Codroipo (Udine); 17, 18, 19, 20 e 21 dicembre 2003.

 

 

Gentile Prof. Veneziano,

e per conoscenza gentile Prof. Gasperini,

mi permetto di scriverle in quanto vorrei poterle giustificare il mio desiderio di spedirle una copia del mio primo libro sul pensiero del filosofo Giordano Bruno. Il titolo del libro è: Il concetto creativo e dialettico dello Spirito nei Dialoghi Italiani di Giordano Bruno. Il confronto con la tradizione neoplatonico-aristotelica: il testo bruniano De l’Infinito, Universo e mondi (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2003).

Perché le spedisco questo libro? Forse solamente per una forma di suggestione personale, che potrebbe essere naturalmente e magari pienamente infondata. Mi lasci spiegare però gli antefatti che mi hanno portato a questa decisione.

Prima di tutto le spiego brevemente l’origine del libro.

Il testo che ora le spedisco è la raccolta, rivista e perfezionata, riorganizzata attraverso una suddivisione per capitoli e paragrafi (con brevi abstracts introduttivi), del capitolo che termina le conclusioni alla mia personale tesi di dottorato in filosofia, discussa – con il medesimo titolo del libro in questione - presso l’Università di Padova il 22 febbraio 2002 (Commissione: Proff. Malusa, Bigalli e Ciliberto). La tesi qui nominata è suddivisa in quattro parti: la prima stabilisce un confronto fra la tradizione di alcuni testi aristotelici (Metafisica, Fisica, Il cielo) e la posizione (critica ed opposta) bruniana. La seconda utilizza il commento analitico, puntuale, rigoroso e conseguente al testo bruniano del De l’Infinito, per poter condurre una prima ed una seconda serie di conclusioni. La seconda serie di tali conclusioni costituisce il contenuto del libro che ora le invio. La terza e la quarta parte, poi, dispongono il materiale della mia personale critica alle interpretazioni bruniane: nell’800 e ‘900 (la linea Hegel, Spaventa, Gentile, Badaloni) e nel ‘900 (Granada, Ciliberto, Ghio, Ingegno e Beierwaltes). A proposito di questa prima parte, le voglio rendere noto che essa verrà pubblicata prossimamente dalla casa editrice Armando in Roma con il titolo Una modernità mancata: Giordano Bruno e la tradizione aristotelica (attualmente il testo è allo stadio della correzione delle prime bozze). La prosecuzione della pubblicazione dei miei lavori su Giordano Bruno – in particolar modo la serie dei miei sei commenti analitici ai sei Dialoghi Italiani – resta confinata e condizionata, oltre che dalle mie personali capacità, dalla possibilità di successo di questo primo volume romano e dall’accettazione del relativo progetto editoriale da parte dell’Amministratore delegato della stessa casa editrice, il Dott. Enrico Iacometti. Sinora né il Dott. Iacometti sa di questa mia intenzione – che mi riservo di spiegargli dopo l’avvenuta pubblicazione del primo volume – né il necessario aiuto di un adeguato sponsor economico mi pare alle immediate viste. Le rivelo comunque che il Dott. Iacometti ha valutato positivamente l’insieme delle possibili quattro parti-volumi della mia tesi, per il momento fermandosi all’accettazione e definizione contrattuale per la prima di queste.

Vengo ora rapidamente al punto nel quale cerco di chiarirle la motivazione teorica per la quale le invio il testo napoletano.

Credo che la scoperta all’interno della speculazione bruniana di una struttura – un presupposto ed uno schema immaginativo e razionale di tipo teologico, naturale e politico - opposta a quella del pensiero (e della prassi) della finitezza e limitatezza (Platone-Aristotele), ovvero risolutrice delle ambiguità trascinate dalla concezione di un pensiero (ed una prassi) dell’infinitezza ed illimitatezza astratte (il cristianesimo che si innesta nella fase precedente e la fa procedere, sino alle teorizzazioni di Cusano ed alla sua coincidentia oppositorum), possa costituire una forma di modernità allora ed oggi ancora mancata. La struttura è quella dell’infinito concreto, creativo e dialettico. Quale forma teologica essa apre il concetto della libertà in un orizzonte infinito, muovendo nello stesso tempo in modo infinito il comparire della sua eguaglianza, razionale e naturale insieme. Come lo Spirito resta libero ed eguale per tutti i soggetti che intendano restare all’interno della possibilità creativa (e dunque amorosamente dialettica), così la Materia non si scinde e non si distacca da questa propensione – la bruniana attitudine – contenendo dentro se stessa la vita ed il pensiero (il desiderio). Questa concezione teologica ha allora subito con sé ciò che la riempie in immagine e figura: una politica, quale rapporto fra ragione umana ed intelligenza naturale, ed una fisica, eticamente predisposta a non eliminare e rinchiudere il soffio libertario e comune della natura stessa.

