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Romeni e italiani nel 1866.
Istituto di Storia "Nicolae Iorga",
Bucarest
“Dietro di noi c’è
l’abisso e un unico passo sbagliato ci porterà tutti alla rovina”.
Dobbiamo andare avanti, completare il programma nazionale”. Le parole di La
Marmora valevano sia per l’Italia che per la Romania all’inizio del 1866. Non
riconosciuto dall’Austria, il Regno d’Italia puntava su Venezia e Roma, mentre
la Romania desiderava concretizzare il programma politico delle assemblee
ad-hoc. La rivoluzione pacifica di Bucarest ha voluto dimostrare all’Europa la
capacità dei leaders di
mantenere l’ordine, di prevenire un
eventuale intervento militare.
Era una
concretizzazione dell’atto firmato dalla Porta ottomana nel giugno 1864, in cui
veniva riconosciuta la piena autonomia del Paese. L’abdicazione di Cuza ha
colto di sorpresa il governo italiano, in un momento delicato della sua
politica estera. Erano in corso le trattative con l’Austria per la concessione
di Venezia, in seguito ad un compenso finanziario e si prefigurava l’alleanza
con la Prussia, a proposito della quale Cavour aveva detto profeticamente che
“era gravata a lettere d’oro nel libro del futuro”. Mentre il conte Malaguzzi
si trovava a Vienna per le trattative su Venezia, il cancelliere Bismarck a
Biaritz conquistava la neutralità della Francia[1].
Gli eventi di Bucarest risuscitarono il progetto della concessione dello spazio
nord-danubiano all’Austria, che doveva rinunciare a Venezia. Un fervido
sostenitore di questo progetto fu Nigra, il rappresentante d’Italia a Parigi
che, fin dal 19 gennaio 1866 prospettava questa possibilità a La
Marmora. Gli ricordava la missione di Pasolini nell’estate del 1863, che era
stato favorevolmente accolto da Palmestron, Russell, Drouyn de Lhuys. Lo stesso
Napoleone III avrebbe approvato lo scambio, se le popolazioni l’avessero
desiderato[2].
Nel suo rapporto del 27 febbraio, Nigra sperava in una soluzione del problema
veneto grazie alla crisi dei Principati. L’idea era stata sostenuta, durante
gli anni, da Cesare Balbo, dal principe Talleyrand, da Metternich. Nel
documento sopra ricordato si diceva, in seguito, che lo stato recentemente creato
alle foci del Danubio, conseguenza della guerra di Crimea, non è stato
in grado di mantenere la stabilità nella zona. Erano ricordate le
trattative segrete, iniziate dal governo italiano durante la rivoluzione
polacca del 1863, presso i governi inglese e francese. Anche se l’idea era
stata accolta favorevolmente, lord Palmestron sostenne l’integrità
dell’Impero ottomano, mentre Napoleone III condizionò l’aiuto francese
dal consenso delle popolazioni moldo-valacche. Alla fine del rapporto si
menzionava che un aumento delle popolazioni romene dell’Impero austriaco
farebbe da contrappeso alla preponderanza delle razze serbe e magiare. Alle
reticenze di Napoleone III si poteva rispondere che l’Austria si stava
trasformando in una confederazione degli stati
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danubiani[3].
In un telegramma di quel giorno, Nigra auspicava un sondaggio presso il governo
viennese, a proposito dello scambio[4].
La
posizione del governo britannico era illustrata da D’Azeglio nel rapporto del
26 febbraio. Lord Clarendon credeva che lo scambio avesse poche
possibilità di essere accettato dall’Austria[5].
La posizione dei britannici era ampiamente presentata nel rapporto del
rappresentante italiano a Londra del 1 marzo 1866. La conclusione era: il nome
dell’Austria era detestato dai romeni, perciò il governo inglese non era
favorevole allo scambio[6].
Parallelamente,
Nigra ebbe un’udienza particolare con Napoleone III. Gli argomenti discussi
furono: le manifestazioni guerresche in Prussia e la rivoluzione nei
Principati. Esaminarono insieme i vantaggi che la Francia avrebbe ottenuto in
seguito allo scambio: avrebbe impedito l’alleanza austro-russa ed avrebbe
portato a termine, senza guerra, il programma nazionale italiano.
Si
evitavano in questo modo i futuri conflitti per Venezia. Perciò Nigra
propose all’imperatore: di arrivare ad un accordo con l’Inghilterra a proposito
del progetto; di provare, con o senza l’accordo di Londra, a sondare Vienna;
nel caso l’Austria fosse stata contraria, di sottoporre il problema nell’ambito
della conferenza. Napoleone III rispose che il rifiuto dell’Austria era
prevedibile. Perciò, l’Italia poteva spingere la Prussia verso la guerra
e in quel caso Vienna poteva essere condizionata: se non accettasse lo scambio,
sarebbe scoppiata la guerra con la Prussia e l’Italia. Alla fine dell’udienza,
Nigra propose all’imperatore di rinviare l’apertura della conferenza fino alla
soluzione del problema dei Principati nel modo desiderato dall’Italia[7].
L’Inghilterra
manteneva la sua posizione reticente. Il 7 marzo, lord Clarendon
dichiarò che era più facile acchiappare la luna con i denti, che
l’Austria rinunciasse a Venezia in cambio dei Principati[8].
Da Tour d’Auvergne l’ambasciatore francese in Inghilterra scriveva a Drouyn de
Lhuys che lord Clarendon temeva le reticenze della Russia e dell’Austria[9].
La Marmora scriveva a Nigra l’11 marzo, elencando gli ostacoli: la riserva
dell’Inghilterra, il rifiuto delle popolazioni, la necessità di
rispettare il principio delle nazionalità, la Russia che desiderava la conservazione
dello status-quo. E concludeva
dicendo che un’alleanza con la Prussia sarebbe stata meno favorevole alle
finanze, ma più gradita sotto il profilo politico[10].
Da San
Pietroburgo, De Launay scriveva il 28 febbraio che la Russia si aspettava l’allontanamento
di Cuza. L’atteggiamento del governo era, al momento, di aspettativa. Per
quanto riguardava lo scambio, la Russia andava cointeressata: la dominazione
del corso del Danubio, i vantaggi nel Mar Nero, la restituzione del sud della
Bessarabia, “e comunque non basterà”, concludeva il suo rapporto il
rappresentante dell’Italia[11].
In marzo, il governo
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russo precisava la sua posizione a proposito dei
progetti italiani. Alessandro II li considerava un atto di malafede nei
confronti della Russia e scrisse su un documento “inadmissible jusqu’à
la guerre” [12].
Certo
è che lo stesso Nigra rinunciò al progetto, essendo del parere
che lo scambio andava fatto solo dopo l’approvazione delle popolazioni romene[13].
Tuttavia l’idea sarebbe rimasta, avrebbe circolato nei governi europei fino
all’inizio della guerra tra Prussia, Italia e Austria, nel giugno 1866.
L’abdicazione
di Cuza provocò agitazioni nella diplomazia europea, i Principati
riprendendo il primo posto nella lista delle priorità.
Gli
ultimi rapporti di Strambio da Bucarest sono dedicati all’abdicazione di Cuza.
Il 23 febbraio mandò a La Marmora due telegrammi in cui presentava lo
svolgimento degli eventi: l’abdicazione di Cuza, la proclamazione del principe
di Fiandra, la costituzione della Luogotenenza principesca, la nominazione di
Ion Ghica come premier, l’arresto delle persone compromesse. Sottolinea
l’atmosfera di calma e ordine, il cambiamento essendo pacifico e accettato
dalla popolazione[14].
Il 25 febbraio, Strambio riuscì a vedere Cuza che era molto calmo,
dichiarando che era pronto a lasciare il Paese[15].
Da San
Pietroburgo, De Launay descriveva la reazione russa, che addebitava
l’allontanamento di Cuza ai disordini e alla corruzione amministrativa.
Gorceakov si pronunciò per il ripristino della Convenzione del 1858. Il
diplomato italiano colse l’intenzione della Russia di approfittare dei
disordini nei Principati per rivedere il trattato di Parigi del 1856. Ricordava
le parole del conte Orloff il quale, nel 1856, aveva detto al primo ministro
Cavour che lo smembramento della Bessarabia a vantaggio della Moldavia avrebbe
costato un giorno all’Austria, l’iniziatrice del progetto, “torrenti di sangue”[16].
A
Costantinopoli, il 26 febbraio si svolgeva una conferenza presieduta da Aali
pascià, dopo che il visconte di Grinberg, il ministro del Belgio, aveva
annunciato ai rappresentanti delle Potenze garanti il rifiuto del conte di
Fiandra. Si discussero le misure che dovevano essere prese nelle nuove
condizioni esistenti sul Danubio. Si rinunciava temporaneamente all’intervento
militare ottomano. La Porta ottomana suggeriva l’invio di un commissario
straordinario, accompagnato dai delegati delle Potenze. Moustier,
l’ambasciatore di Francia propose di aspettare le istruzioni dei governi prima
di prendere una decisione[17].
La Marmora scriveva a Greppi di non sciogliere la riserva fino a quando non se
ne sarebbe parlato nell’ambito della conferenza[18].
