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p. 425

Una raccolta udinese*

 

Alvaro Barbieri,

Università di Verona

 

          Nel 1995 usciva a Padova, per le cure di Coman Lupu e Lorenzo Renzi, una Festschrift in onore di Florica Dimitrescu e Alexandru Niculescu. Si trattava di una poderosa miscellanea contenente lavori di amici, allievi e studiosi di varia provenienza, i cui articoli si distribuivano in tre grossi tomi seguendo princìpi ordinativi di ripartizione disciplinare[1]. Oggi, dopo un intervallo di soli sei anni, Alexandru Niculescu riceve in dono una nuova collettanea, curata questa volta da Sergio Vatteroni, che raduna contributi di colleghi e discepoli del Dipartimento di lingue e letterature germaniche e del Centro Internazionale sul Plurilinguismo dell'Università di Udine, istituzioni entro le quali si sono dispiegati per lunghi anni il magistero e l'«impetuosa attività»[2] del professor Niculescu. Come ha sottolineato opportunamente Giovanni Frau nella Presentazione della raccolta udinese (p. 9)[3], la pubblicazione a breve distanza di tempo di due volumi omaggiali implica la coesistenza, nella persona del Destinatario, di eccezionale prestigio accademico e di doti umane fuori dal comune. Quanto alla rilevanza e all'estensione dell'attività di ricerca del Festeggiato, esse sono ampiamente documentate dalla Bibliografia degli scritti di Alexandru Niculescu dal 1991 al 2000 compilata da Adriana Job e posta in apertura della Festschrift più recente[4]. Negli anni Novanta, la produzione scientifica e pubblicistica di Alexandru Niculescu riflette vecchi interessi e aperture inedite: i suoi scritti da un lato tendono a concentrarsi attorno ad alcuni temi già affrontati in precedenza, dall'altro lato testimoniano di una curiosità sempre più viva che si indirizza verso un ampio ventaglio di nuove problematiche. La parte più cospicua e importante degli studi dell'ultimo decennio resta quella consacrata alla linguistica balcanica e romanza, che conta un buon numero di articoli dedicati a specifiche questioni di morfosintassi del romeno[5]. Ma per quanto riguarda

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il lavoro del linguista va soprattutto ricordata la terza serie di Individualitatea limbii române între limbile romanice. 3. Noi contribuþii (Cluj: Clusium, 1999), libro fondamentale non soltanto per ricchezza e vastità di informazione, ma per densità di risvolti metodologici: le strutture e i fenomeni linguistici sono infatti indagati muovendo da una prospettiva teorica che integra le tradizionali tecniche d'analisi con l'esame dei contesti storici e dei quadri di riferimento socio-culturali[6]. In questa rapida carrellata vanno citati anche alcuni ricordi e profili di studiosi, che si segnalano per acutezza critica e icasticità di scrittura: e in tale galleria di ritratti spicca il commovente e bellissimo Tombeau di Marian Papahagi[7], principe dell'italianistica romena e infaticabile promotore di iniziative culturali. Infine, ricordo l'assidua collaborazione a periodici quali România Literarã, Jurnalul Literar, Apostrof, con decine di articoli in cui le competenze dello specialista si intrecciano con l'impegno di comprensione e analisi di tematiche più ampie. All'interno di questa attività di intervento culturale mi sembra opportuno evidenziare la centralità di un gruppo di scritti nei quali l'attenzione porta sull'esilio come momento forte di militanza intellettuale e di elaborazione di pensiero[8]. Ne risulta una rivisitazione della cultura romena in esilio che fonde la lucidità dello sguardo retrospettivo con l'esigenza di fissare nella memoria figure e snodi dotati di valore esemplare. È un modo nobile e costruttivo di fare i conti col passato, dopo che il 22 dicembre 1989 ha cambiato radicalmente le prospettive: din exil, dupa exil, secondo la bella formulazione di Niculescu cel tânar ...

