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Il Calvinismo e
l'Ortodossia nelle terre romene
nel XVII secolo
Università di Udine
È noto come la penetrazione della Riforma tra i sassoni e gli ungheresi di Transilvania
abbia dato vita, nel corso del XVI secolo, a dei fitti rapporti, spesso
conflittuali, tra gli appartenenti alle nuove confessioni e l'ortodossia romena[1]. Tali relazioni ebbero un'influenza non solo sulla vita
confessionale, ma interessarono anche l'organizzazione sociale e l'espressione
culturale. Se nel 1500 il tentativo di espansione della Riforma tra i romeni
sembra affidarsi più ad azioni individuali che a un programma saldamente
strutturato, nel corso del secolo successivo questa politica prenderà
una forma organizzata, diventando una delle principali preoccupazioni non solo
delle gerarchie calviniste, ma degli stessi principi di Transilvania[2].
Analizzando i documenti romeni e ungheresi dell'epoca
possiamo tentare di chiarire quali furono i principali motivi che guidarono
questa politica di proselitismo e di definirne i limiti, ovvero le ragioni per
cui essa si arenò, trasformandosi in un aperto conflitto.
Le fonti dell'epoca sembrano suggerirci tre principali
motivi attorno ai quali si articolò la propaganda calvinista in
Transilvania:
a) La polemica contro le cosiddette
"superstizioni".
b) L'uso della lingua nazionale in tutte le funzioni
religiose e quindi la traduzione dei libri sacri e liturgici.
c) La diffusione della cultura, non solo religiosa,
attraverso l'istituzione di scuole.
La lotta contro le
"superstizioni".
Questo sembra essere il punto in cui la polemica tra
calvinisti e ortodossi assunse un carattere di assoluta
inconciliabilità. Per capire i contenuti di questa disputa, in primo
luogo si dovrà chiarire come il concetto di "superstizione",
per la Chiesa calvinista fosse assai ampio, tanto da comprendere tutte le
tradizioni popolari che accompagnavano i riti essenziali della vita dell'uomo
(battesimo, matrimonio, inumazione), l'adorazione della croce, il culto dei
santi e delle icone, ma anche il mistero della transustanziazione, ecc. Di fronte a un così largo spettro di
contenuti risulta naturale affermare che, su questo piano, Chiesa ortodossa e
Chiesa calvinista rappresentavano due mondi spirituali esprimenti due
sensibilità religiose del tutto antitetiche.
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Già durante il XVI secolo i calvinisti
considerarono che parte della dottrina ortodossa fosse contaminata da
manifestazioni, se non diaboliche, per lo meno pagane, e comunque in netta
contraddizione con il "vero" insegnamento cristiano[3].
Nel secolo successivo queste accuse si moltiplicarono, ad
esempio nel 1640 István Katona Geleji, sovrintendente ungherese delle Chiesa
calvino-romena, scrivendo al principe György Rákóczy riguardo i candidati alla
sede vacante della metropolia di Alba Iulia, affermerà: " [...]
secondo quanto ho potuto sentire, non si troverebbe tra quelli [ tra i romeni n.d.t.] di questo regno un
uomo adatto [a diventare metropolita
n.d.t.], e forse sarebbe migliore, magnanimo sovrano, il candidato greco[4], poiché la religione greca, in confronto a quella
romena, non è così corrotta, essendo quest'ultima in gran parte
pura superstizione."[5] Lo stesso Katona Geleji
spiegherà dettagliatamente cosa intendesse per
"superstizione" in alcune delle ventiquattro condizioni imposte al
futuro candidato alla metropolia transilvana: " [il metropolita n.d.t.] battezzi secondo la forma semplice ordinata
da Cristo, abbandonando le candele, l'unzione con l'olio e le altre usanze
papiste, battezzi solo con acqua pura nel nome del padre, del Figlio e dello
Spirito Santo."
Al punto 12:
" Abbandoni l'uso dell'incenso, delle campanelle e le altre cerimonie
superstiziose rimaste dai papisti. "
Al punto 15:
"Disponga che la sepoltura dei morti avvenga in modo semplice e cristiano,
con canti e una predica. Senza candele, incenso e altre cerimonie
superstiziose, delle quali non si sono serviti i cristiani al tempo degli
Apostoli; non permetta che si pongano dei soldi, cibo e altre cose nei
feretri."
