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Il Calvinismo e l'Ortodossia nelle terre romene

nel XVII secolo

 

Daniele Pantaleoni,

Università di Udine

 

È noto come la penetrazione della Riforma tra i sassoni e gli ungheresi di Transilvania abbia dato vita, nel corso del XVI secolo, a dei fitti rapporti, spesso conflittuali, tra gli appartenenti alle nuove confessioni e l'ortodossia romena[1]. Tali relazioni ebbero un'influenza non solo sulla vita confessionale, ma interessarono anche l'organizzazione sociale e l'espressione culturale. Se nel 1500 il tentativo di espansione della Riforma tra i romeni sembra affidarsi più ad azioni individuali che a un programma saldamente strutturato, nel corso del secolo successivo questa politica prenderà una forma organizzata, diventando una delle principali preoccupazioni non solo delle gerarchie calviniste, ma degli stessi principi di Transilvania[2].

Analizzando i documenti romeni e ungheresi dell'epoca possiamo tentare di chiarire quali furono i principali motivi che guidarono questa politica di proselitismo e di definirne i limiti, ovvero le ragioni per cui essa si arenò, trasformandosi in un aperto conflitto.

Le fonti dell'epoca sembrano suggerirci tre principali motivi attorno ai quali si articolò la propaganda calvinista in Transilvania:

a) La polemica contro le cosiddette "superstizioni".

b) L'uso della lingua nazionale in tutte le funzioni religiose e quindi la traduzione dei libri sacri e liturgici.

c) La diffusione della cultura, non solo religiosa, attraverso l'istituzione di scuole.  

 

La lotta contro le "superstizioni".

 

Questo sembra essere il punto in cui la polemica tra calvinisti e ortodossi assunse un carattere di assoluta inconciliabilità. Per capire i contenuti di questa disputa, in primo luogo si dovrà chiarire come il concetto di "superstizione", per la Chiesa calvinista fosse assai ampio, tanto da comprendere tutte le tradizioni popolari che accompagnavano i riti essenziali della vita dell'uomo (battesimo, matrimonio, inumazione), l'adorazione della croce, il culto dei santi e delle icone, ma anche il mistero della transustanziazione, ecc. Di  fronte a un così largo spettro di contenuti risulta naturale affermare che, su questo piano, Chiesa ortodossa e Chiesa calvinista rappresentavano due mondi spirituali esprimenti due sensibilità religiose del tutto antitetiche.

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Già durante il XVI secolo i calvinisti considerarono che parte della dottrina ortodossa fosse contaminata da manifestazioni, se non diaboliche, per lo meno pagane, e comunque in netta contraddizione con il "vero" insegnamento cristiano[3].

Nel secolo successivo queste accuse si moltiplicarono, ad esempio nel 1640 István Katona Geleji, sovrintendente ungherese delle Chiesa calvino-romena, scrivendo al principe György Rákóczy riguardo i candidati alla sede vacante della metropolia di Alba Iulia, affermerà: " [...] secondo quanto ho potuto sentire, non si troverebbe tra quelli [ tra i romeni n.d.t.] di questo regno un uomo adatto [a diventare metropolita n.d.t.], e forse sarebbe migliore, magnanimo sovrano, il candidato greco[4], poiché la religione greca, in confronto a quella romena, non è così corrotta, essendo quest'ultima in gran parte pura superstizione."[5] Lo stesso Katona Geleji  spiegherà dettagliatamente cosa intendesse per "superstizione" in alcune delle ventiquattro condizioni imposte al futuro candidato alla metropolia transilvana: " [il metropolita n.d.t.] battezzi secondo la forma semplice ordinata da Cristo, abbandonando le candele, l'unzione con l'olio e le altre usanze papiste, battezzi solo con acqua pura nel nome del padre, del Figlio e dello Spirito Santo."

 

Al punto 12: " Abbandoni l'uso dell'incenso, delle campanelle e le altre cerimonie superstiziose rimaste dai papisti. "

Al punto 15: "Disponga che la sepoltura dei morti avvenga in modo semplice e cristiano, con canti e una predica. Senza candele, incenso e altre cerimonie superstiziose, delle quali non si sono serviti i cristiani al tempo degli Apostoli; non permetta che si pongano dei soldi, cibo e altre cose nei feretri."

