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Scienze umane, diritto e filologia:

la sintesi di Valentin Al. Georgescu

 

Salvo Randazzo,

Università di Catania

 

1. Valentin Al. Georgescu: le ragioni di una ricerca*. — «Pour ce qui est des devoirs du romaniste envers la philologie, il est courant parmi les juristes de dire qu’un bon romaniste doit, sous peine de voir voués à l’éches ses efforts le plus méritoires, être doublé d’un bon philologue». Nelle parole del giovane Georgescu, scritte agli inizi degli anni ’30[1], ogni «bon romaniste» che continui coscienziosamente ad interrogarsi sulla validità del proprio metodo di ricerca agli albori del nuovo millennio, può trovare qualcosa di familiare, quasi a ripercorrere con la memoria sentieri già battuti, riflessioni già svolte.

In ogni sua ricerca il romanista si confronta col latino, lo accoglie quale proprio indispensabile compagno di viaggio, traducendolo, interpretandolo, tentando di limarne i più insidiosi spigoli semantici, raffrontandolo col «suo» lessico scientifico e traendone infine esaltanti conferme o secche smentite alle intuizioni che lo avevano sollecitato e guidato nell’intraprendere l’indagine.

Eppure, credo vi sia sempre un momento in cui il ricercatore, cimentandosi con le fonti, desidererebbe avere accanto un filologo, un latinista che gli togliesse qualche preoccupazione, che gli chiarisse un qualche mal sopito dubbio. E chiunque, fors’anche inconsapevolmente, vorrebbe possedere «di suo» una preparazione – e predisposizione – filologica talmente solida ed elevata da non dargli l’uggia, nemmeno per un attimo, di lasciarsi distrarre dal percorrere «les chemins battus, les belles avenues droites de l’exégèse»[2] per cimentarsi con sempre incombenti rovelli filologici. Sarebbe evitato, così, un ulteriore problema, quello, cioè, di dovere fideisticamente assumere, o meno, nella propria indagine, risultati scientifici acquisiti da cultori di una disciplina «vicina» ma diversa ed autonoma e dunque, in certa misura, difficile da dominare rispetto alla propria.

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L’esperienza scientifica di Valentin Al. Georgescu ritengo meriti particolare attenzione proprio perché ci mostra uno studioso che supera felicemente questa difficoltà, realizzando una originale simbiosi di alta competenza filologica e di sottile intuizione giuridica. Non è però solo questo che rende interessante e forse per certi versi unica, l’esperienza scientifica di Georgescu – poiché non sono di certo rari i casi di romanisti dotati di finissima sensibilità filologica – ma la circostanza che ciò, grazie ad una particolare serie di contingenze culturali, si salda, nello studioso rumeno, con una singolare apertura mentale – e metodologica – verso altre aree del diritto, della storia e della cultura antica e, non ultimo, della filosofia e delle scienze sociali. E tutto ciò, come vedremo, con un approccio alle fonti squisitamente «en romaniste» che consente allo studioso di non smarrire mai la propria individualità di giurista e di storico del diritto.

Come ha scritto nel 1983 Florin Constantiniu, riprendendo ed ampliando un’opinione espressa su Georgescu da Walter Hellebrand ben quarant’anni prima: «ce qui distingue l’œuvre scientifique du professeur Valentin Al. Georgescu ...est sa modalité spécifique d’unir l’analyse philologique à l’analyse philosophique en restant, pourtant, un juriste. A cette triple hipostase nous ajouterions une quatrième: celle d’historien, et cela pour offrir l’image d’un savant qui, par la dimension de son œuvre, par la diversité des problèmes et l’inédit des approches et des conclusion dépasse les barrières des réussites communes»[3].

Dunque, non è soltanto l’atteggiamento del romanista illuminato contro la «tendenza nuova di far dei cultori di diritto romano una congrega di iniziati e tener tavola a parte dagli altri giuristi»[4] ad ispirare Georgescu, ma un tendenziale favore per l’interdisciplinarietà che si salda con una forte e contestuale sensibilità per il diritto e la filologia classica.

Tenteremo di ripercorrere, nelle sue grandi linee, questa importante vicenda scientifica che, sin dalle sue prime battute – in quegli stessi anni ’30 in cui per fortunata coincidenza una nuova sensibilità «interdisciplinare» fioriva nella cultura giuridica europea e si sviluppava felicemente, nel pensiero di tanti studiosi, da Paul Huvelin[5] ad Axel Hägerström[6] a Pietro De Francisci[7] – e in tutto il suo svolgersi, sino agli anni ’80, si presenta come innovativa e coerente, passando indenne, ed anzi arricchita, attraverso vicende storiche e culturali complesse ed a volte drammatiche.

 

2. Da Bucarest a Parigi: la formazione scientifica. — Per cogliere le più profonde radici del pensiero giuridico di Georgescu è indispensabile tentare di ricostruire il clima culturale che, nella Parigi degli anni ’30, pervade la scuola romanistica della Sorbona. Infatti, subito dopo aver conseguito, nel 1929, presso l’Università di Bucarest, la «licence» in diritto e lettere[8], il giovane studioso rumeno – nato a Corabia il 2 luglio 1908 – sollecitato dal suo primo maestro, Stéphane Longinesco, si trasferisce a Parigi per frequentare, insieme

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al collega e fraterno amico rumeno Mathieu Nicolau, un corso triennale di dottorato, presieduto e diretto da Paul Huvelin, concluso nel 1932. Nicolau, di quattro anni più anziano di Georgescu, morirà prematuramente, nel 1938, a soli 34 anni e il ricordo dell’amico, anch’egli filologo finissimo, e del profondo sodalizio umano e scientifico fra i due studiosi, cementatosi negli anni parigini, affiorerà spesso nell’opera di Georgescu, che dedicherà un importante saggio alla memoria di Nicolau[9]. Negli studi di questo periodo, che culmineranno nella pubblicazione di una «thèse» destinata ad avere grande diffusione nella dottrina romanistica di questo secolo[10], avrà anche la guida di Gabriel Le Bras e Charles Appleton e subito dopo si accosterà, nel corso di successivi soggiorni ad Heidelberg, Bruxelles ed a Vienna, a studiosi del prestigio di Ernest Levy e di Georges Cornil[11]. Completerà la sua formazione con un diploma ottenuto presso l’Académie de droit international dell’Aia, nel 1939, acquisendo infine il titolo di «privat-docent» presso la Facoltà di Diritto di Losanna nel 1944.

Ma è soprattutto attorno agli anni del dottorato parigino ed alla figura dei Huvelin che ruotano le coordinate essenziali della prima e più importante formazione del giovane studioso rumeno.