Al punto 16:
"Vieti alla comunità di bruciare candele sopra le tombe, i lamenti
funebri e il colloquio con i morti."
Al punto 17:
"Vieti alla comunità per mezzo dei preti di inginocchiarsi ed
inchinarsi davanti alle icone e alle croci innalzate lungo le strade, vieti
anche di baciarle abbracciarle perché ciò è proibito da Dio in
modo chiaro."
Al punto 21:
"Si proibisca l'usanza di eleggere una donna quale regina della Pentecoste
e altri riti superstiziosi."
Al punto 22:
"Ai matrimoni si proibisca l'usanza di leccare il miele."[6]
Nel 1656 in un importante testo polemico di ispirazione
calvinista[7], pubblicato in lingua romena, possiamo leggere le
seguenti affermazioni: "Non avete tanti capelli sul capo quante
consuetudini possedete e propagandate al di fuori del Vangelo di Paolo [...].
Quale Apostolo vi ha insegnato quando battezzate a sputare e a soffiare
sull'acqua, a mettere delle
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gocce di cera sulla testa del neonato, a ungerlo con dell'olio santo per
poi farlo girare per tre volte attorno all'altare e prostrarlo alle icone:
Cristo ci ha insegnato in altro modo a battezzare. Quale Apostolo vi ha insegnato a mettere, durante i funerali,
un'icona sul ventre del morto e a baciarla. A chiedere dei soldi, a porgli una
croce di cera in mano assieme ad una moneta, a dargli del cibo e a bagnarlo con
del vino [...] e molte altre follie che né nella Santa Scrittura sono scritte,
né i Profeti, né gli Apostoli, né gli Evangelisti ci hanno insegnato. Queste
sono oscure superstizioni. Ed inoltre da che Sacra Scrittura avete appreso del
matrimonio? Che fasciate gli sposi con una cintura, mettete loro una corona in
capo e delle candele sulle spalle e li imboccate con del miele."[8]
Lo stesso principe di Transilvania György Rákóczy si
pronunciò più volte contro le "superstizioni",
così ad esempio nel documento del 30 IX 1641, in cui confermerà
l'autorità vescovile sul comitato di Bihor al religioso romeno Avram di
Burda, affermerà: "Sia egli [il
vescovo citato n.d.t.] che i protopopi e i preti della sua circoscrizione
dovranno predicare il Vangelo per i loro fedeli [...] nella loro lingua madre,
così si potranno irrobustire giorno per giorno nella conoscenza della
religione salvifica, per uscire dall'oscurità dello smarrimento
superstizioso ed essere guidati verso la luce." E un po' oltre: "Egli
allontani il popolo dal praticare cerimonie indegne e superstiziose..."[9]
Il tono polemico dei testi calvinisti non
risparmiò neppure il concetto di transustanziazione, così nel
manoscritto di Stefán Istvánházi possiamo leggere: "Fedeli, queste parole
[cioè il rituale della
consacrazione n.d.t.] non sono
delle parole magiche o degli incantesimi, così sarebbero se
assieme ad esse il pane e il vino ritornassero e si trasformassero in corpo e
sangue: piuttosto queste sono parole di consacrazione"[10]. Ugualmente nel già citato Catechism Calvinesc, si espresse un concetto simile: "Con
queste parole si ordinò la Santa Cena, ciò non significa in
nessun modo che pane e vino cambino la loro natura, cioè che il pane si
trasformi nel corpo di Cristo e il vino nel suo sangue, così come
insegnano i papisti. Poiché vediamo che il pane e il vino mantengono il proprio
aspetto e il proprio gusto. Queste sono solo parole di consacrazione."[11]
A questi ripetuti attacchi la Chiesa ortodossa rispose
con vigore. Se in Transilvania le condizioni politiche non permisero agli
ortodossi di esprimere articolatamente la propria opposizione alle critiche
calviniste, negli altri due principati si pubblicarono numerosi testi in difesa
o a chiarimento della propria dottrina[LP1][12].