Al punto 16: "Vieti alla comunità di bruciare candele sopra le tombe, i lamenti funebri e il colloquio con i morti."

Al punto 17: "Vieti alla comunità per mezzo dei preti di inginocchiarsi ed inchinarsi davanti alle icone e alle croci innalzate lungo le strade, vieti anche di baciarle abbracciarle perché ciò è proibito da Dio in modo chiaro."

Al punto 21: "Si proibisca l'usanza di eleggere una donna quale regina della Pentecoste e altri riti superstiziosi."

Al punto 22: "Ai matrimoni si proibisca l'usanza di leccare il miele."[6]

 

Nel 1656 in un importante testo polemico di ispirazione calvinista[7], pubblicato in lingua romena, possiamo leggere le seguenti affermazioni: "Non avete tanti capelli sul capo quante consuetudini possedete e propagandate al di fuori del Vangelo di Paolo [...]. Quale Apostolo vi ha insegnato quando battezzate a sputare e a soffiare sull'acqua, a mettere delle

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gocce di cera sulla testa del neonato, a ungerlo con dell'olio santo per poi farlo girare per tre volte attorno all'altare e prostrarlo alle icone: Cristo ci ha insegnato in altro modo a battezzare.  Quale Apostolo vi ha insegnato a mettere, durante i funerali, un'icona sul ventre del morto e a baciarla. A chiedere dei soldi, a porgli una croce di cera in mano assieme ad una moneta, a dargli del cibo e a bagnarlo con del vino [...] e molte altre follie che né nella Santa Scrittura sono scritte, né i Profeti, né gli Apostoli, né gli Evangelisti ci hanno insegnato. Queste sono oscure superstizioni. Ed inoltre da che Sacra Scrittura avete appreso del matrimonio? Che fasciate gli sposi con una cintura, mettete loro una corona in capo e delle candele sulle spalle e li imboccate con del miele."[8]

Lo stesso principe di Transilvania György Rákóczy si pronunciò più volte contro le "superstizioni", così ad esempio nel documento del 30 IX 1641, in cui confermerà l'autorità vescovile sul comitato di Bihor al religioso romeno Avram di Burda, affermerà: "Sia egli [il vescovo citato n.d.t.] che i protopopi e i preti della sua circoscrizione dovranno predicare il Vangelo per i loro fedeli [...] nella loro lingua madre, così si potranno irrobustire giorno per giorno nella conoscenza della religione salvifica, per uscire dall'oscurità dello smarrimento superstizioso ed essere guidati verso la luce." E un po' oltre: "Egli allontani il popolo dal praticare cerimonie indegne e superstiziose..."[9]

Il tono polemico dei testi calvinisti non risparmiò neppure il concetto di transustanziazione, così nel manoscritto di Stefán Istvánházi possiamo leggere: "Fedeli, queste parole [cioè il rituale della consacrazione n.d.t.] non sono   delle parole magiche o degli incantesimi, così sarebbero se assieme ad esse il pane e il vino ritornassero e si trasformassero in corpo e sangue: piuttosto queste sono parole di consacrazione"[10]. Ugualmente nel già citato Catechism Calvinesc, si espresse un concetto simile: "Con queste parole si ordinò la Santa Cena, ciò non significa in nessun modo che pane e vino cambino la loro natura, cioè che il pane si trasformi nel corpo di Cristo e il vino nel suo sangue, così come insegnano i papisti. Poiché vediamo che il pane e il vino mantengono il proprio aspetto e il proprio gusto. Queste sono solo parole di consacrazione."[11]

A questi ripetuti attacchi la Chiesa ortodossa rispose con vigore. Se in Transilvania le condizioni politiche non permisero agli ortodossi di esprimere articolatamente la propria opposizione alle critiche calviniste, negli altri due principati si pubblicarono numerosi testi in difesa o a chiarimento della propria dottrina[LP1] [12].