L’influenza della forte personalità di Huvelin su Georgescu appare infatti consistente e produrrà – nell’accoglimento del pensiero del maestro ma anche, come vedremo, in un certo, sia pur progressivo, distacco critico da esso – la maturazione di quelle opzioni di fondo, specie nell’approccio metodologico al diritto romano, che ne avrebbero poi segnato, con coerenza, tutta la produzione scientifica.

Allievo devoto ma «difficile», dunque, Georgescu per Huvelin, che ne avrebbe benevolmente accettato la personalità poliedrica e anticonformista, sia perché consapevole delle qualità scientifiche dell’allievo, sia perché, in fondo, era stata assai simile la vicenda del complicato rapporto scientifico ed umano dello stesso Huvelin con studiosi come l’antropologo Marcel Mauss[12] e soprattutto, con un padre fondatore della sociologia giuridica quale Emile Durkheim[13].

E proprio sull’onda dello straordinario successo scientifico dei risultati del «laboratoire» dell’école durkheimienne, in quella Francia degli inizi del secolo, il dibattito

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scientifico aveva assunto, per gli studiosi dell’antichità, una connotazione originale, mentre l’infittirsi degli studi di antropologia ed etnologia giuridica[14], seguendo una tendenza comparatistica già presente nella dottrina della fine del secolo precedente – basti pensare all’influsso esercitato da figure come quella di Maine[15], per certi versi, ma soprattutto di Post[16] sullo stesso Girard[17] – aveva finito per determinare nei giusromanisti del tempo, da Huvelin a Henri Lévy-Bruhl, a Cornil, a Noailles, a Le Bras, tutti studiosi, in varia misura, partecipi della prima formazione di Georgescu, la spinta ad un approccio particolarissimo con i problemi esegetici del diritto romano[18], specie arcaico.

Nel metodo di ricerca di Huvelin[19] rifluiscono infatti suggestioni e spunti derivanti direttamente dai principi essenziali della méthode di Durkheim[20]. Huvelin si pone rispetto alle fonti in una posizione nuova, collocandole tutte su un piano di eguale dignità scientifica, mostrando di voler superare quel distaccato confine che i romanisti pongono fra le fonti giuridiche «leurs sources de prédiection, les seules auxquelles ils veuillent faire pleine confiance», e le fonti cosiddette «non sans une nuance de dédain» letterarie[21]. Solo esaminando tutte le fonti su un piano di equilibrata parità si potrà valutare il dato giuridico collocandolo, al riparo da rischi di anticipazioni o fraintendimenti storici, nel suo originario habitat sociale, politico, economico e culturale. Con questo spirito il romanista potrà proficuamente, per Huvelin, porsi di fronte alle fonti, coordinando fra loro i documenti ed interpretandoli.

A questo punto potrà passare alla fase più propriamente ricostruttiva in cui, avvalendosi anche della sociologia giuridica e della storia comparata[22], potrà, muovendo dalle «tracce» più o meno ampie che gli istituti hanno lasciato nelle fonti, ricostruire il

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diritto antico, senza rinunciare neppure all’apporto che possono offrire gli insegnamenti derivati dagli altri sistemi giuridici antichi, valutati in chiave comparatistica.

Considerato, dunque, nel quadro generale della «méthode» di Huvelin, il diritto romano non può e non deve essere visto come un sistema giuridico «superiore» agli altri e, come tale, l’unico in grado di assolvere ad una funzione formativa per i giovani che si accostino allo studio del diritto, ma come un «fatto», un fenomeno comunque circoscrivibile storicamente e dunque inidoneo ad offrire allo studioso modelli immutabili di riferimento[23]: «et c’est un grave défaut des esprits trop imbus des principes romanistiques» ammonisce Huvelin «que de vouloir expliquer toutes les institutions à l’aide de ces principes, de vouloir construire tous les droits de propriété comme des droits de propriété romains, tous les droits de créance comme des droits de créance romains. Cette tendance fâcheuse pourrait gêner les progrès du droit moderne»[24]. Così il romanista, affrancandosi dall’esclusività dell’erudita esegesi delle fonti giuridiche, potrà scoprire come un istituto non nasca mai a caso, ma risponda sempre a bisogni della società; sulla scorta di un tale approccio metodologico, l’analisi rigorosa delle fonti, pur restando premessa irrinunciabile di qualsiasi seria ricerca, potrà venire vivificata e posta su un piano di più fedele aderenza alla realtà storica. In quest’ottica il romanista potrà assolvere con equilibrio il ruolo che la sua vocazione di storico del diritto gli consente, contribuendo al progresso della cultura giuridica e quindi, mediamente, dello stesso diritto positivo.

In un tale contesto metodologico la filologia assume, per Huvelin[25], come del resto per Lévy-Bruhl[26], un ruolo prettamente accessorio, di ancilla iuris , assumendo rilevanza solo in quanto venga assimilata al metodo giuridico, cioè in quanto sia innalzata al rango di vera e propria «filologia giuridica». È questo, probabilmente, il punto critico nel rapporto, fra Huvelin ed il giovane Georgescu, da cui maturerà un progressivo distacco scientifico, distacco che lascerà però immutati i capisaldi della lezione di Huvelin, che inciderà certamente in modo decisivo sulla prima formazione dello studioso rumeno, finendo per rimanere indelebilmente presente in tutta la sua opera. Come vedremo[27], Georgescu distingue fra la «grande» filologia latina, il cui ruolo è assolutamente paritario rispetto alla scienza giuridica, e una vera e propria «filologia giuridica» che, viceversa, assume un ruolo subalterno rispetto all’indagine romanistica, ridimensionando, in tal senso, la lezione di Jhering. Scriverà significativamente Georgescu, agli inizi degli anni ‘30: «on sait que dans son immortel Geist des römischen Rechts, Jhering témoigna d’un engoûment un peu exagéré pour l’étymologie juridique. L’étymologie, disait-il, est la conservatrice des idés populaires primitives»[28].

L’esperienza di quegli anni si riflette pienamente nella «Théorie générale des leges privatae», l’opera forse più nota del Georgescu, destinata a rappresentare un punto di riferimento obbligato per la ricerca romanistica successiva, al punto – come abbiamo avuto

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modo di vedere altrove[29] - di rivelarsi, per molti aspetti, insostittuibile, tanto per gli studiosi che ne avrebbero accolto i risultati, quanto per coloro i quali si sarebbero discostati da essa.

