Back to Geocities

Back to Yahoo

Back to Homepage Quaderni 2002

 

 

 

p. 103

Influssi  occidentali  sull’atteggiamento  politico 

di  alcuni  principi  dei  Paesi  Romeni  nei  secoli  XVI  e  XVII

 

 

Ad Honorem Nobilis Doctoris Marini Zorzi

 

Cristian  Luca,

Università “Dunărea de Jos” di Galaţi,

Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica,

Venezia

 

Paesi situati al confine danubiano dell’Impero Ottomano, la Valacchia e la Moldavia furono, nel Cinque–Seicento, Stati autonomi governati da principi eletti o nominati in base alla supposta discendenza da una delle due antiche famiglie principesche: i Bassarabi e i Muşatini. Come vassalli del Sultano ottomano, i principi dei Paesi Romeni venivano da lui confermati o addirittura designati al trono, anche se quest’ultima prassi non fu altro che un abuso, tramite il quale si alterò progressivamente la piena autonomia degli Stati Danubiani, concordata secoli prima con la Porta. Attraverso l’arbitrario atteggiamento politico della Porta, giunsero sul trono anche alcuni avventurieri che non avevano nessun legame di parentela con le casate romene, ma si arrogavano la discendenza legittima o illegittima da uno dei defunti principi romeni e, quindi, nelle condizioni di generalizzata corruzione delle autorità di Costantinopoli, riuscirono a comprarsi la nomina offrendo discrete somme di denaro e oggetti preziosi. Questi inediti episodi, che si svolsero a partire dalla seconda metà del Cinquecento in Moldavia, per diffondersi poi anche in Valacchia, non si rivelarono privi di significato per la storia delle terre romene. Essendo personaggi dotati di esperienza politica, diplomatica o militare, questi principi conquistarono il trono con abilità, usando a volte la forza delle armi col sostegno delle varie potenze europee, interessate a stabilire la loro influenza nei Paesi Romeni.

Giovanni Despota voivoda (n. 1510?–m. 1563), principe di Moldavia (1561-1563), fu uno dei tipici rappresentanti della diaspora greca che fece una certa fortuna in

p. 104

Occidente. Formatosi nell’ambiente culturale della Riforma, egli fu originario di una delle isole mediterranee o dell’Egeo, supponendosi che nascesse più precisamente a Creta o a Samo; quest’ultimo posto, infatti, è da lui stesso rivendicato come luogo di nascita[1]. Il suo nome, così come egli lo presentava nel corso dei numerosi viaggi presso le corti reali e principesche dell’Europa cinquecentesca, era Jacobo Basilikos, al quale aggiunse il cognomen Eraclide Despota, arrogandosi il titolo di despota di Samo e marchese di Paro, isole di Bisanzio cadute sotto il dominio ottomano. Dopo gli studi di base compiuti a Creta o a Chio, iniziò nel 1547 a studiare in Francia, presso l’Università di Montpellier, tentando di laurearsi in medicina, e contemporaneamente continuò ad avere una vita avventurosa essendo obbligato, in seguito al coinvolgimento nel dramma familiare di una sua amante, ad abbandonare in fretta la città. S’ingaggiò, così, come soldato di fortuna nell’esercito del re di Francia, Enrico II, che affrontò con successo le forze dell’imperatore Carlo V nell’assedio di Metz[2]. Lasciato l’esercito francese, l’avventuriero vagò per un breve periodo presso le corti dei principi protestanti, venne quindi segnalato a Bruxelles, nella contea di Mansfeld, e a Wittenberg, santuario e roccaforte della Riforma. Fu poi assoldato come mercenario, probabilmente ufficiale, nella cavalleria di Carlo V, il quale riuniva le sue forze belliche in vista di un confronto decisivo con Enrico II[3]. Valoroso combattente nelle fila dell’esercito imperiale, durante la battaglia di Renty (1554) fu gravemente ferito e si ritirò ad Anvers per una convalescenza che durò alcuni mesi[4], giusto il tempo per scrivere in latino due libri: l’uno che ricapitolava dal suo punto di vista le campagne militari che si conclusero con la suddetta battaglia, e l’altro che consisteva in un vero e proprio trattato di arte militare, il cui titolo parla da sé: De arte militari libri quattor[5]. Il suo contributo alla sconfitta dei nemici degli Asburgo, pubblicizzato tramite il libro in cui si narrano le esperienze militari vissute come mercenario nel corpo di cavalleria, aprì a Jacobo Basilikos le porte del palazzo imperiale e, di conseguenza, egli fu nominato, per merito al valore militare, conte palatino, vedendosi riconosciuto il titolo nobiliare e autenticato lo stemma come si era autoconcesso in base alla sua fittizia discendenza[6]. Dopo un breve periodo in cui restò al servizio dell’imperatore, egli

p. 105

abbandonò le terre tedesche – visto che Carlo V, suo protettore, aveva abdicato al trono – e si recò nel Mecklemburgo, da dove, passando per Prussia e Lituania, giunse in Polonia[7]. Durante il suo soggiorno nelle terre polacche ebbe modo di informarsi sulla situazione politica della Moldavia, scena di numerose dispute tra il principe Alessandro Lăpuşneanu (1552-1561, 1564-1568), che aveva istituito un regime autoritario, ed una parte della nobiltà locale, determinata a rifugiarsi nei Paesi vicini dopo aver tentato di ribellarsi. In Polonia, Jacobo Basilikos ideò il piano di conquistare il trono moldavo scegliendo, inizialmente, la via di un colpo di mano, come lascia intendere la sua comparsa, nel 1558, alla corte di Alessandro Lăpuşneanu, dove fu accolto con tutti gli onori dovuti alla pretesa parentela con la moglie del principe stesso[8]. Scoperta la tentata ribellione, Jacobo Basilikos, già noto allora come Despota, si rifugiò nella Transilvania, poi tornò in Polonia e raggiunse Alberto Laski ed il “partito” polacco protestante. Continuò a sollecitare insistentemente il sostegno finanziario e militare degli Asburgo per ultimare il suo piano di conquista della Moldavia e per insediarsi sul trono del principato, adducendo in tal senso l’interesse comune nella lotta contro l’Impero Ottomano, di cui questo Stato era vassallo[9]. Forte di un aiuto finanziario inviatogli dal re d’Ungheria, Massimiliano d’Asburgo[10], e dei prestiti fatti per suo conto dal nobile polacco Alberto Laski[11], Jacobo Basilikos Despota reclutò un piccolo e sperimentato esercito, costituito in maggioranza da mercenari, il quale, combattendo secondo le tattiche moderne della strategia militare occidentale, sconfisse, nel novembre 1561, l’esercito moldavo molto più numeroso ma meno efficace e scarsamente dotato dal punto di vista bellico[12]. Diventato, jure gladii, principe di Moldavia (1561-1563), con il nome di Giovanni Despota voivoda, Jacobo Basilikos ebbe, inoltre, nei mesi successivi, la conferma sul trono dalla Porta Ottomana, che lo riconosceva come vassallo del Sultano, ai sensi dell’antica prassi in uso nei rapporti ottomano-romeni.

