Sommario

  • La passione civile de “l'altra Italia”

  • Bernardino Carboncini. Ricordi...

  • Rodolfo Valentino l'inatteso

  • Le feste a Follonica (parte I)
    Dai palii a fantino del 1832 alle cuccagne del 1900

  • Le feste a Follonica (parte II)
    Dalla celebrazione del 1904 alle fiere 1947

  • Le poesie di Giancarlo Cheli

  • Un valdese nella rivoluzione

  • La schiaccia di strutto

  • Amnesty International
    Caso Olivera
    Sierra Leone
    Filippine

  • La redazione

  • ARCHIVIO
  • LA RISVEGLIA

    quadrimestrale di varia umanità
    n.5 Settembre - Dicembre 2000

    Bernardino Carboncini (1)

    Cenni autobiografici

    Nel primo ventennio

    Dopo le classi elementari frequentai quella modesta Scuola Tecnica Comunale che costituì un grande merito dell'amministrazione Civica del tempo.
    A quindici anni lavoravo con mio padre che era un ottimo Sarto ed un buon commerciante: ma attratto dalle tradizioni dell'ambiente Massetano, ispirato da indomita passione patriottica confermata col pensiero e coll'azione in tutte le battaglie del Risorgimento nazionale, fui preso della Politica repubblicana, dedicandole sempre (per danno mio e dei miei cari) due buoni terzi della mia attività.
    Dal 1882 al 1887 avvennero frequenti agitazioni operaie e politiche alle quali presi parte e ciò mi fece segnalare dalla polizia (allora molto severa contro i repubblicani) quale sovversivo.

    Servizio militare

    Nel novembre 1887 andai soldato nell'11 Fanteria a Rimini e nel gennaio successivo fui trasferito in Sicilia. Immediatamente a Rimini, eppoi a Palermo, si rivelarono gli effetti delle informazioni date dalla polizia. Fui subito confinato alla Compagnia deposito del reggimento senza la minima occupazione e senza specificazione di accuse.
    Al deposito no; ma a Palermo, assegnato alla 5 Compagnia, fui molto perseguitato, al plotone allievi istruttori, nel quale ero stato ammesso circa due mesi dopo del suo inizio. Finalmente per l'interessamento del mio zio di Siena, Alfonso Marzini, e dell'amico Vittorio Nardini di Manciano, il Tenente aiutante maggiore, Arturo Fratini, fratello del medico condotto di quel paese, la mia posizione venne chiarita, al Comando del reggimento, e non ebbi più noie.

    Negli Uffici Amministrativi

    Dopo le spiegazioni avvenute coll'aiutante maggiore in prima Capitano Rucci (?), fui chiamato all'ufficio di amministrazione, ove mi conquistai la simpatia dei colleghi divenuti quasi tutti repubblicani sotto ufficiali compresi.

    Onoranze a Giordano Bruno

    Nel giugno 1889 trovai modo di ottenere una licenza per rivedere i miei cari; ma combinata che nel ritorno al reggimento mi desse modo di essere presente a Roma all'inaugurazione del monumento a Giordano Bruno in campo di Fiori. Vestito in borghese fui sempre unito ai numerosi amici Massetani che erano intervenuti, colla Fanfara, ad onorare il martire di Avola. La sera mi trovai in Trastevere ad un raduno nel quale erano Fratti, Cibboni (?), Narratone, Pantano, Arconati, Gattorno, Castagneta, Andrea Costa ed altri notissimi esponenti delle correnti democratiche.

    Trasferimento del reggimento da Palermo a Trapani

    Nell'autunno del 1889 il reggimento si trasferiva a Trapani ove, per tramite del fedele amico e corrispondente di Marzini - Andrea Giannelli - conobbi l'ing. Zani e due giovani delle Puglie impiegati all'ufficio telegrafico. Erano tutti affiliati all'alleanza repubblicana universale. Con essi avvenne una fraterna intesa e fu possibile costituire una modesta sezione del partito repubblicano.

    Costituita la Cooperativa di Consumo

    Nell'agosto 1890 venni congedato dal servizio militare e tornato a casa continuai a lavorare con mio padre. La vita pubblica, però, era il mio principale obiettivo. Con altri amici e fra questi il carissimo Gaetano Badii competentissimo, fu organizzata una Cooperativa che divenne fiorente, della quale divenni contabile.

    Concorso al posto di Vice-Direttore-Economo del Ricovero di mendicità Giovanni Falusi

    Nel 1895 partecipavo ad un concorso pubblico per il posto di Vice-Direttoe-Economo dell'istituendo ricovero di mendicità Giovanni Falusi. Fra numerosi concorrenti fu prescelto il mio nome ed assumevo il posto il primo gennaio 1896, giorno dell'inaugurazione dell'Istituto.

    Consigliere comunale

    In tale epoca ero Consigliere del Comune: ma alcuni di coloro che avevano preso parte al Concorso di Vice-Direttore-Economo del Ricovero Falusi, ed affiliati del partito socialista locale, fecero immediatamente ricorso legale per la mia presunta incompatibilità di Consigliere del Comune e di impiegato di Ente Locale. Tale ricorso non ebbe conseguenze perché, dato il momento, ritenni opportuno dimettermi dalla Civica Amministrazione.

    Solidale cogli amici repubblicani

    Benché fuori dal Consiglio Comunale non diminuì affatto la mia assidua collaborazione cogli amici amministratori e mi dedicai a prospettare sulla stampa i problemi locali, provocando polemiche e quindi intenso interessamento dei cittadini alla vita pubblica.

    Nomina ad agente delle “Assicurazioni Generali” di Venezia

    Nel 1901 assumevo l'incarico di sotto-agente delle Assicurazioni Generali di venezia e nel novembre 1903 venivo nominato Agente Principale nel territorio di Massa Marittima, Follonica, Gavorrano, Montieri e Castelnuovo Val di Cecina.

    Consorzio del Dazio Consumo

    Nello stesso anno, 1901, volli tentare un difficile esperimento. La tassa di dazio consumo era allora odiosa ed avversata da tutte le correnti tendenti al progresso sociale. Tuttavia quasi tutti i Comuni l'adottarono pur limitandone il gettito all'indispensabile.
    L'esazione era difficoltosa perché il sistema della municipalizzazione non rendeva e le imprese private procuravano sensibili lagnanze.
    Le correnti di pensiero democratico raccomandavano la costituzione di Concorsi, che furono attuati in vari Comuni con scarso successo. Io volli fare l'esperimento che diede ottimi risultati nel quinquennio 1901-1905 e che fu ripetuto nel quinquennio 1906-1910 con soddisfazione generale degli esercenti e delle popolazioni di tutto il Comune le quali ebbero considerevoli facilitazioni e sensibili vantaggi.

    Di nuovo nel Consiglio Comunale

    Nel 1902 gli amici repubblicani vollero riportarmi al Consiglio Comunale e si può leggere il mio profilo di candidato alle elezioni nell'Etruria Nuova del 29 luglio 1902. Avvenute le elezioni colla vittoria della lista repubblicana, gli amici insistettero per eleggermi Sindaco; ma rifiutai perché i socialisti tornarono a presentare ricorso contro la mia elezione a consigliere ed è da immaginarsi quanto avrebbero fatto contro la mia nomina a Sindaco. Il ricorso citato venne discusso in Consiglio Comunale e la stessa autorità tutoria non prese in considerazione le assurde pretese degli avversari socialisti.

    Ministro dell'Ospizio Esposti

    Nel 1904 moriva Antonio Grassini - fratello di mia moglie - il quale era Ministro Computista dell'Ospizio Esposti. Non aveva diritto a pensione e lasciava la vedova con sette piccoli figli in critiche condizioni economiche.
    Seguendo anche il desiderio della mia Attilia, mi misi subito a disposizione per assumere il disimpegno di quel servizio a completo titolo gratuito a beneficio della famiglia Grassini.
    Il Consiglio Superiore dell'Amministrazione Infanzia Abbandonata, con lusinghiera deliberazione, a mio riguardo, mi conferiva l'incarico richiesto che si protrasse gratuitamente fino al 31 dicembre 1921 e nel quale mi assisteva il nipote Isidoro Grassini.