In primo luogo va ricordata la Mărturisire Ortodoxă di Petru Movila, presentata in latino al sinodo di Kiev del 1640 e, successivamente approvata e pubblicata in lingua greca dal sinodo di Iași del 1642, opera che riassume le basi dottrinali della fede orientale[13]. La necessità di sintetizzare in un unico volume i fondamenti della dottrina orientale, fu

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alimentata anche dalle continue pressioni, ereticali e scismatiche, che si manifestarono tra le fila delle Chiesa ortodossa[14]. Riguardo alla difesa contro il Calvinismo tramite la Mărturisire Ortodoxă, si volle liberare il campo dai possibili dubbi creati dalle posizioni filo riformate dell'ex-patriarca di Costantinopoli Chiril Lucaris. In questo senso parallelamente al sinodo di Iași si pubblicò una condanna dei capitoli calvinisti della “Confessione di fede” di Chiril Lucaris apparsa a Ginevra nel 1629[15].

Nell'opera di Movila, pubblicata in romeno nel 1691 a Buzau da Radu Greceanu, esistono più capitoli che sembrano poter essere stati redatti per contrastare alcuni dogmi calvinisti. In particolare i paragrafi 54 e 55 del II cap. sono dedicati alla difesa del culto delle icone: "grande differenza esiste tra gli idoli e le icone, gli idoli sono invenzioni e inganni umani [...] mentre l'icona è una rappresentazione di un fatto reale che ha la sua essenza nel mondo, come accade per l'icona del nostro Cristo Redentore o della Vergine Maria e di tutti i Santi [...] Noi quando adoriamo le icone non ci prostriamo ai colori o al legno ma a coloro che sono [rappresentati] nelle icone. Neppure i fedeli si inchinano all'autore dell'opera ma al volto del santo da essa rappresentato."[16]

È assai significativo che Varlaam, il Metropolita di Moldavia, nel suo Răspuns împotriva Catehismului Calvinesc, pubblicato nel 1642 al monastero di Dealu, presso Târgoviste, usi parole pressoché identiche per rispondere alle accuse calviniste di idolatria. Qualche autore non ha escluso una parziale influenza dell'opera di Movila su quella di Varlaam[17].

Nella "Risposta" al Catechismo calvinista Varlaam polemizza a difesa delle icone, del culto dei santi, del digiuno, contro la dottrina della predestinazione e contro le altre imposizioni riformate. La difesa delle posizioni ortodosse è condotta, non solo con una notevole preparazione teologica, ma anche attraverso una grande abilità retorica, tanto da rendere quest'opera una tra le più vivaci di questo secolo. Rappresentativo in questo senso è il seguente passaggio della predoslovie: "sia chiunque sia, se vi insegnerà un'altra fede, sia magari anche un angelo del cielo, non credetegli, ma ditegli "anatema", separatevi e allontanatevi da uno come questi. Perché ciò che abbiamo ricevuto dai nostri padri e dai nostri avi è rafforzato dal Vangelo di Cristo, fondato sui profeti e, dallo Spirito Santo testimoniato attraverso le luminose assemblee dei padri"[18].

Citando gli insegnamenti degli avi ("moșii și strămoșii"), forse, Varlaam volle riferirsi alla cultura popolare romena. Legame tra la sacralità cristiana e la tradizione ancestrale degli avi, questa non solo non si pose al di fuori della tradizione ortodossa, ma ne amplificò il valore di chiesa "nazionale". Il senso profondo di questo stretto legame sfuggì ai rappresentanti della Chiesa calvinista, lo stesso Katona Geleji affermando che: "Al di là del culto dei santi e delle icone, della processione dello Spirito Santo, non vedo altre differenze tra la vera religione greca [ortodossa] e la nostra. La differenza è solo nel culto

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esteriore e nelle cerimonie"[19], dà prova di un'assoluta incomprensione del mondo ortodosso, attribuendo un ruolo marginale a ciò che, in realtà, risultava essere essenziale. 

 

La traduzione dei testi sacri e l'uso della lingua romena nelle funzioni religiose

 

La traduzione dei testi sacri e l'introduzione della lingua romena nella liturgia costituirono dei punti centrali della politica di proselitismo calvinista adottata in Transilvania nel 1600. Già nelle "famose" 24 condizioni imposte da István Katona Geleij al futuro Metropolita ortodosso possiamo leggere:

 

Punto 2 - [il Metropolita] gestisca una tipografia con apprendisti tipografi, dove si stampino libri utili tanto per il risanamento della chiesa quanto per lo sviluppo delle scuole.

