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Quaderni 2001
Prof. Francesco
Guida
E’ noto che Nicolae Iorga ebbe due posizioni ben
distinte nei confronti del fascismo e del nazismo. Nel primo trovava parentele
con la rivoluzione ideale che auspicava per la Romania. Ecco che cosa scriveva
nella prefazione all’edizione in romeno di un libro di propaganda ideologica
fascista (che in Italia ebbe molteplici edizioni dal 1929 in avanti, destinate
soprattutto alle scuole e ai giovani), Civiltà
fascista di Vincenzo Meletti: “Questo libro è pieno di avversione
per un angusto materialismo, storico e sociale, che degrada l’umanità e
gli rende pericoloso il futuro. Ad ogni pagina si attrae l’attenzione della
gioventù sopra questi grandi doveri, da troppo tempo dimenticati: fede,
lavoro, opera creatrice. Scritto per gli italiani, anche altri popoli che hanno
attraversato o attraversano una crisi come quella italiana potrebbero trovarvi
insegnamenti. Quelli che, come me, si sono adoperati una vita intera in questo
senso, si sentono aiutati nel loro sforzo, non sempre compreso o premiato, ogni
volta che all’estero – questa volta così simpaticamente – loro viene un
tale aiuto morale. Solo per mezzo di simili virtù civiche si
potrà porre freno al materialismo fanatico che batte dall’Oriente
russo…”[1].
Queste poche parole è utile citarle in
questa mia comunicazione perché, oltre a testimoniare la simpatia di cui dicevo
per la rivoluzione conservatrice guidata da Mussolini, esse vanno collegate a
un altro atto dello storico romeno questa volta direttamente nei confronti del
Duce del fascismo. Si tratta di una delle sue ultime manifestazioni di difesa
della Grande Romania, alla cui realizzazione Iorga aveva preso parte in prima
fila un ventennio addietro. Nel 1936 pubblicò[2]
infatti una lettera aperta al capo del governo italiano per illustrargli le
prove storiche del carattere romeno della Transilvania. Egli evidentemente
sentiva avvicinarsi
p. 112
minacciosamente quella resa dei conti realizzatasi poi con il secondo
arbitrato di Vienna del 1940 che avrebbe costretto la Romania a cedere larga
parte della Transilvania all’Ungheria, cancellando parzialmente le
deliberazioni inserite nel trattato del Trianon del 1920. Createsi le condizioni internazionali
favorevoli alle politiche revisionistiche, a nulla valse quel precoce appello a
Mussolini e proprio nel 1940 Iorga cadde vittima di uomini che ideologicamente
erano vicini al fascismo e al nazismo.
Perché lo storico romeno così per tempo si mosse per
difendere i confini della patria ce lo spiega l’azione svolta durante il primo
conflitto mondiale e negli anni ad esso successivi. Anche alla storiografia
italiana è nota, attraverso gli scritti di Bianca Valota[3],
il ruolo svolto nei frangenti più difficili della guerra che, per scelta
del governo liberale Brătianu, ma anche di significative componenti
dell’opinione pubblica, vide la Romania scendere in campo a fianco dell’Intesa
per subire la sconfitta militare e l’occupazione nemica in larga parte del suo
territorio. Già il francese Henri Focillon (in un momento in cui anche
la Francia era divisa in due, nel dicembre 1940) ricordò[4]
appunto l’impegno di Iorga nel 1917 e 1918, quando il governo romeno
controllava ormai soltanto i territori moldavi, affinché lo scoramento di
fronte ai rovesci militari non portasse a scelte politiche che avrebbero
rappresentato sudditanza verso gli Imperi centrali, ma soprattutto il
ridimensionamento delle aspirazioni nazionali a ottenere nuovi, più
vasti confini che includessero provincie abitate in larga parte da romeni e
soggette ad altri Stati. In verità per le sorti della Romania furono
decisivi – come è noto – gli eventi bellici sui diversi fronti europei,
a partire da quello balcanico il cui sfondamento a opera dell’Armée d’Orient pose le premesse per il
ritiro degli occupanti dalle terre romene. E tuttavia non è piccola la
differenza tra le esortazioni dell’intellettuale di Botoşani e le prese di
posizioni del variegato campo di uomini, peraltro rispettabili nelle proprie
scelte, che fecero valere allora le loro inclinazioni verso la Germania, da Carp
a Marghiloman – come il nostro anfitrione Ion Bulei ha illustrato[5]
nel suo volume dedicato al Partito conservatore - oppure da quanti sembrarono
rassegnati alla sconfitta, pure essendo di simpatie filofrancesi. Iorga non
rinunciò invece al sogno di una più vasta patria romena
comprendente
p. 113
tutti i suoi figli ed ebbe
la fortuna di vedere realizzato quel sogno, per le contingenze storiche che
videro sconfitte o in crisi tutte le Potenze (Russia inclusa) che potevano
osteggiare quelle aspirazioni.