    La morte dell'on. Ettore Socci

    Nel gennaio 1905 moriva l'indimenticabile Ettore Socci (2), deputato repubblicano del primo collegio di Grosseto per cinque Legislature.
    Mentre si preparava un Convegno Collegiale a Follonica, in casa del patriota Niccola Guerrazzi, una Commissione guidata dal carissimo Raffaele del Rosso e da Gustavo Rossi, venne a Massa ad offrirmi la candidatura di Deputato.
    Per dire la verità presi la onorevole e gentile offerta come uno scherzo, data la mia completa incompetenza: ringraziai i buoni amici e comunicai loro che la Sezione repubblicana di Massa Marittima si era pronunciata sul nome del Prof. Pio Viazzi (3) e che, nella riunione di Follonica avremmo sostenuto il nome del valoroso e colto amico citato.

    Al Consiglio Provinciale

    Nello stesso anno, 1905, i repubblicani presentavano la mia candidatura a Consigliere Provinciale; ma dovetti rinunziare a tale onore per la incompatibilità derivante dalla mia condizione di impiegato della Provincia nell'Ospizio Esposti. L'Etruria Nuova del 2 luglio 1905 n.599 pubblicava la mia lettera di rinuncia.

    Esperimento amministrativo repubblicano (1900-1915)

    Il proposito di dare all'amministrazione Comunale un'impronta nettamente repubblicana fu saldamente sostenuto da e a tale proposito aderirono i migliori amici. Prima del 1900 le civiche amministrazioni, pur avendo un carattere democratico, erano composte da elementi misti, compresi i monarchici. Si volle tentare un esperimento di fronte che ebbe veramente buon successo.
    Nel 1914 venne pubblicato un opuscolo “Quattordici anni di vita amministrativa repubblicana”, nel quale sono elencate le opere di pubblica utilità che furono compiute ed i vari atti di assestamento morale e finanziario del Comune, ma non è immodestia sottolineare queste realizzazioni.
    Ferrovia Massa - Follonica, Officina elettrica Comunale, acqua potabile di vetreta, servizio automobilistico Massa - Siena, Scuola Tecnica Parificata, costituzione di scuole elementari, ecc.: tanto che Giuseppe Benci - Direttore del settimanale di Grosseto “Etruria Nuova” - scriveva nel 1913: “Furono i nostri amici di Massa Marittima a rinnovare la vita di quella industre Città, tanto che la sopraggiunta crisi economica da cui è afflitta tutta l'Italia, in conseguenza di imprese funeste che si ripercuoteranno, per chi sa quanto, sulla economia nazionale, ha trovato problemi gravissimi, come quelli dell'istruzione, dell'acqua, dell'illuminazione, completamente risoluti”.

    N.B. Alla risoluzione della Ferrovia Massa - Follonica contribuirono principalmente il nostro Domenico Pallini, il Cav. Andrea Petrocchi e Giovanni Chiarini.

    Propaganda e stampa

    Presi parte attiva a tutte le agitazioni di civile progresso, spesso capeggiandole, feci comizi, conferenze, letture, contraddittori specialmente in periodi elettorali.
    Ma la principale attività la espletai nel giornalismo, secondando le mie aspirazioni, le mie attitudini ed il mio temperamento.
    Collaborai modestamente in tanti giornali del partito repubblicano e dedicai, con passione e completo disinteresse, tutte le mie energie e le mie modeste possibilità mentali, al settimanale di Grosseto “Etruria Nuova”.
    Pubblicai col mio nome e con svariati pseudonimi articoli politici e scritti tendenti allo sviluppo morale ed economico della Maremma. Nessun problema locale fu trascurato: e le polemiche contro le tendenze clerico - moderate che volevano impedire ogni progresso civile e sociale e contro una degenerazione dal vero, sostanziale ed umano socialismo, furono frequenti, aspre, violente.
    Dovetti subire procedure giudiziarie per articoli politici sempre naufragate nell'istruttoria o all'udienza. Ebbi querele per diffamazione nel 1902-1913 risolte con mia piena soddisfazione. Questa mia azione giornalistica è documentata da oltre 20 annate della stessa “Etruria Nuova” rilegate e conservate fra i miei più cari ricordi.

    Cariche pubbliche occupate

    Consigliere ed assessore del Comune.
    Consigliere Provinciale Scolastico quale rappresentante dei Comuni della provincia di Grosseto.
    Presidente dell'Asilo Giardini d'Infanzia.
    Consigliere e segretario di associazioni locali di carattere morale e di beneficenza.

    Fascismo

    Fino dal sorgere del Fascismo ne fui avversario irriducibile. Ebbi subito la sensazione che si trattava di un movimento reazionario e non ne feci mistero né sulla stampa, né sul mio dignitoso metodo di vita. Me ne vennero dolori penosissimi e danni economici che si trovano documentati in un fascicolo a parte: “Carboncini ed il Fascismo”.

    Riconoscimenti

    Il mio contegno durante il pericoloso periodo della liberazione nazionale è troppo recente per avere motivo di soffermarvisi. Ma ritengo che il mio franco e tempestivo atteggiamento tenuto il 9 giugno 1944 verso i partigiani onde impedire che il giorno successivo essi occupassero il Municipio, abbia reso un buon servizio a tante famiglie e all'intera Città.
    Avvenuta la liberazione ebbi frequenti manifestazioni di simpatia dagli amici maremmani. I dirigenti del partito repubblicano di Grosseto vollero designarmi presidente dei congressi tenuti a Grosseto, a Follonica, a Massa Marittima, tributandomi sempre caldo affetto.
    Il 2 giugno 1953, per segnalazione del Ministro Campilli, il Presidente della Repubblica con decreto, in quella data, mi conferiva l'onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana.
    Il 21 Marzo 1954, in occasione del mio 87º compleanno, i repubblicani della sezione di Massa Marittima mi indirizzavano una nobilissima lettera di saluto e di augurio con un significativo regalo che mi commuoveva vivamente: uno spillo d'oro centrato col simbolo dell'Edera tanto caro al mio spirito e al mio cuore.

    Parziale accenno alla mia collaborazione al Giornale Repubblicano “Etruria Nuova”

    Per farsi una serena idea delle necessità che vi fu in Maremma di esplicare un'azione attiva, costante, energica o talvolta violenta, occorre rivolgere attenti pensieri all'ambiente infiammato da contrasti politici in alcuni paesi del Primo Collegio Politico di Grosseto e segnatamente in Massa Marittima, sulla fine del secolo scorso e nei tre lustri del successivo: quando gli avversari dei repubblicani (dai clerico-moderati ai socialisti) si affratellarono colle Autorità Tutorie della Provincia per ostacolare con mezzi settari e senza scrupoli le Amministrazioni Civiche dirette con successo dai repubblicani e per perseguitare il Giornale Repubblicano “Etruria Nuova” che di quelle amministrazioni era patrocinatore.
    In riferimento a tale situazione (e se mi sarà dato tempo) cercherò di indicare in ordine... sparso, qualche articolo polemico ed altri inerenti ad avvenimenti di interesse locale (nota aggiunta ottobre 1954).