Questo è certamente uno schema umano: ma uno schema necessario. Uno schema che noi introduciamo nella realtà quando immaginiamo di pensarla e di razionalmente spiegarla. Uno schema che pare oggi tanto più necessario nell’evoluzione di quello che Emanuele Severino definisce l’Errore dell’Occidente: la credenza che l’essere possa venire dal nulla ed andare al nulla (divenire). Se le fasi della civiltà occidentale sembrano essere definite dal passaggio dalla concezione della finitezza e limitatezza a quella della infinitezza ed illimitatezza astratte (all’inizio della modernità), questa modernità dimezzata sembra ora ritornare drammaticamente a se stessa ed al suo tentativo di fondere nell’assoluto dell’immanenza – l’assoluto del potere quale volontà di potenza – potere economico, sociale e politico (quindi anche accademico), secondo una mai sopita tendenza imperiale e gerarchica, ora materialmente totalmente e totalitariamente dispiegata. Non è allora certo con un regresso ad un originario che sembra immobilizzare e fondere insieme evento e disposizione, per ricreare le condizioni di un mondo unico (ancora e di nuovo platonico-aristotelico), sferico nella sua oscurità (caoticità) ma puntuale nella volontà di assumerlo per il tramite delle reti (di relazione o di comunicazione). Solamente un salto di civiltà nella moltiplicazione innumerabile dei mondi bruniana – e nei concetti che razionalmente richiede ed articola – può procedere oltre e superare le contraddizioni insanabili della concezione classica e tradizionale occidentale. Rimanere al di qua significa perdersi e perdere forse l’intera umanità, oltre che la natura stessa (almeno di questo pianeta). 

Ma cadiamo ora dall’alto dei cieli alla terra anche delle teorizzazioni fisiche. Perché associare nel lato dell’apparente dualità immaginativo-razionale chiamata natura alla concezione bruniana la teoria delle stringhe? È effettivamente possibile farlo? Perché associare nel lato dell’apparente dualità immaginativo-razionale chiamata anima la teoria dell’inconscio come insiemi infiniti (Matte Blanco)? È effettivamente possibile farlo? O non sono entrambe un tentativo ancora di tenere insieme, ma per capi opposti, infinito e finito? Un tentativo di accettare o far valere un’ipotesi di normalizzazione che ci tolga dalle spine dell’infinito, dell’infinito che duplica se stesso riprendendo continuamente una parte naturale quale creatività spontanea, per riagganciarla ad una forma che noi chiamiamo razionalità ed è la risospinta verso l’apertura e la creatività stessa. Questo è il dubbio che ho e la domanda che mi e le rivolgo. Che rivolgo soprattutto a Lei, per la parte della teoria fisica.

Da completo e certo mal calzato ignorante, infatti, avevo avvertito una particolare sensazione di interesse per la teoria delle stringhe, durante la lettura di un non troppo recente articolo comparso su di un numero della rivista <<Le Scienze>>. Naturalmente la lettura fu superficialissima e frettolosissima: tanto più frettolosa e superficiale, quanto più il contesto ed i termini teorici si avvicinavano per me all’aramaico antico o ad altra lingua e mondo perfettamente sconosciuti. Nello stesso tempo però quella lettura lasciò in me il desiderio di saperne di più: della teoria stessa e di Lei, che se non sbaglio veniva citato nell’articolo in questione come l’inventore della teoria stessa. Probabilmente l’interesse per ricerche ulteriori mi proveniva dal fatto che dovevano essere citati nell’articolo alcuni richiami a fisici antichi (Pitagora, Parmenide, Empedocle, Eraclito): gli stessi che combinavo insieme quali fonti o possibili riferimenti argomentativi del pensiero bruniano, nel tentativo di congiungere il pensiero dei primi naturalisti sull’infinito alle forme dialettiche immediatamente successive (che forse a quell’infinito volevano dare forma e limitazione logica). Come che sia, non diedi soddisfazione a quel mio desiderio – per mancanza di tempo o per riorientamento ad altri temi di ricerca.

