Grapes Dioniso
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Grapes

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"Dionysos è il dio dei piaceri; regna sulle feste, tra corone di fiori; anima le danze gioiose, fa nascere il riso e dissipa le nere malinconie; il suo nettare, colando sulla tavola degli dei, aumenta la loro felicità, e i mortali trovano nella sua coppa l'oblio dei mali'

Euripide "Le Baccanti" (Coro)

Dionysis and Menad
Baccanale particolare del dipinto di Tiziano Pagan
 
 
Dioniso rappresenta la Vita Indistruttibile, il concetto che i greci chiamavano Zoe.
Essi infatti utilizzavano due nomi distinti per indicare la vita: uno era Bios e l'altro era Zoe.
Il Concetto di Bios (che significa anche arco come ci dice Eraclito) non esclude la morte ma anzi la ingloba. Al contrario, il concetto di Zoe esclude la morte ed è contrapponibile a Thanatos. Zoe rappresenta quindi il principio vitale non "individuato" o "qualificato", il principio imperituro.
Quello che appunto era oggetto di celebrazione nei riti dionisiaci. (Max Startoluv)


<<I Greci possedevano nel loro linguaggio quotidiano due vocaboli distinti, che avevano la medesima radice di vita, e tuttavia risultavano differenti l’uno dall’altro nella forma fonica: bios e zoe. (...) Rispetto a thanatos, la morte, bios non si pone in un’antitesi tale da escluderla. (...)
In greco zoe si contrappone a thanatos escludendolo. (...)
Zoe ha raramente contorni, se pure esistono, ma in compenso ha il suo sicuro opposto in thanatos, la morte. Ciò che in zoe «risuona» in modo certo e chiaro è «non morte». È qualcosa che non lascia avvicinare a sé la morte. (...)
La lingua greca era in grado di distinguere chiaramente una «vita» non meglio caratterizzata, che sta sulla base di ogni bios, e che si trova in tutt’altro rapporto con la morte rispetto a una «vita» delle cui caratteristiche la morte fa parte. (...)
L’esperienza della vita priva di caratterizzazione – appunto di quella che per i greci «suona» zoe – è al contrario indescrivibile. Essa non è il prodotto di astrazioni a cui potremmo giungere soltanto qualora decidessimo di prescindere, mediante un esperimento mentale, da ogni possibile caratterizzazione.
Che un simile esperimento lo realizziamo oppure no, noi sperimentiamo effettivamente la zoe, la vita scevra di connotati qualitativi. Si tratta della nostra più intima, più semplice e più ovvia angoscia, terrore e paura, sperimentiamo l’inconciliabile opposizione di vita e morte. La limitatezza della vita in quanto bios può essere sperimentata, e parimenti può essere sperimentata la sua pochezza in quanto zoe fino al punto di giungere al desiderio di non essere più. Si vorrebbe o non sperimentare il bios che ci viene assegnato con tutte le sue caratteristiche peculiari, o essere del tutto privi di esperienza. Nel primo caso la zoe dovrebbe continuare in un altro bios. Nel secondo, si verificherebbe ciò che finora non è mai stato sperimentato. Essere senza esperienza, anzi, la cessazione dell’esperienza non è più esperienza alcuna. Zoe è la primissima esperienza, il cui inizio fu probabilmente avvertito come quando si riprendono i sensi dopo uno svenimento.

Una fine che potremmo definire l’ultimissima esperienza non può essere richiamata alla mente neppure quando si riemerge dallo stato privo di esperienza.
La zoe non ammette l’esperienza della sua propria distruzione: essa viene sperimentata senza una fine, come vita infinita. In questo si discosta da tutte le altre esperienze che si fanno nel bios, nella vita finita. Questa discrepanza della vita come zoe dalla vita come bios può trovare un’espressione religiosa o filosofica. Dalla filosofia e dalla religione ci aspettiamo persino l’annullamento di questa discordanza tra le esperienze del bios e il rifiuto della zoe di ammettere la propria distruzione. La lingua greca si ferma alla semplice distinzione tra zoe e bios. Ma questa distinzione è chiara e presuppone l’esperienza della vita infinita. La religione greca si comporta come sempre: essa mostra statue e immagini nelle quali il segreto si approssima all’uomo. Elementi che nel linguaggio di ogni giorno, riguardo ad avvenimenti e bisogni quotidiani, risuonano gli uni accanto agli altri e in un modo spesso ambiguo e confuso, giungono come da lontano in un tempo puro – il tempo della festa – e in un luogo puro: sulla scena di avvenimenti che non si svolgono nelle dimensioni dello spazio, bensì in una dimensione propria, una dimensione potenziata dell’uomo, nella quale si attendono e si cercano le apparizioni degli dei.>> Kerényi


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