Punto 3 - Vieti ai preti a lui sottoposti di predicare in lingue straniere e ordini loro di compiere ogni servizio divino davanti alla comunità nella loro lingua, cioè il romeno.

 

In questo campo gli sforzi calvinisti diedero dei notevoli risultati, tanto che, nell'introduzione al “Salterio” del Metropolita Simion Ștefan (1651), quindi un'opera appartenente alla Chiesa Ortodossa, troviamo il seguente passaggio: "Le preghiere alle adunanze e in altri luoghi, la liturgia, i canti e le altre funzioni divine se fatti in una lingua straniera sono inutili per coloro che non la comprendono, e colpevolmente si danneggeranno quelli che serviranno Messa in una lingua straniera non comprendendola, come fanno i Papi di Roma, quegli indolenti dei preti, i frati, i monaci e le monache, che non conoscono assolutamente i libri, eppure cantano il Padre nostro, l'Ave Maria e i Salmi in una lingua straniera senza averne la minima conoscenza. Questi sono come le ghiandaie, come gli uccelli che privi di intelletto vorrebbero parlare come l'uomo: così  sono coloro che si esprimono in lingue straniere senza comprenderle."[20]

Questa lunga citazione ci fornisce la prova come in Transilvania, attorno al 1650, la Chiesa ortodossa avesse ormai accettato l'innovazione della traduzione del rituale, fatto che venne confermato nel concilio del 1675, quando il Metropolita Sava Brancovici rinnoverà la raccomandazione di svolgere la messa in lingua romena[21]. L'importanza di tale innovazione si può meglio apprezzare se rapportata alla situazione degli altri principati. In Moldavia, ad esempio, il primo libro liturgico tradotto sarà, nel 1679, quello di Dosoftei. Questi nella predoslovie sentirà il bisogno di dare ampie giustificazioni per spiegare la sua scelta[22].

In Valacchia l'apparizione del libro liturgico di Teodosie Veștimentanu (1680), non segnò affatto l'ingresso della lingua romena nel rituale ortodosso, infatti egli si limiterà a tradurre la parte normativa, mentre rispetto al rituale affermerà: "Tradurre tutta la liturgia nella nostra lingua, né l'ho voluto, né l'ho osato fare, a causa dell'insufficienza della lingua, della mancanza di maestri e dell'incomprensione della gente del senso vero e profondo dell'innovazione."[23]

L'introduzione della lingua romena nel rituale in Moldavia e Valacchia  rappresentò un processo lungo e fortemente contrastato, tanto che non mancarono nemmeno i tentativi di imporre, da parte dei due Principati, al clero transilvano  il ritorno alla vecchia tradizione. Infatti, nel 1698 a Bucarest, il Patriarca di Gerusalemme Dositei, durante

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l'investitura di Atanasie Anghel a Metropolita di Transilvania, gli ordinò per il futuro di officiare il servizio divino solamente in greco o slavone[24].

L'insistenza posta dai calvinisti sull'uso della lingua romena in chiesa e sulla traduzione dei testi sacri, si concretizzò in una produzione abbastanza articolata di opere.

Da un lato possiamo elencare opere che, seppure destinate alla Chiesa ortodossa, furono sostenute dai rappresentanti della Chiesa calvinista: Il Nou Testament de la Bălgrad, il “Salterio” del 1650 di Simion Ștefan; il  Sicriu de aur (1683) e la Cărăre pe scurt spre fapte bune îndreptătoare (1685) di Ion Zoba din Vinț. Dall'altro opere scritte per i romeni calvinizzati, quasi tutte redatte seguendo l'ortografia ungherese. Tra i manoscritti ricordiamo: la raccolta di inni sacri (circa 70) di Sándor Gergely Agyagfalvi del 1642; la versione anonima del Salterio di Albert Molnár (1660 ca.); la versione di questo stesso Salterio di János Viski (1697), accompagnata da un'imponente raccolta di inni religiosi (35 canti) e da alcune preghiere; quella tarda e incompleta di Styefán Istvánházi (1703)[25]. Tra i testi stampati ricordiamo il “Catechismo” di István Fogarasi pubblicato ad Alba Iulia nel 1648 e il già citato Catechism Calvinesc, che a differenza del primo fu stampato in caratteri cirillici. Il valore culturale di questi testi è assai vario, così come fu molto diversa la ricezione tra i romeni di opere come il Nou Testament  di Alba Iulia rispetto a quella dei salteri in ortografia ungherese, in ogni caso si può prendere atto dello stimolo dato alla produzione culturale dall'incontro tra Riforma e Ortodossia in questa regione.