          La prodigiosa molteplicità di interessi di Alexandru Niculescu e il fitto reticolo di relazioni scientifiche e umane da lui intessute con studiosi di diversa formazione si rispecchiano nella miscellanea allestita dagli amici udinesi, nella quale si trovano raccolti studi afferenti vari àmbiti disciplinari. Un posto di primo piano è accordato naturalmente alla romenistica, con scritti che svariano dalla linguistica, alla critica letteraria e fino alla storia delle religioni. Nel suo Contributo al lessico del romeno antico, Daniele Pantaleoni fornisce i primi dati di uno spoglio lessicale condotto sul ms. R-1854 della Biblioteca dell'Accademia Romena di Cluj (in-folio ridotto, di pp. 414, databile alla seconda metà del secolo xvii), latore di quarantadue componimenti religiosi di ispirazione calvinista e della versione romena del Psalterium ungaricum di Szenci Molnár Albert. L'esame sistematico del codice permette di isolare un nucleo consistente di arcaismi e regionalismi, con abbondante attestazione di lemmi ungheresi. Frequenti anche gli slavismi, provenienti dal

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serbo o dallo slavo ecclesiastico. Un altro notevole documento manoscritto è sottoposto a esame linguistico e storico-culturale da Teresa Ferro (Per la storia della propaganda cattolica in Moldavia alla fine del sec. xviii): si tratta dei testi romeni in alfabeto latino attualmente conservati a Bologna (nel cartone xiii [già x] del fondo Mezzofanti dell'Archiginnasio) e dovuti ai missionari cattolici attivi in Moldavia nel corso del Settecento[9]. I 129 ff. del fascicolo mezzofantiano (di vari formati e differenti qualità di carta) sono stati vergati con ogni probabilità negli anni 1790-1814 e sono dunque riportabili alla fase più vivace e intensa dell'attività di propaganda cattolica in area moldava[10]. Rispetto agli scritti missionari della prima metà del secolo xviii, quelli dell'epoca immediatamente successiva mostrano tratti di più marcata colloquialità e spontaneità, ragion per cui essi rappresentano un campione prezioso e attendibile per l'indagine linguistica. L'esame della Ferro, accurato e rigoroso, mette in risalto vistose emergenze di particolarità dialettali e/o di registro colloquiale: ricordo soltanto, per la fonetica, la riduzione del dittongo [ea] ad [e] (ace = acea, me = mea, ave = avea ecc.) e per la morfosintassi alcuni casi di ripetizione pronominale (es. nu i au dat lor = nu le au dat lor). Quanto al lessico, sono numerose le voci di uso regionale e popolare. Ancora nel dominio della romenistica si situano i lavori di Celestina Fanella (Di chimere e di cose terrene. Appunti sul ritratto femminile) e di Laura Miani (Mircea Eliade, il mito e la finzione), che toccano diversi aspetti dell'opera narrativa e della produzione scientifica di Mircea Eliade. Suggestivo e ricco di spunti, l'articolo della Fanella rintraccia nella letteratura romena dell'Otto-Novecento le ipostasi di alcune presenze archetipiche del folklore romeno. Particolarmente persuasiva è l'agnizione della fisionomia selenica di Ileana Cosinzeana (o Sinzeana) nei due attanti femminili del romanzo eliadiano Nuntã în cer (Bucuresti: Editura Cugetarea, 1938)[11]. La ballata popolare Soarele ºi Luna narra l'impossibile matrimonio tra il Sole e sua sorella Ileana, che per sfuggire al connubio incestuoso si tuffa in mare, viene trasformata in barbio e infine proiettata in cielo dove prende il nome di Luna, sottratta per sempre all'incontro con l'astro solare. Ebbene, i personaggi femminili di Nuntã în cer intrattengono rapporti privilegiati con questa dea lunare, tanto da proporsi come suoi avatars. Le omologie tra mito e fiction sono stringenti, decisive: le due donne del romanzo si chiamano Ileana e Lena[12], suscitano amori unici e irresistibili, scaturiscono dall'ignoto e all'ignoto ritornano, dopo aver presentito e verificato l'impossibilità di un'unione matrimoniale piena e compiuta. Le nozze celesti (cioè cosmiche) del titolo alludono alla favola del Sole e della Luna che nutre e sostanzia il récit romanzesco. Funzione e significato del mito nell'orizzonte teorico e poetico eliadiano fanno oggetto dell'articolo di