Ottenuti i confini desiderati (con la piccola eccezione del
Banato per il quale la Conferenza della Pace non poteva non tenere presenti i desiderata di un altro Stato alleato,
cioè la neonata Jugoslava o Regno SHS) si ponevano nuovi seri problemi
che a un intellettuale e politico della portata di Iorga non sfuggirono. In
primo luogo i successi ottenuti non erano indolori, ma corrispondevano ad
altrettante sconfitte dei popoli vicini. L’esercito romeno era entrato in
Bessarabia quando ancora la Romania era un Paese sconfitto: gli imperi centrali
erano stati ben lieti di affidare ad altri il compito di tenere sotto controllo
una significativa parte di quei territori dell’Impero zarista in cui le loro
forze armate erano dilagate nella seconda metà del 1917. La storiografia
marxista romena ha sottolineato[6]
che in tale frangente il governo romeno, espressione delle classi nobiliare e
borghese, aveva agito in difesa dei propri interessi accedendo ai suggerimenti
austro-tedeschi, per fare argine alla Rivoluzione bolscevica, non soltanto
intervenendo in Bessarabia, ma firmando l’armistizio e poi la pace. Mi è
già capitato di affermare[7]
che – pure essendo indubbio che alla Corte trasferita a Iaşi e nel governo
romeno ben poche fossero le simpatie per il colpo di mano bolscevico - le date stanno a dimostrare che furono
l’armistizio russo e poi la pace di Brest Litovsk, atti voluti dal governo
capeggiato da Lenin, a influenzare i gesti del tutto simili dei dirigenti
romeni, i quali peraltro non ebbero alternative alla resa. Tornando all’intervento
in Bessarabia, esso non fu gradito a una parte della popolazione, soprattutto
quella slava o simpatizzante per le novità che provenivano da
Pietrogrado e Mosca, ma fu sollecitato dallo Sfătul Ţării e dalla maggioranza romena degli abitanti. Nonostante
ciò l’omologazione della nuova provincia allo Stato romeno non era
compito semplice. Nel 1919, in una seduta parlamentare presieduta da Iorga vi
furono denunce provenienti dai banchi di estrema sinistra a riguardo di
irregolarità e soprusi commessi durante le recenti elezioni proprio in
quella provincia, denunce cui lo storico e politico non volle dare grande
credito[8].
E’ noto peraltro come si fosse pronunciato in fatto di diritto all’annessione
di essa alla Romania in scritti come Neamul
românesc din
p. 114
Basarabia.[9]
Il primo dicembre 1918 a Iaşi egli organizzò un congresso di fondazione
dell’Unione della Democrazia Nazionale cui parteciparono anche esponenti
bessarabi del gruppo legato al giornale “Chemarea”.[10]
Ben più grave era la questione della Transilvania, per
l’estensione territoriale di essa e per la cospicua presenza dei magiari e di
altre minoranze. Anche in questo caso l’esercito romeno aveva avuto un ruolo
importante in quello scampolo di guerra mondiale che fu la campagna contro la
Repubblica dei Consigli ungherese. In una con le iniziative politiche e
amministrative del Partito nazionale romeno di Transilvania (e in subordine del
Partito socialdemocratico) che portarono alla nascita del Consiglio Direttivo o
governo provvisorio, il ricorso alle armi creò il fait accompli che le Potenze vincitrici non fecero che confermare
con le decisioni prese al tavolo della pace. Anche, e soprattutto qui, vi era
da operare con saggezza perché lo Stato nazionale dei romeni non vivesse contro
le minoranze etniche che comprendeva (23% circa), ma d’accordo con esse. Non
era un obbiettivo facile da raggiungere. La cultura politica comune dell’epoca
non ne favoriva il raggiungimento: una sorta di egoismo nazionale era diffuso
in Europa, Sud-est incluso. Basta solo ricordare la scelta di tutti i governi
per il protezionismo economico che certo non giovava a regioni, come la
Transilvania, che sino ad allora avevano vissuto all’interno di un determinato
bacino economico-commerciale. Entrando a fare parte della Romania essa
guadagnava la via del mare, ma da quel
bacino restava separata[11].