In primo luogo va ricordata la Mărturisire Ortodoxă di Petru Movila, presentata in latino al
sinodo di Kiev del 1640 e, successivamente approvata e pubblicata in lingua
greca dal sinodo di Iași del 1642, opera che riassume le basi dottrinali della
fede orientale[13]. La necessità di sintetizzare in un unico volume
i fondamenti della dottrina orientale, fu
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alimentata anche dalle continue pressioni, ereticali e scismatiche, che si
manifestarono tra le fila delle Chiesa ortodossa[14]. Riguardo alla difesa contro il Calvinismo tramite la Mărturisire Ortodoxă, si volle liberare
il campo dai possibili dubbi creati dalle posizioni filo riformate
dell'ex-patriarca di Costantinopoli Chiril Lucaris. In questo senso
parallelamente al sinodo di Iași si pubblicò una condanna dei capitoli
calvinisti della Confessione di fede di Chiril Lucaris apparsa a Ginevra nel
1629[15].
Nell'opera di Movila, pubblicata in romeno nel 1691 a
Buzau da Radu Greceanu, esistono più capitoli che sembrano poter essere
stati redatti per contrastare alcuni dogmi calvinisti. In particolare i
paragrafi 54 e 55 del II cap. sono dedicati alla difesa del culto delle icone:
"grande differenza esiste tra gli idoli e le icone, gli idoli sono invenzioni
e inganni umani [...] mentre l'icona è una rappresentazione di un fatto
reale che ha la sua essenza nel mondo, come accade per l'icona del nostro
Cristo Redentore o della Vergine Maria e di tutti i Santi [...] Noi quando
adoriamo le icone non ci prostriamo ai colori o al legno ma a coloro che sono [rappresentati] nelle icone. Neppure i
fedeli si inchinano all'autore dell'opera ma al volto del santo da essa
rappresentato."[16]
È assai significativo che Varlaam, il Metropolita
di Moldavia, nel suo Răspuns împotriva
Catehismului Calvinesc, pubblicato nel 1642 al monastero di Dealu, presso
Târgoviste, usi parole pressoché identiche per rispondere alle accuse
calviniste di idolatria. Qualche autore non ha escluso una parziale influenza
dell'opera di Movila su quella di Varlaam[17].
Nella "Risposta" al Catechismo calvinista
Varlaam polemizza a difesa delle icone, del culto dei santi, del digiuno,
contro la dottrina della predestinazione e contro le altre imposizioni
riformate. La difesa delle posizioni ortodosse è condotta, non solo con
una notevole preparazione teologica, ma anche attraverso una grande
abilità retorica, tanto da rendere quest'opera una tra le più
vivaci di questo secolo. Rappresentativo in questo senso è il seguente
passaggio della predoslovie: "sia chiunque sia, se vi insegnerà
un'altra fede, sia magari anche un angelo del cielo, non credetegli, ma ditegli
"anatema", separatevi e allontanatevi da uno come questi. Perché
ciò che abbiamo ricevuto dai nostri padri e dai nostri avi è
rafforzato dal Vangelo di Cristo, fondato sui profeti e, dallo Spirito Santo
testimoniato attraverso le luminose assemblee dei padri"[18].
Citando gli insegnamenti degli avi ("moșii și strămoșii"), forse,
Varlaam volle riferirsi alla cultura popolare romena. Legame tra la sacralità
cristiana e la tradizione ancestrale degli avi, questa non solo non si pose al
di fuori della tradizione ortodossa, ma ne amplificò il valore di chiesa
"nazionale". Il senso profondo di questo stretto legame sfuggì
ai rappresentanti della Chiesa calvinista, lo stesso Katona Geleji affermando
che: "Al di là del culto dei santi e delle icone, della processione
dello Spirito Santo, non vedo altre differenze tra la vera religione greca
[ortodossa] e la nostra. La differenza è solo nel culto
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esteriore e nelle cerimonie"[19], dà prova di un'assoluta incomprensione del mondo
ortodosso, attribuendo un ruolo marginale a ciò che, in realtà,
risultava essere essenziale.
La traduzione dei testi sacri e l'uso della
lingua romena nelle funzioni religiose
La traduzione dei testi
sacri e l'introduzione della lingua romena nella liturgia costituirono dei
punti centrali della politica di proselitismo calvinista adottata in
Transilvania nel 1600. Già nelle "famose" 24 condizioni
imposte da István Katona Geleij al futuro Metropolita ortodosso possiamo
leggere:
Punto 2 - [il Metropolita] gestisca una tipografia
con apprendisti tipografi, dove si stampino libri utili tanto per il
risanamento della chiesa quanto per lo sviluppo delle scuole.