Fino
all’apertura della conferenza di Parigi, i problemi esaminati dalla diplomazia
europea furono: l’intervento militare nei Principati, il principe straniero, il
luogo di svolgimento della conferenza.
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A
proposito dell’intervento militare, la posizione del governo di Firenze
è stata ferma: “il principio del non intervento è la regola utile
da applicare”[19]. Il
principe straniero non rappresentava una soluzione voluta dalle Potenze
garanti. D’Azeglio da Londra informava che l’ambasciatore turco aveva
condizionato la presenza del suo paese alla conferenza dalla rinuncia al
principe straniero[20].
De Launay confermava la posizione della Russia, che desiderava il ripristino
della convenzione dell’agosto 1858[21].
L’Ambasciatore di Francia in Russia, il barone Talleyrand, buon conoscitore
della realtà romena, aveva raccontato al rappresentante d’Italia le
seguenti riflessioni personali: dubitava di trovare un candidato straniero che
accettasse la situazione di vassallaggio verso la Porta ottomana[22].
Nella
lettera confidenziale indirizzata da Mensdorf a Metternich il 1 marzo, era
illustrato l’atteggiamento di Vienna verso le complicazioni al nord del
Danubio. L’Austria aveva bisogno dell’alleanza o, almeno, della
neutralità della Francia nella guerra che si stava preparando contro la
Prussia. Egli raccomandava un comportamento abile e l’accettazione dei compromessi,
andando fino al mantenimento dell’unione e all’accordo per il principe
straniero. L’unica condizione era che questo non fosse della Casa di Savoia o
di altra dinastia nemica all’Austria. Per quanto riguardava lo scambio
Venezia-Principati, Francesco Giuseppe era fermamente contrario[23].
Come
luogo di svolgimento della conferenza è stata scelta Parigi, perché qui
doveva essere firmato anche l’Atto pubblico danubiano. I lavori sono iniziati
il 10 marzo all’Hôtel des Affaires Etrangères, con l’invio di un
telegramma comune ai consoli di Bucarest. Al governo romeno era stato chiesto
di mantenere l’ordine e di non pregiudicare alcuna decisione della conferenza[24].
Safvet pascià lesse una nota in cui erano esposte le condizioni della
Porta ottomana: elezione di un principe indigeno non ereditario, ripristino
delle previsioni della convenzione del 1858. A causa dell’assenza del barone
Budberg, il rappresentante della Russia, la conferenza riprese i lavori il 19
marzo. Per nove giorni, le Potenze cercarono di definire la loro posizione
circa il problema dell’unione e del principe straniero.
Nigra
racconta una conversazione con Drouyn de Lhuys, che gli aveva esposto la
posizione della Francia. Il Ministro degli Esteri francese si pronunciava per
il mantenimento dell’unione sotto un principe straniero, idea sostenuta dalla
diplomazia del suo Paese fin dal 1855. Le agitazioni di Bucarest non erano
rivolte contro l’unione, ma contro il governo del principe Cuza. Sperava
nell’appoggio dell’Italia e della Prussia[25].
In cambio, la Russia sperava che la Convenzione del 1858 sarebbe stata
ripristinata. De Launay informava Firenze che, se nella questione del principe
straniero, la Russia era veemente, poteva fare compromessi a proposito
dell’unione[26].
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Le
istruzioni ricevute da Nigra da parte di La Marmora rispecchiavano i principi
della politica estera italiana: rispetto del diritto delle popolazioni che era
alla base della costituzione italiana; rifiuto di qualsiasi intervento
militare; nelle discussioni, il punto di partenza doveva essere costituito
dalle trattative del 1856, dalla convenzione del 1858, con le modifiche del
1861 e 1864, interpretate nel senso dello sviluppo e del progresso delle
nazionalità. In seguito, il primo ministro italiano sottolineava che il
principio dell’unione era stato riconosciuto dalle Potenze garanti attraverso
una serie di atti internazionali ed era reso attuale tramite il voto dei
romeni. Per quanto riguardava il rifiuto della Porta di discutere la
possibilità di un principe straniero ereditario, ammettendo soltanto
quella dei principi indigeni, l’Italia si riservava il diritto di pronunciarsi
quando queste possibilità sarebbero diventate realtà concrete[27].
Le stesse istruzioni furono inviate anche a Barral a Berlino, con
l’ammonimento: “la posizione che assumerà la Prussia nella questione dei
Principati avrà una reale influenza sulla soluzione favorevole dei
problemi che interessavano la Germania”[28].
La
seduta del 19 marzo fu accesa. Il desiderio dei Principati di essere
rappresentati alla conferenza da Falcoianu e I.C. Bratianu fu respinto. A
proposito del principe straniero, la Turchia, la Russia e l’Austria furono
contrarie, lord Cowley affermava che l’idea era incompatibile con l’integrità
dell’Impero ottomano. Nigra insistette che, accanto al principio
dell’integrità ci fosse anche quello del rispetto del diritto nazionale.
Nel 1858 e 1866, gli abitanti dei Principati si erano pronunciati per l’unione
sotto un principe straniero. Questo era l’unico mezzo per avere un governo
stabile. I rappresentanti della Russia e della Turchia erano contrari, quello
di Prussia era aperto a qualsiasi combinazione, quelli dell’Austria e
dell’Inghilterra avevano formulato delle obiezioni. La divergenza delle
opinioni aveva imposto temporaneamente l’esame della questione dell’unione. Il
barone Budberg contestò il desiderio di unione dei moldavi. Non
così veementemente, però negli stessi termini si era pronunciato
lord Cowlwy, il principe Metternich e il conte Glotz. Gli ultimi tre avevano
sostenuto l’idea della consultazione della popolazione. Il conte Nigra disse
che la nazione aveva deciso e che non c’era bisogno di una nuova consultazione.
Alla fine si decise di chiedere istruzioni ai governi sui seguenti temi: 1.
l’Assemblea di Bucarest poteva nominare un principe al posto di Cuza? 2. I
deputati moldavi potevano votare separatamente? 3. Si potevano riunire due
assemblee, una a Bucarest e l’altra a Iasi? 4. Erano possibili elezioni per
un’unica assemblea, che si sarebbe pronunciata per l’unione e per il principe?[29]
La
Marmora rispose che l’elemento essenziale doveva essere il voto della
popolazione, mentre l’Assemblea di Bucarest era già la rappresentante
legittima del Paese. Tuttavia, se i deputati moldavi si pronunciavano contro
l’unione, doveva essere concessa loro la libertà di espressione. Nel
caso di nuove elezioni, il governo italiano si sarebbe pronunciato per un’unica
assemblea. Per quanto riguardava il principe straniero, La Marmora disse che la
libera manifestazione dei desideri dei romeni non andava ostacolata[30].
Parallelamente
ai lavori della conferenza, alla posizione ufficiale delle grandi potenze, la
questione del principe straniero era discussa anche negli ambienti imperiali.
Il
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rappresentante del governo romeno, Ion Balaceanu
arrivò nella capitale francese prima dell’apertura della conferenza e fu
introdotto da Ubicini nell’alta società che gravitava attorno a
Hortensia Cornu[31].
Nei Documenti Diplomatici italiani, “il
principe straniero” appare
frequentemente. D’Azeglio, da Londra, coglieva l’indecisione del lord
Clarendon[32]. Il 28
marzo riferiva una conversazione tra il leader britannico e l’ambasciatore
francese. L’ultimo era del parere che si doveva accettare la soluzione
desiderata dai romeni per tenere la regione al riparo dall’ anarchia e dalla
rivoluzione. Il lord non ebbe una posizione ferma, si interessò però del nome del misterioso candidato e
se fosse di origine italiana. D’Azeglio metteva in guardia circa un eventuale
avvicinamento tra la Russia, la Turchia e l’Inghilterra che sarebbe stato
contro la candidatura straniera. Clarendon pareva d’accordo con il mantenimento
dell’unione[33]. De Launnay
narrò la discussione con Gorceakov in margine alla questione romena. La
Prussia non era convinta dell’attaccamento dei moldavi all’unione, era
però d’accordo con la libera consultazione del popolo. De Launnay
rispose al cancelliere russo che il vecchio governo era caduto a causa degli
errori amministrativi, mentre l’Italia desiderava che la volontà dei
romeni fosse rispettata ed era pronto ad accettare una nuova consultazione se
le potenze garanti lo avessero deciso[34].
Il 30 marzo, il diplomatico italiano scriveva sulla disgrazia in cui si trovava
Budberg. Gorceakov non lo perdonava per l’atteggiamento passivo verso la
proposta di Drouyn de Lhuys di un’unione sotto un principe straniero. Il
cancelliere non voleva la consultazione dell’Assemblea di Bucarest, ma
l’organizzazione di nuove elezioni separate, a Bucarest e a Iasi[35].
La
dissoluzione dell’Assemblea di Bucarest, iniziativa del governo romeno,
provocò nuove agitazioni a Parigi. Cowlwy chiese la convocazione
d’urgenza della conferenza per paura della proclamazione dell’indipendenza o
perfino della repubblica[36].