Nicolae Iorga non fece eccezione rispetto allo spirito dei tempi, insistendo
sul carattere nazionale della Grande Romania, ma segnalò la
necessità di un dialogo con le altre componenti etniche presenti nei
suoi confini. Riguardo alla Transilvania non va dimenticato che nel 1915, con
la Romania ancora neutrale, pubblicò un’opera significativa in due
volumi, Neamul românesc din Ardeal şi
Ungaria. Più in generale va ricordato che egli fu dal 1908 il
segretario generale della Lega culturale per l’unità dei romeni e poi il
presidente dal 1924 al 1940, ruoli nei quali sarebbe sembrato contraddittorio
non sostenere le tesi dei governi di Bucarest in fatto di frontiere statali. E
tuttavia fu il presidente del consiglio che volle un Sottosegretariato per le
Minoranze, retto dal sassone
p. 115
Brandsch, e attuò una
riforma delle autonomie universitarie tale da dare spazio a insegnamenti in
lingua non romena.
L’esistenza della România
Mare non si risolveva, nella concezione di Iorga e nei fatti, nella semplice difesa dei confini acquisiti
contro il revisionismo più o meno esplicito dei Paesi confinanti. Come
è stato scritto da Vlad Georgescu[12]
essa non era soltanto una realizzazione territoriale, bensì anche un
ideale politico e culturale. Forse era più difficile e importante dare
una nuova struttura alla società inclusa in quei confini, che non
difendere questi. Dopo le giovanili simpatie per il socialismo la posizione
politica di Iorga nei confronti della questione sociale è stata
giudicata troppo moderata e quasi ingenua. Pur avendo difeso a spada tratta le
ragioni dei contadini in rivolta nel 1907 fino a giustificare la sollevazione e
tanto da meritarsi l’accusa di rivoluzionario e istigatore alla ribellione,
egli, negli anni successivi all’ingresso in parlamento (1907) e alla fondazione
del Partito nazionalista democratico (1910), propose un’improbabile
collaborazione tra proprietari terrieri illuminati e contadini sfruttati. Dopo
l’approvazione della riforma agraria, nel dopoguerra, insistette
sull’opportunità che i contadini lavorassero la terra loro assegnata
insieme con i proprietari espropriati: l’esperienza di questi ultimi sarebbe
stata molto utile per i tanti nuovi piccoli proprietari, privi di cultura
imprenditoriale e tecnica per fare rendere al meglio i loro poderi.[13]
Anche questa proposta rientra nell’impostazione moderata ed evoluzionista di
Iorga, però metteva in luce uno dei problemi cardinali dell’agricoltura
romena come di altri Paesi dell’Europa centro-orientale, cioè
l’arretratezza che a essa sembrava congenita. Perché un ettaro di terra
francese o danese doveva rendere molto più che non un ettaro di terra
romena o polacca? Mutare radicalmente i rapporti di proprietà non era
sufficiente per rendere infondato o cancellare tale quesito. Bisognava anche
creare un ceto di imprenditori agricoli, sostenuti da un opportuno credito,
capaci di affrontare l’impatto con il mercato nazionale e internazionale e, per
dirla tutta, riuniti in realtà aziendali di rispettabile ampiezza come
una moderna farm americana. In questa
ottica la soluzione prospettata da Iorga era meno ingenua e fuori dalla
realtà di quanto non si sia creduto. Certo cozzava con le aspirazioni
dei beneficiari della riforma, con le convinzioni prevalenti al momento: e
siccome la politica è l’arte del possibile, forse l’idea del professore
moldavo era impolitica e di difficile attuazione. Sappiamo tuttavia che pochi
anni dopo, a cavallo tra anni
p. 116
Venti e Trenta proprio per opera
di un ministro quale il fondatore del Partito contadino, Ion Mihalache, si
cercò di procedere a un accorpamento delle proprietà troppo
piccole e povere per sussistere[14].
Come è stato scritto[15],
Iorga non aveva le qualità per navigare nel complesso, variegato e
mutevole mondo politico romeno, imponendo quindi le proprie convinzioni, ma non
è che non vedesse con chiarezza quali fossero i problemi che si
presentavano alla Grande Romania che aveva contribuito a creare.