    Riferimento al Giornale Etruria Nuova - Giugno 1954

    Fino dal 1944 mi ero proposto di compilare un indice, sia pure limitato, dei miei scritti apparsi sull'“Etruria Nuova”; ma diversi tentativi iniziati ebbero esito negativo proprio per la mia poca pazienza.
    Trascrivo comunque le parole di premessa scritte nell'epoca suddetta, avvertendo che ogni mio scritto pubblicato sull'“Etruria Nuova” porta il contrassegno del nome Bino.
    “Nella raccolta dell'“Etruria Nuova” presso di me mancano le annate 1893, 1894, 1895, 1896, 1897, 1898, 1923 e 1924, contenenti segni della mia assidua collaborazione al giornale.
    La cronaca settimanale di Massa Marittima fu quasi sempre fatta da me. Fu compito delicato e non facile, perché volendo essere franchi e veritieri con tutti si turbano situazioni più o meno equivoche, si urtano personali tornaconti, si svegliano molte suscettibilità e quindi si creano malanimi, risentimenti, rancori. Si aggiunge che la mia penna fu - per naturale temperamento - piuttosto vivace, ne sorge la conseguenza che se da questo disinteressato lavoro mi vennero tanti consensi, non mancarono amarezze.
    Rileggendomi, da vecchio, penso che se qualcuno avrà la curiosità e la... pazienza di volermi conoscere in veste di... giornalista, potrà giudicarmi - almeno nella forma - un po' eccessivo. Ma così non è, se si terrà conto dell'ambiente e dei tempi nei quali si esplicò la mia attività giornalistica.
    Le risorse culturali di cui disponevo erano assai scarse: ma la mia volontà era tenace, come era retto e coscienzioso lo scopo che mi ero spontaneamente assunto.
    Mi studiai di seguire le orme dei valorosi giornalisti che onorano la vera democrazia esaltando il bene e combattendo, senza riguardi, il male.
    La irreparabile rovina che ha colpito il nostro paese è dovuta principalmente alla mancanza di carattere nelle persone e nella mia prosa, sebbene semplice e disadorna, mi sembra di scorgere una linea ben definita, diritta, costante, proprio in pro del carattere e dei sani ideali senza dei quali i popoli rimangono o diventano armenti.
    Il mio animo fu sempre riboccante di affetto per le classi meno favorite dalla fortuna seguendo il lungimirante pensiero del grande Maestro Giuseppe Mazzini. Ciò non ostante aspre e penose battaglie contro la degenerazione di un socialismo superficiale, parolaio, demagogico, privo di una base morale e senza una fede elevata e sentita che fosse in armonia con le idealità delle tradizioni nazionali. L'esperienza - e quale catastrofica esperienza - ha dimostrato quanto io fossi nel vero; e gli uomini intelligenti e di retta coscienza sono ormai tutti convinti che la libertà politica e la giustizia economica (leggi Repubblica e Socialismo) sono termini inseparabili di convivenza civile.
    Il tremendo terremoto che ha sconvolto il mondo intero e segnatamente la nostra Patria lascia commossi e smarriti tutti gli uomini di mente sana e di cuore buono. Tuttavia è dovere dei galantuomini di ispirarsi al concetto Mazziniano “La vita è missione” e di lavorare indefessamente alla ricostituzione dell'Italia, riprendendo la tradizione interrotta per proseguirla in nome del diritto risorto, delle aspirazioni e dei sacrifici fatti dai nostri padri durante il Risorgimento nazionale.
    Fatta questa premessa... l'indice che ormai non farò.

    Chiarimenti relativi ad alcune polemiche

    Mi è accaduto più volte di volgere il pensiero al modesto contributo da me dato costantemente a favore della vita pubblica e segnatamente a favore della Maremma, traendone la convinzione che il mio contegno di uomo politico piuttosto battagliero abbia influito molto nel mettere nel dimenticatoio le azioni di merito o demerito da me poste in opera sui vari problemi locali.
    Il giornale “Etruria Nuova” servirebbe bene allo scopo di chiarire su tali azioni, avendo tempestivamente sollevati e discussi esaurientemente quei problemi, ma chi può ricordare i particolari contenuti in corrispondenze ed articoli scritti da oltre 40 e 50 anni fa?
    Si ricordano più facilmente le inevitabili polemiche che per legittima ritenzione sfociano nel pettegolezzo, nell'ingiuria, nei personalismi, nei risentimenti e nei rancori delle parti.
    A questo riguardo sarebbe istruttivo un esame di merito e sono sicuro che ne uscirei sempre bene, perché se è vero che i miei scritti ebbero sempre un'impronta di aperta vivacità, è vero che quando dovetti ricorrere ad invettive e a mordaci rilievi, lo fui sempre perché tirato per i capelli con provocazioni, con insinuazioni, con atteggiamenti che non ebbero il carattere della critica seria ed onesta.
    L'amicizia cordiale mantenuta fino alla loro dolorosa scomparsa con tanti avversari e specialmente col Canonico Prof. Vincenzo Paoli e coll'On. Avv. Umberto Grilli (4), sta a dimostrare la rettitudine degli intenti miei e dei miei avversari.
    E quando Mazzini Badii (5), ostacolato nelle sue speculazioni affaristiche per la questione dei sottosuoli Comunali desiderati da impresari Tedeschi, mi trascinò in una rabbiosa polemica le solite canaglie politiche (avversari e falsi amici) cercarono di turbare le mie fraterne relazioni con Gaetano Badii non riuscirono nel loro scopo e l'amico Gaetano mi scriveva il 24 novembre 1912: “...il mio maggiore dolore è stato quello di aver saputo che vi fossero persone amiche le quali potessero anche lontanamente supporre che io potessi aver le mani in pasta nelle beghe di mio fratello, giudicando l'anima mia assai diversa da quanto è effettivamente anche se debole e malata.
    “Io non so e non credo, in coscienza mia, di averti recato offesa, ma di aver sempre reso omaggio a tante delle ottime qualità che ti circondano e che molte volte ti ho invidiato...”

    Primi contrasti coi socialisti

    La polemica coi socialisti iniziata nel 1896 e continuata per lungo tempo ebbe origine dal fatto che, istituita la Camera del Lavoro, si volle eleggere a Presidente l'Ing. Cesare Martelli, persona rispettabilissima sotto ogni riguardo, ma che per la qualità di Direttore di una miniera locale era il meno adatto al compito a lui assegnato.
    Alla Camera del Lavoro si aggiunsero altre organizzazioni ispirate al concetto della cooperazione, ma in pratica si trattò di una degenerazione di quel concetto e le mie critiche insistenti, ma precise ed utili non riuscirono che a creare ingiusti risentimenti.
    Si volle comunque continuare ad agire su falsa strada. Ne vennero fuori gravi irregolarità, disordine amministrativo e conseguentemente si moltiplicarono le mie critiche e deplorazioni, tanto che fui querelato per diffamazione.
    Presso il Tribunale di Grosseto e per interessamento del Presidente venne pacificamente risolta la vertenza col verbale concordato fra gli on. Berenini e Modigliani per i socialisti; on. Barzilai e avv. Venturi per me; col Presidente, nominato dalle due parti, nella persona dello stimato avvocato del foro Grossetano, Vittorio Valeri, Presidente della Deputazione Provinciale di Grosseto. Il verbale, di mio pieno gradimento, venne pubblicato dall'“Etruria Nuova” del 22 giugno 1902 n.445.

    Polemica col Can. Prof. Paoli

    Le polemiche col canonico Paoli furono pregnanti e numerose: qualcuna assai pungente e non contenuta. Ma con tutto ciò non sacrificammo mai una reciproca amicizia che voleva significare stima.
    Non voglio e non devo fare apprezzamenti su molte di tali polemiche, ma non posso fare a meno di sottolinearne due e cioè quella riguardante l'errato pensiero del Can. Paoli sulla eredità del Canonico Moncini (1906) e quella di aver sostenuto, dopo l'uccisione del re Umberto primo (1900), che il regicidio era una tradizione Mazziniana e che Gaetano Bresci, che uccise proditoriamente Umberto I, era da mettersi alla pari con Giuseppe Mazzini, che armava la mano del Gallenga per uccidere Carlo Alberto.
    Sulla quistione del benemerito Canonico Moncini, morto nel 1763, mi fu facile conseguire un successo tanto contro il Can. Paoli quanto contro i signori interessati ed i loro avvocati, che interpretando falsamente il pensiero del buon Sacerdote Moncini, avevano dimenticato che questi era stato precisissimo nel proprio testamento col dichiarare che “lascio il mio patrimonio ai cittadini e non cittadini poveri, intendendo che tutte le rendite del patrimonio stesso vengano erogate in Caritative dotali elemosine”.
    Era evidente quindi che i ricchi erano esclusi da quelle elemosine, che arbitrariamente pretendevano.
    La polemica sul regicidio e l'accostamento di Bresci e Mazzini furono la prova palmare che il Can. Paoli nel 1900 non era quello che si dimostrò col tempo e cioè un Paoli aggiornato in cultura e che non ebbe più timore ad agire fuori dalla cerchia delle pubblicazioni del cattolicesimo settario, il che lo fece venire più equanime nei giudizi.
    Questa polemica non avvenne sui giornali, ma fu di carattere personale, con scambio di lettere che venivano lette in Vescovado alla presenza di Monsignore Borrachia, Giovanni Burgassi, Luigi Giovanni Moris e Vezio Puccini, da una parte, ed in Farmacia Comparini alla presenza del Dott. Arturo Comparini, Giusto Fedi, Arturo Lampedini ed altri.
    L'esito si può immaginare quando si pensi all'apostolato morale, educativo ed umano del grande Esule Genovese.
    D'altra parte il pensiero del Paoli su Mazzini si è molto modificato specialmente dopo il bel libro che, sul grande educatore, scrisse Egisto Martire.
    Anzi, nel 1922, io preparai una lettura su “Mazzini negli affetti domestici”, che lessi al teatro Goldoni la sera del 10 marzo 1922, cinquantesimo anniversario della morte del Maestro.
    In merito a quella conferenza il canonico Paoli mi scriveva il 14 settembre 1927: “Ho letto con vivo interesse e anche con profonda, sempre crescente commozione di anima la bella conferenza sopra “Giuseppe Mazzini negli affetti domestici”. Ella può compiacersene molto più che conferenze di questo genere non possono non fare del bene e un gran bene a chi le ascolta”.