Nella seduta del 31 marzo si delinearono tre soluzioni: lasciare le popolazioni
decidere da sole; le potenze garanti dovevano provare, con soluzioni pronte ed
eque, prese d’accordo con la Porta ottomana, a guidarle; non tenere conto della
loro volontà[37].
Non si decise niente. Budberg era paralizzato dalla mancanza di istruzioni da
San Pietroburgo. Lo stesso giorno, La Marmora mandava al nuovo rappresentante
presso la Porta, Visconti Venosta, istruzioni circa la politica italiana nei
Balcani[38].
Gli
eventi nei Principati si svolgevano parallelamente, indipendentemente dalla
conferenza. Le nuove elezioni, l’organizzazione del plebiscito per legittimare
davanti
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all’Europa l’elezione di Carlo di Hohenzollern, il
movimento separatista di Iasi, influenzavano le decisioni dei diplomatici che
si trovavano nella capitale francese.
Il 4
aprile si svolgeva la quinta seduta della conferenza, in cui si confrontarono
due punti di vista: quello francese, che sosteneva la concessione della
libertà di decisione al governo di Bucarest e l’intervento delle potenze
solo quando le relazioni con la Porta ottomana fossero state in pericolo;
quello britannico che, per paura della proclamazione dell’indipendenza, voleva
la separazione del voto. Si specificava però che l’Inghilterra non
voleva imporre soluzioni contrarie alle popolazioni. E’ stato deciso che la
responsabilità degli eventi toccasse al governo romeno, che doveva
garantire il rispetto degli impegni nei confronti dell’Impero ottomano[39].
Le
trattative italo-tedesche imponevano al governo di Firenze una nuova condotta,
che La Marmora illustrava nella circolare del 7 aprile, inviata ai
rappresentanti diplomatici in Egitto, Bucarest, Belgrado, Tunisi, Tangeri,
Beirut. La posizione dell’Italia nel quadro della conferenza era questa:
sosteneva il diritto pubblico delle nazionalità, il principio del non
intervento e quello del rispetto del voto liberamente espresso[40].
Nelle
condizioni dell’avvicinamento italo-tedesco, il governo La Marmora
appoggiò la candidatura di Carlo. Eder, il console austriaco di
Bucarest, accusava, il 15 aprile, l’ingerenza delle due potenze nella
candidatura del principe tedesco[41].
Esaminiamo questa affermazione, non priva di fondamento.
Era
certo che il rappresentante d’Italia a Parigi, il conte Nigra, conosceva
l’intenzione dei romeni di proclamare Carlo principe[42].
Il 7 aprile aveva incontrato Steeje, Boerescu e Falcoianu. Li aveva ricevuti
con gentilezza e aveva detto loro che, se avevano una posizione ferma, unita,
avrebbero avuto tutte le possibilità di riuscire. La candidatura di Carlo
fu discussa, secondo il rapporto dei tre rappresentanti, con Drouyn de Lhuys,
Glotz e Nigra. L’ultimo aveva detto che il principe avrebbe avuto grandi
possibilità come alleato di Bonaparte e della famiglia reale della
Prussia, ma non credeva che Napoleone III avrebbe manifestato le sue preferenze
fino a quando Carlo non sarebbe stato d’accordo. Gli consigliò di andare
a vedere l’imperatore[43].
Secondo le memorie di Balaceanu, Napoleone III dette il suo assenso. La
candidatura di Carlo era favorevolmente considerata dalla Francia, dall’Italia
e dalla Prussia, che stavano preparando un confronto militare con l’Austria.
Bismarck la approvò per ragioni politiche immediate. Voleva provocare
l’Austria che, nell’aprile 1866, aveva intenzioni pacifiche. I preparativi di
guerra della Prussia erano conclusi, il trattato di alleanza con l’Italia era
stato firmato, mentre Bismark non aspettava che una reazione aggressiva da
parte dell’Austria[44].
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L’eco
della candidatura di Carlo fu immensa. Al. G. Golescu, l’agente romeno che
aveva sostituito Costache Negri a Costantinopoli, contattò i diplomatici
stranieri. Secondo il suo rapporto del 13 aprile, solo il conte Greppi
approvò l’idea del principe straniero[45].
Il 16 aprile, il rappresentante italiano informava sulla posizione ferma della
Porta ottomana che aveva mandato istruzioni a Safvet pascià di convocare
la conferenza di Parigi[46].
De Launnay notò l’irritazione della Russia riguardo l’appoggio concesso
dall’Italia alla candidatura straniera[47],
mentre Scovasso da Belgrado, riferì una lunga conversazione con
Garaèanin. Il primo ministro serbo affermò che il mantenimento
dell’unione era nell’interesse del suo paese. Nella questione del principe
straniero, egli consigliò il governo di Bucarest di proclamare un
principe per le sue qualità e non per la sua origine, senza aspettare la
decisione della conferenza[48].
La
prima reazione di lord Clarendon quando seppe della candidatura di Carlo fu di
rifiuto. Pensava di mandare una protesta comune al governo romeno e, per un
anno, preferiva un principe indigeno[49].
Il 19 aprile, La Marmora scriveva a De Launnay in merito a certe intese tra la
Francia e la Russia a proposito del principe nei Principati romeni[50].
Mentre
a Bucarest il risultato del plebiscito era favorevole a Carlo, a Parigi si stava
preparando la convocazione di una nuova seduta della conferenza. La Porta
ottomana si pronunciava fermamente contro la candidatura. Il Ministro ottomano
degli Esteri disse ad Al. G. Golescu che una soluzione sarebbe stata l’elezione
di un funzionario ottomano per un periodo di 5 anni, durante il quale si
sarebbe potuto risolvere la questione del principe[51].
Negli ambienti diplomatici si parlava di una candidatura italiana, cosa negata
dal governo la Marmora[52].
Ion Ghica mandava a Bismarck, Carlo-Antonio di Hohenzollern lettere in cui gli
comunicava ufficialmente l’elezione di Carlo come principe nei Principati
romeni.
Per
iniziativa della Russia, il 24 aprile, si apriva la sesta seduta della
conferenza: Budberg leggeva una protesta del suo governo contro l’elezione di
Carlo. La Russia si pronunciava contro l’eliminazione ufficiale, definitiva del
problema del principe straniero e la convocazione di due assemblee che si
dovevano pronunciare sull’unione. La situazione era critica a causa del
movimento separatista di Iasi, che metteva in dubbio la correttezza
dell’elezione del principe Carlo[53].
La risoluzione della conferenza fu la seguente: l’Assemblea di Bucarest doveva
eleggere un principe indigeno, secondo
l’articolo XIII della convenzione del 1858; se i deputati moldavi l’avessero
chiesto, avrebbero avuto la possibilità di votare separatamente[54].
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Il 2
maggio 1866, Balaceanu comunicava al governo romeno l’accettazione del trono da
parte di Carlo[55]. Lo stesso
giorno, a Parigi, si aprivano i lavori della settima seduta della conferenza.
Su proposta di lord Cowly, veniva redatta la seguente dichiarazione: l’elezione
di un principe straniero tramite un plebiscito era una violazione dei documenti
internazionali, perciò la conferenza affidava alla futura Assemblea
l’elezione dei principi. Questa avrebbe deciso anche in merito all’unione,
mentre il principe doveva essere indigeno[56].
Osservatore attento e profondo delle discussioni nel quadro della conferenza,
Balaceanu dimostrava l’impotenza delle grandi potenze davanti al fatto compiuto. La soluzione sarebbe stata, secondo
l’opinione del diplomatico romeno, una diretta intesa con la Porta ottomana[57].
Quest’ultima era intransigente, fatto dimostrato dalla nota del 7 maggio di
Fuad pascià che riaffermava il rifiuto del principe straniero[58].
La
nuova decisione della conferenza fu analizzata da Costaforu e da Stejee, in una
riunione con Nigra. Il conte aveva confessato loro, a titolo confidenziale, le
posizioni delle Potenze garanti
rispetto al mantenimento dell’unione: la Francia non si era molto impegnata a
causa dei problemi in Messico; l’Inghilterra difendeva l’integrità
dell’impero ottomano; la Prussia, per paura di non essere accusata di aver
contribuito all’elezione di Carlo si era astenuta; l’Austria, la Turchia e la
Russia furono sfavorevoli, mentre l’Italia, rimasta sola, era stata
paralizzata. Alla fine della discussione, Nigra aveva consigliato ai romeni di
cercare di trovare un principe indigeno[59].
Da Costantinopoli, Visconti-Venosta aveva un’altra opinione. Al. G. Golescu
scriveva, il 9 maggio: “l’ambasciatore italiano mi disse categoricamente che
non dobbiamo aspettare l’aiuto della conferenza, ma fare affidamento solo sulle
nostre risorse, come abbiamo fatto nel 1859”[60].
La
diplomazia italiana era preoccupata per la proposta dell’Austria di cedere
Venezia alla Francia, e quest’ultima, a sua volta, all’Italia. Vienna sperava
di ottenere la neutralità di Firenze nell’imminente conflitto.