Iorga commise l’errore di credere che le forze progressiste
dell’anteguerra potessero gestire anche la situazione ben diversa che
caratterizzò il dopoguerra; sicché presto trovò spazio in lui la
delusione. Scrivendo di se stesso egli ci testimonia del disgusto per la
politica che lo prese non molto dopo il conflitto mondiale, ma in verità
già precedentemente si coglie in lui un atteggiamento che si può
definire “qualunquistico”, nel senso più nobile del termine. Egli
credeva nel governo dei tecnici, delle personalità au dessous de la melée e tale si considerava. Era una convinzione
che cozzava con la sua propensione a dare voce e cultura alle masse: giunte
queste al proscenio della politica con il suffragio universale nel 1919 –
scrisse che era un arma a doppio taglio[16]
- la classe politica doveva di necessit&agrrave; farsi più professionale
e, se si vuole, cinica, per incanalare, se non indirizzare, il voto popolare in
formazioni politiche stabili, guidate da uomini tutti dediti alla politica e
non a essa prestati. Il disprezzo per la dinastia Brătianu e per Ionel in
particolare, la scarsa simpatia per Maniu (con cui giunse pure a collaborare a
più riprese) restavano fini a se stesse in questo nuovo contesto
storico. La forza delle cose induceva al compromesso con alcuni di questi
politici di professione oppure a indebolire la giovane democrazia romena dando
spazio all’iniziativa del re, come avvenne quando Iorga tornò per oltre
un anno in primo piano, guidando tra 1931 e 1932 un governo fondato su
risultati elettorali ben poco attendibili. L’Unione nazionale che lo sosteneva
di fatto era basata su un compromesso con i liberali ora condotti da Duca e
sembrava essere l’anticamera di una dittatura parlamentare che facesse
riferimento al re Carol II. Ricordo per inciso che l’aver posto fuori legge la
Guardia di Ferro proprio allora attrasse su Iorga l’odio dei legionari,
nonostante nei fatti si fosse permessa l’elezione di Codreanu in un’elezione
suppletiva in cui il governo non presentò un suo candidato[17].
Non era comunque l’unico atteggiamento non del tutto coerente del
p. 117
politico: dopo avere sempre
sostenuto la causa dei contadini giudicò negativamente due leader del partito contadino e poi
nazionalcontadino: Mihalache un imbelle buono per la coreografia e in mano ad
altri di lui più abili, e Madgearu un ecomicista fanatico, un giacobino[18].
Né risparmiò Averescu, considerandolo, forse non a torto, una pedina
giocata dai liberali. Il conseguente
isolamento, più o meno voluto, lo rese quindi interlocutore utile per un
primo progetto autoritario di Carol II, peraltro non andato in porto. Dopo
essersi pronunciato contro la decisione di privare Carol, ancora principe
ereditario, del diritto alla successione, quando questi tornò in patria,
in seguito alla morte del padre Ferdinand, non fu tra coloro che cercarono di
ostacolarne l’avvento sul trono. Tra i due vi era forse un unico elemento
comune, l’idea di governare il Paese senza ricorrere ai politici professionisti
e ai partiti tradizionali. Se un uomo come Iorga inclinava a simili soluzioni,
veramente si potrebbe credere che il modello parlamentare occidentale non fosse
che una forma di importazione, impossibile a innestare sul fondo nazionale; si
potrebbe credere che in Europa centro-orientale le democrazie fossero davvero
impossibili come recita il titolo italiano di un vecchia opera di Seton Watson[19].
Si dovrebbe concludere che il modello autoritario impostosi in tutta quella
parte del continente nel corso degli anni Trenta non avesse alternative (e
nella storia – come lo stesso storico moldavo sapeva d’accordo con alcuni suoi
maestri e condiscepoli - non si può applicare il metodo galileiano né
esistono controprove di laboratorio).