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L. Miani, che ci offre una buona sintesi sull'argomento. Si sa che Eliade distingue tra una storia profana, basata sulla concatenazione lineare e sequenziale degli accadimenti, e una storia sacra, tipica dell'uomo arcaico, incardinata sulla riattualizzazione periodica del Grande Tempo. Le civiltà tradizionali ritornano ciclicamente al momento aurorale degli Inizi: ciò si realizza attraverso la ripetizione rituale degli atti compiuti all'origine e una volta per tutte dagli Antenati Mitici. Il mito riveste un ruolo centrale, fondativo e insieme ermeneutico: esso racconta una ierofania, riferisce quegli eventi, avvenuti in illo tempore, su cui si modellano i riti e tutte le attività umane. Narrando la storia sacra, il mito fissa un paradigma esemplare e crea significati. Radicalmente diversa la situazione che si dà nel mondo moderno, dove il sacro si trova camuffato nella convenzionalità dell'abituale. È l'intuizione eliadiana dell'«irriconoscibilità del miracolo»: lo sguardo profano non riconosce le manifestazioni del trascendente nascoste in una realtà desacralizzata. Tale nozione risulta essenziale per la comprensione della narrativa fantastica di Eliade, nella quale i segni dell'aldilà, mimetizzati nella banalità e normalità del quotidiano, si rivelano a poco a poco con il progredire della vicenda[13].

          Gli scritti di Vincenzo Orioles (Rapsodia terminologica plurilingue), Raffaella Bombi (Le vicende di un tecnicismo della linguistica: accento) e Fabiana Fusco (Annotazioni sulla terminologia della traduzione) formano un nucleo compatto: nati dalla medesima fucina udinese, questi tre lavori costituiscono altrettanti specimina di un erigendo dizionario della terminologia metalinguistica del plurilinguismo e degli idiomi in contatto[14]. Obiettivo dell'indagine è studiare i lemmi-chiave relativi alla fenomenologia plurilinguistica, secondo un'angolatura di ricerca tesa a cogliere la struttura concettuale delle voci repertoriate. In particolare, nei contributi offerti ad Alexandru Niculescu, Orioles fornisce un inventario ragionato delle denominazioni attribuite in diacronia e in sincronia alle varie forme del plurilinguismo, la Bombi precisa i significati assunti dal termine accento in campo sociolinguistico[15], mentre la Fusco ragiona sul patrimonio nomenclatorio afferente l'àmbito della traduttologia[16].

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          Estremamente variegata, ma per molti versi interessante, la pattuglia degli articoli riconducibili al settore della linguistica. Nel suo contributo Su alcune rarità lessicali del friulano, Piera Rizzolatti presenta gli esiti di un'inchiesta sul campo focalizzata su alcune varietà della Carnia occidentale e nord-occidentale. Il lessico di tali parlate marginali conserva un buon numero di voci rare e di arcaismi, portati alla luce dalla ricerca condotta dall'autrice. I dati di prima mano offerti da questo studio dimostrano come indagini settoriali, ristrette cioè a singoli tipi dialettali, possano utilmente integrare il quadro d'assieme tracciato dall'Atlante Storico-Linguistico-Etnografico Friulano. Sempre del friulano, ma da tutt'altra prospettiva, tratta Silvana Schiavi Fachin, che vaglia i risultati di un'ampia esplorazione di taglio sociolinguistico realizzata sulla base di questionari e con l'ausilio di strumenti statistici (Production and reproduction of minority languages in the European Union. The friulian case). Dal canto suo, Carla Marcato sottopone a un attento scrutinio la lingua degli annunci economici di «America Oggi», l'unico quotidiano in italiano attualmente pubblicato negli USA («Classified»: l'italiano degli annunci pubblicitari del quotidiano «America Oggi»). L'esame sistematico dei testi rivela frequenti riflessi del contatto interlinguistico tra italiano e angloamericano: i fenomeni di ibridismo sono indotti dall'infiltrazione di espressioni strettamente connesse con la vita quotidiana e le realtà sociali degli ambienti italo-americani. Verso orizzonti disciplinari completamente diversi ci conduce l'intervento di László Honti, che discute un'ipotesi genetica dell'uralo-altaico (Eine Lingua franca als Grundsprache. Ein Scherz oder ernst gemeint?).