Parallelamente, circolavano voci su un possibile congresso europeo, organizzato
su iniziativa francese, inglese e russa, dove si sarebbe parlato dei problemi
di Venezia, di Schleswig e della riforma della Confederazione tedesca. In
questo senso era rivelatrice la lettera di Nigra dell’11 maggio, in cui
informava La Marmora sulle intenzioni dell’imperatore di Francia. Venezia
doveva tornare all’Italia, la Silesia all’Austria, mentre la Prussia avrebbe
preso i Ducati. Sul Reno si dovevano costituire 3-4 ducati che dovevano far
parte della Confederazione tedesca, ma sotto la protezione della Francia; i
principi tedeschi spodestati dalla Prussia sarebbero andati nei Principati[61].
Era un altro piano alla maniera napoleonica, che non teneva conto della
situazione sul Danubio. L’illusione di organizzare un congresso europeo aveva
preoccupato le cancellerie europee per tutto il mese di maggio. L’Italia e la
Prussia avevano condizionato la loro partecipazione al congresso dalla
continuazione degli armamenti[62].
Il
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16 maggio, Nigra comunicava che la Francia era
decisa a imporre Parigi come luogo di svolgimento della conferenza, con la
partecipazione dei rappresentanti dell’Italia, Francia, Inghilterra, Austria,
Prussia, Russia e della Confederazione tedesca[63].
Intanto,
la Porta ottomana era preoccupata per la soluzione del problema romeno, mentre
la sua risposta – l’intervento militare – poteva far scoppiare una nuova “crisi
orientale”. Al. G. Golescu informava il governo Ghica sulla solidarietà
tra Lyons, Ignatiev e Prokesch-Osten, che sostenevano la posizione ottomana[64].
Steeje e Costaforu invece, annunciavano da Parigi che Budberg si opponeva
all’intervento militare[65].
Riunita su iniziativa
ottomana, il 17 maggio si svolgeva l’ottava seduta della conferenza di Parigi.
Safvet pascià propose: il mantenimento dell’unione con un principe
indigeno eletto a vita o per un periodo di 3, 4, 7 anni; l’invio di una
commissione che indagasse sul libero esercizio del voto[66].
Da Costantinopoli, Al. G. Golescu riferiva a proposito di una conversazione con
Visconti-Venosta, che gli aveva consigliato di accettare l’idea del principe
indigeno per prevenire l’intervento armato[67].
Il 20
maggio, Carlo entrava nel Paese. All’indomani, il ministro ottomano degli
Esteri esprimeva, in un telegramma, l’opinione sfavorevole nella questione del
principe straniero e insisteva che venisse nominato, d’intesa con le grandi
potenze, un funzionario ottomano o un governatore temporaneo[68].
Anche il governo di Firenze era informato su questa opinione di Fuad
pascià[69]. Il 22 maggio,
Golescu annunciava una nuova proposta: l’elezione di un principe indigeno per
un periodo di 5 anni[70].
Mentre
il governo ottomano cercava febbrilmente una soluzione alla crisi nei
Principati, Carlo entrava indisturbato a Bucarest. Coscienzioso, Teccio di Bayo
descriveva l’accoglienza organizzata dal governo, che gli sembrò
meschina, priva di lustro. I rappresentanti diplomatici non parteciparono. Egli
stesso era stato informato dell’arrivo del Principe da D.A. Sturdza e Ion
Ghica, ma non fu invitato all’evento[71].
L’arrivo
del principe Carlo in Romania provocò una nuova agitazione. Si era
sperato, fino all’ultimo momento, in un rifiuto. Invece, il nuovo principe dei
romeni, quello che aveva detto nella Camera dei deputati che, dal momento che
aveva messo piede su terra romena, “era diventato romeno in animo e cuore”,
annunciava ai monarchi dell’Europa l’accettazione del trono.
Nella
nona seduta della conferenza, Safvet pascià protestò
ufficialmente contro il principe di Hohenzollern e chiese l’intervento
militare. Se l’ultima proposta fu respinta dagli altri diplomatici[72],
per quanto riguardava il riconoscimento di Carlo, la posizione fu
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unanime. “La conferenza decise che non poteva
riconoscere la validità dell’elezione del principe di Hohenzollern e mi incaricò
di informarvi della sua decisione”[73].
I rappresentanti delle grandi potenze presenti a Bucarest non potevano avere
che relazioni ufficiosi con le autorità romene.
La
decisione della conferenza fu analizzata dai diplomatici italiani secondo gli
interessi delle potenze garanti. La Russia voleva riconquistare il sud della
Bessarabia, alla Francia non dispiaceva la candidatura di Hohenzollern, ma non
voleva irritare San Pietroburgo[74].
Lo stesso atteggiamento riservato aveva anche Bismarck. Il generale Govone
scriveva a La Marmora che Bismarck aveva dichiarato che la Prussia non sarebbe
intervenuta se il principe Carlo fosse stato allontanato[75].
Era una dichiarazione ufficiale del cancelliere, concentrato sul futuro
conflitto con l’Austria.
I
tentativi della Turchia di provocare un intervento militare a nord del Danubio
sono presentati nei rapporti diplomatici italiani. Però la reazione
negativa delle potenze europee avrebbe finito per stemperarli[76].
Per
prevenire l’ostilità ottomana, Dimitrie Bratianu venne mandato a
Belgrado[77], Costaforu
e Boerescu vengono mandati a San Pietroburgo[78].
Però la Porta non cedeva facilmente. Barral
scriveva a La Marmora: “le ministre de Turquie annonça officiellement au
gouvernement prussien que la Porte ottomane avait pris la détérmination de
faire entrer ses troupes dans les Principautés pour renverser le gouvernement
existant”[79]. Dal
rapporto di Al. G. Golescu del 28 maggio risultava la situazione critica in cui
si trovava la Romania, soprattutto perché le potenze che sembravano voler
appoggiare la causa romena, in realtà non avevano avuto posizioni ferme
nella capitale ottomana. Era sottolineata la discordanza tra la posizione della
Francia alla conferenza e quella del suo ambasciatore a Costantinopoli, mentre
la Russia manteneva le sue riserve e l’Italia non aveva appoggiato la causa
romena abbastanza eloquentemente, come aveva fatto in passato[80].
L’atteggiamento dell’Italia era spiegato da Visconti-Venosta. Dopo aver
dichiarato che la Porta era più decisa che mai ad intervenire
militarmente, disse di essere il rappresentante di un Paese che non poteva
permettersi di intervenire eccessivamente nelle faccende internazionali e non
voleva mettere a repentaglio i rapporti con la Russia[81].
A Parigi, la situazione era diversa. I rappresentanti della Francia,
Inghilterra, Prussia e della Russia erano contrari all’intervento militare,
mentre Balaceanu informava il Ministero degli Affari Esteri di Bucarest su
questa
p. 206
posizione[82].
La Marmora comunicava a Visconti-Venosta le opinioni espresse nel quadro della
conferenza: la Francia si opponeva, ma non avrebbe reagito se le truppe
ottomane avessero oltrepassato il Danubio; l’Inghilterra suggeriva alla Porta
di non decidere unilateralmente; la Russia preferiva qualsiasi altra soluzione,
fuorché militare.Tuttavia, se la conferenza non avesse imposto le sue
decisioni, Budberg dichiarò che il suo governo era costretto ad
accettare la soluzione estrema[83].
Da Berlino, Barral informava che Bismarck non voleva urtare gli interessi della
politica russa[84]. Notiamo
l’attenzione particolare manifestata dai due governi, tedesco e italiano, verso
la reazione della Russia. La guerra con l’Austria poteva scoppiare da un
momento all’altro.
Mentre
a Bucarest si decideva l’invio di Ion Ghica a Costantinopoli, Firenze, Londra,
per affrettare il riconoscimento del principe[85],
a Parigi la conferenza si riuniva per un’ultima seduta. La decisione del non
intervento militare è stata sostenuta solo dalla Francia, Inghilterra,
Italia e Prussia. In ogni caso, le decisioni della conferenza di Parigi sono
state rispettosamente ignorate da Bucarest. Paul Henry aveva colto benissimo
l’insoddisfazione dei diplomatici. “L’Europa costituita in areopago ha l’aria
di seguire l’impulso di un piccolo stato di terza mano”[86].
Il
gesto del principe Carlo sorprende e commuove ancora oggi, a 155 anni di
distanza. Il coraggio di assumersi la responsabilità di dirigere uno
stato recentemente costituito, in un contesto interno ed internazionale
incerto, è rimasto inalterato nel corso del tempo.
Lo
scoppio della guerra austro-italo-prussiana, rinviato dall’iniziativa, fallita,
di organizzare un congresso europeo, il 16 giugno, ha dato speranze al governo
ottomano nel precipitare l’intervento a nord del Danubio. Nel Paese, la
situazione economica precaria, la rivolta delle guardie di confine, le
agitazioni provocate dalla nuova costituzione, creavano un’atmosfera
incendiaria. Tuttavia, grazie al suo comportamento semplice, modesto, saggio,
il giovane principe sapeva conquistare in un mondo caotico, però
desideroso di crearsi un destino europeo[87].