Un handicap che il Iorga politico si trascinò dietro
sia prima sia dopo la realizzazione della România
Mare fu l’eterogeneità della formazione politica che capeggiava dal
1910, confermata tra l’altro dalla scissione avvenuta nel 1919 in seguito alla
rottura con il poeta nazionalista Octavian Goga. D’altra parte questa
eterogeneità ben si legava con l’idea di un servizio civico da rendere
alla nazione da parte di uomini non stretti in camicie di Nesso ideologiche o,
meglio, partitiche. Un potenziale vantaggio rispetto alla situazione venutasi a
creare con le acquisizioni territoriali postbelliche sarebbe dovuto essere
invece il fatto che i iorghisti fossero nazionalisti sì, ma ispirati da
un nazionalismo – come scrive Bianca Valota[20]
– ottocentesco, cioè non aggressivo nei confronti delle altre nazioni.
Tale versione moderata del credo nazionale, tanto diffuso in Europa prima e
dopo la Grande guerra, avrebbe dovuto permettere infatti un dialogo fruttuoso
con le minoranze etniche presenti nei confini del nuovo Stato romeno.
Già l’Università popolare
p. 118
di Vălenii de Munte, fondata
da Iorga, sarebbe dovuta essere non solo una fucina di sentimento patrio, la
forgia di una forte e condivisa individualità nazionale, ma anche il
luogo ideale di incontro con le altre culture, incluse quelle dei popoli
confinanti o conviventi sulle stesse terre. Naturalmente è da verificare
se l’incontro vi fu, non tanto con i grandi intellettuali occidentali che si
recavano a Vălenii de Munte a tenere corsi estivi, ma soprattutto con le èlites delle nazionalità
che ai romeni contendevano gli spazi carpatici e del sud-est europeo. Insomma
è credibile che, per quanto moderato, il nazionalismo di Iorga e del suo
partito non potesse permettersi di andare al di là di concessioni sul
terreno culturale o amministrativo, pena l’accusa di tradimento e disfattismo,
che – come si sa – fu contro di essi lanciata, particolarmente dall’estrema
destra. Non conosco, ad esempio, una presa di posizione che li distinguesse
dalla linea ufficiale dei governi di Bucarest rispetto alla questione della
Dobrugia meridionale, territorio per il quale era ben difficile appellarsi al
principio di nazionalità da parte romena, come dimostrarono i
diplomatici statunitensi al tavolo della Pace e confermano recenti studi di
giovani studiosi italiani, come Francesco Caccamo[21]
e Alberto Basciani[22].
Era veramente difficile nel clima postbellico cedere anche di un pollice sul
terreno dei confini statali, quali che fossero le ragioni addotte dalle
controparti, bulgara, ungherese, serba, ucraina o russa.
Ecco dunque che anche l’uomo di Botoşani e i suoi seguaci si
trovarono a condividere lo sforzo dei governi in carica negli anni Venti di
dare omogeneità alla vasta compagine statale nata in seguito agli eventi
bellici. Recenti e raffinati studi, come quello di Irina Livezeanu[23],
ci dimostrano che non solo la più volte citata riforma agraria, ma anche
l’inurbamento dell’elemento contadino, la politica scolastica e la vita tutta
della società romena ebbero valenza sì economica o sociale, ma
pure nazionale. Si trattava di un fenomeno peraltro riscontrabile in diversi
Stati successori degli Imperi defunti, come è evidente nel caso della
Cecoslovacchia[24]. Guidata o
spontanea, positiva o carente che fosse, era un fenomeno imponente di
modernizzazione, di mutamento che un intellettuale di alta statura o un
politico di un certo peso, quale fu Nicolae Iorga, non poteva
p. 119
adeguare ai propri
convincimenti. Erano questi forse che dovevano adattarsi a quel fenomeno.
Quest’ultima riflessione ci introduce a un’affermazione dello
stesso storico moldavo riguardo al nesso esistente tra attività politica
e pubblicistica, da una parte, e lavoro scientifico, dall’altra. Con maggiore
motivazione di Croce, Iorga scriveva che “noi dobbiamo partire dalla
società contemporanea e ritornare ad essa”[25],
certo che pure le più sottili ricerche documentarie o speculative
dovessero servire al fine pedagogico nazionale. Viene spontaneo chiedersi come,
con tale convinzione, lo studioso possa mantenere un minimo di
asetticità, di non coinvolgimento nella ricerca e nell’esposizione dei
risultati di essa; ma, allo stesso tempo, è facile intendere donde
provenissero tali idee. Un Risorgimento incompiuto prima, l’improvviso
realizzarsi delle più rosee aspirazioni nazionali poi forzavano l’uomo
amante del documento e del piacere di studiare per comunicare[26]
a porre se stesso e i suoi studi al servizio di un fine politico, seppure
inteso nel senso più nobile del termine. Mentre si opera un lavoro
fondamentale di Nation-building e di State-building l’intellettuale di
necessità sarà engagé.