Punto 3 - Vieti ai preti a lui sottoposti di predicare
in lingue straniere e ordini loro di compiere ogni servizio divino davanti alla
comunità nella loro lingua, cioè il romeno.
In questo campo gli sforzi calvinisti diedero dei
notevoli risultati, tanto che, nell'introduzione al Salterio del Metropolita
Simion Ștefan (1651), quindi un'opera appartenente alla Chiesa Ortodossa,
troviamo il seguente passaggio: "Le preghiere alle adunanze e in altri
luoghi, la liturgia, i canti e le altre funzioni divine se fatti in una lingua
straniera sono inutili per coloro che non la comprendono, e colpevolmente si
danneggeranno quelli che serviranno Messa in una lingua straniera non
comprendendola, come fanno i Papi di Roma, quegli indolenti dei preti, i frati,
i monaci e le monache, che non conoscono assolutamente i libri, eppure cantano
il Padre nostro, l'Ave Maria e i Salmi in una lingua straniera senza averne la
minima conoscenza. Questi sono come le ghiandaie, come gli uccelli che privi di
intelletto vorrebbero parlare come l'uomo: così sono coloro che si esprimono in lingue
straniere senza comprenderle."[20]
Questa lunga citazione ci fornisce la prova come in
Transilvania, attorno al 1650, la Chiesa ortodossa avesse ormai accettato
l'innovazione della traduzione del rituale, fatto che venne confermato nel
concilio del 1675, quando il Metropolita Sava Brancovici rinnoverà la
raccomandazione di svolgere la messa in lingua romena[21]. L'importanza di tale innovazione si può meglio
apprezzare se rapportata alla situazione degli altri principati. In Moldavia,
ad esempio, il primo libro liturgico tradotto sarà, nel 1679, quello di
Dosoftei. Questi nella predoslovie sentirà il bisogno di dare ampie
giustificazioni per spiegare la sua scelta[22].
In Valacchia l'apparizione del libro liturgico di
Teodosie Veștimentanu (1680), non segnò affatto l'ingresso della lingua
romena nel rituale ortodosso, infatti egli si limiterà a tradurre la
parte normativa, mentre rispetto al rituale affermerà: "Tradurre
tutta la liturgia nella nostra lingua, né l'ho voluto, né l'ho osato fare, a
causa dell'insufficienza della lingua, della mancanza di maestri e
dell'incomprensione della gente del senso vero e profondo
dell'innovazione."[23]
L'introduzione della lingua romena nel rituale in
Moldavia e Valacchia rappresentò
un processo lungo e fortemente contrastato, tanto che non mancarono nemmeno i
tentativi di imporre, da parte dei due Principati, al clero transilvano il ritorno alla vecchia tradizione. Infatti,
nel 1698 a Bucarest, il Patriarca di Gerusalemme Dositei, durante
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l'investitura di Atanasie Anghel a Metropolita di Transilvania, gli
ordinò per il futuro di officiare il servizio divino solamente in greco
o slavone[24].
L'insistenza posta dai calvinisti sull'uso della lingua
romena in chiesa e sulla traduzione dei testi sacri, si concretizzò in
una produzione abbastanza articolata di opere.
Da un lato possiamo elencare opere che, seppure destinate
alla Chiesa ortodossa, furono sostenute dai rappresentanti della Chiesa
calvinista: Il Nou Testament de la Bălgrad,
il Salterio del 1650 di Simion Ștefan; il
Sicriu de aur (1683) e la Cărăre pe scurt spre fapte bune îndreptătoare
(1685) di Ion Zoba din Vinț. Dall'altro opere scritte per i romeni
calvinizzati, quasi tutte redatte seguendo l'ortografia ungherese. Tra i
manoscritti ricordiamo: la raccolta di inni sacri (circa 70) di Sándor Gergely
Agyagfalvi del 1642; la versione anonima del Salterio di Albert Molnár (1660
ca.); la versione di questo stesso Salterio di János Viski (1697), accompagnata
da un'imponente raccolta di inni religiosi (35 canti) e da alcune preghiere;
quella tarda e incompleta di Styefán Istvánházi (1703)[25]. Tra i testi stampati ricordiamo il Catechismo di
István Fogarasi pubblicato ad Alba Iulia nel 1648 e il già citato Catechism Calvinesc, che a differenza
del primo fu stampato in caratteri cirillici. Il valore culturale di questi
testi è assai vario, così come fu molto diversa la ricezione tra
i romeni di opere come il Nou Testament
di Alba Iulia rispetto a quella dei
salteri in ortografia ungherese, in ogni caso si può prendere atto dello
stimolo dato alla produzione culturale dall'incontro tra Riforma e Ortodossia
in questa regione.
