico
eliadiano fanno oggetto dell'articolo di
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L. Miani, che ci offre una buona sintesi
sull'argomento. Si sa che Eliade distingue tra una storia profana, basata sulla
concatenazione lineare e sequenziale degli accadimenti, e una storia sacra,
tipica dell'uomo arcaico, incardinata sulla riattualizzazione periodica del
Grande Tempo. Le civiltà tradizionali ritornano ciclicamente al momento
aurorale degli Inizi: ciò si realizza attraverso la ripetizione rituale
degli atti compiuti all'origine e una volta per tutte dagli Antenati Mitici. Il
mito riveste un ruolo centrale, fondativo e insieme ermeneutico: esso racconta
una ierofania, riferisce quegli eventi, avvenuti in illo tempore, su cui si modellano i riti e tutte le attività
umane. Narrando la storia sacra, il mito fissa un paradigma esemplare e crea
significati. Radicalmente diversa la situazione che si dà nel mondo
moderno, dove il sacro si trova camuffato nella convenzionalità
dell'abituale. È l'intuizione eliadiana dell'«irriconoscibilità
del miracolo»: lo sguardo profano non riconosce le manifestazioni del
trascendente nascoste in una realtà desacralizzata. Tale nozione risulta
essenziale per la comprensione della narrativa fantastica di Eliade, nella
quale i segni dell'aldilà, mimetizzati nella banalità e
normalità del quotidiano, si rivelano a poco a poco con il progredire
della vicenda[13].
Gli
scritti di Vincenzo Orioles (Rapsodia
terminologica plurilingue), Raffaella Bombi (Le vicende di un tecnicismo della linguistica: accento) e Fabiana
Fusco (Annotazioni sulla terminologia
della traduzione) formano un nucleo compatto: nati dalla medesima fucina
udinese, questi tre lavori costituiscono altrettanti specimina di un erigendo dizionario della terminologia metalinguistica
del plurilinguismo e degli idiomi in contatto[14].
Obiettivo dell'indagine è studiare i lemmi-chiave relativi alla
fenomenologia plurilinguistica, secondo un'angolatura di ricerca tesa a
cogliere la struttura concettuale delle voci repertoriate. In particolare, nei
contributi offerti ad Alexandru Niculescu, Orioles fornisce un inventario
ragionato delle denominazioni attribuite in diacronia e in sincronia alle varie
forme del plurilinguismo, la Bombi precisa i significati assunti dal termine accento in campo sociolinguistico[15],
mentre la Fusco ragiona sul patrimonio nomenclatorio afferente l'àmbito
della traduttologia[16].
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Estremamente
variegata, ma per molti versi interessante, la pattuglia degli articoli riconducibili
al settore della linguistica. Nel suo contributo Su alcune rarità lessicali del friulano, Piera Rizzolatti
presenta gli esiti di un'inchiesta sul campo focalizzata su alcune
varietà della Carnia occidentale e nord-occidentale. Il lessico di tali
parlate marginali conserva un buon numero di voci rare e di arcaismi, portati
alla luce dalla ricerca condotta dall'autrice. I dati di prima mano offerti da
questo studio dimostrano come indagini settoriali, ristrette cioè a
singoli tipi dialettali, possano utilmente integrare il quadro d'assieme
tracciato dall'Atlante
Storico-Linguistico-Etnografico Friulano. Sempre del friulano, ma da
tutt'altra prospettiva, tratta Silvana Schiavi Fachin, che vaglia i risultati
di un'ampia esplorazione di taglio sociolinguistico realizzata sulla base di
questionari e con l'ausilio di strumenti statistici (Production and reproduction of minority languages in the European
Union. The friulian case). Dal canto suo, Carla Marcato sottopone a un
attento scrutinio la lingua degli annunci economici di «America Oggi», l'unico
quotidiano in italiano attualmente pubblicato negli USA («Classified»: l'italiano degli annunci pubblicitari del quotidiano
«America Oggi»). L'esame sistematico dei testi rivela frequenti riflessi
del contatto interlinguistico tra italiano e angloamericano: i fenomeni di
ibridismo sono indotti dall'infiltrazione di espressioni strettamente connesse
con la vita quotidiana e le realtà sociali degli ambienti
italo-americani. Verso orizzonti disciplinari completamente diversi ci conduce
l'intervento di László Honti, che discute un'ipotesi genetica
dell'uralo-altaico (Eine Lingua
franca als Grundsprache. Ein Scherz oder
ernst gemeint?).
La
miscellanea udinese contiene anche due lavori riguardanti la storia del teatro.