L’avvento al trono di uno straniero protestante fu un avvenimento inconsueto nella storia della Moldavia d’allora, ma la formazione umanistica del nuovo principe, la vasta esperienza militare e politica che aveva accumulato durante la sua vita avventurosa, segnarono l’inizio di uno dei pochi episodi culturali di stampo occidentale svoltosi nella storia Cinque–Seicentesca dei Paesi Romeni. I viaggi europei, è la già

p. 106

menzionata esperienza politica, frutto dei contatti con personalità culturali e politiche di rilievo nelle città universitarie o presso le corti reali e principesche occidentali, influirono chiaramente sull’atteggiamento del nuovo principe della Moldavia. Così, egli cercò di trasformare formalmente in un regno il suo principato, elaborando una simbologia dell’autorità che tentava di inaugurare nel Paese: l’uso abituale della corona, come attributo della sovranità conferita Dei gratia, e le emissioni monetarie che lo rappresentano come pater patriae e vindex et defensor libertatis patriae, cercavano di legittimarlo di fronte ai suoi „leali” sudditi[13]. In ogni occasione nella quale si richiedeva la sua presenza pubblica, sia nelle cerimonie religiose, sia nelle sedute del Consiglio del Principe, oppure nelle adunanze che proclamavano solennemente le decisioni governative e regolavano le cause civili e penali, egli usò appositamente tutti i simboli della sovranità, vale a dire corona, scettro, spada, aggiungendo l’emissione delle monete d’oro con le loro suddivisioni in metallo comune, riaffermando, secondo la prassi occidentale e l’etichetta dell’epoca, l’espressione visiva della divina volontà che lo aveva “scelto” principe di Moldavia. Le iniziative culturali riflettono ancora di più gli indirizzi umanistici della politica promossa durante il suo principato in Moldavia da Jacobo Basilikos Despota, che la cronologia principesca del Paese registrò sotto il nome di Giovanni Despota voivoda. La fondazione della Scuola di Cotnari, tipologicamente strutturata come scuola media superiore, fu destinata non solo alla diffusione del protestantesimo, attraverso l’istruzione laica e religiosa, ma anche allo sviluppo di una cultura classica di stampo occidentale senza precedenti in Moldavia. Questa scuola funzionò, effettivamente, sotto la guida di Johannes Sommer[14], uno dei futuri “biografi” di Jacobo Basilikos Despota, così da rendere concreto un progetto che insediò per la prima volta nella cultura romena una struttura di insegnamento pari alle istituzioni simili dell’Europa cinquecentesca[15]. Fra i progetti di questo principe vi fu anche la fondazione di un’Accademia di studi superiori in Moldavia e la costituzione di una biblioteca presso la corte principesca di Suceava, idee che attestano, ancora una volta, la sua volontà di rendere possibile lo sviluppo della cultura nella lingua “nazionale”, seguendo così uno degli obiettivi fondamentali della Riforma, da lui sposato con entusiasmo in quanto protestante fervente. La tragica scomparsa di Giovanni Despota, rovesciato dal trono da una rivolta della nobiltà moldava[16], che lo assediò nella fortezza stessa di Suceava,

p. 107

dove si era rifugiato, e lo decapitò dopo la resa, segnò la fine di un episodio umanistico manifestatosi per breve tempo nelle terre romene ad est dei Carpazi.

Pietro Orecchino (n. 1545?–m. 1589/1590), figlio di Pătraşcu il Buono (1554-1557), discendente in linea diretta dall’antica casata dei Bassarabi, la dinastia che si ritiene aver fondato il principato di Valacchia, fu solo per breve tempo (1583-1585) principe del suo Paese d’origine. Ma il periodo in cui governò, per la società romena della fine del Cinquecento, a causa dell’influsso tardo rinascimentale manifestatosi prevalentemente a livello culturale e parzialmente nella teoria e nella prassi politica messa in atto in quegli anni, costituì un episodio di rilevanza storica pari a quello vissuto dalla Moldavia al tempo di Giovanni Despota voivoda. Personaggio tipicamente rinascimentale, autodidatta e poliglotta, dalla cultura brillante, Pietro Orecchino fu uno dei principi romeni più conosciuti nell’Europa del suo tempo, ed intrattenne, prima e dopo l’avvento al trono, una fitta corrispondenza coi tanti sovrani di quell’epoca: il re di Francia, Enrico III, e la regina madre Caterina dei Medici, ai quali doveva praticamente la sua nomina di principe, il Sommo Pontefice, il doge di Venezia, il re di Spagna, la regina d’Inghilterra, e altri principi italiani[17]. Sin dalla più tenera età fu istruito secondo il sistema orientale, poiché visse a lungo in diverse province della Porta, come ostaggio degli Ottomani, in quanto garante della fedeltà di suo padre verso il sovrano di Costantinopoli. Scappato nel 1569 dalle mani degli Ottomani, viaggiò attraverso l’Europa Occidentale e Orientale per circa 14 anni in cerca del sostegno politico e finanziario necessario per ottenere il trono dei suoi antenati[18]. Così, attraversò i Balcani, la Polonia, i territori degli Asburgo, la Francia, le terre dello Stato della Santa Sede, Genova, Venezia, Mantova, Ferrara e, probabilmente, anche l’Inghilterra, impressionando con i suoi modi e la sua cultura le

p. 108

persone che lo incontrarono e lo ospitarono. Stefano Guazzo gli dedicò il capitolo Del principe della Valacchia Maggiore, nel suo libro di grande successo Dialoghi piacevoli, la cui editio princeps si stampò a Venezia nel 1586. Entrando in contatto con le realtà politiche dell’Europa cinquecentesca e notando la struttura della società occidentale, Pietro tentò di inserire nel sistema governativo del suo Paese alcuni cambiamenti tratti da queste esperienze, cercando di frenare l’arretramento economico ed istituzionale della Valacchia, principato che, secondo le moderne teorie di Immanuel Wallerstein, faceva parte, in quell’epoca, della periferia dell’economia mercantile europea. I progetti di riforma[19], probabilmente con indirizzo fiscale e sociale, furono, però, ben presto abbandonati di fronte all’opposizione manifestata dalla nobiltà del Paese, che temeva la possibile riduzione del suo ruolo politico nella gestione del potere nello Stato[20]. Senza reagire a questa reazione conservatrice, il principe concentrò tutti i suoi sforzi sul fronte del rinnovamento culturale e creò nella Valacchia una corte principesca che seguiva il modello rinascimentale: edificò un piccolo palazzo, immerso in un bel giardino all’italiana lavorato con cura, fece ristrutturare alcune chiese e costruì una nuova basilica metropolitana, circondandosi, inoltre, di una cerchia di letterati, per lo più italiani. A questi si aggiunsero avventurieri e soldati di fortuna levantini, così da formare tutti quanti un seguito eterogeneo grazie al quale Pietro Orecchino riuscì a riprodurre, in minor scala, l’atmosfera delle corti europee delle quali egli stesso fu ospite e fervente ammiratore[21].