Nella prospettiva d’indagine perseguita dallo studioso, rivolta a sviluppare un inquadramento dogmatico unitario delle cosiddette leges privatae[30], Georgescu analizza le molteplici fonti in materia e le organizza in un rigoroso quadro sistematico. L’opera, almeno nel suo impianto metodologico, non sembra però risentire particolarmente dell’influenza che, nella scuola romanistica francese in generale ed in Huvelin in particolare, aveva avuto la ricezione del metodo sociologico di Durkheim[31]. Non riusciamo a cogliere ad esempio, nell’Essai, alcun riferimento alla valutazione, a volte esasperata, di taluno di questi elementi magico-religiosi considerati tipici del «prédroit» arcaico, secondo una prospettiva diffusa fra i romanisti – si pensi, oltre a Huvelin, soprattutto a Lévy-Bruhl, a Le Bras ed allo stesso Cornil – con i quali Georgescu intrattiene, in quegli anni, frequentazioni scientifiche.

La forte «opzione filologica» – quasi ideologica, più che scientifica in senso stretto – di Georgescu può farci comprendere le ragioni per le quali, pur nella modernità di talune scelte metodologiche e dello stesso stile dell’Essai, lo studioso rumeno sembri più vicino alle ricerche erudite di August Bechmann[32] e di Moritz Voigt[33] che alle tendenze scientifiche della scuola romanistica francese. Sulla base di queste premesse, nel tentativo di rintracciare nelle fonti una nozione unitaria e generale di lex privata[34] – in cui inglobare sia le clausole apposte agli atti di trasferimento della proprietà, tanto inter vivos che mortis causa, come la mancipatio, la traditio, l’in iure cessio ed il testamento (leges c.d. alienationis)[35], sia quelle apposte ai contratti (leges contractus)[36] – lo studioso impianta la ricerca utilizzando strumenti sino ad allora certamente inusuali per le indagini romanistiche: l’analisi etimologica e la comparazione linguistica; la valutazione dell’incidenza statistica di talune espressioni; l’esame dello stile usato nelle fonti[37].

Prescindendo dalle riserve da me altrove manifestate[38] sulle conseguenze che, nel merito del problema, finisce per produrre un certo eccesso di schematismo proprio dell’impostazione metodologica dell’opera, la «Théorie Générale» di Georgescu avrebbe prodotto nell’atteggiarsi della ricerca successiva, soprattutto sotto il profilo metodologico,

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conseguenze di notevole rilievo, specie sul piano della forte rilevanza attribuita al profilo linguistico e filologico della complessa materia[39], e comunque non è certamente possibile, ancora oggi, prescindere da essa, per qualsiasi ricerca che si proponga di esaminare, anche in uno soltanto dei suoi molteplici aspetti, la lex privata.

 

3. La Romania e la maturazione scientifica. — Georgescu esordisce nell’insegnamento universitario nel 1933, tenendo, come professore-supplente, un corso libero di diritto romano presso l’Università di Cernãuþi. L’insegnamento di Georgescu a Cernãuþi si sarebbe interrotto bruscamente soltanto nel 1940, in conseguenza della forzata cessione, a seguito di ultimatum, dell’antica città universitaria all’URSS, dove assumerà il nome russo di Cernovcy[40].

Il debutto non passa inosservato: negli anni della sua prima esperienza di insegnamento, l’innovativa metodologia didattica adottata dallo studioso, che risente del vivace clima culturale francese di quegli anni, a cui lo stesso Georgescu fa esplicito riferimento già nella sua «leçon inaugurale»[41], viene applicata all’esperienza giuridica romana con un approccio in cui la prudente mediazione operata da una rigorosa analisi filologica dei testi gli consente di affrontare, con grande efficacia didattica e scientifica, istituti di diritto romano di notevole complessità, come la proprietà[42], finendo così per produrre un effetto dirompente nel tradizionalismo dell’ambiente accademico rumeno[43]. Coraggiosamente Georgescu, muovendo da alcuni spunti critici di Lévy-Bruhl che aveva osservato come  «la notion de trasmission de droit est une notion complexe, qui n’exixte que dans des sociétés  déjà relativament avancées»[44] esclude, per il diritto romano più antico, l’esistenza stessa del problema e riporta a Gaio un primo tentativo sistematico da cui deriverebbe l’unica classificazione dei modi di acquisto della proprietà ammissibile in diritto romano, cioè per universitatem e per singulas res, negando decisamente la sussistenza di una classificazione dei modi di acquisto a titolo originario ed a titolo derivativo e proponendone senz’altro il bando «[…] et des Manuels de droit romain, et des Traités de droit civil»[45].

Ben presto sul giovane romanista, diventato rapidamente il punto di riferimento degli antichisti e degli storici del diritto di quella Università, si appuntano anche le attenzioni della comunità scientifica rumena ed internazionale, in cui l’opera di Georgescu,

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già noto per la sua «Thèse pour le doctorat», suscita un crescente interesse, soprattutto dopo la pubblicazione di un saggio che assume la veste di un vero e proprio «manifesto» del metodo di Georgescu ed il cui titolo appare chiaro ed emblematico: “Les rapports de la philologie classique et du droit romain[46].

A ciò contribuisce certamente, a parte l’indiscutibile valore dell’opera, il clima culturale del tempo che, come abbiamo visto[47], appare, soprattutto in Francia, particolarmente sensibile alla interdisciplinarietà e alle nuove metodologie di ricerca applicate agli studi storici. Nel darne notizia, sulle pagine della Revue Historique de Droit Français et Étranger, Collinet si esprime con entusiasmo e compiacimento per l’opera «de notre jeune disciple», sottolineando come, sulla scia di una impostazione già seguita da Cornil e da Belvaux, Georgescu, consapevole della «nécessité pour le juriste de bien connâitre le latin et pour le latiniste de mieux connâitre le droit»[48], si rivolga all’uno e all’altro, producendo, da un canto, alcuni esempi concreti in cui l’intervento del romanista consente soltanto di approssimarsi alla traduzione esatta di taluni testi letterari e, dall’altro, esaminando alcuni termini il cui senso letterale può essere chiarito soltanto dal romanista: poena, cavere, deportare, paricidas esto, servus recepticius[49].

Nel quadro di una sempre più profonda collaborazione fra le due scienze, Georgescu arriva così a dimostrare come un amplissimo numero di testi letterari si collochi ai confini fra filologia e diritto romano, imponendo una indispensabile collaborazione fra gli studiosi delle due discipline. In questa prospettiva ideale, lo studioso sostiene dunque l’urgenza di una riscoperta della filologia da parte dei romanisti, che sanno bene come, ad esempio, non possa discorrersi di mancipium o di familia senza tenere in conto la loro «étymologie évidente» da manu capere e famulus[50], e come, oltre allo studio terminologico volto a comprendere non solo il significato esatto delle parole ma anche le varie espressioni talvolta utilizzate dalle fonti per designare la medesima nozione, vada tenuta in debito conto la valutazione dell’utilizzazione di particolari termini in relazione ad epoche storiche diverse e nel particolare contesto lessicale proprio di ciascun autore antico.