In risposta alla crescente pressione calvinista sulla Chiesa ortodossa, in Moldavia e Valacchia si diede vita a una serie di azioni che non sarebbe sbagliato definire di controriforma. In questo senso possono essere interpretate le parole di Udriște Năsturel tratte dall'introduzione all'Evanghelie învățătoare di Govora (1642):

 

"Nient'altro se non la pena per i miei fratelli cristiani mi ha spinto a tradurre quest'opera, perché [...] vidi che si allontanarono per mezzo di insegnamenti stranieri e si smarrirono con il loro stolto pensiero e la loro stolta intelligenza."[26]

 

Similmente nella già citata lettera dedicatoria che precede il Liturghier di Bucarest (1670) leggiamo:

 

"Ora esso è così oppresso e vituperato, che né insegnamento, né scienza, né esercito, né leggi, né usanze, esistono nel popolo definito oggi romeno. Come raminghi e ciechi in un recinto si aggirano e annaspano, chiedendo e prendendo a prestito dagli stranieri, dai barbari e perfino dai nemici del nostro popolo, libri [...] per l'apprendimento. O duro e doloroso evento."[27]

 

Sempre sotto il segno della Controriforma ortodossa può essere interpretata la pubblicazione, a Bucarest nel 1690, da parte del Patriarca di Gerusalemme Dositei di un volume in lingua greca dal titolo eloquente, “Manuale contro lo smarrimento calvinista”, da cui citiamo il seguente passaggio:

 

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 "Ci hanno pregato gli Ortodossi di Transilvania di dare loro qualche libro con cui possano rispondere ai calvinisti, che li vessavano oltre misura e, dovendo scegliere in che modo aiutarli, ho trovato per grazia divina questo libro del defunto Sirigos."[28]

 

Alla luce di questa breve rassegna è possibile affermare che l'incontro tra Calvinismo e Ortodossia nelle terre romene diede vita ad un'intensa circolazione di testi, non priva di accenti polemici, consolidando lo sviluppo della lingua romena letteraria e la sua utilizzazione nei rituali ecclesiastici.

 

Le scuole calviniste e i romeni

 

L'istituzione di un sistema scolastico organizzato e per quanto possibile generale fu un'idea cara allo spirito della Riforma. A questo scopo in Transilvania si aprirono, fin dalla metà del 1500, numerose scuole atte a coprire tutti i gradi dell'insegnamento. Il consolidamento ufficiale alla politica pedagogica riformata fu dato dal principe Gavril Bethlen[29]. Egli fonderà, nel 1622, il Collegio di Alba Iulia, istituzione atta a preparare i predicatori calvinisti ma anche i futuri uomini di stato. Il Collegio, seguendo un programma simile a quello di altre scuole europee, fin dagli inizi poté vantare dei quadri didattici di tutto rispetto, dallo storico tedesco Martin Opitz, a Johann Heinrik Alstedt, autore dell'importante opera enciclopedica Encyclopedia septem tomis distincta (1620). Lo stesso Bethlen decise, il 23 giugno 1624, che le scuole calviniste potevano essere frequentate da tutti i giovani romeni. L'ordinanza prevedeva delle dure sanzioni per chi avesse impedito l'accesso all'istruzione a questi giovani. Alla fine degli studi essi sarebbero diventati pastori riformati o insegnanti[30].

Il principe Mihály Apafi nel 1662 spostò la sede del Collegio ad Aiud, dai registri degli allievi risulta che molti giovani romeni frequentarono questa istituzione, tra i vari cognomi di possibile origine romena ricordiamo: Bogdan, Brencsan, Csuka, Ficsor, Gramma etc. Tra i nomi degli studenti si trovano anche quelli di alcuni degli autori dei testi romeni redatti in ortografia magiara. Halici, Fogarasi, Agyagfalvi e Istvánházi[31].