Soltanto che le realizzazioni nazionali del 1918 erano la fase terminale di un
processo in altri Paesi iniziato già molto tempo prima ed avvenivano
proprio nel momento in cui si mettevano in moto altri processi di natura ben
diversa che nel corso del Novecento hanno dato luogo agli esperimenti di
carattere soprannazionale, in più varianti, dall’internazionalismo
ideologico, al federalismo di area, al paneuropeismo e, last but not least, alla fine dell’eurocentrismo, preludio di
politiche ed economie globalizzanti, alcune delle quali sono ancora in atto
oggi, all’inizio del XXI secolo.
Come ho già detto, nell’esperienza non solo di Iorga
politico, ma anche dello studioso, furono fondamentali la costituzione dello
Stato nazionale entro confini più ampi e più giusti, la sua
difesa dopo averlo realizzato, il sostanziarlo attraverso la coltivazione e la
diffusione di una cultura nazionale e di un senso di appartenenza comune a
tutti i cittadini, anche alle classi umili. In una parola la Grande Romania
doveva andare di pari passo con la vita stessa di Iorga e avrebbe dovuto
rappresentare la cartina di tornasole dei suoi successi o eventuali insuccessi,
il metro con cui misurare sino a che punto egli avesse realizzato i suoi
progetti e le sue aspirazioni, che sentiva come un compito morale per ogni intellettuale.
Bene, se così è, vi è da concludere che già prima
di essere allontanato d’autorità dall’insegnamento universitario, prima
di vedere il Paese avviato verso
p. 120
l’esperienza autoritaria e
lo smembramento territoriale, prima di cadere vittima dell’omicidio politico,
egli non potesse essere contento di quella România
Mare, nonostante alcuni progressi da essa segnati in campo economico e
culturale. Per vedere realizzati i suoi sogni altro avrebbe dovuto essere il
contesto internazionale, in primo luogo, e ben più lungo e sereno il
percorso temporale per coniugare progresso materiale, democrazia, crescita
spirituale e per trovare al suo sentito ideale nazionale il giusto ruolo in un
più vasto quadro che sempre più tendeva e avrebbe teso a superare
quell’ideale stesso. Quest’ultimo passaggio era senza dubbio il più
difficile per un uomo ormai avanti negli anni, un passaggio che presupponeva di
inventare una visione del tutto nuova, ai tempi quasi immaginifica e futuribile[27],
mentre ancora vi era da lavorare sulle idee che da mezzo secolo Iorga cercava
di affermare e diffondere tra i suoi compatrioti. Forse questa trasformazione
dell’ideale nazionale poteva essere quel “nuovo obiettivo che si ponesse come
una esigenza storica drammatica e imprescindibile, da raggiungere e
conquistare, intorno al quale coagulare le forze migliori della nazione”[28],
un nuovo obiettivo di cui avvertì la mancanza ben prima di quel tragico
1940.
Diffuso e profondo fu il compianto del mondo intellettuale
per la morte di Iorga avvenuta per mano di adepti della Guardia di Ferro
(convinti di vendicare il loro capitano Codreanu, della cui eliminazione
però lo studioso non era stato responsabile, nonostante l’avversione
esistente tra i due). Non credo sia noto il messaggio che nell’occasione
inviò alla famiglia di Iorga un intellettuale che a sua volta viveva un
momento difficile perché emarginato dal regime mussoliniano dopo che era stato
tra gli unici dodici professori universitari che avevano rifiutato di giurare
fedeltà al regime: era Gaetano De Sanctis costretto a “rifugiarsi”
presso l’Enciclopedia Treccani per volontà e benevolenza di Giovanni
Gentile. Riprodurre quel messaggio di cordoglio in chiusura di questo mio
contributo è una testimonianza storica ma significa anche replicare l’omaggio
all’intellettuale romeno in esso contenuto. “Spettabile famiglia Jorga, non so
se questa mia lettera potrà giungere a destinazione, ma mancherei ad un
mio stretto dovere se non cercassi di far pervenire ai congiunti del Prof.