Torna così in auge, con Georgescu, un’istanza già abbastanza diffusa verso la valorizzazione di una vera e propria «filologia giuridica»[51], che dia conto, oltre che dell’analisi delle singole parole, anche degli indici stilistici adoperati dalle fonti, per cercare di individuare le structurae e le iuncturae fra le parole che, nella loro costruzione grammaticale, possano offrire preziose trame entro le quali muovere la ricerca del dato giuridico. Così una qualsiasi nozione di diritto romano potrà essere vivificata dall’esame etimologico, che consentirà al romanista di ricostruire, con più avveduta consapevolezza, i processi logici e storici seguiti nella formazione di concetto giuridico.

Sarà così, osserva a mo’ di esempio Georgescu[52], che soltanto «une pénétrant analyse de la notion de fides permettait à M. Kunkel d’en montrer la valeur en tant

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qu’élément créateur du droit des obligations»[53]. Ed era questa, in fondo, la stessa direzione in cui già si muoveva, con una certa frequenza, ma forse senza una precisa consapevolezza metodologica, la romanistica: si pensi, per fare qualche noto esempio, agli studi di Rotondi sulla «Natura contractus»[54], all’analisi di Bekker su «Recipere und permutare bei Cicero»[55], a quelle di Mayr su «Praestare»[56] e di Paoli su «Permutare»[57] o alle suggestive ricerche di Huvelin su «Stipulatio, stips et sacramentum»[58]; e, soprattutto, si pensi al’opera di un finissimo filologo come Nicolau, la cui «Causa liberalis»[59] costituisce certamente un modello per lo stesso Georgescu[60].

Con questi presupposti metodologici Georgescu affronta questioni di grande rilevanza giuridica, muovendo dall’esame etimologico di espressioni come conventio, pactum e pactum conventum[61], lex privata[62], lex contractus[63], optimus maximus[64], possessio[65].

 

4. Verso una nuova cultura romanistica: Georgescu giurista europeo. — Le tappe ulteriori dell’insegnamento universitario di Georgescu sono di respiro europeo: dopo aver tenuto, fra il 1941, ed il 1943, un corso libero ed avere diretto un seminario di diritto romano presso la Facoltà giuridica di Bucarest, insegna ininterrottamente, sino al 1947, come «chargé de cours de droit romain» presso l’Università di Losanna.

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In quegli ani interviene sulla «crisi» degli studi di diritto romano, questione che da tempo si agitava nella dottrina romanistica[66], per assumere, dopo la presa di posizione di Paul Koschaker[67], proporziono notevoli fra gli studiosi europei; Georgescu, che già nel 1936 si era soffermato sul problema[68], vi torna con un articolato intervento sulla Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis[69].

In quel clima difficile, in cui il nazionalsocialismo da una parte e il materialismo storico dell’ URSS dall’altra, mettevano in grave pericolo le stesse prospettive di sopravvivenza della scienza romanistica, lo studioso prende una decisa posizione sulla questione. L’analisi della «crisi interna» degli studi romanistici e le considerazioni sull’impossibilità di attribuire al diritto romano la connotazione di una «Begriffjurisprudenz», di una «science de concepts» che questo non ha mai posseduto gli consente di affermare con forza, respingendo qualsiasi tentazione «attualizzante», come soltanto il laboratorio della storia possa plasmare i concetti giuridici, per qualificare il diritto romano e quello comune «des systèmes de valeurs juridiques grâce auxquels l’idée de justice se rèalise historiquement»[70].

In questo contesto, il diritto romano, temperate le spinte verso la dommatica[71] e inquadrato in una sua più congeniale prospettiva storica, diventa un punto di riferimento irrinunciabile per il diritto europeo. Abbandonando così il capzioso rovello su «cosa fare» del diritto romano, Georgescu sposta l’attenzione sul ruolo di esso per ottenere «une véritable intelligence du droit moderne»[72].

Attribuendo al diritto romano il compito di fare da strumento di comprensione del fenomeno giuridico in generale e del diritto positivo in particolare, si gioca, per Georgescu, la ripresa della forza scientifica di esso e la riaffermazione del suo valore pedagogico quale elemento formativo insostituibile nella formazione del giurista continentale.

Tornato stabilmente in Romania, diventa titolare di diritto romano all’Università di Jassy[73], dove insegna fino al 1951. Dopo il 1953, prosegue la sua attività di ricerca scientifica presso l’Istituto di studi storici «N. Iorga»[74], di cui assume la direzione, e presso gli studi di Ricerche e di Studi del Sud-Est Europeo di Bucarest, collaborando attivamente,

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altresì, alla redazione delle Cronache relative al diritto romano della Revista Clasicã e di Studii Clasice. «Maître de recherches» presso il «Centre National de la Recherche Scientifique» di Parigi nel 1969, insegna poi, come «professeur associé» di diritto romano, nella Facoltà di diritto di Nizza dal 1971 al 1974 e dal 1975 al 1976.

Cessato l’insegnamento universitario, continua senza sosta nella propria attività di ricerca, nonostante i problemi di salute, che affronta con coraggio, assistito amorevolmente dalla moglie, Signora Iolanda Eminescu, anch’essa insigne giurista, sino alla morte, avvenuta a Bucarest il 9 ottobre 1995.

Una lunga ed operosissima vita di studioso, costellata di riconoscimenti ed onori[75], quella di Valentin Al. Georgescu che, superati i confini della sua patria, si proietta con forza nel panorama non soltanto della romanistica e dell’antichistica europea, ma della scienza giuridica e della cultura umanistica «tout court». Ben oltre il prestigio internazionale ed i risultati scientifici delle sue ricerche, l’esperienza di Georgescu trasmette così al romanista (come al filologo e all’antichista in genere) una lezione di metodo attualissima e vitale, un urgente richiamo ad un «effettivo» confronto con la filologia[76], nel quadro di un approccio interdisciplinare alle fonti e, soprattutto, un forte monito all’umiltà nella ricerca scientifica ed al rifiuto di qualsiasi atteggiamento di sufficienza, se non di ostilità, nei confronti di discipline da cui trarre insegnamenti spesso assai preziosi ma, talvolta, addirittura irrinunciabili.

Nella sua costante attenzione al diritto moderno[77], oltre che all’esperienza giuridica romana e dell’età intermedia[78], si coglie l’esigenza di una più ampia riflessione sul «diritto» come fatto complesso e, seppur diversificato nelle sue molteplici sfaccettature, tale da offrire un forte supporto per il diritto positivo: proprio in tale complessità Georgescu trova modo di superare il particolarismo dell’esperienza giuridica rumena, sia pure considerata con grande attenzione, per proiettarsi in una dimensione più propriamente europea.