    Monito amichevole agli amici operai della “Società del Fiasco”

    Senza la minima prevenzione contro i datori di lavoro, e, fra questi, in prima linea la Società Montecatini, procurai sempre, colla parola e col giornale, di armonizzare gl'interessi delle parti nell'ambito della giustizia e mi trovai costantemente a fianco e solidale colla classe lavoratrice come accenneremo appresso.
    Ma avendo a cuore il lato morale dell'operaio non gli risparmiai qualche misurato rimprovero contro il vizio e deplorai l'abuso fatto di forme diseducative colle “Società del Fiasco”, le quali crearono ad una parte degli operai sacrifici di forza (?) e di salute.
    In riferimento a questo problema, scrissi articoli sull'“Etruria Nuova” nel 1906, nei numeri 653-654-655-656-657.
    Avendo preannunziato la pubblicazioni di tali note, l'amico Giuseppe Benci le fece precedere da queste parole: “Possiamo assicurare l'amico nostro che Egli è nel vero anche con lo scherzo. Ormai un po' d'esperienza ci è maestra e non è più neanche una virtù averne. La sua prosa, indipendentemente da ogni questione di merito, è sempre bene accolta a noi come ai nostri lettori. Dove c'è lealtà e franchezza e soprattutto desiderio di verità, utile agli altri più che a se stessi, può esservi anche dissentimento di avversari, ma non disgiunto da ammirazione”.

    Polemica coi Maestri Piccioni, Gaudenzi ed altri

    La polemica coi Maestri delle Scuole elementari del Comune e segnatamente con Piccioni e Gaudenzi fu creata da un articolo della rivista “L'Avvenire Magistrale”, scritto contro i Comuni d'Italia, che trascuravano il problema scolastico, ma, in verità, quell'articolo mirava a colpire il Comune di Massa Marittima con velate allusioni, con offese agli amministratori che regnavano da Don Rodrigo, ecc. ecc.
    La cosa sorprese perché il Comune di Massa Marittima fu invece sempre annoverato fra i migliori tra quelli che avessero a cuore l'istruzione e l'educazione del popolo, ed anche perché il Maestro Piccioni aveva goduto un particolare trattamento di favore in varie circostanze.
    Soltanto una sua recente ingiustificata pretesa non aveva trovato buona accoglienza e da ciò l'imprudente attacco.
    Rilevai serenamente l'ingiustificata mossa dell'“Avvenire Magistrale” nell'“Etruria Nuova” del 30 maggio 19909 n.802 e ne seguì un dibattito sereno ed obbiettivo, in principio, che mise in imbarazzo il Maestro Piccioni (6), il quale a furia di scappatoie, di incertezze, di presunzioni e contraddizioni, fece scivolare la polemica nel pettegolezzo, ma diede modo anche di sviluppare il dibattito, ponendo a nudo la sua impreparazione sulla tesi da lui sostenuta: esi che ebbe completa condanna nel Congresso Magistrale di Venezia, come dal N.820 dell'“Etruria Nuova” in data 3 ottobre 1909.
    Alla polemica col Piccioni che si trascinò per un semestre, dal maggio al novembre 1909, l'amico Benci, Direttore del citato giornale, fece precedere nel N.820, a un mio breve resoconto del Congresso Magistrale di Venezia, questo commento:
    “L'Etruria non poteva mancare alla importante Assemblea Magistrale di Venezia, ove degnamente la rappresentò l'amico Carboncini, per merito del quale possiamo dare oggi ai lettori queste succinte, ma fedeli ed abili impressioni”.

    Dazio Consumo - Municipalizzazione - Polemica Rovis

    Il Consorzio esercenti aveva dato ottimi risultati dal 1901 al 1910. Tutto si era svolto con piena regolarità: e in dieci anni non aveva fatto capolino la minima vertenza: il che era un considerevole successo trattandosi di un balzello odioso come era allora il dazio consumo. Alla Cooperativa di Consumo e ad altre aziende private, come le Società del Fiasco, non fu chiesto un centesimo.
    Venivano omesse denunzie, specialmente in campagna, e furono sempre praticate facilitazioni apprezzabili.
    I socialisti favorirono la prima costituzione del Consorzio, furono... neutrali di fronte al secondo esperimento, sempre sperando in un mio previsto insuccesso personale. Di fronte però ad una mia chiara soddisfazione ed al consenso unanime della classe interessata, divennero avversari tenaci del Consorzio fra il 1911 e il 1915 sebbene io avessi pubblicamente dichiarato che date le mie occupazioni, non mi sarei più dedicato all'azienda del dazio consumo.
    Avvennero discussioni in Consiglio Comunale e sulla stampa perché ormai i socialisti chiedevano la municipalizzazione del servizio. Era mortificante discutere con elementi incompetenti, arrestrati e per di più in mala fede. Comunque, siccome del Consiglio Comunale faceva parte Antonio Rovis, socialista a quel tempo e uomo che aveva fatto regolari studi, capitò di discutere, sul giornale, con lui, constatando che Antonio Rovis non era meno incompetente e meno mal prevenuto dei suoi compagni.
    La polemica, iniziata sull'“Etruria Nuova” il 28 agosto 1910 n.866, continuò fino al30 ottobre N.876 dello stesso anno. Ebbero particolare rilievo gli articoli del 23 settembre N.870 e i due corsivi diretti personalmente al citato Antonio Rovis.

    La polemica Targioni e Compagni

    Scaramucce giornalistiche coi socialisti, come coi preti, furono costanti e se ne trova traccia in quasi tutti i numeri dell'“Etruria Nuova”, dall'epoca nella quale i preti non riuscivano a darsi pace del generale anticlericalismo Massetano, come i socialisti non si rendevano conto che Massa Marittima non era località di facile conquista.
    Molte di queste scaramucce, degli uni e degli altri, non meritano rilievo: ma un'eccezione è necessaria per la disputa col Targioni (7), perché ebbe particolare risonanza nella provincia di Grosseto e nel Pistoiese, dove il Targioni risiedeva.
    Il Targioni era un contadino intelligente e di una poderosa memoria. Faceva delle conferenze alla buona, improvvisava versi e stornelli, divertendo il pubblico e ricavando, da tale esercizio, da scampare discretamente la vita.
    A Follonica, nel 1911, cadde in un tranello dei compagni agguerriti contro i repubblicani che reggevano il Comune da circa un decennio con vero successo.
    In un discorso politico, istigato certamente da quei compagni, fece entrare l'Amministrazione Comunale di Massa Marittima (che non conosceva affatto) elevando, in pubblico, non solo delle critiche, ma delle insinuazioni, che ledevano l'onorabilità della citata amministrazione.
    La cosa sarebbe passata liscia se il corrispondente del giornale socialista il “Risveglio” non avesse riportato su quel giornale quelle accuse con letizia.
    Intervenni subito sull'“Etruria Nuova” del 24 luglio 1911 N.914 e continuando nell'offensiva vibratissima tirai in ballo vari compagni, ma segnatamente Gino Spagnesi e Fabio Vecchioni, i quali fecero, col Targioni, una bruttissima figura.
    Vedere sull' “Etruria Nuova” il citato N.914 del 24 luglio, i numeri 915-917-918 del primo, del 20, del 27 agosto, i numeri 919-920 del 3 e 17 settembre, il N.922 del primo ottobre 1911.
    Il Targioni nel 1916 usciva dal partito socialista dicendosi nauseato di quel partito (“Etruria Nuova” del 21 maggio 1916, N.1164).