          La miscellanea udinese contiene anche due lavori riguardanti la storia del teatro. Renata Londero esamina le diverse facce assunte dalla figura di Tamerlano in tre drammi spagnoli del Seicento: La nueva ira de Dios, y gran Tamorlán de Persia di Luis Vélez de Guevara; El villano gran señor y Gran Tamorlán de Persia di Francisco Rojas Zorrilla, Jerónimo Villanueva e Gabriel de Roa; El vaquero emperador y Gran Tamorlán de Persia di Juan Matos Fragoso, Juan Bautista Diamante e Andrés Gil Enríquez. Sulla scena, la fisionomia del personaggio prende di volta in volta connotazioni differenti, ma trova un punto fermo nella riproposta di una biografia leggendaria incentrata sull'opposizione tra l'umile condizione sociale di partenza e il successivo conseguimento di una potenza immensa. Di pièces novecentesche si occupa invece Jean-Paul Dufiet, che indaga l'immagine del nazista nella drammaturgia francese (Le personnage du nazi au théâtre. Notes et reflexions).

          Restano infine da menzionare gli scritti di critica tematica e stilistica relativi a diverse epoche e tradizioni letterarie. Ne fornisco qui di séguito una veloce rassegna seriata secondo l'ordine cronologico delle opere trattate. Sagrario del Río Zamudio studia El papel de la mujer en la Storia di Ugho da Vernia de Andrea da Barberino, cantastorie vissuto tra i secoli xiv e xv: i personaggi femminili sono analizzati a partire da quel che si sa sulla condizione della donna nel Medioevo. Con il contributo di Segio Cappello, Le corps dans les Comptes amoureux: Pyralius le Jaloux, ci spostiamo nell'àmbito della letteratura francese del Cinquecento. I Comptes amoureux, apparsi a Lione verso il 1539 (la stampa non reca la data di pubblicazione), sono sette novelle intrise di riprese e riecheggiamenti desunti dalla cultura umanistica e rinascimentale italiane (frequenti, p. es., i prelievi dall'Hypnerotomachia Poliphili): l'autore, che si nasconde sotto lo pseudonimo di Madame Jeanne Flore, presenta una serie di casi esemplari nei quali si mostra la punition que faict Venus de ceulx qui contemnent et mesprisent le vray Amour. Con un esame ravvicinato di alcuni passi, Cappello fa notare come la raffigurazione del corpo giochi un ruolo di primo piano nella valorizzazione dell'amore sensuale promossa dai Comptes. A questo riguardo,

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sono particolarmente interessanti le osservazioni sull'impiego delle fonti e le strategie retoriche reperibili nella descriptio personae, spesso caratterizzata da una sottolineatura iperbolica che mira a suscitare la mozione degli affetti. Silvana Serafin (Visione emotiva della natura in María, primo romanzo della selva) ci conduce in tutt'altro contesto: il suo articolo tratta della rappresentazione della natura in un celebre romanzo del colombiano Jorge Isaacs: María, uscito a Bogotá nel 1867 per i tipi dell'editoriale Imprenta de Gaitán. In quest'opera, uno dei capolavori del romanticismo ispano-americano, sentimenti e passioni generano il paesaggio, e la descrizione ambientale si fa a sua volta prolungamento delle tonalità emotive dominanti. Il contesto è lugubre e selvaggio, si colora di tinte cupe, violente, tramate di segnali disforici. È la percezione tragica della natura americana che si ritrova in quei prodotti narrativi definiti romanzi della selva. Una marcata torsione sociologica contraddistingue il contributo di Laura Silvestri, che ragiona sui saggi di Emilia Pardo Bazán (La Coruña 1851-Madrid 1921) dedicati all'identità femminile. Sergio Vatteroni si sofferma invece su una raccoltina di dodici componimenti «quasi» spagnoli di Pier Paolo Pasolini, risalenti al 1945 e conservati in un quaderno autografo sotto il titolo di Hosas de lenguas romanas[17]. Tale piccola silloge costituisce una conferma dell'inventività linguistica di Pasolini e insieme un'applicazione della sua estetica dell'idioma inventato. Il quasi spagnolo di queste dodici poesie equivale al friulano de La meglio gioventù, una lingua d'invenzione, sorgiva e incorrotta, sottratta alle determinazioni della storia e capace di ridestare le forme archetipiche di un passato remoto (o le figure immaginali dell'eden infantile perduto). Mediante un rigoroso spoglio di Hosas de lenguas romanas Vatteroni corregge le precedenti definizioni dell'impasto linguistico, precisando che lo sperimentalismo pasoliniano si incanala principalmente lungo due direttrici: l'uso molto frequente di italianismi e l'impiego di voci castigliane preziose. Assai rari, per contro, i termini spagnoli realmente inventati. Si noti inoltre come questa ricerca linguistica si combini col lavoro di scomposizione e montaggio di tessere poetiche attinte alla grande lirica spagnola novecentesca (fonti privilegiate sono Jiménez, Machado e Lorca). Tali reminiscenze non si configurano nei termini di una citazione, ma servono a evocare un'aura, a creare una patina di colore ispanico. Il ri-uso di materiali poetici, più che alludere a un testo in particolare, contribuisce a produrre un'eco suggestiva di poesia romanza. Rimane da segnalare lo scritto di Bernard Gallina, che ci dà una puntuale lettura del romanzo Les Paradis de sable di Jean-Charles Harvey, apparso nel 1953. Di questo libro Gallina evidenzia soprattutto il rapporto intercorrente tra le esitazioni dei personaggi e le oscillazioni stilistiche e registrali rilevabili a livello di scrittura. Il percorso di maturazione e crescita intellettuale del protagonista, modellato sulle forme del Bildungsroman, è attraversato da ripensamenti, incertezze, cambiamenti di rotta. Ora, questa instabilità nella plasmazione del proprio io trova un corrispettivo nella natura composita dell'opera. Per quello che è dello statuto testuale, si registra la compresenza di varie tipologie: spy story, pamphlet, vaudeville, romanzo a tesi, satirico ecc. Ma anche nelle opzioni di stile si rileva un collage di elementi eterogenei, dove si trovano accostati i toni elevati della speculazione filosofico-morale e il parlato popolare, l'alto e il basso.