Renata Londero esamina le diverse facce assunte dalla figura di Tamerlano in
tre drammi spagnoli del Seicento: La
nueva ira de Dios, y gran Tamorlán de Persia di Luis Vélez de Guevara; El villano gran señor y Gran Tamorlán
de Persia di Francisco Rojas Zorrilla, Jerónimo Villanueva e Gabriel de
Roa; El vaquero emperador y Gran Tamorlán
de Persia di Juan Matos Fragoso, Juan Bautista Diamante e Andrés Gil
Enríquez. Sulla scena, la fisionomia del personaggio prende di volta in volta
connotazioni differenti, ma trova un punto fermo nella riproposta di una
biografia leggendaria incentrata sull'opposizione tra l'umile condizione
sociale di partenza e il successivo conseguimento di una potenza immensa. Di pièces novecentesche si occupa
invece Jean-Paul Dufiet, che indaga l'immagine del nazista nella drammaturgia
francese (Le personnage du nazi au
théâtre. Notes et reflexions).
Restano
infine da menzionare gli scritti di critica tematica e stilistica relativi a
diverse epoche e tradizioni letterarie. Ne fornisco qui di séguito una veloce
rassegna seriata secondo l'ordine cronologico delle opere trattate. Sagrario
del Río Zamudio studia El papel de la
mujer en la Storia di Ugho da Vernia de
Andrea da Barberino, cantastorie vissuto tra i secoli xiv e xv:
i personaggi femminili sono analizzati a partire da quel che si sa sulla
condizione della donna nel Medioevo. Con il contributo di Segio Cappello, Le corps dans les Comptes amoureux: Pyralius le Jaloux, ci spostiamo
nell'àmbito della letteratura francese del Cinquecento. I Comptes amoureux, apparsi a Lione verso
il 1539 (la stampa non reca la data di pubblicazione), sono sette novelle
intrise di riprese e riecheggiamenti desunti dalla cultura umanistica e
rinascimentale italiane (frequenti, p. es., i prelievi dall'Hypnerotomachia Poliphili): l'autore,
che si nasconde sotto lo pseudonimo di Madame Jeanne Flore, presenta una serie
di casi esemplari nei quali si mostra la
punition que faict Venus de ceulx qui contemnent et mesprisent le vray Amour.
Con un esame ravvicinato di alcuni passi, Cappello fa notare come la
raffigurazione del corpo giochi un ruolo di primo piano nella valorizzazione
dell'amore sensuale promossa dai Comptes.
A questo riguardo,
p. 430
sono particolarmente interessanti le osservazioni
sull'impiego delle fonti e le strategie retoriche reperibili nella descriptio personae, spesso
caratterizzata da una sottolineatura iperbolica che mira a suscitare la mozione
degli affetti. Silvana Serafin (Visione
emotiva della natura in María, primo
romanzo della selva) ci conduce in tutt'altro contesto: il suo articolo
tratta della rappresentazione della natura in un celebre romanzo del colombiano
Jorge Isaacs: María, uscito a Bogotá
nel 1867 per i tipi dell'editoriale Imprenta de Gaitán. In quest'opera, uno dei
capolavori del romanticismo ispano-americano, sentimenti e passioni generano il
paesaggio, e la descrizione ambientale si fa a sua volta prolungamento delle
tonalità emotive dominanti. Il contesto è lugubre e selvaggio, si
colora di tinte cupe, violente, tramate di segnali disforici. È la
percezione tragica della natura americana che si ritrova in quei prodotti
narrativi definiti romanzi della selva.
Una marcata torsione sociologica contraddistingue il contributo di Laura
Silvestri, che ragiona sui saggi di Emilia Pardo Bazán (La Coruña
1851-Madrid 1921) dedicati all'identità femminile. Sergio Vatteroni si
sofferma invece su una raccoltina di dodici componimenti «quasi» spagnoli di
Pier Paolo Pasolini, risalenti al 1945 e conservati in un quaderno autografo
sotto il titolo di Hosas de lenguas
romanas[17]. Tale
piccola silloge costituisce una conferma dell'inventività linguistica di
Pasolini e insieme un'applicazione della sua estetica dell'idioma inventato. Il
quasi spagnolo di queste dodici poesie equivale al friulano de La meglio gioventù, una lingua
d'invenzione, sorgiva e incorrotta, sottratta alle determinazioni della storia
e capace di ridestare le forme archetipiche di un passato remoto (o le figure
immaginali dell'eden infantile perduto). Mediante un rigoroso spoglio di Hosas de lenguas romanas Vatteroni
corregge le precedenti definizioni dell'impasto linguistico, precisando che lo
sperimentalismo pasoliniano si incanala principalmente lungo due direttrici:
l'uso molto frequente di italianismi e l'impiego di voci castigliane preziose.