    Polemica coll'avv. Umberto Grilli e sua querela

    La polemica coll'avv. Grilli che tanto divertì l'illustre penalista Guido Donati (affermazione dello stesso Donati fattami alla presenza dei carissimi avv. Dino Cecchini e Giuseppe Benci) avvenne perché lo stesso Grilli, rimasto soccombente in una lotta elettorale amministrativa, rimase così impermalito da risposare le cause sballate dei suoi compagni che aveva tanto criticato in passato. La polemica fu lunga e mordace tanto che mi trascinò al Tribunale con una querela per diffamazione. La reciproca stima personale non ne soffrì e nell'aprile 1941 l'avv. Grilli mi scriveva da Asti: “La sua lettera mi ha fatto molto piacere perché mi ha portato un po' del profumo della mia lontana giovinezza per la quale ogni giorno si fa più viva la nostalgia. Nostalgia di tutto, anche delle nostre scaramucce che, dopo tutto, quando ferivano leggermente, lasciavano intatta la reciproca stima”.
    La vertenza legale venne risolta amichevolmente al seguito dell'inteessamento del Presidente del Tibunale.
    Venne steso un verbale di conciliazione firmato da me, dal Grilli, dai suoi avvocati e dai miei patrocinatori Guido Donati, Giovanni Conti, Odino Cecchini.
    Quel verbale fu pubblicato dall'“Etruria Nuova” del 30 novembre 1913.

    Rilievi sulla Società Montecatini

    Della Società Montecatini mi occupai frequentemente nell'interesse degli operai e del paese e, salvo omissioni, nel novembre 1910 N.879 dell'“Etruria Nuova”; nel 1911 in marzo N.895-901; nel 1914 marzo N.1049, aprile N.1054, maggio N.1058-1060, agosto N.1071; nel 1915 agosto N.1176-1177-1180, nel novembre N.1240; nel 1918, settembre N.1285; nel 1919 aprile N.1309-1310-1311, nel giugno N.1316-1318; nel 1917 gennaio N.1198, nel giugno N.1220.
    La rabbiosa polemica con Mazzini Badii della quale ho fatto cenno in precedenza, citando anche una lettera del carissimo amico Gaetano Badii (8), non fu che un diversivo per la questione dei sotto suoli comunali, nella quale non solo il Badii Mazzini, ma tutti i socialisti massetani fecero una bruttissima figura.
    Si trattava di una insidiosa manovra Tedesca tendente a paralizzare le lavorazioni “Capanne e Fenice Massetana”; manovra fallita in pieno e per la quale io tenni sul giornale un fiero e logico atteggiamento in perfetto accordo coi colleghi dell'Amministrazione repubblicana del Comune.
    Questa sinistra manovra che nel 1912 ebbe del misterioso, scoprì il suo volto coll'aggressione Tedesca del 1914; senza averne ben conosciuti prima gli ignobili motivi, avevo ampiamente combattuto le mire tedesche nel mese di settembre e nell'anno 1913 coi N.988-989.
    Gli stessi operai delle miniere vollero onorarmi con un pubblico lusinghiero riconoscimento che fu pubblicato nel n.985 del 15 dicembre 1912.

    Manifestazioni di simpatia

    Nel 1913 mi si volle anche onorare di una pubblica manifestazione di simpatia e in una numerosa riunione specialmente composta d'operai Virginio Santini, dopo gentili espressioni a me rivolte, presentava il seguente ordine del giorno pubblicato sull'“Etruria Nuova” N.1036 del sette dicembre 1913:
    “I repubblicani di Massa marittima riuniti per festeggiare Bernardino Carboncini il quale nella stampa, nel partito e in ogni lotta della vita pubblica ha sempre tenacemente difeso le loro comuni idealità, sentono il dovere di mandare un caldo e affettuoso saluto a Pio Viazzi tenace assertore dell'idealità repubblicana”.

    Lustrature

    Il carissimo Giovanni Conti sempre gentile e benevolo con me, tanto da citarmi in un suo volume sul “Partito Repubblicano in Italia” e, più volte, su “La Voce Repubblicana”, mi scrisse direttamente il 9 dicembre 1945:
    “...Risorge dunque l'Etruria? Me lo ha scritto il Sellari. Ti rileggerò finalmente e ti rileggeranno i Massetani...”
    Nel primo numero dell'“Etruria” risorta, 22 dicembre 1945. Lo stesso Conti scriveva:
    “Quaranta anni di lotta del partito repubblicano furono registrati sulle colonne purissime di “Etruria Nuova”. Fermo, eretto, l'animo ardente e il corpo gigante anche per la punizione di temerari, Giuseppe Benci fu l'indomabile, sereno, illuminato vessillifero dell'idea. Intorno a lui Ettore Socci, l'apostolo della lotta contro il latifondo e per il risanamento delle terre malariche; nella lotta contro i nuclei maremmani della Consorteria Toscana; Pio Viazzi, il filosofo, l'esteta, il giurista dimentico di sé, devoto fino alla dedizione alla causa del popolo: l'uno e l'altro deputati ideali della Maremma; Raffaele Del Rosso, il geniale, enciclopedico indagatore dei segreti della misteriosa Etruria, ideatore inesauribile e propugnatore di rinnovamenti e di imprese per il progresso agrario; Bernardino Carboncini il vigilante scrutatore di uomini e di non onesti costumi, eccitatore vibrante di sentimenti liberi: intorno a lui i giovani che sono al loro posto nella lotta per l'agognato riscatto...”
    E sempre Giovanni Conti nel suo volume “Contro Corrente e Copialettere” del 1950:
    “Io andai a sfogarmi (1920) a Grosseto in una lotta disperata tra l'aggressività rabbiosa dei socialisti e l'avversione ringhiosa dei conservatori, ma tutta repubblicana vista dentro, vista fuori, da vicino e da lontano, come proclamavano anche gli avversari... Oggi, trent'anni dopo, io ricordo con emozione quel periodo della mia attività ispirata al devoto ricordo di Pio Viazzi, che a me, prima di morire, l'aveva “comandata”: ricordo quella lotta combattuta accanto a Giuseppe Benci, a Bernardino Carboncini, a Raffaele Del Rosso, a molti forti repubblicani, tra le più belle e più feconde...”
    Il carissimo Giuseppe Benci, tanto vicino al mio cuore per tutta la vita, scriveva il primo gennaio 1909 nel saluto ai lettori di “Etruria Nuova”: “...nuovi e non animosi corrispondenti verranno col nuovo anno a dividere il lavoro di redazione. D'ora innanzi, come è accennato in altra parte del giornale, l'amico e collega carissimo Carboncini che da Massa Marittima - la rocca forte del partito repubblicano della Maremma, ed anche una delle colonne più solide del giornale - ha tanto efficacemente, con l'energia, e con l'ingegno, influito sui progressi del'“Etruria” e sull'esito di tante vittoriose battaglie, da oggi, diciamo avrà da quel centro importante un coadiutore. E con ciò l'animo nostro ha creduto di far cosa grata ai lettori. Pur restando al suo posto di combattimento ha voluto dividere il lavoro anche perché la cronaca Massetana riesca più varia ed attraente...”

    La polemica sui sotto suoli di Massa Marittima fu fieramente sostenuta (come abbiamo accennato in note precedenti) per evitare che una insidiosa manovra tedesca, secondata dai socialisti, potesse danneggiare il normale andamento delle lavorazioni minerarie “Fenice e Capanne Vecchie”. Tale polemica terminava con il mio successo, sottolineato da Giuseppe Benci nell'“Etruria Nuova” del 15 dicembre 1912.
    L'amico scrisse un articolo intitolato “Invidiabile Chiusa”, che cominciava così:
    “La polemica massetana trionfalmente chiusa dall'amico Carboncini, crediamo non potesse avere suggello più confortante e significativo dell'indirizzo di oltre duecento valorosi minatori di Massa Marittima, così concepito: “I sottoscritti operai repubblicani delle Miniere Massetane, consci di compiere un loro dovere verso l'amico Carboncini che nel pensiero e nella penna mantiene alti gli ideali repubblicani, plaudono alla sua opera di propaganda e gli esprimono un caldo saluto”.