Notevole importanza ebbero anche le scuole romeno-calviniste di Hațeg, Caransebeș e Lugoj. La scuola di Caransebeș, ad esempio, fu condotta a lungo da Mihail Halici senior, fu sostenuta materialmente dal bano Acațiu Barcsai e, per gli allievi di questa scuola, Fogarasi pubblicherà il catechismo in caratteri latini del 1648[32].

Particolarmente significativo fu il sostegno dato allo sviluppo dell'insegnamento tra i romeni dalla vedova del principe Rákóczy I, Zsuzsánna Lorántffi che, nel 1657, fondò la scuola di Făgăraș: Il regolamento di questa scuola prevedeva che questa venisse costruita accanto a quella ungherese, "Perché gli allievi romeni possano imparare l'ungherese e impadronirsi facilmente dell'ortografia magiara e latina. Perché anche gli studenti ungheresi, se lo vorranno, possano imparare a parlare e a scrivere in romeno. Il maestro della scuola

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avrebbe dovuto essere uno, soprattutto se i bambini, istruendosi nelle  scuole, avanzeranno un po' nelle scienze."[33]

In conclusione possiamo affermare che i rapporti tra Ortodossia e Calvinismo si inquadrarono all'interno di uno scenario complesso: dando vita a una serie di scontri (soprattutto teologici) ma allo stesso tempo a rapporti di collaborazione in particolar modo per ciò romeno uscito dalle scuole riformate e possedere un'ottima conoscenza della lingua romena scritta e parlata. Egli si sarebbe dovuto occupare anche dell'educazione spirituale dei suoi allievi, abituandoli a leggere le Sacre Scritture tradotte in romeno, a recitare le preghiere quotidiane e a cantare gli inni religiosi secondo la tradizione delle scuole di Caransebeș e Lugoj. Inoltre tutti i testi avrebbero dovuto essere scritti "con il vero alfabeto romeno" cioè in caratteri latini. Per gli allievi più poveri furono previste varie forme di sostegno materiale[34].

Attraverso l'insegnamento e l'educazione si vide la possibilità di giungere più rapidamente alla conversione di parte dei romeni, ciò risulta chiaro anche da questa citazione di Katona Geleji: "[...] a me sembrerebbe sufficiente se inizialmente potessimo persuadere i romeni ad abbandonare le superstizioni e, se Dio li illuminerà, potremmo ottenere [la loro conversione che riguarda la produzione culturale e il funzionamento delle scuole. L'abdicazione di Apafi (1691) e il ritorno al potere dei cattolici Asburgo (1699) segnarono il definitivo tramonto del proselitismo calvinista tra i romeni.

 

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© Șerban Marin, August 2002, Bucharest, Romania

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[1]Sulla genesi e la diffusione della Riforma in Transilvania cf.: C. Alzati, Terra romena tra oriente e occidente. Chiese ed etnie nel tardo '500, Milano, 1981; I. Iuhász, A reformáció az Erdély románok között, Cluj, 1940; I. Révész, "La réforme et les roumains de Transylvanie", Archivium Europae Centro-Orientalis, t. III, f. 4, Budapest, 1937; Ș. Meteș, Istoria Bisericii românești din Transilvania, vol. I, Sibiu, 1935.

[2] Nel '500 l'istituzione della Chiesa riformata romena, che tra il 1566 e il 1582 ebbe tre sovraintendenti, la pubblicazione della Palie di Orãºtie, furono alcuni dei risultati di questo primo tentativo di espansione.

[3] Tra i vari documenti polemici del 1500 ricordiamo:  Cazania I di Coresi (1567-1568) su quest'opera cf.  I. Gheție e Al. Mareș, Originile scrisului în limba română, Bucarest, 1985: 235-239 e 266-267; I documenti relativi al castellano di Hunedoara, Georg Scholcz o Stolcz, cf. Pavel Binder, "Începuturile reformei din Transilvania și românii din Hunedoara", LR 20 (1971), 3: 273-275; I dati sui rapporti tra i bulgari romenizzati di Cergău e il pastore Andreas Matthesius, in I. Mușlea, "Șcheii de la Cergău  și folclorul lor", DR 5 (1929): 1-50.

[4]Si tratta di Meletie Macedoneanul, egumeno presso il monastero di Govora, dove svolse un'eccezionale attività tipografica, fra le opere a cui contribuì ricordiamo: Pravila (1640 -1641), Psaltirea (1637), Evanghelie învățătoare (1642), ecc.