Assai rari, per contro, i termini spagnoli realmente inventati. Si noti inoltre
come questa ricerca linguistica si combini col lavoro di scomposizione e
montaggio di tessere poetiche attinte alla grande lirica spagnola novecentesca
(fonti privilegiate sono Jiménez, Machado e Lorca). Tali reminiscenze non si
configurano nei termini di una citazione, ma servono a evocare un'aura, a
creare una patina di colore ispanico. Il ri-uso di materiali poetici,
più che alludere a un testo in particolare, contribuisce a produrre
un'eco suggestiva di poesia romanza. Rimane da segnalare lo scritto di Bernard
Gallina, che ci dà una puntuale lettura del romanzo Les Paradis de sable di Jean-Charles Harvey, apparso nel 1953. Di
questo libro Gallina evidenzia soprattutto il rapporto intercorrente tra le
esitazioni dei personaggi e le oscillazioni stilistiche e registrali rilevabili
a livello di scrittura. Il percorso di maturazione e crescita intellettuale del
protagonista, modellato sulle forme del Bildungsroman,
è attraversato da ripensamenti, incertezze, cambiamenti di rotta. Ora,
questa instabilità nella plasmazione del proprio io trova un corrispettivo nella natura composita dell'opera. Per
quello che è dello statuto testuale, si registra la compresenza di varie
tipologie: spy story, pamphlet, vaudeville, romanzo a tesi, satirico ecc. Ma anche nelle opzioni di
stile si rileva un collage di elementi eterogenei, dove si trovano accostati i toni
elevati della speculazione filosofico-morale e il parlato popolare, l'alto e il
basso.
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Istituto Romeno di cultura e ricerca umanistica 4 (2002), edited by ªerban
Marin, Rudolf Dinu and Ion Bulei, Venice, 2002
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© ªerban Marin, August 2002, Bucharest,
Romania
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* Studi offerti ad Alexandru Niculescu dagli
amici e allievi di Udine (a cura di S. Vatteroni),
Udine: Forum Editrice Universitaria Udinese, 2001: pp. 287.
[1] Studi rumeni e romanzi. Omaggio a Florica Dimitrescu
e Alexandru Niculescu, 3 voll. (a cura di C. Lupu e L. Renzi),
Padova: Unipress, 1995: i. Linguistica, etnografia, storia rumena; ii. Linguistica
generale e romanza; iii. Letteratura e filologia.
[2] Studi rumeni e romanzi, vol. i, "Premessa": i-iii (i).
[3] Di qui in avanti
citazioni e rinvii alla miscellanea udinese sono seguiti dalle rispettive
pagine di riferimento tra parentesi tonde.
[4] Questa
bibliografia continua quella pubblicata in Studi
rumeni e romanzi, vol. i:
17-28. Segnalo che all'elenco di Adriana Job bisogna aggiungere il seguente
titolo: Il mio amico Cino. Omaggio al
prof. Lorenzo Renzi, in Annuario
dell'Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica. 1 (1999): 249-252.
[5] Riducendo
all'osso l'esemplificazione, mi limito a menzionare i seguenti contributi:
"Existe-t-il un "partitif" en roumain?", Balkan Archiv (Neue Folge) 17/18 (1993):
155-160; "Sur la position de l'article défini en roumain", in Atti del xxi
Congresso Internazionale di Linguistica e Filologia romanza, Centro di studi filologici
e linguistici siciliani. Università di Palermo (18-24 settembre 1998),
Tübingen: Niemeyer, 1998: 247-258; "Le rôle de l'analogie dans le
paradigme verbal en roumain", in Il
Tempo. I Tempi. Omaggio a Lorenzo Renzi, Padova: Esedra, 1998: 187-193. Tra
gli interventi che proiettano nuova luce su temi trattati in lavori precedenti,
voglio ricordare almeno la voce "Loyauté linguistique", in Kontaktlinguistik. Contact Linguistics.
Linguistique de contact. Ein internationales Handbuch zeitgenössischer Forschung.
An International Handbook of Contemporary Research. Manuel international des
recherches contemporaines, Berlin-New York, 1996: 715-720, che fornisce
un'eccellente messa a punto sulla nozione di language loyalty, già magistralmente applicata da Niculescu
per studiare la 'resistenza' del romeno nell'area carpato-danubiana come
fenomeno di continuità: cfr. "«Language loyalty»-«Culture loyalty»
dans l'histoire de la langue roumaine", in Actes du xviième
Congrès International de Linguistique et Philologie Romanes
(Aix-en-Provence 1983), n. 5: Sociolinguistique des langues romanes,
Marseille: Université de Provence-Laffitte, 1984: 317-334 (poi anche in A. Niculescu, Outline History of the Romanian Language, présentation di L. Renzi,
Padova: Unipress, 1990: 191-205).