    Nel magnifico libro pubblicato nel settembre 1954 da Giovanni Conti, “Dal latifondo alla Riforma Agraria”, ha trovato posto una lusinghiera nota, accostando il mio nome a quello dei valorosi e cari amici Giuseppe Benci e Raffaele Del Rosso (9). Indipendentemente da ciò, ritengo molto opportuno dffondere questa pubblicazione, perché costituisce un'esatta documentazione della lunga, tenace, instancabile opera dello stesso Conti a vantaggio del problema Maremmano ed un giusto e doveroso riconoscimento dei meriti del partito repubblicano, e segnatamente dei suoi eletti rappresentanti - Ettore Socci e Pio Viazzi - in pro della Maremma redenta.

    Necrologi

    Dell'amico Gaetano Badii
    Per mio padre Novembre 1901
    Per mia madre Gennaio 1920
    Per la mia Attilia Dicembre 1921
    Alunni miei
    Martelli Pio Gennaio 1909
    Pallini Domenico Novembre 1910
    Pallini Giuseppe Settembre 1918
    Ancilli Antonio Ottobre 1914

    Sommario
    Appendice: I delitti della chiesa. Giordano Bruno
    di Bernardino Carboncini

    Note

    1)Bernardino Carboncini venne schedato dalla Prefettura di Grosseto il diciotto dicembre 1897. Nel “profilo” si legge: “Carboncini Bernardino di Diomede e di Falaschi Isolina, nato a Massa Marittima il 21 marzo 1867, economo del ricovero di Mendicità G. Falusi, ammogliato con Grassini Attilia; ha un figlio (Ivo) nato il 26 aprile 1895, domiciliato a Massa Marittima. Repubblicano. Cenno biografico al giorno 18 dicembre 1897: Riscuote buona fama nell'opinione pubblica quantunque sia considerato come un ardente repubblicano. E' di carattere vivace, discretamente educato, molto intelligente, discretamente colto. Ha compiuto il corso tecnico. Non ha titoli accademici. E' assiduo lavoratore. Trae sostentamento dall'impiego che occupa. Frequenta le compagnie dei repubblicani. Fino al gennaio scorso fu consigliere comunale. E' ascritto al partito repubblicano, al quale è sempre appartenuto. Ha molta influenza nel partito estesa nella regione Toscana. E' in corrispondenza epistolare con tutte le notabilità repubblicane del Regno. Non ha dimorato all'estero. E' consigliere del Circolo repubblicano Mazzini e Garibaldi di Massa Marittima e fa parte anche del Consiglio direttivo della Cooperativa di Consumo di detta città. Ha collaborato e collabora alla redazione dei giornali: Etruria Nuova di Grosseto, Italia del Popolo di Milano, come corrispondente ordinario.
    Riceve e spedisce giornali e stampe sovversive. Fa propaganda, e con molto profitto, tra la classe operaia. E' capace di tener conferenze e ne ha tenute molte volte nello scorso anno in questa città presso la sede del Circolo Mazzini e Garibaldi e a Monterotondo presso quel Circolo repubblicano. Verso le autorità tiene contegno noncurante. Ha preso parte a tutte le manifestazioni del partito, sia a mezzo della stampa, firmando manifesti, programmi, sia in occasione di anniversari, commemorazioni, riunioni ecc...”
    La Prefettura, aggiornando la scheda, ricordava che Carboncini aveva rappresentato la sezione repubblicana di Massa Marittima al secondo congresso nazionale repubblicano, tenutosi a Forlì dal tre al cinque ottobre 1903, e che aveva partecipato al Congresso nazionale repubblicano, svoltosi a Firenze dal nove all'undici aprile del 1910, in rappresentanza del circolo Mazzini e Garibaldi di Massa Marittima.

    2)Ettore Socci era originario di Pisa. Seguace di Mazzini, combatté a Digione sotto il comando di Garibaldi. Collaboratore e redattore di vari periodici repubblicani e radicali, fra cui “La lega della democrazia”, nel 1891 venne eletto deputato nel primo collegio grossetano. Due anni più tardi partecipò, insieme a Giuseppe Carlo benci e a Vittorio Zamberletti, alla fondazione dell'“Etruria nuova”, di cui fu, negli anni successivi, uno dei principali collaboratori da Roma e da Grosseto. Oppositore risoluto e coerente di Francesco Crispi e della deriva reazionaria del “re buono”, morì nel 1905, stroncato da un tumore alla gola. Amato e popolarissimo fra i grossetani, venne ricordato, dopo la sua scomparsa, da busti ed epigrafi, che vennero collocati a Grosseto e a Follonica, nel corso di solenni e affollatissime manifestazioni. Trent'anni dopo la sua morte i fascisti pensarono più volte di rimuovere quei monumenti, che avevano il torto di essere dedicati a un uomo, che li avrebbe certamente combattuti, se fosse stato ancora in vita. Socci è autore, oltre che di un immenso numero di articoli e di lettere, di vari libri, fra cui “Da giornalista a deputato (1878-1900)” (Pitigliano: La lente, 1901) e “I misteri di Montecitorio (Firenze: Stab. Industriale grafico, 1908).

    3)Avvocato e studioso di diritto, Pio Viazzi aderì presto al P.R.I., di cui divenne, in seguito, esponente nazionale di primo piano, molto apprezzato pe i suoi contributi teorici. Eletto deputato nel primo collegio di Grosseto dopo la morte di Socci, fu confermato al suo posto nel 1909 e rimase in carica fino al 1913, quando i socialisti maremmani riuscirono a portare per la prima volta a Montecitorio un loro rappresentante, il prof. Giovanni Merloni. Negli otto anni, che trascorse alla Camera, Viazzi si occupò della condizione delle fonderie di Follonica, della bonifica della provincia, ecc.

    4)L'avv. Umberto Grilli fu il direttore, nel 1907-1908, del periodico anticlericale “Il prete. Ecco il nemico!”. Socialista, fu eletto deputato nel 1919 nel collegio di Scansano e subì, nella tragica notte del 30 giugno 1921, la distruzione del suo studio di Grosseto, devastato e incendiato dalle squadre fasciste di Chiurco e di Castellani. Nei mesi seguenti Grilli lasciò la Maremma e trovò rifugio nell'Italia settentrionale (Il prete. Presentazione, Il prete. Ecco il nemico!, n.1, 1 gen. 1907; Grilli, U. Tanto per intenderci, Il prete, n.2, 15 gen. 1908; Terzani, Otello. Testimonianza raccolta ad Arcidosso, agosto 1977; Banchi, Aristeo. Si va pel mondo..., Grosseto: 1993, p.24).

    5)Diversamente dal fratello Gaetano, Mazzini Badii era socialista. Uomo di indubbia intraprendenza, rilevò, verso il 1910, lo splendido mulino di Ghirlanda, che era stato di Unico Fiaschi, e ne potenziò l'attività. In seguito si occupò a lungo, e con competenza, della coltivazione del sottosuolo massetano e del recupero delle scorie della lavorazione dei solfuri misti (permesso Puccioni, ecc.). Collaboratore del “Risveglio”, firmava qualche volta i suoi articoli con lo pseudonimo di “Benzina”. La polemica, che ebbe con Bernardino Carboncini, suscitò le proteste di molti socialisti, che ritenevano che il loro giornale dovesse svolgere compiti del tutto diversi. Passata la seconda guerra mondiale, Badii si iscrisse al P.C.I.

    6)Direttore dell'“Avvenire magistrale”, Leone Piccioni collaborò, firmando i suoi articoli con lo pseudonimo di “Momus”, a “La Libertà”, il settimanale pubblicato a Grosseto, dal 1909 al 1912, dai radicali di destra, che facevano capo al prof. Angelo Banti (L'avvenire magistrale, La libertà, n.8, 28 marzo 1909; Momus. Per un articolo, ivi, n.18, 8 giugno 1909; Alea jacta est, ivi, n.22, 4 lug. 1909, ecc.).

    7)Originario di Pistoia, Idalberto Targioni era uno stornellatore assai conosciuto e apprezzato in molte località del Grossetano, dove si confrontava spesso con i locali “bernescanti” e dove è tuttora ricordato. Famoso è rimasto il suo contrasto canoro con il poeta Chiti, pubblicato in varie raccolte di versi. Socialista militante, il Targioni collaborava alla stampa del P.S.I., compreso il settimanale “Il risveglio” di Grosseto. Fra lo stupore dei compagni di fede, Targioni si unì nel '15 agli interventisti e si dimise dal partito (Banchi, Lio. Testimonianza raccolta a Pianizzoli; Martelli, Reo. Testimonianza raccolta a Boccheggiano).