 

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Per una bibliografia di Valentin Al. Georgescu

 

Riporto, in ordine cronologico, gli scritti di Georgescu relativi al diritto romano e alla storia del diritto di cui sono riuscito ad avere notizia. Essi appaiono volutamente frammisti, a volere sottolineare, simbolicamente, lo stretto intreccio, proprio del pensiero e del metodo di indagine dello studioso rumeno, fra lo studio del diritto romano e quello delle esperienze giuridiche successive. L’elenco non comprende la vasta produzione relativa al diritto moderno, nonché gli studi di filologia classica, le traduzioni di poeti latini e la variegata opera letteraria dello studioso, per la difficoltà di assicurare una elencazione sufficientemente completa di tali opere.

 

 

Opere di Diritto romano e Storia del diritto

 

« Sur la nature et l’évolution générale de la propiété à Rome », estr. da Gazeta Iuridica (1931).

Essai d’une Théorie Générale des “leges privatae”, Paris, 1932).

“La moartea luii Otto Lenel”, estr. da Pandectele Române 14 (1935).

Zum Tode Otto Lenel’s (trad. O. Becker), Cernãuþi, 1935.

“Dreptul roman în lumina nouilor concepþii ale metodei istorice”, estr. da Atheneum (1936).

« Essai sur l’expression lex contractus », Bucarest, 1937, estr. da Revista Clasicã 8 (1936).

« Le droit romain selon les nouvelles conceptions de la méthode historique. Lezione inaugurale del corso libero di diritto romano presso la Facoltà di Diritto di Cernquti 1933-34”. estr. da Atheneum (1936).

“Locul pandectiismului în istoria generalã a dreptului”, estr. da Pandectele Române 15 (1936).

« Existã o crizã a studiilor de drept roman? », in Mélanges I. Nistor, Cernãuþi, 1937: 30 ss.

« Lex contractus. Contribution à la théorie générale de l’acte juridique en droit romain », Revista Clasicã 9-10 (1937-1938) : 193 ss., 254 ss.

In memoriam Matei Gh. Nicolau”, “Buletinul Institutului de Studii latine” (1938), 27 ss. [M. Gh. Nicolau. Proposition infinitive en latin,.Bucarest, 1938, VI ss.; rist.a cura di N. Iorga in Revista Istoricã (1938): 179 ss.].

Criza studiilor de drept roman vãzutã de un romanist german (P. Koschaker), Bucarest, 1939.

Originile ºi evoluþia generalã a propietãþii în dreptul roman. Corso tenuto presso la Facoltà di Diritto di Cernãuþi, anno accademico1936-37, Bucarest, 1939.

« La magie et le droit romain », Revista Clasicã SDR 1-2 (1939-1940) : 30 ss.

Etudes de philologie juridique et de droit romain. I. Les rapports de la philologie classique et du droit romain, Bucarest-Parigi, 1940: La philologie juridique, son objet, sa méthode, son utilité; Les rapports de la philologie classique et du droit romain; Recipere et servus recepticius; Urbs, l’origine magique d’une interdiction de vocabulaire; Le mot “causa” dans le latin juridique. Introduction à la théorie générale de la cause en droit romain; Lex contractus. Contribution à la théorie générale de l’acte juridique en droit romain; Causa contractus, conventio. Contribution à la théorie générale du contrat en droit romain; La formation du concept de mode d’acquisition de la propriété en droit romain; Remarques sur la crise des études de droit romain.

Leges mancipii, lex privata, lex contractus”, Revista Clasicã SDR 3-5 (1941-1943): 114 ss.

« Observations sur les dernières recherches au sujet du Nexum », Revista Clasicã SDR 3-5 (1941-1943) : 223 ss.

Droit romain et philologie juridique, Bucarest, 1943.

« En souvenir de S. G. Longinescu », in In memoriam S. G. Longinescu. Dixième anniversaire de sa mort, Bucarest, 1943.

« La manus iniectio en matière de vente d’esclaves », ZSS 64 (1944) : 376 ss.

« L’opposition entre ius et factum en droit romain et en droit moderne », in Scritti C. Ferrini 3, Milano, 1948 : 144 ss.

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Nihil hoc ad ius, ad Ciceronem. Note sur les relations de M. T. Cicéron avec la iurisprudentia et la profession de iurisconsultus », in Mélanges J. Marouzeau, Paris, 1948 : 189 ss.

Salvius Iulianus”, Pandectele Române 27 (1948), IV: 21 ss.

Partes secanto”, RIDA 2 (1949): 367 ss. [= Mélanges F. de Visscher].

« De la possessiones la possessio. Contribuþie la studiul procesului istoric de formare a noþiunii de posesie în dreptul roman [Dalle possessiones alla possessio. Contributo allo studio del processo storico di formazione della nozione di possesso nel diritto romano]”, Studii Clasice 1 (1959): 115 ss.

« La réception du droit romano-byzantin dans les Principautés roumaines (Moldavie et Valachie) », in Droits de l’Antiquité et Sociologie juridique. Mélanges H. Lévy-Bruhl, Parigi, 1959 : 373 ss.

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Abbreviazioni: Acad. RSR, BSªI S IV = Academia Republicii Socialiste România, Buletinul Secþiei de ªtiinþe istorice. Seria a IV-a; AIESEE = Association d’Études du Sud-Est européen; CIHAE (IP) = Commission internationale pour l’histoire des Assemblées d’Etats (et des institutions parlementaires); RESEE = Revue des Études sud-est européennes; RHD = Revue historique de droit français et étranger, Paris; RRH = Revue Roumaine d’Historie, Bucarest; RRSS SJ = Revue Roumaine des Sciences sociales, Sciences Juridiques, Bucarest.[PBN1] [PBN2] [PBN3] [PBN4] [PBN5] 

 

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* Non è stato semplice tentare di ripercorrere e sintetizzare il lungo percorso scientifico di Valentin Al. Georgescu. La parabola accademica dello studioso rumeno si snoda per oltre un cinquantennio e passa trasversalmente attraverso vicende scientifiche ed umane assai complesse e spesso di non agevole intelligenza in un contesto storico-politico difficile ed a tratti drammatico. Nella laboriosa ricerca mi sono stati di aiuto l’Ambasciatore di Romania in Italia, Dr. ªerban Stati, già Addetto culturale presso l’Ambasciata, il Prof. Dr. George Antoniu, Vice Direttore dell’Istituto di Ricerche Giuridiche dell’Accademia Nazionale Rumena ed il Prof. Dr. Dan Berindei, Presidente della Sezione di Scienze Storiche ed Archeologiche della stessa Accademia, che mi hanno fornito utili notizie sulla produzione scientifica e la carriera accademica di Georgescu. La fotografia dello studioso mi è stata fornita, insieme ad una lettera piena di toccanti ricordi, dalla vedova, Signora Iolanda Eminescu. Ringrazio tutti per la preziosa ed appassionata collaborazione offertami.