 

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© ªerban Marin, August 2002, Bucharest, Romania

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* Studi offerti ad Alexandru Niculescu dagli amici e allievi di Udine (a cura di S. Vatteroni), Udine: Forum Editrice Universitaria Udinese, 2001: pp. 287.

[1] Studi rumeni e romanzi. Omaggio a Florica Dimitrescu e Alexandru Niculescu, 3 voll. (a cura di C. Lupu e L. Renzi), Padova: Unipress, 1995: i. Linguistica, etnografia, storia rumena; ii. Linguistica generale e romanza; iii. Letteratura e filologia.

[2] Studi rumeni e romanzi, vol. i, "Premessa": i-iii (i).

[3] Di qui in avanti citazioni e rinvii alla miscellanea udinese sono seguiti dalle rispettive pagine di riferimento tra parentesi tonde.

[4] Questa bibliografia continua quella pubblicata in Studi rumeni e romanzi, vol. i: 17-28. Segnalo che all'elenco di Adriana Job bisogna aggiungere il seguente titolo: Il mio amico Cino. Omaggio al prof. Lorenzo Renzi, in Annuario dell'Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica. 1 (1999): 249-252.

[5] Riducendo all'osso l'esemplificazione, mi limito a menzionare i seguenti contributi: "Existe-t-il un "partitif" en roumain?", Balkan Archiv (Neue Folge) 17/18 (1993): 155-160; "Sur la position de l'article défini en roumain", in Atti del xxi Congresso Internazionale di Linguistica e Filologia romanza, Centro di studi filologici e linguistici siciliani. Università di Palermo (18-24 settembre 1998), Tübingen: Niemeyer, 1998: 247-258; "Le rôle de l'analogie dans le paradigme verbal en roumain", in Il Tempo. I Tempi. Omaggio a Lorenzo Renzi, Padova: Esedra, 1998: 187-193. Tra gli interventi che proiettano nuova luce su temi trattati in lavori precedenti, voglio ricordare almeno la voce "Loyauté linguistique", in Kontaktlinguistik. Contact Linguistics. Linguistique de contact. Ein internationales Handbuch zeitgenössischer Forschung. An International Handbook of Contemporary Research. Manuel international des recherches contemporaines, Berlin-New York, 1996: 715-720, che fornisce un'eccellente messa a punto sulla nozione di language loyalty, già magistralmente applicata da Niculescu per studiare la 'resistenza' del romeno nell'area carpato-danubiana come fenomeno di continuità: cfr. "«Language loyalty»-«Culture loyalty» dans l'histoire de la langue roumaine", in Actes du xviième Congrès International de Linguistique et Philologie Romanes (Aix-en-Provence 1983), n. 5: Sociolinguistique des langues romanes, Marseille: Université de Provence-Laffitte, 1984: 317-334 (poi anche in A. Niculescu, Outline History of the Romanian Language, présentation di L. Renzi, Padova: Unipress, 1990: 191-205).