La vasta cultura di Pietro Orecchino probabilmente si espresse anche in un’opera letteraria, della quale si sono conservati soltanto pochi versi, sebbene, secondo il suo fedele segretario, il genovese Franco Sivori, alcuni scritti concernessero pure il genere storico e quello memorialistico[22]. Per la sua particolare importanza culturale, il breve principato di Pietro Orecchino rappresentò un nuovo episodio di cultura occidentale nelle terre romene, dopo quello degli anni in cui sul trono della Moldavia si trovò il protestante Jacobo Basilikos Giovanni Despota voivoda.

Radu Mihnea (n. 1586–m. 1626), figlio del principe valacco Mihnea II il Rinnegato, contemporaneo e avversario di Pietro Orecchino, fu nominato più volte principe dal Sultano ottomano, sia in Valacchia (1601-1602, 1611-1616, 1620-1623) come in Moldavia (1616-1619, 1623-1626). Visse nell’infanzia, per breve tempo, a

p. 109

Capodistria, sotto la tutela di Giacomo Brutti, uno dei componenti dell’omonima famiglia originaria di Durazzo, che diede alcuni dragomanni al bailaggio della Serenissima in Costantinopoli, si trasferì poi presso un monastero athonita e, in fine, nella città di S. Marco, presso la zia Mărioara Adorno Valarga e le cugine[23]. Nella laguna veneta fu educato, secondo la consuetudine del patriziato, seguendo probabilmente lezioni private con professori provenienti dalla fiorente comunità greca della Dominante. Sul periodo del suo soggiorno a Venezia abbiamo scarse notizie, ma l’impressione che ebbe della società veneta, e dell’ambiente occidentale in genere, come quello del quartiere costantinopolitano di Pera, fu così profonda da spingerlo, durante il suo principato nei Paesi Romeni, a circondarsi di elementi etnici italo-levantini di fiducia e a professare costantemente una politica filoveneziana[24]. Si è notato da parte della storiografia romena che, nella politica interna ed estera, gli anni nei quali Radu Mihnea fu principe richiamano “un modo di governare […] di stampo occidentale”[25]. Più precisamente, il modello veneziano fu quello che egli seguì, almeno nei rapporti con la Porta. L’interesse a preservare le ottime relazioni politiche con l’Impero Ottomano, mostrandosi fedele vassallo, non avrebbe sicuramente vanificato le sue iniziative di politica estera ed i legami con gli Stati occidentali[26]. Così, l’esempio dell’abilità diplomatica di Venezia influì fortemente, anche in questo caso, sull’atteggiamento politico del principe romeno, il quale apprezzava particolarmente il modo in cui la Serenissima conservava il suo prestigio nel mondo occidentale, mantenendo contemporaneamente anche ottimi rapporti politici ed economici con la Porta[27]. Vassallo della Porta ottomana, Radu Mihnea non vide diminuire in alcun modo il prestigio della sua sovranità nei rapporti con gli altri Stati cristiani. Fu proprio questa la filosofia politica che lo guidò nel condurre la politica estera della Valacchia e della Moldavia, le quali furono da lui governate per vari periodi che assommano complessivamente a 15 anni[28].

Nella sua gioventù, durante il soggiorno a Costantinopoli, Radu Mihnea deve aver conosciuto il croato Gasparo Graziani, diplomatico e spia, dotato di una certa notorietà in quell’epoca.

p. 110

Gasparo Graziani (n. 1575/1580–m. 1620), fu nominato principe di Moldavia (1619-1620), dopo aver svolto, sin dal 1606, un’attività di rilievo come interprete e diplomatico di vari Stati europei. Originario di una regione dalmatica della Croazia[29], ebbe anch’egli un’esistenza avventurosa nella quale accumulò un’esperienza che lo rese molto adatto ai negoziati politici nella capitale ottomana. Poliglotta, egli fu inizialmente assunto come interprete dall’ambasciatore inglese a Costantinopoli, Sir Thomas Glover, poi passò in Italia, dove compì alcune missioni con la carica di inviato straordinario del Granduca di Toscana, Cosimo II dei Medici, e del viceré spagnolo di Napoli, trattando il riscatto di alcuni prigionieri cristiani trovati nelle mani di corsari barbareschi dell’Africa settentrionale[30]. Diventò dragomanno della Porta, impegnandosi nelle trattative ottomano-asburgiche riguardanti i problemi del confine comune tra l’Impero Romano-Germanico e l’Impero Ottomano, percorrendo spesso la strada tra Costantinopoli e Vienna in seguito ai suoi specifici impegni[31]. Non risparmiò, però, alcun’occasione in cui poteva usare la sua carica per fare il doppio gioco[32], dimostrandosi valente spia, sia per gli Ottomani che per gli Asburgo. Questo atteggiamento gli guadagnò sostenitori di spicco nella gerarchia governativa dello Stato ottomano, così che il suo avvento al trono del principato autonomo di Moldavia, nel febbraio del 1619, non fu sicuramente una sorpresa per il mondo diplomatico occidentale di Costantinopoli.

In breve tempo, dopo la nomina a principe di Moldavia, Gasparo Graziani cercò di rendere concreto un progetto matrimoniale che gli avrebbe consentito di avvalersi della pregiata collaborazione diplomatica e del sostegno politico della Repubblica veneta presso la Porta, tramite il bailo di Costantinopoli e il gran dragomanno della stessa ambasciata, Marc’ Antonio Borisi. Mirando, senza dubbio, a risultati politici immediati, che desiderava ottenere mediante l’impegno diplomatico della rappresentanza veneta nella capitale ottomana, Graziani fece dell’obiettivo di sposare una figlia del Borisi il leit motiv dei suoi rapporti con la Serenissima. Non ci proponiamo di sviluppare nei minimi particolari, nel presente testo, i dettagli di questa