Fu di nuovo allora l’incontro provvidenziale e fortuito con la recensione di un volume scritto da un suo allievo – Maurizio Gasperini – nel quotidiano <<L’Unità>>, scritta da Pietro Greco nell’autunno del 2002 (21 ottobre 2002) e da me letta nell’estate di quest’anno, a fornirmi la scintilla per un possibile incontro fra Bruno e la teoria delle stringhe. E dunque per il desiderio di inviarle il mio libro, appena uscito per la E.S.I. di Napoli. Il testo dell’articolo è quello che allego alla presente lettera.

In particolar modo mi colpì quella che per me era la conferma di un possibile passaggio di fase: forse la fisica attuale decideva di compiere il salto da una civiltà – quella della linearità determinativa (il Big Bang quale ultima figura della fenomenologia di uno spirito scientifico fondato sulla distinzione capitale aristotelica fra atto e potenza) – per accedere finalmente ad un presupposto – magari inconsapevole – identico a quello bruniano, prima delineato? Il brano dell’articolo che focalizzò la mia attenzione era il seguente:

 

"Prima del Big Bang, sostiene matematica alla mano Gabriele Veneziano, esisteva un mare in bonaccia: il vuoto quantistico.  Ora la calma piatta di questo particolare vuoto non è assoluta.  Piccole onde di energia lo increspano.  Queste onde propagano e spesso si urtano. Talora le onde si fondono, per formarne una più grande. Una volta l'onda che ne è risultata è diventata molto grande da assumere dimensioni simili a quelle del nucleo di un atomo. Ma l'energia che conteneva era tale che l'onda ha iniziato a collassare su sé stessa, precipitando in un abisso sempre più profondo e denso e caldo.  Nel medesimo tempo quel buco nero ha accresciuto le sue dimensioni, generando nuova energia con un processo che i fisici chiamano di infiammazione.  Raggiunte le dimensioni di un millimetro circa  il  buco nero non ha più retto ed è esploso.  Dando luogo Big Bang. Al nostro universo.  E alla sua storia."

 

La struttura qui delineata, infatti, richiama con identica delineazione di confini e funzioni la disposizione e l’articolazione reciproca di tre concetti teologici bruniani, esposti nel testo Lampas triginta statuarum (Wittenberg, 1587). I concetti sono quelli di Chaos, Orco e Notte. La corrispondenza fra Chaos e vuoto quantistico credo sia facilmente ravvisabile. L’Orco bruniano è parimenti un abisso alto, profondo ed elevato, che muove a sé la materia (una specie di sole nero alchemico, quale è presente nella figura di Dürer: Melencolia I). La Notte resta a ricordare l’impregiudicata libertà creativa dell’Universo bruniano. Come si può riconoscere da questa articolazione – parallela a quella dei termini teologici in chiaro di Padre (Mente), Figlio (Intelletto) e Spirito (Amore) – questa successione dispone una figura immaginativo-razionale in ascesa particolare, che cerco di disporre qui sotto.

 

  

 Come può facilmente vedere si delineano due diversi ambiti: l’uno superiore, della ragione e della sua molteplicità (le ‘acqui superiori’ bruniane); l’altro inferiore, della natura e del desiderio, con la propria relativa molteplicità (le ‘acqui inferiori’ bruniane). Però le due molteplicità sono unite verticalmente proprio dallo stabilissimo moto metafisico bruniano: il desiderio ed il suo movimento originato dalla combinazione di una distinzione ed un’apparente opposizione infinita, sempre aperta. L’infinito della liberta – l’orizzonte aperto ed infinito superiore – che viene perseguito dall’infinito dell’eguaglianza, attraverso l’infinito dell’amore. Qui vede il teologico bruniano ed il suo politico. Ma può vedere forse anche il suo etico-fisico. Nel mio testo di Napoli troverà come Bruno – pur con gli elementi della vecchia fisica aristotelica – componga un universo completamente nuovo, creativo e dialettico (attraverso l’etere e la composizione reciproca degli effetti-cause fra astri solari e pianeti terrestri). Questa è la localizzazione della struttura bruniana negli argomenti più strettamente naturali. Ora è mio compito futuro aggredire i tre Dialoghi Morali, di nuovo ed a partire dalle loro Epistole esplicative iniziali, per definire e determinare la localizzazione della medesima struttura nel campo etico-politico o, se vuole, morale-religioso.