La
diplomazia romena si stava mobilitando per ottenere il riconoscimento di Carlo.
Accanto agli agenti di Costantinopoli – Al. G. Golescu – e di Parigi – I.
Balaceanu -,
p. 207
furono inviati in missioni speciali Costaforu a
Steeje a San Pietroburgo, Ion Ghica a Costantinopoli, Firenze e Londra.
Qual’era
la posizione delle grandi potenze rispetto al riconoscimento del principe?
Moustier, l’ambasciatore francese a Costantinopoli, era del parere che, se il
principe fosse passato prima nella capitale ottomana, il riconoscimento sarebbe
stato un fatto compiuto[88].
Nei rapporti di Prokesch-Osten a Mensdorf, si facevano riferimenti alle
pressioni esercitate dai rappresentanti di Inghilterra, Francia, Prussia e
Italia per il riconoscimento di Carlo[89].
L’Austria, invece, sosteneva la posizione della Porta ottomana per paura di
nuove agitazioni in Transilvania[90].
Nel rapporto del 19 giugno a Mavrogheni, Al. G. Golescu elencava le condizioni
imposte dalla Porta per il riconoscimento di Carlo: la visita a Costantinopoli,
l’aumento del tributo, l’impegno a non farsi coinvolgere nelle rivolte
antiottomane[91].
A causa
della guerra austro-italo-prussiana, la conferenza di Parigi interruppe i
lavori. La questione romena andava risolta tramite un accordo diretto con la
Porta[92].
L’Italia ebbe un’influenza indiretta sulle trattative, attraverso la minaccia
rappresentata dalla rivolta dei cristiani dei Balcani. La guerra
determinò il governo ottomano a rivedere la sua tattica verso la
Romania. In questo senso, de Launnay scriveva a Ricasoli – La Marmora era
partito per il fronte - il 20 giugno:
“L’Angleterre réconnaît à la Turquie le droit d’intérvention, mais lui
conseille de ne pas en user; la France le lui conteste formellement. La Russie ne s’opposera pas éventuellement à l’exercice de ce droit
mais n’y donnera aucun encouragement »[93].
A
luglio continuavano le trattative con la Porta ottomana per il riconoscimento
di Carlo, mentre a Sadova, l’Austria era stata sconfitta. Della Croce,
l’incaricato d’affari a Costantinopoli comunicava a Visconti-Venosta, tornato
alla guida del ministero degli esteri italiano: “la questione dei principati
è in via di soluzione”. La Sublime Porta avrà riconosciuto
Hohenzollern ad alcune condizioni, che fanno l’oggetto dei negoziati attuali”[94].
A sua volta, Moustier informava Parigi che il sultano stesso era intervenuto
per accelerare le trattative. La Porta era preoccupata per le intenzioni
belliche della Russia, per le accuse
dell’Austria, per i cambiamenti avvenuti in Inghilterra. Qui si era
formato un governo torry con a capo lord Dudley e il figlio Stanley agli
Esteri.
Sotto
la pressione dei diplomatici austriaci, il governo ottomano introdusse
nell’elenco delle condizioni anche il disimpegno del governo romeno nelle
possibili rivolte in Transilvania; l’occupazione di Ismail e di Cahul da parte
delle truppe ottomane per fermare l’influenza dei rivoluzionari ungheresi[95].
Contemporaneamente,
da Parigi, Balaceanu rendeva note le opinioni sull’influenza della guerra
austro-italo-prussiana sui rapporti tra le grandi potenze, in
p. 208
un’impressionante lettera indirizzata al principe
Carlo, datata il 15 luglio. Notevoli sono le sue riflessioni sulla politica
italiana e francese. La posizione di Napoleone III verso l’Austria era ambigua,
mentre l’Italia era considerata incapace a liberare da sola Venezia. Il suo
programma del 1859 poteva essere realizzato solo tramite la Russia. E continuava:
se l’Austria avesse acconsentito a cedere Venezia, la sua alleanza con la
Francia avrebbe portato la Prussia al disastro. L’Italia avrebbe rinunciato al
trattato, mentre l’Austria avrebbe avuto
300.000 soldati in più (quelli di Venezia). Francia, invece,
avrebbe fatto un’eccellente impressione a Roma. Quando l’Austria rifiutò
di partecipare al congresso, la Francia rinunciò ad appoggiarla e
manifestò ufficialmente il suo sostegno alla causa romena. A partire da
quel momento, il pericolo di un intervento ottomano svanì[96].
In un’altra lettera assicurava Carlo che l’esito della guerra avrebbe avuto
un’importanza decisiva, che una vittoria della Prussia avrebbe consolidato la
sua posizione[97].
Nel
frattempo, a Costantinopoli, Ion Ghica riceveva dal governo ottomano le nuove
condizioni per il riconoscimento di Carlo: mantenimento della denominazione
Principati Uniti, riconoscimento della sovranità del sultano, il viaggio
immediato a Costantinopoli, dignità principesca elettiva, l’esercito romeno
non doveva superare la cifra stabilita dalla convenzione del 1858, introduzione
della censura e sorveglianza delle agitazioni politiche, i Principati non
dovevano avere rapporti e non dovevano concludere convenzioni diplomatiche con
altri stati, un agente ottomano presente a Bucarest avrebbe sorvegliato gli
interessi degli abitanti dell’Impero, aumento del tributo, i Principati non
potevano coniare moneta né medaglie, le infrazioni commesse avrebbero dato alla
Porta libertà di azione[98].
Le
proposte furono accolte con freddezza a Bucarest. La risposta di Carlo fu la
promulgazione della costituzione, in cui i rapporti di sottomissione alla Porta
e alle potenze garanti erano ignorati. Le trattative continuarono nel mese di
agosto, in un’atmosfera tesa. Per dare una spinta, Al. G. Golescu proponeva al
principe di fare una visita improvvisa a Costantinopoli[99].
Il principe replicò che sarebbe andato nella capitale imperiale solo
dopo il suo riconoscimento da parte del sultano[100].
Della
Croce informava Visconti-Venosta sul ritmo lento delle trattative
romeno-ottomane[101].
La diplomazia italiana conosceva gli eventi di Bucarest. Nelle istruzioni del
18 agosto, Visconti-Venosta consigliava Teccio di Bayo di protestare contro
l’articolo 7 della costituzione, insieme ai consoli francese e inglese[102].
La pace
tra l’Austria e la Prussia veniva firmata il 23 agosto 1866 a Praga. Una delle
sue disposizioni si riferiva alla cessione di Venezia all’Austria da parte
della Francia. A sua volta, l’ultima l’avrebbe ceduta all’Italia. La diplomazia
italiana era concentrata su queste trattative, però il suo interesse per
i Balcani non era diminuito. Una nuova rivolta minacciava la pace in zona: il 2
settembre, Creta proclamava la sua unione con la Grecia. Il 29 agosto,
Visconti-Venosta spingeva la Porta ad accelerare il riconoscimento di Carlo, il
p. 209
principio dell’ereditarietà essendo
assolutamente necessario per la prosperità e la tranquillità
dello stato romeno[103].
L’intenzione
della Porta di discutere il riconoscimento di Carlo nel quadro di una nuova
conferenza fallì anche grazie alle azioni di A.G. Golescu[104].
Nel
settembre-ottobre 1866, i negoziati per il riconoscimento del principe erano
arrivati al traguardo. Carlo incaricava D.A. Sturdza e G. Stirbey a
Costantinopoli e Dimitrie Bratianu a Parigi di compiti speciali per portare a
termine le trattative.
Prima
di partire per Parigi per insediarsi come primo ministro, Moustier elabora il
progetto della lettera ufficiale ottomana che doveva essere consegnata al principe e in cui gli veniva riconosciuto
il titolo di principe. I turchi erano pronti a cedere, a causa dei problemi in
Creta[105].
All’inizio di ottobre, Carlo era deciso ad andare a Costantinopoli. Aveva
esitato per via dei massacri ottomani
in Creta ma soprattutto a causa dell’espressione “parte integrante dell’Impero
ottomano”, che i diplomatici romeni avevano cercato in vano di eliminare. Si
era arrivato ad un compromesso, con la seguente aggiunta: “nei limiti fissati
dai trattati e dalle capitolazioni”[106].
D. Il canto
del cigno dei piani rivoluzionari
La
guerra austro-italo-prussiana riaccese le speranze dei magiari nel realizzare
un’ampia coalizione antiaustriaca, in cui potevano essere coinvolti italiani,
croati, serbi, romeni. Avrebbero agito per organizzare la coalizione sia il
Comitato nazionale di Budapest con a capo Komaromy, Csàki, sia quelli
dell’emigrazione: Klapka, Türr, Eber, Kossuth. L’ultimo tornava nell’arena
politica dopo un periodo di assenza dovuta a motivi personali. Da parte
italiana, i piani furono sostenuti dal barone Ricasoli – primo ministro nel
giugno 1866, Visconti-Venosta, Marcello Cerruti, Garibaldi, i consoli Scovasso
(Belgrado) e Teccio di Bayo (Bucarest). Sarebbero stati contattati Eugenio
Kvaternik, Imre Tkalac, Garaèanin, Mihail Obrenovic, Bismarck, il principe
Carlo. Su un’altra linea agivano Mazzini, il suo emissario Mariano Langiewicz,
che stabiliva rapporti con i liberal-radicali di Bucarest.