In risposta alla crescente pressione calvinista sulla
Chiesa ortodossa, in Moldavia e Valacchia si diede vita a una serie di azioni
che non sarebbe sbagliato definire di controriforma. In questo senso possono
essere interpretate le parole di Udriște Năsturel tratte dall'introduzione all'Evanghelie învățătoare di Govora (1642):
"Nient'altro
se non la pena per i miei fratelli cristiani mi ha spinto a tradurre
quest'opera, perché [...] vidi che si allontanarono per mezzo di insegnamenti
stranieri e si smarrirono con il loro stolto pensiero e la loro stolta
intelligenza."[26]
Similmente nella già citata lettera dedicatoria
che precede il Liturghier di Bucarest
(1670) leggiamo:
"Ora esso
è così oppresso e vituperato, che né insegnamento, né scienza, né
esercito, né leggi, né usanze, esistono nel popolo definito oggi romeno. Come
raminghi e ciechi in un recinto si aggirano e annaspano, chiedendo e prendendo
a prestito dagli stranieri, dai barbari e perfino dai nemici del nostro popolo,
libri [...] per l'apprendimento. O duro e doloroso evento."[27]
Sempre sotto il segno della
Controriforma ortodossa può essere interpretata la pubblicazione, a Bucarest
nel 1690, da parte del Patriarca di Gerusalemme Dositei di un volume in lingua
greca dal titolo eloquente, Manuale contro lo smarrimento calvinista, da cui
citiamo il seguente passaggio:
p. 193
"Ci hanno pregato gli Ortodossi di
Transilvania di dare loro qualche libro con cui possano rispondere ai
calvinisti, che li vessavano oltre misura e, dovendo scegliere in che modo
aiutarli, ho trovato per grazia divina questo libro del defunto Sirigos."[28]
Alla luce di questa breve rassegna è possibile
affermare che l'incontro tra Calvinismo e Ortodossia nelle terre romene diede
vita ad un'intensa circolazione di testi, non priva di accenti polemici,
consolidando lo sviluppo della lingua romena letteraria e la sua utilizzazione
nei rituali ecclesiastici.
L'istituzione di un sistema scolastico organizzato e per
quanto possibile generale fu un'idea cara allo spirito della Riforma. A questo
scopo in Transilvania si aprirono, fin dalla metà del 1500, numerose
scuole atte a coprire tutti i gradi dell'insegnamento. Il consolidamento
ufficiale alla politica pedagogica riformata fu dato dal principe Gavril
Bethlen[29]. Egli fonderà, nel 1622, il Collegio di Alba
Iulia, istituzione atta a preparare i predicatori calvinisti ma anche i futuri
uomini di stato. Il Collegio, seguendo un programma simile a quello di altre
scuole europee, fin dagli inizi poté vantare dei quadri didattici di tutto
rispetto, dallo storico tedesco Martin Opitz, a Johann Heinrik Alstedt, autore
dell'importante opera enciclopedica Encyclopedia
septem tomis distincta (1620). Lo stesso Bethlen decise, il 23 giugno 1624,
che le scuole calviniste potevano essere frequentate da tutti i giovani romeni.
L'ordinanza prevedeva delle dure sanzioni per chi avesse impedito l'accesso
all'istruzione a questi giovani. Alla fine degli studi essi sarebbero diventati
pastori riformati o insegnanti[30].
Il principe Mihály Apafi nel 1662 spostò la sede
del Collegio ad Aiud, dai registri degli allievi risulta che molti giovani
romeni frequentarono questa istituzione, tra i vari cognomi di possibile
origine romena ricordiamo: Bogdan, Brencsan, Csuka, Ficsor, Gramma etc. Tra i
nomi degli studenti si trovano anche quelli di alcuni degli autori dei testi
romeni redatti in ortografia magiara. Halici, Fogarasi, Agyagfalvi e Istvánházi[31].