p. 111

vicenda, poiché abbiamo accennato parzialmente all’argomento in occasione di una nostra recente relazione convegnistica[33] che sarà ben presto pubblicata. Ci limiteremo a sottolineare, ancora una volta, usando anche le nuove fonti documentarie riportate alla luce dalle ricerche archivistiche, che il piano del principe di Moldavia non ebbe un buon esito a causa del peso politico che andava assumendo, dal momento che, una volta realizzato, avrebbe finito col coinvolgere in un modo o nell’altro la coerenza della strategia della diplomazia veneta nei confronti dell’Impero Ottomano, di cui lo Stato moldavo era vassallo. Le lettere che Gasparo Graziani inviò al doge, professando ammirazione per il sistema governativo veneziano e disponibilità a servire gli interessi della Repubblica nell’Europa Sud-Orientale[34], pur lusingando i vertici delle alte magistrature della Serenissima, non riuscirono a nascondere le vere ragioni dell’eccesso di buona volontà del principe “moldavo”. Così, s’indovinò dai veneziani, con relativa facilità, il ruolo che, nel ambito della politica estera di Graziani, assumeva questo matrimonio eccellente con una delle figlie del dragomanno Marc’ Antonio Borisi. Graziani si guadagnava un’importante e sperimentato alleato, nella persona del futuro suocero, dotato di una rete di rapporti molto sviluppati tra i dignitari ottomani più in vista a Costantinopoli e, sperando anche nel sostegno che il bailo stesso poteva offrire, in quanto fedele agli interessi veneti nel Levante, aveva dunque come obiettivo, a fronte delle diffidenze della Porta, di consolidare le retrovie della sua politica estera con l’appoggio della lobby della Serenissima. Poteva così trattare, insospettato, i dettagli dell’avvio della campagna militare antiottomana, a cui pensava, evidentemente, sin da prima del suo avvento al trono principesco[35]. Né le insistenze di Graziani[36], né l’iniziale consenso del dragomanno Borisi[37], come neppure le presumibili raccomandazioni in tal senso del patrizio veneto Polo Minio[38], i cui

p. 112

colloqui con il nuovo nominato principe di Moldavia iniziarono a Costantinopoli e continuarono nella capitale moldava, infransero, però, l’inesorabile ragion di Stato della Serenissima. Com’è probabile, fu il diniego del Senato[39], del Consiglio dei X[40] e degli Inquisitori di Stato ad indicare, in breve tempo, a Marc’ Antonio Borisi la strada da seguire. Infatti il rifiuto di consentire al matrimonio di sua figlia con Graziani si manifestò apertamente già dal 1619, nella corrispondenza che, contenendo precise indicazioni a tale senso, il bailo indirizzò prontamente a Venezia[41].

Il periodo dell’esperienza diplomatica, le missioni compiute in Austria presso gli Asburgo durante l’incarico di dragomanno degli Ottomani, misero in contatto il Graziani, nella capitale imperiale, con i promotori di vasti progetti antiottomani, ideati dai vertici dell’ordine cavalleresco Militia christiana[42]. Le aspirazioni “imperiali” di Carlo di Gonzaga–Nevers[43], nobile che vantava la discendenza del ramo di Monferrato dai Paleologhi bizantini, furono sostenute e assecondate da questo ordine militare, il quale tentò di rendere concreti i piani di rivolta antiottomana promossi da vari rappresentanti dei popoli balcanici, e da diversi avventurieri che sognavano di

p. 113

diventare principi, re o signori dei territori liberati dal dominio della Porta. L’effervescenza delle rivolte antiottomane, che travolgevano alcune aree dei Balcani nel secondo decennio del Seicento, attirò nuovi sostenitori di simili progetti, destinati ad avviare in breve tempo una campagna militare generale della Cristianità contro la Porta. Così, pare che le famiglie Brutti, Borisi e Tarsia, le quali, in linea ereditaria, fornivano costantemente alla Serenissima i dragomanni della sua ambasciata a Costantinopoli, non fossero estranee a tali piani di guerra contro l’Impero Ottomano, e i loro legami con Gasparo Graziani avrebbero spinto il principe di Moldavia ad aderire alla progettata campagna antiottomana e ad iniziare, nel 1620, le ostilità contro la Porta[44].

Il seguito di Gasparo Graziani era costituito, prevalentemente, da personaggi che avevano anch’essi un’esperienza politica tratta da una vita avventurosa. Personaggi interessanti, alcuni furono italiani, come Giovanni Battista Montalbani e Annibale Amati, oppure italo-levantini, come Bernardo Borisi, mentre Marino Resti era raguseo[45], ed altri di origine polacca. Ma, nei suoi viaggi europei, Graziani ebbe modo di conoscere anche altri avventurieri di vocazione, vale a dire Jahja “Sultano”, detto anche Alessandro conte di Montenegro[46], noto in quell’epoca per la sua pretesa

p. 114

discendenza dai Sultani ottomani e per l’aspirazione al trono di Costantinopoli; il collaboratore di quest’ultimo, Maiolino Bisaccioni, suocero di Giovanni Battista Montalbani[47] ed autore di una storia che narra gli avvenimenti dei suoi tempi[48]; il pretendente moldavo Stefano Bogdan[49], figlio del già principe di Moldavia Iancu il Sassone (1579-1582), oppure il cosiddetto “principe di Macedonia”, il picaresco Giovanni Andrea Angelo Flavio[50]. I vari piani militari contro la Porta, elaborati dalla cerchia dei numerosi pretendenti ad un trono, ormai esistente solo nella loro fantasia, e dai rappresentanti dei popoli balcanici[51] convinsero probabilmente anche il nuovo

p. 115

principe[52] di Moldavia della necessità di reagire unitamente di fronte alla potenza bellica degli Ottomani. Però, le sue speranze in tal senso furono legate specialmente alla convinzione che l’entrata degli Asburgo in guerra avrebbe rafforzato in modo decisivo le forze cristiane, e portato la vittoria finale contro il nemico comune. Gli interessi della Casa d’Austria puntavano, invece, verso i problemi interni, emersi con lo scoppio della Guerra dei Trent’Anni. Così, l’iniziativa di Gasparo Graziani, che diventò apertamente alleato dei Polacchi nella loro impresa del 1620 contro l’Impero Ottomano, fu privata dell’aiuto imperiale e naufragò, tragicamente, dopo la vittoria che l’esercito della Porta ottenne in Moldavia nello stesso anno[53]. Il croato, ex dragomanno della Porta, fu assassinato da due boiari (nobili) moldavi mentre era in fuga dopo la sconfitta delle sue truppe, poste sotto il comando di Bernardo Borisi. Ma l’infame tradimento fu punito con la condanna a morte dei colpevoli, decretata dal nuovo principe, Alessandro Iliaş (1620-1621)), su suggerimento di Radu Mihnea, che Giovanni Battista Montalbani menziona come uno degli amici di Gasparo Graziani[54].

Risulta, dunque, che i lunghi viaggi europei, attraverso i quali Graziani si mise in contatto con le realtà della società occidentale, non influirono molto sul suo atteggiamento in politica interna, ma indussero nella strategia seguita in politica estera la convinzione che soltanto una grande alleanza, nella quale fossero riunite le forze della Cristianità, avrebbe sconfitto definitivamente l’Impero Ottomano e messo fine al dominio della Porta in Europa. Graziani, conoscendo bene il mondo balcanico e romeno, in quanto già diplomatico degli Ottomani che erano sovrani di questi territori, non si azzardò, evidentemente, a proporre cambiamenti strutturali in Moldavia durante il suo principato. Concentrò, invece, l’intera energia politica nella costituzione di un largo fronte antiottomano che gli avrebbe consentito di combattere con successo per l’indipendenza dello Stato che governava e, ovviamente, di assicurare alla sua famiglia

p. 116

la successione ereditaria al trono moldavo. Progetto grandioso, utopico, privo di concrete possibilità se si pensa che vari interessi politici dividevano le potenze europee cristiane, e che il potenziale bellico della Moldavia era assolutamente insufficiente per opporsi all’Impero Ottomano.