Nicola Jorga l’espressione del mio profondo cordoglio e della riprovazione per
l’efferato assassinio di cui Egli è stato vittima. Insigne patriota,
degnissimo rappresentante dell’alta cultura romena, fervido assertore degli
stretti legami della Nazione romena con la civiltà latina, instancabile illustratore dei ricordi patrî
del suo popolo, la scomparsa di Nicola
p. 121
Jorga non solo è una
perdita gravissima per la nobile Nazione cui apparteneva, ma per tutto il mondo
culturale europeo nel quale Egli più efficacemente d’ogni altro impersonava
quella Nazione. Con tali sentimenti io mi associo al lutto della famiglia Jorga
e lo sento come mio lutto”.[29]
For this material, permission is granted for electronic copying,
distribution in print form for educational purposes and personal use.
Whether you intend to utilize it in scientific purposes, indicate the
source: either this web address or the Quaderni della Casa Romena 1
(2001): Quaderni Nicolae Iorga. Atti del Convegno italo-romeno N. Iorga
organizzato all’Istituto Romeno di Cultura di Venezia. 9-10 novembre 2000
(a cura di
Ion Bulei e Şerban Marin), Bucarest: Casa Editrice Enciclopedica, 2001
No permission is granted for commercial use.
© Şerban Marin, October 2002, Bucharest, Romania
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Quaderni 2001
[1] Civilizaţia fascistă, s.l.: ed. Altenia, s.d.; ecco alcune edizioni del libro di MELETTI: Civiltà fascista per le scuole…, Venezia: La Nuova Italia 1929; II ed. 1930; Civiltà fascista per le scuole, per la gioventù, gli insegnanti, per il popolo, III ed. aggiornata, Firenze: La Nuova Italia 1931; IV ed. 1933. La II ed. e quella romena sono conservate presso la Biblioteca Universitaria Alessandrina di Roma, rispettivamente alle collocazioni 210-C-2 e Fondo Isopescu, G 57.
[3] Bianca VALOTA
CAVALLOTTI, Nicola Iorga, Napoli:
Guida, 1977 (in cui rifluirono anche alcuni precedenti articoli della stessa
autrice); colgo l’occasione per ricordare che a cura e con un saggio
introduttivo della medesima Bianca VALOTA è stato pubblicato in italiano
Nicola IORGA, Considerazioni generali
sugli studi storici, Milano: Unicopli, 1990.
[4] Nicolas Iorga. L’homme et l’oeuvre, a cura
di D.M. PIPPIDI, Bucarest: Academia României, 1972: 21-22.
[5] Ion BULEI, Sistemul politic al României moderne.
Partidul conservator, Bucarest: Editura politică, 1987: 414-419.
[6] Si vedano da esempio Vasile LIVEANU,
"Armistiţiul de la Focşani", Studii.
Revistă de istorie 7 (1954): 127-160; IDEM, "Caracterul antisovietic
şi antipopular al tratatului de la Buftea (5 martie 1918)", in Studi şi materiale de istorie contemporană”,
I, 1956.
[7] Francesco GUIDA,
"Il compimento dello Stato nazionale romeno e l’Italia. Opinione pubblica
e iniziative politico-diplomatiche", Rassegna
storica del Risorgimento 70 (1983), 4: 425-462.
[8] IDEM, "Romania 1917-22: aspirazioni nazionali e conflitti sociali", in Rivoluzione e reazione in Europa. 1917-1924, a cura di F.GAETA, Roma: Edizioni dell'Avanti!, 1978, II: 1-105.
[9] Bucarest, 1905.
[10] Petre ŢURLEA, Nicolae Iorga în viaţa politică a României, Bucarest: Editura Enciclopedică, 1991.
[11] “L’Unione del 1918
ha eliminato gli ostacoli che erano sulla strada dello sviluppo economico, ha
allargato i limiti del mercato nazionale, ha creato condizioni ottime per lo
svolgimento delle relazioni economiche con altri Stati, ancorando con
più forza l’economia romena nel circuito economico internazionale”; Ion PUIA,
Relaţiile economice externe ale
României în perioda interbelică, Bucarest: Editura Academiei Republicii
Socialiste România. 1982.
[12] Vlad GEORGESCU, Istoria românilor de la origini pînă în zilele nostre, Bucarest: Humanitas,
1992: 221.
[13] Bianca VALOTA
CAVALLOTTI, Nicola Iorga, cit.: 75,
123; sull’attività politica di Iorga si veda Petre ŢURLEA, op.cit.
[14] Legge del 20 agosto
1929.