Notevole importanza ebbero anche le scuole
romeno-calviniste di Hațeg, Caransebeș e Lugoj. La scuola di Caransebeș, ad
esempio, fu condotta a lungo da Mihail Halici senior, fu sostenuta
materialmente dal bano Acațiu Barcsai e, per gli allievi di questa scuola,
Fogarasi pubblicherà il catechismo in caratteri latini del 1648[32].
Particolarmente significativo fu il sostegno dato allo
sviluppo dell'insegnamento tra i romeni dalla vedova del principe Rákóczy I,
Zsuzsánna Lorántffi che, nel 1657, fondò la scuola di Făgăraș: Il
regolamento di questa scuola prevedeva che questa venisse costruita accanto a
quella ungherese, "Perché gli allievi romeni possano imparare l'ungherese
e impadronirsi facilmente dell'ortografia magiara e latina. Perché anche gli
studenti ungheresi, se lo vorranno, possano imparare a parlare e a scrivere in
romeno. Il maestro della scuola
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avrebbe dovuto essere uno, soprattutto se i bambini, istruendosi nelle scuole, avanzeranno un po' nelle
scienze."[33]
In conclusione possiamo affermare che i rapporti tra
Ortodossia e Calvinismo si inquadrarono all'interno di uno scenario complesso:
dando vita a una serie di scontri (soprattutto teologici) ma allo stesso tempo
a rapporti di collaborazione in particolar modo per ciò romeno uscito
dalle scuole riformate e possedere un'ottima conoscenza della lingua romena
scritta e parlata. Egli si sarebbe dovuto occupare anche dell'educazione
spirituale dei suoi allievi, abituandoli a leggere le Sacre Scritture tradotte
in romeno, a recitare le preghiere quotidiane e a cantare gli inni religiosi
secondo la tradizione delle scuole di Caransebeș e Lugoj. Inoltre tutti i testi
avrebbero dovuto essere scritti "con il vero alfabeto romeno"
cioè in caratteri latini. Per gli allievi più poveri furono
previste varie forme di sostegno materiale[34].
Attraverso l'insegnamento e l'educazione si vide la
possibilità di giungere più rapidamente alla conversione di parte
dei romeni, ciò risulta chiaro anche da questa citazione di Katona
Geleji: "[...] a me sembrerebbe sufficiente se inizialmente potessimo
persuadere i romeni ad abbandonare le superstizioni e, se Dio li
illuminerà, potremmo ottenere [la
loro conversione che riguarda la produzione culturale e il funzionamento
delle scuole. L'abdicazione di Apafi (1691) e il ritorno al potere dei
cattolici Asburgo (1699) segnarono il definitivo tramonto del proselitismo
calvinista tra i romeni.
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Romania
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[1]Sulla genesi e la
diffusione della Riforma in Transilvania cf.: C. Alzati, Terra romena
tra oriente e occidente. Chiese ed etnie nel tardo '500, Milano, 1981; I. Iuhász, A reformáció az Erdély románok között, Cluj, 1940; I. Révész, "La réforme et les
roumains de Transylvanie", Archivium
Europae Centro-Orientalis, t. III, f. 4, Budapest, 1937; Ș. Meteș, Istoria Bisericii românești din Transilvania, vol. I, Sibiu, 1935.
[2] Nel '500
l'istituzione della Chiesa riformata romena, che tra il 1566 e il 1582 ebbe tre
sovraintendenti, la pubblicazione della Palie di Orãºtie, furono
alcuni dei risultati di questo primo tentativo di espansione.
[3] Tra i vari
documenti polemici del 1500 ricordiamo:
Cazania I di Coresi
(1567-1568) su quest'opera cf. I. Gheție e Al. Mareș, Originile
scrisului în limba română, Bucarest, 1985: 235-239 e 266-267; I documenti
relativi al castellano di Hunedoara, Georg Scholcz o Stolcz, cf. Pavel Binder, "Începuturile reformei din
Transilvania și românii din Hunedoara", LR 20 (1971), 3: 273-275; I dati sui rapporti tra i bulgari
romenizzati di Cergău e il pastore Andreas Matthesius, in I. Mușlea, "Șcheii de la Cergău și folclorul lor", DR 5 (1929): 1-50.
[4]Si tratta di Meletie
Macedoneanul, egumeno presso il monastero di Govora, dove svolse un'eccezionale
attività tipografica, fra le opere a cui contribuì ricordiamo: Pravila (1640 -1641), Psaltirea (1637), Evanghelie învățătoare (1642), ecc.