Segnalandosi nella storia dei romeni e del Sud-Est europeo per le loro azioni intraprese prima e dopo l’avvento al trono moldavo o valacco, i suddetti personaggi furono tra i principi di questi Paesi che ebbero, almeno parzialmente, una formazione politica di stampo occidentale, conseguenza anche dei periodi di soggiorno in Occidente, ciò che consentì loro di conoscere meglio le forme di governo, la funzione della diplomazia e dell’apparato bellico degli Stati occidentali.

 

 

p. 117

Appendice  documentaria

 

I

 

Illustrissimi et Eccellentissimi Signori nostri Colendissimi

 

Il Colendissimo Signor Polo Minio, che per occasione dei suoi interessi di Moldavia, com’è noto alle Eccellenze Vostre, è venuto in questa città, li giorni passati con nostra licenza si è condotto alla visita del Gratiani, eletto voivoda di Bogdania, nella quale contenendosi diversi ragionamenti li ha posto in scrittura, che qui allegata Le inviamo, stimandola degna della notizia di Vostre Eccellenze. Apresso anco per occasione de diverse instanze, fatte a Messer Marc’ Antonio Borisi Dragomanno grande, perché egli si disponga dare in matrimonio una sua figliola allo stesso Gratiani. S’è egli risoluto di presentarci la qui occlusa sua scrittura, fermata da lui di ordine nostro, per dichiaratione maggiore della sua riverenza, e devozione, la quale giudicando noi esser necessario che capiti a Vostre Eccellenze, sarà qui occlusa. Dalla continenza sua restaranno informate della sostanza di questo negozio le Vostre Eccellenze.

Dalle vigne di Pera, a 16 di febbraio 1619.

Francesco Contarini Cavalier Ambasciatore

Almoro Nani Bailo

 

[A tergo:] Alli Illustrissimi et Eccellentissimi Signori nostri Colendissimi, li Signori Capi dell’Eccellentissimo Consiglio di X. Costantinopoli, Ambasciatore et Baylo. Manda una relazione* di ragionamento seguito tra il Nobil Huomo Polo Minio et Gasparo Gratiani, eletto Voivoda di Bogdania, che si mostra pieno di buona disposizione verso la Repubblica et di una scrittura** di Marc’ Antonio Borisi Dragoman Grande, per le instanze che li sono fatte da esso Gratiani, perché li dia una di sue figliole per moglie, mostrandosi il Borisi di aborrire la proposta, [per] desiderio di conservarlo amico, ma supplicando di consiglio, et risoluto di non si va scortar dalla volontà della Repubblica. LCX, vedi la deliberazione 3 aprile 1619 in filza segreta.

 

(asv, Capi del Consiglio dei X. Lettere di ambasciatori. Costantinopoli, 1600-1714, b. 7, c. 101, originale)

 

 

p. 118

II<

 

Capi: Marc’ Antonio Valaresso, Alvise Barbaro, Daniele Dolfin

 

1619, 20 marzo, in Consiglio di X

 

Al Baylo et Ambasciatore in Costantinopoli

 

Ricevemmo dopo le Vostre lettere de 17 gennaro, quelle anco de Primo febbraro passato, in proposito di quanto è passato tra il Gratiani et il Borisi nostro Dragoman Grande per la riconciliazione tra di loro seguita. All’officio dal medesimo Gratiani con Voi fatto per farsi creder ben disposto verso le cose della Repubblica nostra, et la sua instanza per ottenere in matrimonio una figliola di esso Borisi, et come habbiamo col Consiglio nostro di X stimato assai fatti emergenti, così ci è piaciuta la risolutione Vostra di haverne dato particolare conto ai Capi del detto Consiglio, et prudentissima la maniera che havete tenuta nelle Vostre risposte, et li discorsi, et considerazioni Vostre in detti propositi, et come delle prime lettere, così anco di questi habbiamo voluto che ne siano sotto obbligo della segretezza solita commettersi in negoci importanti, consapevoli li Savi del Collegio nostro, perché si possa, quando sia stimato espediente, risponderVi, et darVi quelli ordini che ricercasse l’occasione […].

 

(asv, Consiglio dei X. Parti Secrete, b. 33, cc. nn., copia)

 

 

III>

 

Capi: Marc’ Antonio Valaresso, Alvise Barbaro, Daniele Dolfin

 

1619, 20 marzo, in Consiglio di X

 

Che le lettere dell’Ambasciatore e Baylo nostri in Costantinopoli del primo febbraio prossimamente passato, di quanto ha loro conferito il Borisi Dragoman Grande per la richiesta fattali dal Gratiani di una sua figliola per moglie, et esortationi a questo di Assan Bassa, et del Muftì, con l’officio perciò fatto anco dall’Ambasciatore d’Inghilterra col Baylo predetto, siano rimesse ai Savi del Collegio nostro, commessa per un Segretario di questo Consiglio la debita segretezza, et così anco al Senato quando e come ad essi parerà.

 

[nota autografa aggiunta in seguito al testo:] Immediata fu fatta la caricatione agli Eccellentissimi Signori Savi et lasciate le copie in mano al Segretario [Agostino] Dolce.

 

(asv, Consiglio dei X. Parti Secrete, b. 33, cc. nn., copia)

 

 

p. 119

IV<

 

Capi: Andrea Minotto, Bernardo Valier, Piero Emo

 

1619, 3 aprile, in Consiglio di X

 

Che per un Segretario di questo Consiglio, con messa prima la debita segretezza, siano lette, et lasciate ai Savi del Collegio nostro le lettere dell’Ambasciatore et Baylo nostri in Costantinopoli de 16 febbraio passato, in proposito del ragionamento che in occasione di visita ha tenuto Gasparo Gratiani, detto Voyvoda di Bogdania, col Nobil Huomo Polo Minio con la sua relatione et delle instanze, che va continuando a fare esso Gratiani per haver in moglie una figliola del Dragoman Grande Marc’ Antonio Borisi, con la scrittura di esso Borisi. Da esser quando et come a detti Savi parerà parimente lette anco al Senato, i potendosene valere secondo che sarà stimato espediente per pubblico servitio.

 

[nota autografa aggiunta in seguito al testo:] Immediata fu fatta la caricatione et lasciatele copie agli Eccellentissimi Signori Savi in mano del Segretario Dolce.