La coincidenza dello spazio-tempo immaginativo fra la speculazione di Bruno e la teoria delle stringhe mi sembra affascinante …

Prima di iniziare e portare a compimento questa lettera – che ora le spedisco – ho infatti cercato di risolvere almeno per un poco la mia ignoranza a proposito della sua teoria, per non offrirle un accostamento completamente strampalato. Ho per questo usato un programma di ricerca dei siti più interessanti al proposito ed ho scovato il sito dall’indirizzo http://superstringtheory.com/ Qui ho cercato prima di leggere la parte storica e quella relativa alle interviste ai fisici della teoria, per poi passare alla parte degli insegnamenti di base. Nella prima parte mi ha colpito molto l’affermazione per la quale sembra che vi sia nella fisica più recente ed in quella prospettata per il futuro un passaggio: dal ‘finite-dimensional’ all’'infinite-dimensional’. Questo mi richiama la moltiplicazione dei mondi bruniana: non so ancora in che senso, ma forse a questo potrebbe rispondere Lei, dopo avere letto il mio libro e dopo averlo confrontato con l’architettura della sua teoria. Poi. Nell’intervista di Patricia Schwarz a Jim Gates ho goduto molto degli esempi facili e chiarificatori a proposito delle proprietà dei fermioni e dei bosoni. Ho riflettuto un poco su questa intervista ed ho pensato che ai primi sembra essere applicato il vecchio principio di discendenza aristotelica e poi credo kantiana dell’ininvasività reciproca dei corpi nel medesimo spazio. Ai secondi veniva invece applicata una logica apparentemente non aristotelica. Noti il parallelo con Matte Blanco e l’assegnazione all’inconscio di una logica diversa, poi tradotta nel finito ad essere di nuovo quella ‘normale’, aristotelica. Mi è sembrato di capire che si volessero mantenere due opposti fra di loro inconciliabili e contraddittori e che si volesse in qualche modo considerare una posizione mediana fra i due estremi, all’interno della quale v’è energia che si comporta da materia ed all’opposto materia che si comporta da energia. Ma non sarebbe opportuno risolvere la questione, magari appunto procedendo al dissolvimento di quella che mi sembra una vecchia e superata concezione puntualistica, oggettuale, della fisica (particella) per passare ad una fisica di relazione, dove il concetto utilizzabile sia quello di energia (potenza della materia)? Nella parte dedicata dal sito in questione agli insegnamenti di base sono riuscito a comprendere solo i primi concetti avanzati – ho infatti superato, moltissimi anni fa, degli esami di Analisi I e Fisica I – poi ho cercato di andare ad intuito, seguendo bene o male le affermazioni sintetiche per me più chiare (e tralasciando le formule). Qui però mi sono nate delle domande. La fusione fra la teoria relativistica (forza: gravità) e la meccanica quantistica (campo quantistico) sembra essere data – se ho capito bene - dal gravitone: un corpo di massa zero e due unità di spin. Badi che non conosco il significato di quest’ultimo termine. Però nel sito si parla di dualità: questa dualità ha a che fare con la dualità di logiche prima indicata? Deve imporre un salto verso una diversa e nuova dualità, quale quella bruniana, che non accoglie l’infinito ed il finito per comporli insieme, ma pare procedere verso un doppio infinito?

 

 

Poi, ancora. A proposito dei diagrammi di Feynman, si parla di “creazione ed annichilazione di particelle virtuali da uno spazio essenzialmente vuoto”. Non si potrebbe accostare questo spazio al luogo occupato dal Chaos bruniano? Io traduco questo spazio come una tensione verso il punto di contatto, all’orizzonte delle due molteplicità. L’opposizione fra elettroni sarebbe allora sostituita dall’opposizione infinita bruniana, ma la logica sembra essere la stessa. Naturalmente mi scusi se questa le possa parere una mera e semplice suggestione … Questa tensione deve essere identificata con la “tensione di stringa”? A proposito del “quantum loop calculation”, ho avuto di nuovo la sensazione che la ricerca scientifica volesse di nuovo rifuggire l’infinito, perché luogo e motivazione di impredeterminabili: la “rinormalizzazione” non è forse il desiderio di ricadere nella logica della finitezza? E la “tensione di stringa” riempie allora questa logica? Ho la sensazione che vi sia molto della fenomenologia (Husserl, Heidegger), quale sottofondo concettuale (presupposto) che cerca di mediare infinito e finito, lasciando l’infinito sullo sfondo, ma quasi non utilizzandolo. In questo contesto e tentativo l’eliminazione dal proprio orizzonte concettuale della “zero-distance” – o meglio la sua sospensione (vede, di nuovo la fenomenologia!) – punta alla sospensione del concetto di particella e di puntualità – sia essa dotata di massa o meno – e quindi si cerca di eliminare il concetto di spazio tridimensionale e di corpo classico? Il tempo resta un incluso, che per il momento viene accantonato? Per superare Einstein andando in una direzione opposta? Anch’io - nella mia ignoranza abissale della fisica - ho la sensazione che la disposizione voluta dal fisico tedesco sia datata, rispetto al concetto di campo e delle forze ad esso associate. Mi sembra che vi sia del prospettivismo antico e quasi medievale nella sua concezione, quasi un residuo della vecchia metafisica della luce. Ma andare nella direzione opposta vuol dire appoggiarsi ad una sospensione dell’infinito? Sarà questa sospensione feconda? Non sarebbe invece opportuna la ricerca di una logica di un doppio (se non triplo) infinito? Un infinito interno capace di riproiettare la sua prima forma iniziale sulla successiva e superiore.