Nel
memoriale del settembre 1865, redatto da Komaromy e consegnato tramite Csaki ai
ministri Sella, Lanza e Ricasoli, venivano presentate le prospettive di un
nuovo movimento. Le speranze erano legate anche all’attività
dell’opposizione di Bucarest, che voleva rovesciare Cuza. L’evento avrebbe
provocato agitazioni nella zona del Basso Danubio, di cui avrebbero beneficiato
i magiari e gli italiani[107].
Va sottolineato che, nello stesso periodo, Scovasso era stato contattato dal
console romeno a Belgrado, Callimachi, che si era informato della posizione
dell’Italia in una possibile rivolta in Transilvania, appoggiata dal principe
Cuza. Siccome il principe Cuza aveva perso la sua credibilità
p. 210
politica, il console italiano gli disse freddamente
che di volontari pronti all’azione se ne potevano trovare ma che,
personalmente, dubitava della riuscita di tale impresa[108].
Nel
marzo-aprile 1866, le trattative si andavano intensificando. Türr scriveva a
Cerrutti di mantenere i contatti con Kvaternick[109],
mentre Kossuth si interessò se l’accordo concluso nel 1860 era valido
nelle condizioni di guerra[110].
L’allontanamento
di Cuza e la situazione critica dei Principati fecero scattare un’ampia
operazione da parte delle diplomazie russa e ottomana, di sondaggio dei governi
europei. I rappresentanti italiani di San Pietroburgo[111]
e Costantinopoli[112]
erano interrogati a proposito del coinvolgimento del loro paese nelle
complicazioni balcaniche.
All’inizio
del giugno 1866, un nuovo memoriale dell’emigrazione magiara indirizzato al
governo italiano sintetizzava l’evoluzione dei rapporti tra le due nazioni.
Alla fine si affermava che, per avere un governo forte, ci volevano armi e
denaro, la riconcialiazione tra Kossuth e il comitato di Budapest,
l’organizzazione di un movimento insurrezionale in Ungheria[113].
Da Belgrado, Scovasso informava che il governo serbo era più interessato
che mai in un grande movimento in Turchia, al momento dello scoppio della
guerra austro-italo-prussiana[114].
All’indomani
della dichiarazione di guerra dell’Italia, si presentava il progetto di
costituzione di una legione ungherese. Questa poteva includere anche i croati e
i serbi, si poteva organizzare una spedizione sulle coste dell’Adriatico verso
l’Ungheria, mentre l’esercito prussiano l’avrebbe appoggiata. Per la buona
organizzazione dell’azione, sarebbero stati coinvolti la Serbia e i Principati
Uniti[115].
I piani
dell’emigrazione ungherese erano noti all’agente romeno a Parigi, Ioan
Balaceanu. Quest’ultimo informava Carlo dell’arrivo a Bucarest del generale
Türr. Consigliava il principe di concludere un accordo con il dirigente magiaro
solo se erano rispettate le seguenti condizioni: la Transilvania doveva
diventare uno stato autonomo nel quadro del regno ungherese; chiedere garanzie
da parte della Prussia e dell’Italia; firmare la pace solo dopo che l’Austria
avrebbe ceduto la Bucovina; assicurarsi che il generale Türr aveva l’accordo
del partito moderato, senza il quale l’azione non era possibile[116].
Nella lettera del 15 giugno, Balaceanu presentò Türr come “uno dei
dirigenti ungheresi in cui il liberalismo sincero e intelligente respinge il
tentativo di annientamento da parte dell’elemento ungherese delle razze che
formano il vecchio regno. Il carattere leale e cavalleresco del generale,
nonché le sue opinioni lo impongono come il mediatore ideale tra le
nazionalità romena e ungherese, al fine di un’intesa e di un’azione comune”.
Türr
p. 211
sarebbe passato per Berlino e avrebbe ricevuto
l’approvazione degli ufficiali prussiani[117].
Il suo progetto destò l’interesse di Bismarck.
Il
rappresentante del Comitato nazionale ungherese presso il governo italiano
sarebbe stato Theodor Csaki[118].
Fu deciso che il percorso della spedizione ungherese passasse per Trieste o per
Fiume[119].
Uno dei
centri dove avvenivano i contatti italo-ungheresi era Belgrado. Tramite il
governo serbo si tentava di contattare Bucarest. In questo senso, Prohasca
informò D.A. Sturdza sull’invio di una missione serba guidata da
Hristici e dal capitano Nicolici[120].
La missione ufficiale era quella di fare gli auguri al principe, quella segreta
di incoraggiare in Transilvania una rivolta per far scoppiare la rivoluzione
magiara[121]. Nella
capitale della Serbia arrivò anche un consigliere tedesco, inviato
speciale di Bismarck per discutere con il principe Michele[122].
Nel
rapporto confidenziale del 14 luglio, Balaceanu consigliava il principe, nel
contesto dei contatti romeno-ungheresi: se la situazione lo avesse permesso,
Carlo non doveva esitare ad allearsi con i magiari, ma lo doveva condizionare
dall’unione della Bucovina con lo stato romeno. Nell’eventualità della
continuazione della guerra, la posizione della Romania doveva essere simile a
quella del Piemonte: “siate per la Prussia e per l’Italia quello che Vittorio
Emanuele è stato per la Francia e per l’Inghilterra nella guerra
d’Oriente”.
Benché
a luglio fossero iniziate le trattative per la pace, l’Italia era scontenta per
la cessione di Venezia alla Francia e perché le discussioni ignoravano il
destino dei territori di Fiume e Trieste. La vittoria della Prussia a Sadova
ridusse notevolmente i tentativi dell’Austria di imporsi nel mondo tedesco. Si
prefigurava anche un’alleanza franco-austriaca. Il governo italiano,
insoddisfatto per l’evoluzione delle trattative continuò, in modo non
ufficiale, ad appoggiare la lotta dei serbi, dei magiari e dei croati.
Il 18
luglio, Csaki informava Visconti-Venosta che si era cominciato ad organizzare
una legione ungherese in Prussia[123].
Nello stesso periodo, Türr scriveva da Bucarest che quattro gruppi di volontari
ungheresi erano pronti ad agire in Transilvania e a fare pressioni su Garibaldi
affinché accettasse di guidare l’operazione nell’Adriatico[124].
Mentre
la legione ungherese in Italia si stava riorganizzando, il generale Cialdini
affidò la guardia degli ospedali e dei malati[125],
Kossuth sperò che la spedizione in Ungheria avrebbe goduto dell’appoggio
della Prussia. “Il piano era accettato in principio dal barone Ricasoli; la sua
esecuzione dipendeva dall’assicurazione che Bismarck avrebbe dato, nel senso
che la Prussia non avrebbe abbandonato l’Italia”[126].
Da Bucarest, Türr scriveva che il generale gli propose di guidare un esercito
di 40.000 soldati[127].
p. 212
Nell’estate
del 1866 si poneva il problema, almeno in teoria, della dissoluzione
dell’Impero austriaco. Scovasso riferiva a Visconti-Venosta una conversazione
con il principe Obrenovic. L’ultimo gli disse che il nemico della Serbia era
l’Austria e non la Turchia. Dopo che era stata sconfitta nel mondo tedesco,
Vienna avrebbe cercato compensazioni nei Balcani. Il dirigente serbo auspicava
che al posto dell’Impero austriaco si costituisse una confederazione danubiana[128].
Della stessa opinione era anche Mazzini. Il 16 giugno, egli scriveva a Mariano
Langiewicz: “spingiamo i slavi del sud, i romeni e i greci per sollevare il doppio problema austriaco e
turco”[129]. E
continuava: la liquidazione dei due imperi avrebbe avuto come risultato
l’alleanza strategica dei tre elementi: jugoslavi, greci e romeni. Si sarebbe
costituita una confederazione eleno-illirica fino a Costantinopoli, il centro
federale e un’altra confederazione danubiana dalla Romania fino alla Cecchia[130].
Avvisava C.A. Rosetti, Epaminondo Deligiorgis e Bulgaris dell’arrivo di
Langiewicz. “Il momento è di una vitale importanza per le
nazionalità, se sappiamo approfittarne”, scriveva a Rosetti, pregandolo
di fare gli auguri a Bratianu[131].
La
firma dell’armistizio provocò panico nell’emigrazione ungherese. Kossuth
comunicava a Csaki[132],
e Cerrutti a Türr, che la sorte dell’azione dipendeva solo dalla ripresa delle
ostilità. Türr credeva che il conflitto sarebbe scoppiato, soprattutto
che il principe Michele aveva promesso di appoggiarlo[133].
Nello stesso periodo, il colonnello Frapolli, che aveva ricevuto istruzioni di
stabilire un contatto con la legione ungherese in Prussia, informava Kossuth e
Csaki della missione di Türr in Oriente. Il generale ungherese aveva assicurato
il governo ottomano che gli interessi della Turchia nei Balcani non erano in
pericolo. A Bucarest contattò persone influenti e riuscì a
costituire gruppi di volontari per la Transilvania[134].