    8)Gaetano Badii nacque a Massa Marittima il 6 novembre 1867. Operaio di miniera, fece poi il bibliotecario (dopo aver conseguito il diploma di ragioniere, studiando da autodidatta) e fu esponente di rilievo del P.R.I. nella provincia di Grosseto dal 1893 fino all'avvento del regime fascista. Più volte consigliere comunale, scrisse vari libri di carattere storico, fra cui “Massa Marittima: la Brescia maremmana” (pubblicato a Milano da Trevisini nel 1912), e rievocò molti protagonisti del nostro Risorgimento nei pregevoli “Medaglioni”, che apparvero sull'“Etruria Nuova”. Morì a Massa nel 1937. Vent'anni dopo gli fu intitolata la Biblioteca della sua città natale. Il 26 giugno 1898 il delegato di pubblica sicurezza di Massa Marittima, Francesco Virzone, scrisse la seguente lettera al prefetto di Grosseto: “Presi visione delle due buste inviatemi con la nota a fianco citata, e che ritorno. Le informazioni sul Badii Gaetano furono dettagliatamente fornite a cotesto Ufficio con note 3 marzo 1897 nº 199, con la quale trasmettevasi la scheda biografica al di lui nome. Il Badii Gaetano è repubblicano molto influente fra la classe operaia, è facile parlatore, ma meno violento del noto Carboncini Bernardino. Lo stampato accluso nella busta inviatami si crede sia stato spedito dal Pirolini, rifugiatosi a Lugano. Rimetto altro stampato “Italia Nuova”, pervenuta a questo ufficio postale all'indirizzo del Badii, e che fu sequestrato”.

    9)Nativo di Orbetello, Raffaele Del Rosso professò fin da giovane le idee mazziniane e nel 1877 venne segnalato per la prima volta dalle forze dell'ordine. In seguito fu più volte consigliere municipale e provinciale per il P.R.I. e pubblicò varie opere di idrografia, di storia, ecc. Il quattro gennaio 1928 morì di una paralisi cardiaca, a 69 anni.