[6] Sul 'metodo' di
Alexandru Niculescu, che integra una solida dottrina di impostazione
tradizionale con l'apporto delle più aggiornate cornici teoriche, si
vedano le acute considerazioni di L. Renzi,
recensione ad A. Niculescu, Individualitatea
limbii române între limbile romanice, 2, Bucuresti: Editura ºtiinþificã ºi
enciclopedicã, 1978, apparsa nell'Archivio
glottologico italiano 65 (1980): 154-159.
[7] "Ni s-a
stins o stea (Marian Papahagi, 1948-1999)", România Literarã xxxii,
3 (1999): 12.
[8] Basti qui
citare: "Exil si cultura", Apostrof
iii, 9-10 (1992): 20, 27;
"Cultura româneasca din exil", România
Literarã xxix, 38 (1996): 3;
"Exilul nostru militant - pro memoria", România Literarã xxxiii,
6 (2000): 10, 11.
[9] Da un controllo
puntuale effettuato da Teresa Ferro sul contenuto del cartone mezzofantiano
risulta la perdita di alcune carte: mancano infatti all'appello alcuni degli
scritti segnalati da C. Tagliavini,
"Alcuni manoscritti rumeni sconosciuti di missionari cattolici italiani in
Moldavia (sec. xviii)", Studi rumeni 4 (1929-30): 41-50. In
particolare, sono scomparsi i seguenti testi: la Envazzatura Crestinasca del padre Sassiano, le omelie del padre
Vincenzo Gatt e le Preci da recitarsi ai
vespri e prima della messa parrocchiale in tutte le feste di precetto in ogni
chiesa.
[10] La Ferro rileva
che la produzione di scritti romeni da parte dei cattolici tende a concentrarsi
nella seconda metà del Settecento: ciò si deve in parte
all'intensificazione dell'opera missionaria, in parte al trasferimento dalla
Transilvania alla Moldavia di popolazione di confessione cattolica (p. 62).
[11] Traduzione
italiana: M. Eliade, Nozze in cielo, con una presentazione di
R. Mussapi, Milano: Jaca Book,
1982.
[12] Si noti che Lena
«altro non è che il derivato onomastico» di Ileana (p. 55).
[13] Ciò
è chiarissimo in Sarpele
(Bucarest: Editura Naþionalã-Ciornei, 1937; trad. it. Il serpente (con scritti introduttivi di G. Pampaloni e S. Alexandrescu),
Milano: Jaca Book, 1981), dove le tracce dell'aldilà, presenti sin dal
principio ma nascoste nella banalità della vicenda, acquistano
gradualmente spessore e visibilità. Sull'idea della
«irriconoscibilità del miracolo» nella teoria eliadiana del fantastico,
cfr. M. Cugno, "Mircea
Eliade: lo studioso e il narratore, l'«uomo diurno» e l'«uomo notturno»",
in Confronto con Mircea Eliade. Archetipi
mitici e identità storica (a cura di L. Arcella, P. Pisi e
R. Scagno), Milano: Jaca Book,
1998: 27-42 (36).
[14] I tre lavori in
questione si inquadrano entro la stessa cornice teorica e costituiscono i primi
risultati di due progetti di ricerca promossi e sostenuti dal Centro
Internazionale sul Plurilinguismo: Categorie
e termini tecnici del pluringuismo (diretto da Raffaella Bombi) e Per un dizionario generale plurilingue del
lessico metalinguistico (coordinato da Vincenzo Orioles).
[15] Nella
sociolinguistica inglese, il termine accent
serve a designare le particolarità di pronuncia determinate da fattori
di provenienza geografica e/o di status
sociale: così, nel contesto britannico, regional accent e social
accent sono espressioni che indicano divergenza di realizzazioni fonetiche
rispetto allo standard generalmente accettato (Received Pronunciation). Si aggiunga che il concetto di accent va tenuto nettamente separato da
quello di dialect, in quanto il primo
si riferisce solo a specificità di pronuncia, mentre il secondo
coinvolge anche la morfologia, il lessico ecc.
[16] Tra le diverse
voci repertoriate, discusse tanto dal punto di vista concettuale che
terminologico, ricordiamo le seguenti: traduzionese,
equivalenza, lingua di partenza e lingua
di arrivo.
[17] Se ne veda
l'edizione in A. Ruffinatto, L'ala giovane dell'allodola capelluta.
Introduzione a un inedito quasi spagnolo di Pier Paolo Pasolini, in Pasolini in Friuli 1943-1949, Udine
1976: 93-114.