La digitazione del testo e la soluzione dei problemi connessi all’utilizzazione dei caratteri rumeni sono frutto della paziente revisione della dott.ssa Giovanna Vasta.

[1] Les rapports de la philologie classique et du droit romain, in Études de philologie juridique et de droit romain 1. Les rapports de la philologie classique et du droit romain (Bucarest – Paris 1940) 26, da cui citiamo. Il saggio, pubblicato nella Revista Clasicã 4 -5 (1932-1933): 144 ss., era già circolato come estratto da Cartea Româneascã, 1934, ed in questa veste viene recensito da P. Collinet, in RHD 14 (1935): 390 ss., J. Marouzeau, in Revue des Études Latines 1 (1936): 32, e G. Heuten, in L’Antiquité Classique 6 (1937): 179.

[2] C. J. Stoïcesco, “La magie dans l’ancien droit roumain. Rapprochements avec le droit romain”, in Mélanges G. Cornil 2, Gand-Paris, 1926: 457.

[3] Hommage à Valentin Al. Georgescu, RESEE 21 (1983): 361.

[4] P. Bonfante, “Prefazione” a Scritti giuridici varii 1, Torino, 1916: IX. La frase di Bonfante è stata di recente ricordata ed assunta a mo’ di epigrafe, da V. Giuffrè, L’emersione dei iura in re aliena e il dogma del numero chiuso, Napoli, 1992: V.

[5] Infra § 2.

[6] Cfr. Der römische Obligationsbegriff im Lichte der allgemeinem römischen Rechtsanschauung I., Uppsala, 1927; II. Über die Verbalobligation, Uppsala, 1941: passim.

[7] Cfr. spec. Arcana imperii 1, Milano, 1947: 13 ss.

[8] A questa fase si collega la pubblicazione del primo studio di Georgesco: “L’onomastique latine en langue roumaine”, Revista Clasicã 5 (1929): 452 ss.

[9] “La philologie juridique. Son objet, sa méthode, son utilité”, in Études I, cit. 9 ss. Cfr., del Georgescu, in particolare, oltre ai necrologi pubblicati in Buletinul Institutului de Studii latine 1 (1938): 27 ss. [= Revista Historicã 1938: 179 ss.], “Matei G. Nicolau, romanist ºi istoric al drepturilor antice”, Studii Clasice ded. M. G. Nicolau 7 (1965): 9 ss. V. altresì il profilo, più prettamente filologico, tracciato da I. Nichita e M. Bãltãceanu, “Activitatea filologicã a lui Matei Nicolau”, in loc. cit.: 19 ss. Cfr. pure loc. cit.: 29 ss. la bibliografia completa del Nicolau, dal 1926 al 1938, a cura di Nichita. Dunque anche Nicolau si forma alla scuola della Sorbona e subisce, non meno di Georgescu, l’influsso degli studiosi che ivi operavano; ad uno dei suoi maestri parigini, Paul Collinet, Nicolau dedicherà infatti il suo accurato studio esegetico su: L’unus casus d’après le scolies des Basiliques, Parigi, 1934.

[10] Essai d’une théorie générale des «leges privatae», Paris, 1932. Sull’opera cfr. S. Randazzo, Leges Mancipii. Contributo allo studio dei limiti di rilevanza dell’accordo negli atti formali di alienazione, Milano, 1998: spec. cap. I § 2.

[11] Cfr. Essai cit.: 3 s.

[12] Il polemico rapporto fra Huvelin e il maestro-collega Mauss inizialmente verte, soprattutto, sulla valutazione delle differenze fra “atti giuridici” e “atti magici”: cfr. M. Mauss-H. Hubert, “Prèface”, in Mèlanges d’Histoire des réligions, Parigi, 1909, per stemperarsi gradualmente nella produzione più matura di Mauss: v. “Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les societés primitives”, in Année sociologique n.s. (1923-1924).

[13] Cfr. R. Motta, “Antropologia e storia del diritto in Paul Huvelin: un gius-romanista alla corte di Emile Durkheim”, in Materiali per una storia della cultura giuridica 9.2 (1979): 399 ss.

[14] Gli studi di etnologia giuridica produrranno una grande influenza sulla romanistica francese di questo periodo: si pensi alle ricerche di Bronislaw Malinowski, Crime and Custom in Savage Society, London, 1940 e di Albert Hermann Post, Grundiss der ethnologischen Jurisprudenz, I-II, Oldenburg, 1894-1895, rist. Aalen, 1970 (trad. it. di C. Longo e P. Bonfante), Milano, 1906-1908. Quest’ultima opera, in particolare, assume una certa rilevanza nella formazione di Georgescu, sia pure entro i rigidi limiti in cui lo studioso rumeno si pone rispetto ai dati offerti dall’etnologia; non a caso soltanto a distanza di quasi mezzo secolo dagli anni della formazione del giurista rumeno riscontriamo due studi dedicati specificamente alla materia: “La méthode du juriste éthnologue de l’époque de l’ethnologie de Post à l’époque de l’anthropologie culturelle en Roumanie (1878-1977)”, RRSS. SJ. 22 (1977): 191 ss., e “L’Ethnologie juridique”, in Introducere în ethnologie, 1980.

[15] Su Maine v. L. Capogrossi Colognesi, “Sir Henry S. Maine e l’Ancient Law”, Quaderni fiorentini 10 (1981): 83 ss.; Idem, “Gli ultimi anni della polemica mainiana”, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino 7, Napoli, 1984: 3357 ss.; Idem, “Maine e le origini della moderna tradizione di studi di diritto comparato”, Index 16 (1988): 43 ss. ed ivi lett.

[16] Supra nota 14.

[17] Manuel élémentaire de droit romain, Parigi, 1929.

[18] Sul punto C. Faralli, “Storia del diritto romano e scienze sociali: un’integrazione difficile”, in Materiali per una storia della cultura giuridica 12.2 (1982): spec. 313 ss.

[19] Per una sintesi dell’approccio metodologico di P. Huvelin alle fonti cfr. l’appassionato «avant-propos» alla sua opera più nota: Études sur le furtum dans le très ancien droit romain. I. Les sources 1., Lyon-Paris, 1915 [rist. anast. Roma, 1968]: 1 ss.