    Sommario

    Appendice

    I delitti della Chiesa
    Giordano Bruno

    di Bernardino Carboncini

    Proseguendo di secolo in secolo, nella pazza libidine di sangue, la ferocia papale volle un'altra vittima illustre in Giordano Bruno.
    Strangolato Arnaldo, perpetrate le stragi di Tolosa, eccitate rapine, commessi stupri ed incendi, arrostita la scolaresca Lionese, sgozzati i Valdesi, massacrati gli Ugonotti, i feroci rappresentanti della religione sentirono il bisogno imperioso di distruggere il forte pensatore di Nola, onde poter poi proseguire colle torture di Campanella, col piombo di Ugo Bassi, colla mannaia di Monti e Tognetti, coll'insana difesa di Castelfidardo e di Mentana, fino alle disperate nefandezze in cui si franse il potere politico della vandalica autorità ecclesiastica nel 1870.
    Accennare solamente ai delitti principali, che si perpetrarono in nome della madre chiesa, sarebbe opera da far inorridire ogni anima ben nata.
    Basta leggere nella raccolta delle leggi dei Barbari per avere una idea del grado di prostituzione in cui erano caduti i monasteri, ove le monache generavano in peccato uccidendo la prole, che veniva sepolta nelle chiese.
    Narra S. Bonifazio che le dame e le monache inglesi, nell'andare in pellegrinaggio a Roma, perdevano la castità e che tornando ai loro paesi davansi al meretricio. Dice il Bettinelli che nel decimo secolo tale era la corruzione e l'ignoranza che l'omicidio, l'incesto, l'adulterio trionfavano per opera dei dignitari ecclesiastici, tantoché le meretrici dispensavano parrocchie, vescovati e lo stesso pontificato.
    Il Fleury nella sua storia ecclesiastica registra il mirabile fatto che nei secoli XI e XII i frati davano la caccia alle femmine interrandole nei loro conventi. E che sostenevano poi gli assalti dei parenti colla forza o coll'inganno di cacciar fuori una reliquia di Santo; al che gli assalitori - credenti fanatici - si ritiravano vinti dal divoto rispetto.
    San Bernardo nel suo epistolario inserisce una lettera del vescovo di S. Maria di York, ove si legge: “Noi monaci siamo cupidi di rapine e di risse; c'ingrassiamo degli altrui sudori e tutto il mondo non basta alla nostra malvagità”.
    Nei secoli XIV, XV, XVI, il concubinato e la simonia erano regola normale di vita per il papa come per l'ultimo chierico; tantoché il Clemangis afferma che dare il velo di monaca ad una zitella, voleva significare abbandonarla alla prostituzione.
    Il sentimento morale era in quell'epoca soffocato, spento nel vizio e nella corruzione; mentre il dogma veniva difeso colla spada e col fuoco e mentre in tutte le principali città d'Europa correvano rivi di sangue in nome di Dio e del papa. Secondo un prospetto del Fleury le vittime della santa inquisizione solamente in Ispagna furono - dal 1400 al 1800 - 288214 delle quali 34568 arse vive.
    Giordano Bruno nacque nel 1548. Quindi dopo le inenarrabili iniquità della Chiesa, ma in tempo per assistere ad altre nefandezze e per controllare parte dei ricordati delitti. All'età di quindici anni - per desiderio dei genitori - indossò l'abito dei domenicani, ed ai ventiquattro cantò la messa novella.
    Quale - e quanto - ingegno avesse il bruno non è mestieri sia detto da noi. Roberto Ardigò, Giovanni Bovio, David Levi, Antonio Trezza, Giacinto Schiavelli, Enrico Morselli, ed altri illustri, hanno degnamente scritto di questo grande precursore che anticipava Spencer, Cartesio, Kant, Laplace, Darwin ed altri intelletti privilegiati nel campo della filosofia e della scienza.
    Giordano Bruno non fu un riformatore, ma un innovatore; non un prete o un tribuno, ma l'apostolo della scienza che erge il suo pensiero nelle alte sfere dell'ideale positivo e assoluto.
    Così Egli comprese subito su che cosa si basava il pregiudizio e l'inganno della religione cattolica apostolica romana, per modellarsi contro ogni trucco volgare ed in prò di una nuova fede umana che avesse origine dai fatti concreti, e positivi, della vita. E così Bruno venne considerato l'apostata delle comuni credenze e, come tale, insidiato e combattuto dalla santa sede e da tutti i segugi del grande Uffizio.
    Ben presto imprigionato, riesce a fuggire da un Convento di Napoli, nel 1576, esponendosi ad una dura odissea di dolori, di stenti e di fame.
    Ma il grande scienziato non si dà per vinto; e nuovo - e più raffinato - Gesù, dà vita ad innumerevoli opere scientifiche e filosofiche. E nel suo errabondo apostolato, di pensiero e di azione, Egli visita le principali città italiane portando ovunque una parola per i nuovi ideali. Parola che non istruisce soltanto, ma che trascina, che scuote, che sconvolge il mondo.
    Le cattedre insigni di Tolosa, di Parigi, Vittemberg, d'Oxford, di Praga, di Zurigo e di Francoforte odono tuonare dalla bocca di Giordano Bruno il verbo della nuova scienza che non si sterilisce nel dogma, ed il mondo ne rimane attonito.
    A Londra è ammirato da Elisabetta e lì rimane per due anni godendosi onori e pace. Ma Bruno è ormai nato per la lotta; e benché insidiato per ogni dove dai potenti di Roma, lascia gli agi e la sicurezza che l'Inghilterra gli offriva per tornare a Parigi, poi in Germania, indi a Francoforte, ove cadde vittima di un tradimento preparatogli dal santo Uffizio. Infatti nuovo Cristo tradito da un Giuda - Giovanni Mocenigo di Venezia - giunge nel 1592 in quella mirabile Città, per essere immediatamente dinunziato e consegnato ai suoi carnefici.
    Allo scopo di strappargli l'abiura Giordano Bruno viene torturato per ben otto anni. Ma l'uomo integro non si smarrisce un minuto; e come non ha commesso nessun fallo, nessun pensiero suo sconfessa. E l'odio dei potenti della chiesa sorge contro di lui implacabile perché il grande Nolano ha scritto: “La religioni quali sono, non hanno un valore intellettuale o scientifico; possono essere tutt'al più regola di costumi, buona soltanto per le intelligenze corte e per i caratteri fiacchi. Il pensatore, il filosofo, l'uomo colto e chiunque ha il potere di controllare le proprie azioni non ha bisogno di dogmi per arare diritto. La morale e la religione non sono buone se non in quanto mirano all'utilità comune. La vera morale è l'altruismo, né si deve immedesimare in nessuna forma di culto, in nessun legame dogmatico. I doveri verso Dio si compiono non colle insipienti preghiere, o colla rassegnazione passiva, oziosa... ma con opere utili al miglioramento sociale. Cristo dettò appunto l'altruismo, ma il cattolicesimo inventò la vita monastica, egoistica, contemplativa, disutile, individualistica... e questa è l'onta maggiore della chiesa”.
    Questi i pensieri elettissimi di Bruno. Ma tanto era rispettata la libertà del pensiero dai presunti vicari di... Dio, che il grande pensatore ed apostolo, venne condotto - per essi - alla Minerva il 9 febbraio 1600.
    Ivi giunto fu destituito dell'ordine e sentì leggersi la condanna di morte. Al che Giordano Bruno severo - e sereno - guarda i tremanti frati che lo circondano e dice loro: “Avete più paura voi a condannarmi che io ad essere condannato!”
    Il 17 febbraio 1600 era giorno di giubileo, e cioè giorno in cui la banca della divina provvidenza, per bocca del Sommo pontefice, impartiva ai fedeli cattolici l'assoluzione piena ed intiera di qualsiasi peccato.
    Fino dalle prime ore del mattino Roma rigurgitava di popolo. Grande moltitudine di pellegrini, di uomini e donne, giovani e vecchi, operai e nobili, frati, monache, prelati, vescovi e cardinali si alternavano per le vie, con innumerevoli processioni religiose che recavansi di chiesa in chiesa a depositare il fardello delle proprie colpe dinanzi alla imperante mistificazione del sacerdozio.
    Era papa Clemente VII degli Aldobrandini; il quale salendo al pontificato aveva ambito annunziarsi sotto la parvenza della clemenza purificando, questa, nelle fiamme variopinte che - per suo ordine - friggevano corpi umani per reati di pensiero.
    Circa le ore 10 una enorme folla sbucando da ogni strada conveniva in Campo dei fiori, ove andava man mano addensandosi come raccolta, e chiamata colà, da un avvenimento straordinario.
    In poco tempo la tragica località era gremita di popolo che stanco, ben presto, di attendere lo spettacolo, tumultuava di momento in momento.
    Quale strano avvenimento, quale singolare obiettivo riuniva tanta gente, fresca e vergine di peccati, in Campo di fiori? E' presto detto: presso l'angolo di Via Balestrari sorgeva un rogo, da poco preparato e consistente in una enorme catasta di legno e carbone intorno ad un'antenna alta e robusta.
    Era desso un feroce patibolo apparecchiato per qualche infelice che doveva essere giustiziato nel santo nome di... Dio e per ordine del Pontefice Clemente Settimo.
    Strano contrasto colla ricorrenza del giubileo! Perché quando tutte le coscienze timorate del cattolicesimo, quando tutti i peccatori esultavano di santa letizia perché rigenerati nel compiacente lavacro della penitenza, doveva distruggersi qualche peccatore in mezzo alle fiamme?
    Perché tanto strazio di vita umana in un giorno destinato al perdono, e quindi alla solidarietà ed all'amore reciproco fra i viventi?
    Forse l'uomo per il quale si presentava minaccioso, quel supplizio, era un malvivente scellerato ed iniquo, che aveva commessi delitti innominabili, o terribili fatti di sangue, o depredazioni vandaliche, o violenze selvagge contro la sicurezza pubblica o privata?
    Perché il vicario di quel... Dio che non vuole uccidere, ma convertire il reo; perché il vicario di quel Cristo che non segnò mai condanne di morte, e perdonò all'adultera, ed assolvé il pubblicano e consolò i peccatori e gl'infelici di ogni natura, scendeva nella determinazione di spengere una vita umana consegnandola ad un rogo incosciente ed implacabile?
    Mentre in qualche anima solitaria, ed oppressa, sorgevano spontanee queste logiche riflessioni, ecco che si avanza meditabondo e tranquillo - tra la folla di preti e di sgherri - un uomo poco più che cinquantenne.
    Il suo volto è delicato e severo; rada e lunga la sua barba castanea, pallida e scarna la faccia, ardente l'occhio, luminosa di pensiero la fronte.
    Il suo corpo gracile è rotto dalla prigionia e dalle torture di dieci anni. Le sue mani sono strette da pesanti catene; nudi i suoi piedi; il suo corpo è coperto da una camicia, stretta al suo collo da feroci fermagli, in cui sono dipinte fiamme e diavoli.
    Quale reato ha commesso quest'uomo? Nessuno! Egli è un libero pensatore, un filosofo grande, uno scienziato illustre, un sacerdote onesto: è Giordano Bruno.
    La infame catasta non è dunque eretta per annientare un volgare assassino. I ministri della suprema congregazione del Sant'uffizio, il sacro collegio dei cardinali e lo stesso pontefice che benigni, e magnanimi, avrebbero risparmiato la vita del ladro, dell'omicida, dello stupratore - perché ladri, omicidi, stupratori anch'essi - accendevano con efferata gioia il rogo a Giordano bruno, frate ribelle, eretico, sovvertitore dello spirito bottegaio della madre chiesa. L'infame catasta non era dunque eretta per qualche scellerato bandito a cui si imputassero vandalici delitti di sangue: ma per l'uomo di genio immortale; per il più grande psicologo di quel tempo; per il vero apostolo del libero pensiero; per il paladino della vera filosofia; per quegli - insomma - che abbatté un edificio di mistificazioni sacerdotali, che contrappose alle religioni rivelate le investigazioni scientifiche, al dio - spirito il dio - materia, al pregiudizio volgare, la realtà civile, all'ozio contemplativo, il lavoro fecondo, al disprezzo e all'odio, il disinteresse e l'amore.
    E' questo precursore - Giordano Bruno - che il 17 febbraio 1600, ascende con piede sicuro e con alta la testa sul rogo. Il boia gli sbarra la bocca, lo lega all'antenna e - in nome di... Dio - fa fuoco.
    Crepita la catasta, le prime fiamme si sviluppano, scintillano, guizzano, si sollevano, circondano il martire. E mentre le sue carni friggono, i frati - ebbri di acquavite - invitano il grande Nolano a baciare il loro Cristo che gronda di lacrime e di sangue.
    Ma Bruno non si smarrisce nemmeno in quell'immensità di dolore: e il suo pensiero, più grande dello spasimo, più lucido del fuoco, signoreggia mentre il suo corpo svanisce consunto senza un gemito.
    E' questo il tragico delitto della chiesa di cui ricorre oggi l'anniversario. E' questo il delitto tremendo che la democrazia d'Italia ricorda al popolo in quest'ora grigia della patria.
    Oggi nelle cento città, nei mille paesi, nelle innumerevoli borgate d'Italia, cento, mille, innumerevoli oratori - delle diverse gradazioni della democrazia - ricordano il martire di Nola e le altre migliaia di vittime sacrificate dai presunti vicari di Cristo per il reato di pensiero.
    E il popolo sia fiero di rievocare oggi queste vergogne sacerdotali senza nome e senza giustificazione: ma cominci domani il suo lavoro pratico e fecondo, di epurazione civile nella famiglia, nella scuola, nella società, nella patria, contro una setta obbrobriosa che congiurò, e congiura, ostinatamente contro la civiltà e contro il benessere umano.
    Il nome glorioso di Giordano Bruno sia il segnacolo in vessillo di una nuova crociata di tutti i partiti che mirano all'avvenire; i quali - conservando intatte le loro idealità politiche e sociali - possono, e debbono trovarsi completamente solidali contro il più grande nemico che insidia il progresso e quindi l'avvenire politico e sociale delle moltitudini diseredate.
    Viva il martire del libero pensiero: Viva Giordano Bruno (1)

    1)Bino (Bernardino Carboncini). Delitti della chiesa. Giordano Bruno, Etruria nuova, n.683, 10 febbraio 1907, n.684, 17 febbraio 1907.

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