 

(asv, Consiglio dei X. Parti Secrete, b. 33, cc. nn., copia)

 

 

V

 

Capi: Andrea Minotto, Bernardo Valier, Piero Emo

 

1619, 4 aprile, in Consiglio di X

 

Al Baylo in Costantinopoli

 

Con le Vostre lettere del 16 febbraio passato, in proposito del ragionamento tenuto con Nobil Huomo Polo Minio dal Gratiani, mentre da lui era visitato, et della continuatione delle sue instanze per avere in moglie una figliola del Borisi, le quali con la Relatione di esso Minio et scrittura del Borisi sono da noi state rimesse ai Savi et al Senato, secondo che Vi scrivessimo a 20 di marzo passato haver fatto delle prime nel medesimo proposito.

 

(asv, Consiglio dei X. Parti Secrete, b. 33, cc. nn., copia)

 

 

For this material, permission is granted for electronic copying, distribution in print form for educational purposes and personal use.

Whether you intend to utilize it in scientific purposes, indicate the source: either this web address or the Quaderni della Casa Romena 2 (2002): Occidente-Oriente. Contatti, influenze, l’image de l’autre (a cura di Ion Bulei, Şerban Marin e Rudolf Dinu), Bucarest: Casa Editrice Enciclopedica, 2003

No permission is granted for commercial use.

 

© Şerban Marin, June 2003, Bucharest, Romania

serban_marin@rdslink.ro

 

Back to Geocities

Back to Yahoo

Back to Homepage Quaderni 2002

 

 



[1] Johannes Sommer Pirnensis, Vita Jacobi Despotae Moldavorum Reguli, in Viaţa lui Despot vodă (edizione bilingue, introduzione, profili biografici, testo latino stabilito, traduzione, note e commenti a cura di Traian Diaconescu), Iassi, 1998: 19.

[2] Adina Berciu–Drăghicescu, O domnie umanistă în Moldova: Despot vodă, Bucarest, 1980: 33-35.

[3] Ibidem: 36.

[4] Ibidem.

[5] Constantin Marinescu, “Jacques Basilicos «Le Despote», Prince de Moldavie, 1561-1563, écrivain militaire”, in Mélanges d’Histoire Génerale 2 (1938): 319-380.

[6] Andrei Veress, Documente privitoare la istoria Ardealului, Moldovei şi Ţării Româneşti, vol. I, Bucarest, 1929: doc. 200, 151-158.

[7] Anton Maria Graziani, De Joanne Heraclide Despota Vallachorum Principe, in Viaţa lui Despot vodă cit.: 115; Manfred Stoy, “Jakob Basilikos Heraklides (Despot Vodă), Fürst der Moldau 1561-1563, und die Habsburger”, Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung 100 (1992), 1-4: 309-310.

[8] Graziani, op. cit.: 118-119.

[9] Sommer Pirnensis, op. cit.: 27; Graziani, op. cit.: 121.

[10] Graziani, op. cit.: 125; Stoy, op. cit.: 315-316.

[11] Sommer Pirnensis, op. cit.: 27.

[12] Ibidem: 29-31; Graziani, op. cit.: 127; Stoy, op. cit.: 317.

[13] Andrei Pippidi, Tradiţia politică bizantină în ţările române în secolele XVI-XVIII (edizione rivista e aggiornata), Bucarest, 2001: 246-249.

[14] Sommer Pirnensis, op. cit.: 51.

[15] Berciu–Drăghicescu, op. cit.: 106-116, con la bibliografia sull’argomento.

[16] Durante i moti della nobiltà moldava che scacciarono Jacobo Despota voivoda, e nei successivi avvenimenti che fecero salire sul trono Stefano Tomşa I (1563-1564), proprio uno fra i rappresentanti dei rivoltosi, persero la vita anche alcuni innocenti, come, per esempio, un mercante di Candia, suddito veneto, a proposito del quale il fratello denunciò al bailo della Serenissima in Costantinopoli: „[…] che di Fiandra aveva condotto vini in Bogdania, [ed] era sta[to] ammazzato dal detto Signor di Bogdania nuovo [Stefano Tomşa I], et che li havevano tolto ducati 7 000 […]”, Cfr. Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi sarà citato asv), Capi del Consiglio dei X. Lettere di ambasciatori. Costantinopoli, 1563-1570, b. [busta] 3, cc. [le carte] 21-22.

[17] Sulla vita e personalità di Pietro Orecchino si vedano le due monografie finora pubblicate, le quali offrono un’immagine completa dell’episodio rinascimentale e di ciò che il suo principato rappresentò nella storia dei romeni: Ştefan Pascu, Petru Cercel şi Ţara Românească la sfârşitul sec. XVI, Cluj-Sibiu, 1944 e Cristian Luca, Petru Cercel– un domn umanist în Ţara Românească, Bucarest, 2000; si veda anche Idem, “Il principe valacco Petru Cercel e Venezia. Documenti inediti (1588)”, Ateneo Veneto 188 [39 n. s.] (2001), 39: 103-120.

[18] Stoy, “Rumänische Fürsten im frühneuzeitlichen Wien”, in Jahrbuch des Vereins für Geschichte der Stadt Wien 46 (1990): 154-155; Luca, Petru Cercel, cit.: 40-113; Constantin Rezachevici, Cronologia critică a domnilor din Ţara Românească şi Moldova, a. 1324-1881, vol. I, Secolele XIV-XVI, Bucarest, 2001: 281-301.

[19] Alexandru Ciorănescu, Documente privitoare la istoria românilor culese din Arhivele din Simancas, Bucarest, 1940: doc. XVIII, 264-270.

[20] Luca, Petru Cercel, cit.: 69-70.

[21] Idem, “Activitatea ctitoricească a lui Petru Cercel (1583-1585), expresie a unei politici culturale consecvente”, Buletinul Comisiei Naţionale a Monumentelor, Ansamblurilor şi Siturilor Istorice 10 (1999), 1-4: 93-101; Idem, Petru Cercel cit.: 114-127.

[22] Ramiro Ortiz, Per la storia della cultura italiana in Rumania, Bucarest, 1916: 159; Luca, Petru Cercel, cit.: 115 e nota 3.

[23] Pippidi, Quelques drogmans de Constantinople au XVIIe siécle, in Idem, Hommes et idées du Sud-Est européen à l’aube de l’âge moderne, Bucarest-Parigi, 1980: 239-240; Idem, Tradiţia politică, cit.: 281.

[24] Ibidem: 281-282.

[25] Ibidem: 282.

[26] Ştefan Andreescu, Restitutio Daciae, vol. II, Relaţiile politice dintre Ţara Românească, Moldova şi Transilvania în răstimpul 1601-1659, Bucarest, 1989: 52-54.

[27] Pippidi, Tradiţia politică, cit.: 281.

[28] Andreescu, op. cit.: 46, 55.

[29] Stoy, “Das Wirken Gaspar Gracianis (Graţianis) bis zu seiner Ernennung zum Fürsten der Moldau am 4. Februar 1619”, in Südost-Forschungen XLIII (1984): 51-55.