[20] Les règles de la méthode sociologique, Parigi, 1895 [trad. it. di Airoldi-Namer, Milano, 1963]; sul rapporto fra la scuola del sociologo francese e la storiografia romanistica mi permetto di rinviare a S. Randazzo, “Le radici di un’incomprensione: Emile Durkheim e gli storici del diritto romano”, Index 28 (2000): 53 ss. ed alla lett. ivi citata.

[21] Huvelin, Le furtum, cit.: 3.

[22] Sulla rilevanza della comparazione giuridica si era espresso favorevolmente, alcuni anni prima, lo Stoïcesco, La magie, cit.: 457 ss.

[23] Su tutto ciò cfr. Huvelin, Cours élémentaire de droit romain I, Parigi, 1927 : 3 s.

[24] Huvelin, Cours, cit.: 4.

[25] Si pensi all’analisi etimologica di carmen, cantare, incantare, excantare, proposta in La notion de l’iniuria dans le très ancien droit romain, Lyon, 1903: 36 ss.

[26] Un esempio di questa prospettiva è dato dalla ricerca di Lévy-Bruhl, “Addicere. Étude de sémantique juridique”, in Deux études: Addicere et Auctoritas, Parigi, 1942: 5 ss., ma il ricorso all’analisi filologica appare già più sfumato nei successivi scritti di Lévy-Bruhl: cfr., ad es., Nouvelles études sur le très ancien droit romain, Paris, 1947: passim.

[27] Infra § 3.

[28] Essai, cit.: 7 nota 1; cfr. La philologie juridique: cit.: 9 ss. 

[29] Leges mancipii, cit.: passim.

[30] Sulla difficoltà di configurare una nozione unitaria di lex privata cfr. S. Randazzo, Leges mancipii, cit.: spec. cap. I.

[31] Les règles, cit.

[32] Der Kauf nach gemeinem Recht. I. Geschichte des Kaufs im römischen Recht, Erlangen, 1876: 234 ss.

[33] Die XII Tafeln II, Leipzig, 1883, rist. Aalen, 1966: passim.

[34] Essai, cit.: 37 ss.

[35] Ibidem: 45 ss. Già il Cuq (s.v. “Lex”, in Dictionnaire des Antiquités grecques et romaines Daremberg et Saglio 3.2, Paris, 1918: 1107 ss.) aveva considerato unitariamente le leges alienationis, ricomprendendo in tale categoria anche dicta di natura pubblicistica, come l’addictio, l’adiudicatio, l’adsignatio, e la dedicatio.

[36] Essai, cit.: 7 ss. Cfr., sul punto, anche i successivi studi: Essai sur l’expression «lex contractus», Bucarest, 1937, ma già in Revista Clasicã 8 (1936)); “«Lex contractus». Contribution à la théorie générale de l’acte juridique en droit romain”, Revista Clasicã 9-10 (1937-1938): 193 ss., 254 ss. [= Études I, cit.: 241 ss.]; “Leges mancipii, lex privata, lex contractus”, Revista Clasicã 3-5 (1941-1943): 114 ss. In tema v. anche le precedenti indagini dell’Heyrowsky, Ueber die rechtliche Grundlage der «leges contractus» bei Rechtsgeschäften zwischen dem römischen Staat und Privaten, Leipzig, 1881 e, successivamente, A. Plachy, “Contributo alla teoria delle «leges contractus» nel diritto romano pubblico”, BIDR 47 (1940): 74 ss.

[37] Essai, cit., 7 ss.

[38] Leges mancipii, cit.: cap. I § 2.

[39] A cui Georgescu dedica un fitto studio nel primo capitolo dell’Essai: 7 ss.

[40] Oggi il tormentato capoluogo della Bucovina fa parte della repubblica Ucraina.

[41] “Le droit romain selon les nouvelles conceptions de la méthode historique. Leçon inaugurale du cours libre de droit romain à la Fac. de Droit de Cernqu]i 1933-34”, in Atheneum Jassy, 1936.

[42] Originile ºi evolu]ia generalã a proprietqtii în dreptul roman. Cours donné à la Fac. de Droit de Cernqu]i, année scolaire 1936-1937, 1939; il corso riprende e sviluppa, in chiave didattica, talune idee risalenti ad un precedente studio del Georgescu, “Sur la nature et l’évolution générale de la propriété à Rome”, Gazeta iuridicã, 1931. In tema, con più specifica attenzione ai modi di acquisto della proprietà, v., altresì, “La formation du concept de mode d’acquisition de la propriété en droit romain”, in Mélanges C. Stoïcesco, 1940 [= Études I, cit.: 331 ss. da cui citiamo].

[43] Ambiente in cui la scissione fra studi giuridici e filologici era diffusa, prevalendo una certa tendenza ad analisi storico-giuridiche mirate ad attualizzare il diritto romano o, comunque, a fare di esso un parametro di riferimento per lo studio e l’esposizione del diritto vigente: cfr., ad es., C. J. Stoïcesco, Étude sur la naturalisation en droit romain, en droit civil et dans le droit des gens, précédée d’un exposé sur la condition politique des personnes à Rome, Parigi, 1876.

[44] Quelques problèmes du très ancien droit romain. Essai de solutions sociologiques, Parigi, 1934: 108 s.

[45] La formation, cit.: 401.

[46] Supra, nota 1. Riserve, sull’opera, esprime B. Biondi, “La terminologia romana come prima dommatica giuridica”, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz 2, Napoli, 1953: 75 s.

[47] Supra § 2.

[48] In RHD 14 (1935): 390 s.

[49]Sul servus recepticius Georgescu si sofferma approfonditamente: cfr. “Recipere et servus recepticius”, in Études I, cit.: 91 ss.

[50] La philologie juridique, cit.: 11.

[51] Cfr. Ibidem: 21 ss.

[52] Ibidem: 16.

[53] Georgescu si riferisce a: “Fides als schöpferisches Element im römischen Schuldrecht”, in Festschrift P. Koschaker 2, Weimar, 1939: 1 ss.

[54] BIDR 24 (1911): 5 ss. [=  Scritti giuridici 2 (1922): 159 ss.]

[55] ZSS 3 (1882): 1 ss.

[56] ZSS 42 (1921): 198 ss.

[57] Revue des Études Latines 2 (1937): 326 ss.

[58] Studi C. Fadda, Milano, 1906: 77 ss. [= Études d’histoire du droit commercial romain] (raccolta, quest’ultima, di Corsi di diritto romano tenuti da Huvelin all’Università di Lione, e pubblicata postuma per le cure di Henri Lévy-Bruhl, Parigi, 1929 ed in cui l’articolo in questione viene riedito in appendice col titolo “Aspects religieux de l’obligation romaine”, insieme al celebre saggio su “Les tablettes magiques et le droit romain”, anch’esso già edito negli Atti del Congrés international d’Histoire comparée, Parigi, 1900: 273 ss.).