La prospettiva della conclusione della guerra destava incertezze nelle
nazionalità. Imre Tkalac, il croato,
si rivolse a Cerrutti chiedendogli spiegazioni circa la posizione
dell’Italia[135], mentre
Türr scriveva allo stesso che gli sembrava doloroso trovarsi ai confini del suo
paese, pronto ad agire, mentre la pace stava per essere conclusa[136].
Il dirigente ungherese ricevette dal console prussiano a Bucarest la notizia
che qualsiasi azione sarebbe stata sospesa[137].
Dopo la
firma della pace tra la Prussia e l’Austria, le speranze in un’azione
rivoluzionaria svanirono. L’Italia non poteva appoggiare da sola una tale
azione, soprattutto che il re di Prussia e la sua corte non desideravano la
dissoluzione dell’impero austriaco. Nonostante questo Kossuth si batteva per la
sorte della legione ungherese in Italia.
Türr
credeva che le insoddisfazioni italiane riguardo la pace di Praga si sarebbero
concretizzate in un conflitto italo-austriaco. Partì da Belgrado per
Bucarest per convincersi
p. 213
dell’appoggio di Carlo[138].
Però era troppo tardi. Nello spazio romeno, le cose si erano sistemate
con il riconoscimento di Carlo.
Nel 1866, i destini
dell’Italia e della Romania si intrecciarono ancora una volta. I preparativi
per la guerra austro-italo-prussiana distrasse l’attenzione delle grandi
potenze dagli eventi nella zona del Basso Danubio. La posizione degli ambasciatori
delle potenze garanti nell’ambito della conferenza di Parigi fu inconsistente,
le decisioni prese non furono imposte ai Principati per paura delle agitazioni
balcaniche.
Traduzione in italiano di Nicoleta Panait
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[1] Alfonso La Marmora,
Un po’ più di luce, ed. V,
Firenze, 1872: 58.
[2] Nigra a La Marmora,
DDI, vol. VI: 327.
[3] Lo stesso, Parigi,
24 febbraio 1866, ibidem: 390-393;
vedi anche Basilio Cialdea, L’Italia nel concerto europeo (1861-1867), Torino,
1966: 365-367.
[4] I Documenti Diplomatici Italiani, prima
serie (1861-1870), Roma, vol. VI,
1983: 394.
[5] D’Azeglio a La
Marmora, Londra, 26 febbraio 1866, ibidem:
396.
[6] Ibidem: 408.
[7] Nigra a La Marmora,
Parigi, 1 marzo 1866, ibidem:
408-410.
[8] Ibidem: 420-421.
[9] Paul Henry: 197.
[10] La Marmora a Nigra, Firenze, 11 marzo 1866, DDI, vol. VI: 433-434.
[11] De Launay a La Marmora, San Pietroburgo, 28
febbraio 1866, in ibidem: 401-403.
[12] Lo stesso, 17 marzo 1866, in ibidem: 503.
[13] Basilio Cialdea,
op. cit.: 363.
[14] Strambio a La Marmora,
23 febbraio 1866, DDI, VI: 387-388.
[15] Ibidem: 395.
[16] San Pietroburgo, 28
febbraio 1866, ibidem: 401-403.
[17] Greppi a La
Marmora, Costantinopoli, 28 febbraio 1866, ibidem:
404-405.
[18] Lo stesso, 1 marzo
1866, ibidem: 406.
[19] La Marmora a de
Bavar, a Berlino, D’Azeglio a Londra, de Launnay a San Pietroburgo, Firenze, 5
marzo 1866, in DDI, vol. VI: 416. La
stessa idea era sottolineata nel rapporto di De Launnay a La Marmora del 7
marzo 1866, in ibidem: 422.
[20] D’Azeglio a La
Marmora, Londra, 1 marzo 1866, in ibidem:
416.
[21] San Pietroburgo, 7
marzo 1866, in ibidem: 422.
[22] Ibidem: 423-424.
[23] Paul Henry, op. cit.: 203-206.
[24] Nigra a La Marmora,
Parigi, 10 marzo 1866, DDI, vol. VI:
432.
[25] Nigra a La Marmora,
Parigi, 12 marzo 1866, in ibidem:
436-437.
[26] De Launnay a La
Marmora, San Pietroburgo, 16 marzo 1866, in ibidem:
445.
[27] La Marmora a Nigra,
Firenze, 15 marzo 1866, in ibidem:
447-449.
[28] La Marmora a
Barral, Firenze, 17 marzo 1866, in ibidem:
456-457.
[29] Nigra a La Marmora,
Parigi, 20 marzo1866, DDI, vol. VI:
475-477; vedi anche Archives
diplomatiques, Parigi, 1867, Protocollo n. 2: 615-624.
[30] DDI, vol. VI: 489-490.
[31] L’argomento
è stato trattato da: Neagu Djuvara,
"Les souvenirs politiques et diplomatiques de Jean Bãlãceanu. Une autre
version de la “decouverte” de la candidature Hohenzollern au trône de la
Roumanie en 1866", Buletinul
Bibliotecii Române, serie nouã, 14 (18) (1987-1989); Dan Berindei, "Documente inedite
privind începuturile domniei principelui Carol I", Memoriile Secþiei de ªtiinþe Istorice ºi Arheologie, seria IV, 20
(1995): 7-23.
[32] D’Azeglio, Londra,
26 marzo 1866, DDI, vol. VI: 492. Il
24 marzo, Appony scriveva a Mensdorf, a proposito dell’atteggiamento di
Clarendon. Quest’ultimo non era d’accordo con la soluzione del principe
straniero, né con l’intervento militare. Paul
Henry, op. cit.: 261-262.
[33] DDI, vol. VI: 500.
[34] Ibidem: 501-502.
[35] Ibidem: 512.
[36] Basilio Cialdea, op. cit.: 393.
[37] Archives
diplomatiques, 1867, vol. II: 636.
[38] La Marmora a
Visconti Venosta, Firenze, 31 marzo 1866, DDI,
vol. VI: 525-553.
[39] Basilio Cialdea, op. cit.: 398.
[40] DDI, vol. VI: 561.
[41] “Cette candidature a été ménagée par
Bratianu, par des intermédiaires italiens en premier lieu et prussiens en
second lieu”, Paul Henry, op. cit.: 304.
[42] Barral da Berlino,
informava che Bismark sapeva della partenza di Carlo e sperava nel risultato
del plebiscito. Emile Olivier,
L’Empire libéral, vol. V, Paris,
1900: 87.
[43] Boerescu, Steeje,
Fãlcoianu al Ministero degli Affari Esteri, Parigi, 14 aprile 1866, ANIC, fondo
Casa Reale, cartella 17/1866: 1-14.
[44] Barral a La Marmora: “Notre
impression, au général (Govone n.n.) et à moi est que Bismark est.. par
la proposition autrichienne et visiblement découragé par la nouvelle phase
pacifique où va entrer le conflit", La Marmora, op. cit.: 159.
[45] Pera, 13 aprile
1866, Ministero Affari Esteri, fondo Costantinopoli, vol. 91.
[46] DDI, vol. VI: 595.
[47] Ibidem: 594.
[48] Belgrado, 12 aprile
1866, in ibidem: 580-581.
[49] D’Azeglio a La
Marmora, Londra, 17 aprile 1866, in ibidem:
597-598.
[50] Ibidem: 600.
[51] Al. G. Golescu a
Ion Ghica, Costantinopoli, 22 aprile 1866, in M. A. E., Archivio storico, vol.
125: 288-292.
[52] Nigra a La Marmora,
Parigi, 22 aprile 1866, DDI, vol. VI:
606.
[53] Sul coinvolgimento
della Russia negli eventi di Iasi, vedi M. D. Sturdza,
"La Russie e la desunion des Principautes roumains, 1864-1866", Cahiers du monde russe et sovietique,
luglio-settembre 1971, n. 3.
[54] D. A. Sturdza, Autoritatea...: 46-53.
[55] B. A. R., carteggio
Balaceanu, S 65/DCVII.
[56] D. A. Sturdza, Autoritatea...: 942-944.
[57] B. A. R., carteggio
Balaceanu, S 75/DCVII.
[58] D. A. Sturdza, Autoritatea...: 940.
[59] Costaforu, Steeje,
al MAE, 8 maggio 1866, Parigi, in ANIC, fondo Casa Reale, cartella 27/1866:
1-8.
[60] Telegramma n.
2094/3426, 9 maggio 1866, ore 4 del pomeriggio, in Archivio M. A. E., fondo
Costantinopoli, vol. 91.
[61] La Marmora, op. cit.: 227-228.
[62] Ibidem: 229, 238.
[63] Ibidem: 237.
[64] Al. G. Golescu,
Costantinopoli, 14 maggio 1866, nell’Archivio MAE, fondo Costantinopoli, vol.
103.
[65] Steege, Costaforu a
Ion Ghica, Parigi, 13 maggio 1866, ANIC, Casa Reale, cartella 72/1866: 44.