[30] Vittorio Cattualdi [Oscarre di Hassek], Sultan Jahja dell’Imperial Casa Ottomana od altrimenti Alessandro conte di Montenegro ed i suoi discendenti in Italia. Nuovi contributi alla storia della questione orientale e delle relazioni politiche fra la Turchia e le potenze cristiane nel secolo XVII, Trieste, 1889: 383; Stoy, “Das Wirken Gaspar Gracianis”, cit.: 61; Dan Floareş, “Câteva contribuţii privind originea şi începuturile ascensiunii lui Gaspar Graţiani”, in Ioan Neculce. Buletinul Muzeului de Istorie a Moldovei”, n. s. 2-3 (1996-1997): 26.

[31]asv, Consiglio dei X. Parti Secrete, b. 32, cc. nn. [carte non numerate]; Stoy, “Das Wirken Gaspar Gracianis”, cit.: 75-99, 104-117; Idem, “Rumänische Fürsten”, cit.: 167-170.

[32] Pippidi, Tradiţia politică, cit.: 291.

[33] Luca, Veneziani, levantini e romeni fra prassi politiche e interessi mercantili nell’Europa Sud–Orientale tra Cinque e Seicento, Convegno Internazionale di Studi “Romania e Románia: lingua e cultura romena di fronte all’Occidente”, Università degli Studi di Udine, 11-14 settembre 2002.

[34] Eudoxiu di Hurmuzaki (a cura di), Documente privitoare la istoria românilor, vol. IV/2, Bucarest, 1884: doc. CCCCXIV, 380-381, doc. CCCCXXIII, 386; Ibidem, vol. VIII, Bucarest, 1894: doc. DLIX, 379.

[35] Rezachevici, “Politica internă şi externă a Ţărilor Române în primele trei decenii ale secolului al XVII-lea (I)”, Revista de istorie 38 (1985), 1: 23-24.

[36] Hurmuzaki (a cura di), Documente cit., vol. IV/2: doc. CCCCXVIII, 383.

[37]asv, Capi del Consiglio dei X. Lettere di ambasciatori. Costantinopoli, 1600-1714, b. 7, c. 101; asv, Consiglio dei X. Parti Secrete, b. 33, cc. nn. [si veda l’Appendice documentaria].

[38] Ibidem; per quanto riguarda il rapporto presentato da Polo Minio al rientro dal viaggio in Moldavia, si veda Biblioteca Nazionale Marciana–Venezia, Dalla scrittura del Polo Minio presentata in Collegio l’anno 1620. Delle attioni di Bettelen Gabor Principe di Transilvania, di quella Provintia et confinanti, in Relationi et scritture pubbliche diverse. Volume secondo, ms. it. VII 336 (= 8662), cc. 297-300, pubblicato in Hurmuzaki (a cura di), Documente cit., vol. IV/1, Bucarest, 1882: doc. DXVI, 596-600 e Ibidem, vol. VIII: doc. DLXXIV, 389-393.

[39]asv, Senato-Secreta. Deliberazioni Costantinopoli, reg. 12, c. 148r.

[40] Si veda l’Appendice documentaria.

[41] Hurmuzaki (a cura di), Documente cit., vol. IV/2: doc. CCCCXII, 378-379; Nicolae Vătămanu, Voievozi şi medici de curte, Bucarest, 1972: 141; la notizia riportata da un documento vaticano, quale menziona che Marc’ Antonio Borisi era suocero di Graziani, è null’altro che uno dei echi lontani del mancato matrimonio tra il principe di Moldavia e la figlia del gran dragomanno del bailaggio veneto in Costantinopoli, Cfr. Anton Mesrobeanu, “Nuovi contributi sul vaivoda Gaspare Graziani e la guerra turco-polacca del 1621”, Diplomatarium Italicum 3 (1934): 152, doc. CXX, 198.

[42] Stoy, “Das Wirken Gaspar Gracianis”, cit.: 71; Pippidi, Tradiţia politică, cit.: 289-290.

[43] Un certo “monaco cistercense Don Luca”, persona considerata negli ambienti politici veneziani molto astuta “in materia de’ disegni, et pratiche per imprese, et intelligenze nel Paese del Signor Turco”, ritenuto valente spia della Repubblica di S. Marco, informava già nel 1615 i Capi del Consiglio dei X della Serenissima riguardo a tutto ciò che sapeva su “[…] quello che va operando con l’Imperatore il Duca de Nevers, con l’assistenza di quel Sultan Giachia [Jahja], praticissimo dei Paesi [degli Ottomani]”, Cfr. asv, Consiglio dei X. Parti Secrete, b. 33, cc. nn. Non è da escludere che tale “Don Luca” fosse il domenicano Giovanni Giuliani da Lucca, trovatosi probabilmente allora agli inizi della carriera diplomatica e missionaria, inviato dalla Santa Sede in un’ambasciata in Persia, nel 1646, reduce di alcuni viaggi in Moldavia, dove ebbe modo di riferire anche alla corte del principe Basilio Lupu (1634-1653) sui moti dei popoli balcanici e sui loro piani di rivolta antiottomana di cui egli era sicuramente al corrente, Cfr. Pippidi, “Călători italieni în Moldova şi noi date despre navigaţia în Marea Neagră în secolul XVII”, Anuarul Institutului de Istorie şi Arheologie «A. D. Xenopol» 22 (1985), 2: 611-614; Il carteggio di Giovanni Tiepolo ambasciatore veneto in Polonia (1645-1647) (a cura di Domenico Caccamo), Roma, 1984: doc. 50, 156; Andreescu, “Giovanni Tiepolo şi românii. Note pe marginea unor documente din Arhivele Veneţiei”, in Românii în istoria universală, vol. III/3 (a cura di Ion Agrigoroaiei, Gheorghe Buzatu, Vasile Cristian), Iassi, 1988: 159 e nota 6.

[44] Pippidi, Tradiţia politică, cit.: 291.

[45] Ibidem.