[15] Bianca VALOTA
CAVALLOTTI, Nicola Iorga, cit.:
127-128
[16] Nicolae Iorga, Orizonturile mele. O viaţa de om. Aşa cum a
fost, III, Bucarest,
1972: 46-47.
[17] Ioan SCURTU e Ion
BULEI, Democraţia la români
1866-1938, Bucarest: Humanitas,
1990: 109-110.
[18] Bianca VALOTA
CAVALLOTTI, Nicola Iorga, cit.:
132-133.
[19] Hugh SETON-WATSON, Le democrazie impossibili. L’Europa
orientale tra le due guerre mondiali,
a cura di P. Fornaro (ed. or.: Eastern
Europe between the Wars, 1918-1941,
Bouler, Londra: Westview Press, 1986).
[20] Bianca VALOTA CAVALLOTTI,
Nicola Iorga, cit.: 80.
[21] Francesco CACCAMO, L’Italia e la”Nnuova Europa”. Il confronto
sull’Europa orientale alla conferenza della pace di Parigi (1919-1920),
Milano-Trento: Luni, 2000.
[22] Alberto BASCIANI, Un conflitto balcanico. La contesa tra
Bulgaria e Romania in Dobrugia del Sud. 1918-1940, Cosenza: Periferia,
2001.
[23] Irina LIVEZEANU, Cultură şi
naţ ionalism în România Mare 1918-1930, Bucarest: Humanitas, 1998
(ed. or.: Cultural Politics in Greater
Romania, Regionalism, Nation building and ethnic struggle, 1918-1938,
Cornell, 1995).
[24] Henri BOGDAN, Storia dei Paesi dell’Est, Torino: SEI:
281-284.
[25] Citazione in Bianca
VALOTA CAVALLOTTI, Nicola Iorga,
cit.: 70.
[26] La sua lezione
inaugurale all’Università di Bucarest nel 1897 si intitolava Frumusuţea în scrierea istoriei [La
bellezza di scrivere storia]; cfr. Valeriu RÂPEANU, N.Iorga. La vie de l’histoire
et l’histoire de une vie, Bucarest:
Editura Ştiinţifica şi Enciclopedică: 137.
[27] Si ricordi l’isolamento di personaggi allora
giovani come Altiero Spinelli, propugnatori precocemente dell’Unione europea.
[28] Citato in Bianca
VALOTA CAVALLOTTI, Nicola Iorga, cit.
[29] Sono in possesso di
una fotocopia della brutta della missiva di De Sanctis (che presenta alcune
correzioni) fornitami anni fa dal compianto professore Silvio Accame, il quale
di De Sanctis fu allievo oltre che docente di Storia romana alla Sapienza di
Roma. La lettera è datata a posteriori “1940”, ma evidentemente risale
al novembre di quell’anno. Lo studioso italiano caduto in disgrazia del regime
fascista ebbe relazioni con diversi intellettuali romeni dando loro e ricevendo
da essi soccorso nel momento del bisogno. Ne fa fede la seguente lettera (di
cui anche ho copia) indirizzata a Petre P. Panaitescu da Roma il 16 maggio
1945: “Caro ed egregio Prof. Panaitescu, in uno dei momenti in cui la vita si
era fatta per me più difficile [n.n. durante gli anni della seconda
guerra mondiale, probabilmente prima del 25 luglio 1943] , la mia buona amica e
collega Prof. Margherita Guarducci mi disse che una persona di cui non poteva
rivelarmi il nome aveva pensato a venirmi in aiuto con un pacco viveri. Io,
saputo che si trattava di persona degnissima, ciò che d’altronde
risultava anche dalla scelta della stessa Prof. Guarducci come intermediaria,
non esitai ad accettare l’offerta la quale si ripeté due volte. Ora finalmente
ho saputo dalla Prof. Guarducci, che si sente sciolta dall’impegno del segreto
promesso, che il dono il quale mi fu allora tanto prezioso proveniva da
Lei. Voglia gradire i miei ringraziamenti e pel dono e per la cortesia e
delicatezza con cui mi fu fatto nel momento opportuno pervenire. I miei
ringraziamenti vanno anche alla sua gentile Signora, che senza dubbio è
stata anche in questo sua collaboratrice. E sono fatti anche da mia moglie che come me ha
apprezzato il dono e più l’animo del donatore. Voglia gradire insieme
coi miei ringraziamenti i miei saluti più cordiali”.