[5] Cf. I. Lupaș, Documente istorice transilvane, Cluj, 1940: 204.

[6] Ibidem: 206-209.

[7]Si tratta della seconda edizione del Catechism Calvinesc (1ª ed. 1642), preceduta dal cosiddetto Scutul catechismusiului cu respuns... Cf. G. Barițiu, Catechismulu calvinescu inpusu clerului și poporului romanescu  sub domnia  Georgiu Rákoczy I și II, Sibiu, 1879.

[8] Barițiu, op. cit.: 5-6.

[9] Lupaș, op. cit.: 213-217

[10] Styéfán Istvánházi, Soltarilye a luj Szfunt David kray și Prorok, Rîu de Mori, 1703: 132 (ms. 579/a-b, presso la biblioteca dell'Accademia di Cluj).

[11] Barițiu, op. cit.: 58-59.

[12] Un testo di polemica anti-calvinista transilvano sembra essere: Spunerii legiei cu rãspuns, 1640-1644, cf. Al. Mareș, "Un text polemic religios din prima jumãtate a secolului al XVII-lea", LR 20 (1971), 6: 589-604.

[13] Tra le varie edizioni dell'opera ricordiamo: Petru Movilă, Mărturisire Ortodoxă, ed. bilingue a cura di N. M. Popescu, G. I. Moisescu, Bucarest, 1942, ed. anastatica Iași, 1996. Sull'opera e la vita di Petru Movila cf. P. P. Panaitescu, "L'influence de l'oeuvre de Pierre Mogila archevê de Kiev dans le Principautés Roumaines", in Mélanges de l'École roumaine en France 5 (1926), Paris.

[14] Al cap. II par. 49 leggiamo: "Eritici și schizmateci adecăte despicați și eșiți, den calea cea direaptă", ci sembra di poter capire che con la parola "eritici" Movila indichi i protestanti, mentre con "schizmateci"  gli uniati.

[15] Il testo fu pubblicato da Meletie Sirag nel 1642 a Iaºi e successivamente ristampato dal Patriarca di Gerusalemme Dositei nel 1690 a Bucarest. Per le complesse vicende riguardanti la condanna di Chiril Lucaris cf. Movilă, ed. cit.: XXVIII-XXIX.

[16] Movilă, ed. cit.: 320.

[17] Cf. Varlaam, Opere. Răspunsul împotriva Catihismusului Calvinesc (a cura di M. Teodorescu, Bucarest, 1984: 33-38.

[18] Ibidem: 188.

[19] Lupaș, op. cit.: 210.

[20] Bianu e Hodoș, Bibliografia Românească Veche: I, 188.

[21] M. Păcurariu, Istoria Bisericii ortodoxe române, Bucarest, 1984: 85-86.

[22] Bianu e Hodoș, op. cit.: 224-225.

[23] Ibidem: 234.

[24] Gheție e Mareș, op. cit.: 55.

[25] Per i testi romeni con ortografia ungherese cf. la tesi di laurea D. Pantaleoni, Testi Calvinisti (salteri), romeni - magiari della regione banato - transilvana nei secoli XVI - XVII. Analisi filologico linguistica, Università degli studi di Udine, anno  accademico 1993-1994.

[26] Bianu e Hodoș, op. cit.: 121.

[27] Ibidem: 234.

[28] Il volume di Dosoftei è preceduto dalla condanna delle idee calviniste di Chiril Lucaris già pubblicata a Iași nel 1642 da Meletie Sirag, cf. Bianu e Hodoș, op. cit.: 298-314.

[29] Cf. Istoria învățămîntului din Romania, Bucarest, 1983: I, 105 - 131.

[30] Ibidem: 152 - 156.

[31] Per la storia del collegio Bethlen di Aiud e per l'elenco dei suoi  studenti cf. F. Varó, Bethlen Gábor Kollegiuma, Aiud, 1903; Zs. Jakó e J. Juhász, Negyenyedi diakók 1662 - 1848, Bucarest, 1980.

[32] Cf. Istoria învățămîntului din România: 139

[33] La lettera di Geleji è pubblicata in Lupaș, op. cit.: 209 - 211.

[34] L'intero documento è pubblicato in Lupaș, op. cit.: 270 - 276.


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