[46] di Hassek, op. cit.: 383. Tra il fitto materiale documentario dell’Archivio di Stato di Venezia, riguardante la vita e le imprese di questo personaggio, Jahja “Sultano”, pure noto nella prima metà del Seicento come Alessandro conte di Montenegro, risultano inedite e molto interessanti anche le seguenti informazioni pervenute al Consiglio dei X della Serenissima: “[…] 25 aprile passato [1623], in proposito di alcune persone di diversi luoghi d’Albania […] gionti in quella città [Napoli], che sono stati a quel viceré, et ministri, et negociano continuamente con Alessandro Macedonio offrendo intraprese nel Paese Turchesco, in Dalmatia et Albania […]”, Cfr. asv, Consiglio dei X. Parti Secrete, b. 36, cc. nn. Durante i negoziati politico-diplomatici veneto-polacchi del 1645-1647 furono inviate, ai Capi del Consiglio dei X della Repubblica di S. Marco, alcune copie delle minutissime carte riguardanti la situazione dei sudditi ottomani cristiani nel sud del Danubio, parte senz’altro del memoriale che gli emissari dei popoli balcanici presentarono al re di Polonia durante le trattative dell’ambasciatore Tiepolo a Varsavia. Sono collocate tra queste carte, la descrizione delle province sud-danubiane della Porta e del loro potenziale bellico, la richiesta scritta dai notabili religiosi (Patriarca di Peč, vescovo di Antivari) e laici serbi, albanesi e bulgari rivolta al Re di Polonia per chiedere il sostegno nella lotta antiottomana, e l’incarico che gli stessi diedero ai loro delegati presenti in quegli anni alla corte polacca, Cfr. asv, Consiglio dei X. Parti Secrete, b. 43, cc. nn., nonché il documento che accenna a Jahja “Sultano”:

“Di Sultan Jahja, nominato conte Alessandro di Montenegro, et si presume esser figliolo d’un Gran Turco, si hanno queste informazioni:

Che sia stato allenato e mantenuto dal già Gran Duca di Toscana. Maritato in Savoia con gentildonna ordinaria, et havutone figlioli. Habbia praticato molte parti del Mondo et possieda assai linguaggi. Versatissimo nelle cose de’ Turchi.

Che andasse all’Impero, ben veduto dall’Imperatore, ma si partì perché Volstrain non vuole trattarlo che col nudo titolo di conte, et egli pretendeva quello d’Altezza, che vanta essergli dato anco dal Gran Duca.

Che il conte d’Altan [Adolf von Althanh] lo volesse nell’Union dei Cavalieri della Redentione, ma disse non voler compagni, soggiungendo aut Cesar aut nihil. La sua maggior dimora in Polonia, e Moscovia.

Che suscitasse i Cosacchi contra il Turco, qual si sdegnò col Polacco, credendo esserci il suo consenso, che eccitò il Re a perseguitar il Coma[ndante], cessati poi i sospetti col Turco, di rappattumo.

Che sia gran testa, ripiena di vastissimi concetti piegati a gran rivolta, e benché non habbia denari, gente, né munitioni, non di meno con le acutezze del suo ingegno pretende superar tutte le cose.

Che dispensi patenti di titoli et comandi, con larghi e gran sigilli, usando il titolo di conte di Montenegro.

Che quando venne in Europa quel giovane Abissino, che fu anco a Venezia, e diceva d’esser figlio del Portegiani [Pretegiani], prestasse sommesso ossequio ad esso Conte, trattandolo con titolo di Maestà e baciandole il piede.

Che in questi ultimi tempi delle mosse ottomane, trattandosi pur in Polonia, habbia scritto al Papa, Imperatore, Gran Duca e Gran Maestro di Malta, offrendosi per la Cristianità.

Che spiccatosi poi di Polonia s’andasse accostando all’Italia, dicendosi che fosse arrivato in Croatia, s’intese di più che s’avanzasse anco fino a Padova, ma non si sa se sia vero oppure congettura dall’essi amici suoi, il Soppio [Gasparo Scioppio] et il Lettor Peruzzi [Giovanni Michele Pierucci], c’hanno di lui perfetta cognitione”.

[47] Maria Găzdaru, Dimitrie Găzdaru, “Călători şi geografi italieni în secolul al XVII-lea. Referinţele lor despre Ţările Româneşti”, in Arhiva 46 (1939), 3-4: 205-208.

[48] Historia delle guerre civili di questi ultimi tempi scritta dal conte Maiolino Bisaccioni gentil’huomo ordinario della Camera del Re Christianissimo et suo cavalliere. Quarta edizione ricorretta et di novissimi accidenti accresciuta per tutto l’anno MDCLIV, All’Altezza Serenissima di Parma, Per Francesco Storti, Venezia, 1655.

[49] Pippidi, Tradiţia politică, cit.: 289 e nota 282.

[50] Ibidem: 289.

[51] Un’anonima spia di Venezia inviava al Consiglio dei X della Repubblica marciana, a due anni dalla morte del principe di Moldavia Gasparo Graziani, le seguenti notizie, risalenti al febbraio-marzo del 1622, a proposito dei piani politici e militari antiottomani ideati dai soliti notabili dei popoli balcanici sudditi della Porta: “Il partito che li Primati di Bosna, Cervia [cioè Serbia], Macedonia, Bulgaria hanno offerto alli Principi è questo: che accetteranno per loro Signore quel Principe che gli darà aiuto di monitioni di balle, polvere e capi da guerra et anco qualche scorta armata, per più inanimire i popoli già ardentissimi e precipitosi a ribellarsi. I Principi che accettarono furono Papa Paolo Quinto, il Re di Spania. Il Duca Ranutio di Parma fu fatto capo parimente dal Papa […]. I primati di Levante sono molti che hanno capo in questo negozio, nomino, però, solo quelli che ho potuto risapere, il primo dunque è Matthia Thomassi Bosnese, […] il secondo è Patriarcha di Pechi […] et altri molti che non ho potuto sapere”, Cfr. asv, Consiglio dei X. Parti Secrete, b. 35, cc. nn.

[52] Valutata nell’ambito dei vari piani militari antiottomani che si prospettavano nell’Europa Sud-Orientale nel secondo decennio del XVII secolo, l’iniziativa di Gasparo Graziani di aprire, accanto ai polacchi, le ostilità contro la Porta ottomana risulta solo come una sopravvalutazione della potenza militare di Polonia, e non come un’azione azzardata che rese il periodo del suo principato “uno strano episodio” nella storia dei romeni, così considerato nel testo tuttora fondamentale di Florin Constantiniu, “De la Mihai Viteazul la fanarioţi: observaţii asupra politicii externe româneşti”, Studii şi materiale de istorie medie 8 (1975): 120-121.

[53] Andreescu, Restitutio Daciae, cit.: II, 45.

[54] Nicolae Iorga, “Manuscripte din biblioteci străine relative la istoria românilor (al doilea memoriu)”, Analele Academiei Române. Memoriile Secţiunii Istorice IIa serie, 21 (1899): 50-51; Andreescu, Restitutio Daciae, cit.: II, 46.

* La relazione di Polo Minio, indirizzata ai Capi del Consiglio dei X, purtroppo tutta cifrata, si trova in copia nelle cc. 102-104 della stessa busta 7, ciò che complessivamente costituisce 3 difogli per un totale di 10 cartelle di scrittura.

** La lettera cifrata di Marc’ Antonio Borisi è la c. 105, pure questa un difoglio collocato nella stessa busta 7, carta che sembra autografo dello stesso. Le cc. numerate 116, della stessa busta 7, contengono la copia di una lettera indirizzata dal principe di Transilvania Gabriel Bethlen (1613-1629) al doge di Venezia, datata 20 aprile 1620 ed inviata da Casovia.