[59] Parigi, 1933.

[60] V. Supra, nota 9.

[61] La philologie juridique, cit.: 12.

[62] Essai, cit.: 7 ss.

[63] V. Supra,  nota: 35.

[64] Cfr. “Optimus ºi optimus maximus în juridica romanã: optima lex, optimum ius, fundus optimus maximusque. Contribuþie la cunoaºterea pluralismului sistemelor de drept la Roma ºi a procesului de formare a proprietãþii quiritare [Optimus et optimus maximus nella tecnica giuridica romana: optima lex, optimum ius, fundus optimus maximusque. Contributo alla conoscenza del sistema pluralistico del diritto romano e del processo di formazione della proprietà quiritaria]”, Studii Clasice 10 (1968): 187 ss. L’indagine, condotta con il più ampio ausilio dei mezzi di ricerca consueti del Georgescu, analizza le valenze dell’espressione optimus e optimus maximus nei vari campi del diritto in cui è adoperata: optima lex, optimum ius e, soprattutto, si sofferma sulla lex uti optimus maximusque, sostenendo come essa in origine avesse un senso «positivo», connotando cioè la situazione che si verificava allorché il fondo godeva di servitù, e distinguendo un significato «negativo» più tardo in cui la clausola indicherebbe un fondo privo di qualsiasi servitù passiva.

[65] Considerando la possessio agri publici come una condizione giuridica conforme agli interessi della classe dominante degli optimates, Georgescu ne analizza l’influsso sulla possessio privatistica, seguendone l’evoluzione storica con una costante attenzione agli sviluppi dei dati semantici in: “De la possessiones la possessio. Contribuþie la studiul procesului istoric de formare a noþiunii de posesie în dreptul roman [Dalle possessiones alla possessio. Contributo allo studio del processo storico di formazione della nozione di possesso nel diritto romano]”, Studii Clasice 1 (1959): 115 ss.

[66] Cfr. E. Schönbauer, Zur «Krise des römischen Recht», in Festschrift P. Koschaker 2, Weimar, 1939: 385 ss.

[67] Die Krise des römischen Rechts und die romanistische Rechtswissenschaft, Monaco-Berlino, 1938. V., altresì, Europa und das römische Recht, Monaco, 1966 (trad. it. di A. Biscardi), Firenze, 1962.

[68]Nella sua Leçon inaugurale, tenuta, per il corso di diritto romano del 1936, presso la Fac. di Cernãuþi [= “Existã o crizã a studiilor de drept roman?”, in Mélanges I. Nistor, Cernãuþi, 1937: 30 ss.].

[69] “Remarques sur la crise des études de droit romain”, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis 16.4 (1940) [= Études I, cit.: 403 ss. da cui citiamo).

[70] Ibidem: 424.

[71] È in questa prospettiva che, direi inevitabilmente, Georgescu entra in polemica con Emilio Betti: cfr. Ibidem: 433 ss., nota 2.

[72] Ibidem: 425.

[73] Jassy, o Iaºi, capoluogo della Moldavia rumena, nel nord-est del Paese era, ed è tutt’oggi, un vivace centro culturale, sede di una prestigiosa Università.

[74] Georgescu si confronta più volte col pensiero del grande storico rumeno N. Iorga, sottolineandone le riflessioni sul rapporto fra diritto romano, diritto comune e diritto popolare rumeno: “N. Iorga et l’histoire du droit roumain”, Studii 18 (1965): 1339 ss.; “Unele probleme istorice de drept roman în gândirea lui N. Iorga. Cu prilejul comemorãrii a 25 de ani de la moartea sa [Alcuni problemi storici del diritto romano nel pensiero di N. Iorga. In occasione della commemorazione del 25° anniversario della sua morte]”, Studii Clasice 8 (1966): 297 ss.; “N. Iorga et l’histoire des institutions”, in Nicolas Iorga, l’homme et l’œuvre. Biblioteca Historica Romaniae 10, Bucarest, 1972: 65 ss.

[75] Premio “S. Bãrnuþiu” dell’Accademia di Romania per la monografia su: “La préemption dans l’hitoire du droit roumain. Le droit de protimêsis en Valachie et en Moldavie”, Biblioteque historique 12 (1965); membro dell’Académie de Législation di Tolosa nel 1969; membro della Società di Studi Classici della Repubblica Popolare Rumena; membro dell’Accademia di Scienze Sociali e Politiche di Romania nel 1970; Dottore honoris causa dell’Università di Clermont-Ferrand nel 1972; membro corrispondente dell’Accademia di Atene nel 1976; vice presidente della Commission Internationale des Assemblées d’Etats.

[76] Cfr., sul punto, le realistiche considerazioni di Georgescu (Les rapports, cit.: 25): «tout le monde est d’accord, justement parce que les idées générales sur ce point sont l’évidence même, que les deux sciences peuvent et doivent se rendre de précieux services mutuels, mais pratiquement les échanges, surtout du droit romain vers la philologie, s’établissent avec une difficulté extrême».

[77] Georgescu si accosta sin dagli inizi della sua attività scientifica al diritto moderno, pubblico e privato; cfr. Criza dreptului public, Cernãuþi, 1934; “Economicul ºi modificarea constituþiei”, in Gândirea Economicã, Cernãuþi, 1934; “Raporturile juridice dintre avocat ºi client”, in Pandectele Române, Bucarest, 1935; “La valeur juridique des conventions internationales et leur conflict avec le droit interne”, estr. da Mélanges P. Negulesco, Bucarest, 1935; “Ethosul politic în dreptul public modern”, estr. da Revista de Drept. Public, Bucarest, 1936; “Efectul traslativ al girului asupra garanþilor unei cambii”, Revista de Drept Comercial (1940). Un particolare interesse assumono, per cogliere taluni profili più squisitamente ideologici del pensiero giuridico dello studioso, le riflessioni sulla ricezione dei principi dell’illuminismo giuridico di Beccaria nel diritto penale rumeno: “Contributions à l’étude des Lumières en Valachie et en Moldavie. I. La place de la pensée de Beccaria dans la culture juridique roumaine et dans le développement du droit pénal jusqu’au mouvement révolutionnaire de Tudor Vladimirescu. II. De 1821 à 1864”, Studii 20 (1967): 947 ss.; 21 (1968): 685 ss. Per una visione d’insieme su talune idee-cardine di Georgescu sulla storia del diritto rumeno, v. altresì “Principaux moments du développement du droit roumain depuis ses débuts jusqu’à la constitution de l’Etat national roumain”, Revista de istorie 29 (1976): 1791 ss.  

[78] V. bibl. cit. infra.


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