[66] Il Protocollo VIII
della conferenza del 17 maggio 1866, in D. A. Sturdza,
Autoritatea...: 132-135.
[67] Pera, 19 maggio
1866, Archivio M. A. E., fondo Costantinopoli, vol. 91.
[68] Fuad al governo
provvisorio di Bucarest, Costantinopoli, 21 maggio 1866, Biblioteca Nazionale,
fondo Bratianu, pacco LI, cartella 7.
[69] Visconti-Venosta a
La Marmora, 21 maggio 1866, DDI, vol.
VI: 702.
[70] Al. G. Golescu a
Ion Ghica, Costantinopoli, 22 maggio 1866, Archivio MAE, fondo Costantinopoli,
vol. 91.
[71] Bucarest, 23 maggio
1866, DDI, vol. VI: 712-713.
[72] Due giorni prima
dell’apertura della conferenza, Balaceanu annunciava che la Francia, l’Italia e
la Russia si opponevano all’intervento militare, B. A. R., carteggio Balaceanu
S 114/DCVIII.
[73] D.A. Sturdza, Autoritatea...: 142-144.
[74] Blanc a
Visconti-Venosta, Firenze, 25 maggio 1866, DDI,
vol. VI: 717.
[75] Alfonso La Marmora, op. cit.: 243.
[76] Nigra comunicava a La Marmora: “Le
gouvernement francais est contraire à toute intervention armée dans les
Principautés. M. Drouyn de Lhuys a rappellé dans la dernière séance que
la Porte ne peut pas procéder à une occupation sans le consentement et
l’accord des puissances", in ibidem:
251-252.
[77] Archivio M. A. E.,
Archivio storico, vol. 125: 354.
[78] La loro missione
era incoraggiata da Budberg e da Drouyn de Lhuys, che avevano manifestato la
loro simpatia per Carlo e avevano suggerito un aumento del tributo affinché il
principe fosse riconosciuto dalla Porta. Costaforu, Boerescu, rapporto del 25
maggio 1866, ANIC, fondo Casa Reale, cartella 31: 1-2.
[79] La Marmora, op. cit.: 254. La stessa cosa era notificata da Visconti-Venosta
nel telegramma 349 del 27 maggio 1866, DDI,
vol. VI: 721.
[80] Costantinopoli, 28
maggio 1866, rapporto n. 9, Archivio MAE, fondo Costantinopoli, vol. 81.
[81] Visconti-Venosta a
La Marmora, Pera, 30 maggio 1866, DDI,
vol. VI: 731-732.
[82] Balaceanu al MAE,
telegramma n. 6103/838 del 27 maggio 1866, Parigi, in B. A. R., carteggio
Balaceanu, S 121/DCVIII.
[83] DDI, vol. VI: 737-738.
[84] La Marmora, op. cit.: 260. Bismarck suggeriva a Costaforu e Steege, che erano
in viaggio per la Russia, di conquistare ad ogni prezzo il suo appoggio per il
riconoscimento di Carlo. Costaforu, Steege al MAE, San Pietroburgo, 8 giugno
1866, Archivio MAE, fondo Costantinopoli, vol. 91.
[85] Mavrogheni a Al. G.
Golescu, Bucarest, 3 giugno 1866, BAR, carteggio Al. G. Golescu, S 144/DCVII.
[86] Paul Henry, op. cit.: 291.
[87] Ecco l’impressione del barone Avril, il rappresentante della Francia a
Bucarest: “cette impression est
très bonne. Au premier abord, on l’a trouvé un peu jeune, mais la fermeté de sa parole
à l’Assemblée a produit un grand et favorable effet. En prêtant
attention à tout, il montre qu’il prend sa position au serieux, ce qui
manquait à son prédécesseur ; il est poli et abordable, mais il
laisse tout le monde à une certaine distance. Sa courtoisie et sa
simplicité sont celle d’un homme qui se sent supérieur par quelque côté
à tout ce qui l’entoure. Les Roumains voient qu’ils ont à faire
à un vrai prince", Paul Henry, op. cit.: 392-393.
[88] Paul Henry, op. cit.: 392-393.
[89] Ibidem: 414.
[90] Balaceanu al MAE,
telegramma n. 4197/483, Parigi, 17 giugno 1866, ANIC, fondo Casa Reale, vol.
30: 10.
[91] Archivio MAE, fondo
Costantinopoli, vol. 91.
[92] D. A. Sturdza a Al.
G. Golescu, nota diplomatica n. 2775, Bucarest, 24 giugno 1866, Archivio MAE,
fondo Costantinopoli, vol. 91.
[93] DDI, vol. VII: 3-4.
[94] Ibidem: 44.
[95] D. A. Sturdza a Al.
G. Golescu a Costantinopoli, Bucarest, 18 luglio e a Balaceanu a Parigi,
nell’Archivio MAE, fondo Costantinopoli, vol. 91 e fondo Parigi, vol. 2.
[96] ANIC, fondo Casa
Reale, cartella 41/1866: 13-30.
[97] Ibidem, cartella 30/1866: 23.
[98] Paul Henry, op. cit.: 437.
[99] Costantinopoli, 2
agosto 1866, Archivio MAE, fondo Costantinopoli, vol. 91.
[100] Il governo
principesco a Balaceanu, Bucarest, 11 agosto 1866, BAR, carteggio Balaceanu, S
17 (8)/CCXXXVIII.
[101] Costantinopoli, 7
agosto 1866, DDI, vol. VII: 202.
[102] Ibidem: 255.
[103] Ibidem: 312.
[104] Significativo
è il suo rapporto del 27 agosto 1866, in cui narrava la conversazione
con Aali pascià, Archivio MAE, fondo Costantinopoli, vol. 91.
[105] D. A. Sturdza a
Mavrogheni, Therapia, 23 settembre 1866, in ibidem:
26-31.
[106] Ibidem, 8 ottobre 1866, cartella
31/1866: 10.
[107] Csaki a Cerrutti, Genova, 25 settembre 1865: “Le général Eber est arrivé ici il y a quelques jours, accompagné du
prince Ghika, ci-devant prince de Samos, Ministre Président et Président du
Sénat dans les Principautés Unies et de Balatrano, ci devant ministre dans les
mêmes principautés... Ces messieurs sont retournés en leur patrie pour se
munir d’une autorisation signée par les principaux chefs des différentes
parties qui se sont unies pour renverser le Prince Cuza", DDI, vol. VI: 198.
[108] Belgrado, 21
settembre 1865, in ibidem: 192.
[109] Ibidem: 505.
[110] Ibidem: 582-583.
[111] San Pietroburgo, 18 aprile 1866: “Prince
Gortchacow à réçu de Constantinople des renseignements d’après
lesquels on nous suppose des menées révolutionaires dans les Principautés du
Danube. J’aurai soin de repousser ces insinuations", in ibidem: 598.
[112] Costantinopoli, 16
maggio 1866: “Le maggiori preoccupazioni della Porta si rivolgono a due
oggetti: la questione dei Principati e il timore del contraccolpo che una
guerra in Italia e gli avvenimenti di cui l’Adriatico sarebbe il teatro,
potrebbero cagionare nell’animo delle popolazioni cristiane dell’Arcipelago e
dell’Adriatico, fra le quali non mancano i sintomi d’agitazione”, in ibidem: 689.
[113] Ibidem: 768-771.
[114] Belgrado, 7 giugno
1866, in ibidem: 768-769.
[115] Ibidem: 798-801.
[116] Balaceanu a Carlo,
nota, ANIC, Casa Reale, carteggio 41/1866: 11-12.
[117] Parigi, 15 giugno
1866, ANIC, Casa Reale, cartella 41/1866: 1-2.
[118] DDI, vol. VII: 4.
[119] Ibidem: 5-6.
[120] Prohasca al MAE,
Belgrado, 16 luglio 1866, rapporto n. 41, Archivio MAE, Archivio storico, vol.
125: 376.
[121] Scovano a
Visconti-Venosta, Belgrado, 14 luglio 1866, DDI,
vol. VII: 82.
[122] Ibidem: 57.
[123] DDI, vol. VII: 97.
[124] Bucarest, 19 luglio
1866, DDI, vol. VII: 100-101.
[125] Firenze, 19 luglio
1866, in ibidem: 104.
[126] Ibidem: 117.
[127] Ibidem: 120.
[128] Belgrado, 24 luglio
1866, in ibidem: 125-128.
[129] Mazzini, Epistolario, vol. 51: 191-192.
[130] Ibidem: 254-257.
[131] Ibidem: 258.
[132] Firenze, 27 luglio
1866, DDI, vol. VII: 133.
[133] Belgrado, 30 luglio
1866, in ibidem: 158.
[134] Ibidem: 158-160.
[135] Parigi, 30 luglio
1866, in ibidem: 162-164.
[136] Belgrado, 31 luglio
1866, in ibidem: 165.
[137] Belgrado, 2 agosto
1866, in ibidem: 175.
[138] G. Stirbey a
Golescu, a Costantinopoli, 10/22 agosto 1866, Archivio MAE, fondo
Costantinopoli, vol. 91.