[6] Sul 'metodo' di Alexandru Niculescu, che integra una solida dottrina di impostazione tradizionale con l'apporto delle più aggiornate cornici teoriche, si vedano le acute considerazioni di L. Renzi, recensione ad A. Niculescu, Individualitatea limbii române între limbile romanice, 2, Bucuresti: Editura ºtiinþificã ºi enciclopedicã, 1978, apparsa nell'Archivio glottologico italiano 65 (1980): 154-159.

[7] "Ni s-a stins o stea (Marian Papahagi, 1948-1999)", România Literarã xxxii, 3 (1999): 12.

[8] Basti qui citare: "Exil si cultura", Apostrof iii, 9-10 (1992): 20, 27; "Cultura româneasca din exil", România Literarã xxix, 38 (1996): 3; "Exilul nostru militant - pro memoria", România Literarã xxxiii, 6 (2000): 10, 11.

[9] Da un controllo puntuale effettuato da Teresa Ferro sul contenuto del cartone mezzofantiano risulta la perdita di alcune carte: mancano infatti all'appello alcuni degli scritti segnalati da C. Tagliavini, "Alcuni manoscritti rumeni sconosciuti di missionari cattolici italiani in Moldavia (sec. xviii)", Studi rumeni 4 (1929-30): 41-50. In particolare, sono scomparsi i seguenti testi: la Envazzatura Crestinasca del padre Sassiano, le omelie del padre Vincenzo Gatt e le Preci da recitarsi ai vespri e prima della messa parrocchiale in tutte le feste di precetto in ogni chiesa.

[10] La Ferro rileva che la produzione di scritti romeni da parte dei cattolici tende a concentrarsi nella seconda metà del Settecento: ciò si deve in parte all'intensificazione dell'opera missionaria, in parte al trasferimento dalla Transilvania alla Moldavia di popolazione di confessione cattolica (p. 62).

[11] Traduzione italiana: M. Eliade, Nozze in cielo, con una presentazione di R. Mussapi, Milano: Jaca Book, 1982.

[12] Si noti che Lena «altro non è che il derivato onomastico» di Ileana (p. 55).

[13] Ciò è chiarissimo in Sarpele (Bucarest: Editura Naþionalã-Ciornei, 1937; trad. it. Il serpente (con scritti introduttivi di G. Pampaloni e S. Alexandrescu), Milano: Jaca Book, 1981), dove le tracce dell'aldilà, presenti sin dal principio ma nascoste nella banalità della vicenda, acquistano gradualmente spessore e visibilità. Sull'idea della «irriconoscibilità del miracolo» nella teoria eliadiana del fantastico, cfr. M. Cugno, "Mircea Eliade: lo studioso e il narratore, l'«uomo diurno» e l'«uomo notturno»", in Confronto con Mircea Eliade. Archetipi mitici e identità storica (a cura di L. Arcella, P. Pisi e R. Scagno), Milano: Jaca Book, 1998: 27-42 (36).

[14] I tre lavori in questione si inquadrano entro la stessa cornice teorica e costituiscono i primi risultati di due progetti di ricerca promossi e sostenuti dal Centro Internazionale sul Plurilinguismo: Categorie e termini tecnici del pluringuismo (diretto da Raffaella Bombi) e Per un dizionario generale plurilingue del lessico metalinguistico (coordinato da Vincenzo Orioles).

[15] Nella sociolinguistica inglese, il termine accent serve a designare le particolarità di pronuncia determinate da fattori di provenienza geografica e/o di status sociale: così, nel contesto britannico, regional accent e social accent sono espressioni che indicano divergenza di realizzazioni fonetiche rispetto allo standard generalmente accettato (Received Pronunciation). Si aggiunga che il concetto di accent va tenuto nettamente separato da quello di dialect, in quanto il primo si riferisce solo a specificità di pronuncia, mentre il secondo coinvolge anche la morfologia, il lessico ecc.

[16] Tra le diverse voci repertoriate, discusse tanto dal punto di vista concettuale che terminologico, ricordiamo le seguenti: traduzionese, equivalenza, lingua di partenza e lingua di arrivo.

[17] Se ne veda l'edizione in A. Ruffinatto, L'ala giovane dell'allodola capelluta. Introduzione a un inedito quasi spagnolo di Pier Paolo Pasolini, in Pasolini in Friuli 1943-1949, Udine 1976: 93-114.