[5] Cf. I. Lupaș, Documente istorice transilvane, Cluj, 1940: 204.
[6] Ibidem: 206-209.
[7]Si tratta della
seconda edizione del Catechism Calvinesc
(1ª ed. 1642), preceduta dal cosiddetto Scutul catechismusiului cu respuns... Cf. G. Barițiu, Catechismulu calvinescu inpusu clerului și poporului romanescu sub domnia
Georgiu Rákoczy I și II, Sibiu, 1879.
[8] Barițiu, op. cit.: 5-6.
[9] Lupaș, op. cit.: 213-217
[10] Styéfán Istvánházi, Soltarilye a luj Szfunt David kray și Prorok, Rîu de Mori, 1703:
132 (ms. 579/a-b, presso la biblioteca dell'Accademia di Cluj).
[11] Barițiu, op. cit.: 58-59.
[12] Un testo di
polemica anti-calvinista transilvano sembra essere: Spunerii legiei cu rãspuns, 1640-1644, cf. Al. Mareș, "Un text polemic religios
din prima jumãtate a secolului al XVII-lea", LR 20 (1971), 6: 589-604.
[13] Tra le varie
edizioni dell'opera ricordiamo: Petru Movilă,
Mărturisire Ortodoxă, ed. bilingue a
cura di N. M. Popescu, G. I. Moisescu, Bucarest, 1942, ed.
anastatica Iași, 1996. Sull'opera e la vita di Petru Movila cf. P. P. Panaitescu, "L'influence de
l'oeuvre de Pierre Mogila archevê de Kiev dans le Principautés
Roumaines", in Mélanges de l'École
roumaine en France 5 (1926), Paris.
[14] Al cap. II par. 49
leggiamo: "Eritici și schizmateci
adecăte despicați și eșiți, den calea cea direaptă", ci sembra di
poter capire che con la parola "eritici"
Movila indichi i protestanti, mentre con "schizmateci" gli
uniati.
[15] Il testo fu
pubblicato da Meletie Sirag nel 1642 a Iaºi e successivamente ristampato
dal Patriarca di Gerusalemme Dositei nel 1690 a Bucarest. Per le complesse
vicende riguardanti la condanna di Chiril Lucaris cf. Movilă, ed. cit.:
XXVIII-XXIX.
[16] Movilă, ed. cit.: 320.
[17] Cf. Varlaam, Opere. Răspunsul împotriva Catihismusului Calvinesc (a cura di M. Teodorescu, Bucarest, 1984: 33-38.
[18] Ibidem: 188.
[19] Lupaș, op. cit.: 210.
[20] Bianu e Hodoș, Bibliografia Românească Veche: I, 188.
[21] M. Păcurariu, Istoria Bisericii ortodoxe române, Bucarest, 1984: 85-86.
[22] Bianu e Hodoș, op. cit.: 224-225.
[23] Ibidem:
234.
[24] Gheție e Mareș, op. cit.:
55.
[25] Per i testi romeni
con ortografia ungherese cf. la tesi di laurea D. Pantaleoni, Testi
Calvinisti (salteri), romeni - magiari della regione banato - transilvana nei
secoli XVI - XVII. Analisi filologico linguistica, Università degli
studi di Udine, anno accademico
1993-1994.
[26] Bianu e Hodoș, op. cit.: 121.
[27] Ibidem: 234.
[28] Il volume di
Dosoftei è preceduto dalla condanna delle idee calviniste di Chiril
Lucaris già pubblicata a Iași nel 1642 da Meletie Sirag, cf. Bianu e Hodoș, op. cit.: 298-314.
[29] Cf. Istoria învățămîntului din Romania,
Bucarest, 1983: I, 105 - 131.
[30] Ibidem: 152 - 156.
[31] Per la storia del
collegio Bethlen di Aiud e per l'elenco dei suoi studenti cf. F. Varó,
Bethlen Gábor Kollegiuma, Aiud, 1903;
Zs. Jakó e J. Juhász, Negyenyedi diakók 1662 - 1848, Bucarest,
1980.
[32] Cf. Istoria învățămîntului din România: 139
[33] La lettera di
Geleji è pubblicata in Lupaș,
op. cit.: 209 - 211.
[34] L'intero documento
è pubblicato in Lupaș, op. cit.: 270 - 276.