Che relazione potrebbe avere la speculazione di Giordano Bruno nello sviluppo logico di questo infinito? Questa potrebbe essere una linea di ricerca futura: una linea di ricerca che potrebbe utilizzare un testo bruniano composto dal pensatore nolano l’anno successivo all’anno di pubblicazione della Lampas triginta statuarum. Nel 1588 infatti Giordano Bruno pubblica a Praga il volume intitolato Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos. Nella semplice premessa introduttiva al testo Bruno da l’idea di avere studiato, sintetizzato ed analizzato in profondità gli Elementi di Euclide. Per fondare – attraverso il suo nuovo concetto dell’infinito – una nuova geometria? Questa è stata la domanda che mi aveva spinto dopo la laurea ad iniziare la lettura, traduzione, studio e commento analitico del testo bruniano (come potete vedere dal curriculum personale che accludo a questa lettera). Questo progetto di studio si è però arenato alla conclusione dello studio del Libro I degli Elementi ed alla traduzione della sola introduzione del testo bruniano. Non dispero, tuttavia, di poter riprendere in futuro queste ricerche, che mi hanno condotto tra l’altro alla costruzione – purtroppo solo iniziata - di solidi geometrici platonici (Timeo, 20) diversi (subito alla terza dimensione) dalla loro tradizione, appunto euclidea. 

Ritornando alle pagine del sito dall’indirizzo http://superstringtheory.com/ e che riguardano le conoscenze basilari ed avanzate, in particolar modo leggendo la pagina che tratta della differenza fra stringhe aperte oppure chiuse, mi chiedo se questa differenza deve essere fisicamente collegata alla possibilità di avere enti stabili (stringhe solo chiuse = fermioni), oppure enti trasformabili in energia (stringhe anche aperte). Se così è, mi viene in mente come la natura possa procedere e sorpassare entità stabili, da lei precedentemente costruite, attraverso entità ancora instabili: aperte alla trasformazione e con una potenzialità creativa interiore che non fissa una finalità od uno scopo. Mi sbaglio? Si tratta semplicemente di una suggestione grezza e brutale? Ma se non mi sbaglio questa sembra essere il quadro ed il contesto della teoria della supersimmetria. Allora nella mia visione i bosoni con la loro carica creativa sono superiori ai fermioni, con l’impossibilità di trasformarsi interiormente. Infinito e finito ancora a congiungersi?

Il movimento-destro ed il movimento-sinistro hanno possibilità di profondità diverse (maggiore per la sinistra, minore per la destra)? Questa domanda può sembrare strana, ed è fatta seguendo il piano immaginativo-razionale personale, cresciuto all’ombra dei personali studi filosofici, però tenendo presente un quadro di riferimento fondamentalmente platonico-aristotelico (non bruniano, o non completamente bruniano). Questa duplice ed opposta movenza mi richiama però anche il creativo e dialettico del rapporto cosmologico bruniano (astri solari – pianeti terrestri), come può essere riconosciuto nel volume a voi inoltrato: nello stesso tempo ciò che viene definito ‘fantasma’ mi richiama alla mente – ma non ne conosco in modo consapevole e ragionato la motivazione – l’invenzione dei numeri immaginari in pieno Rinascimento italiano (insieme alla nozione delle ‘potenze latenti’). Poi: nel passaggio progressivo dalla teoria bosonica alle quattro dimensioni si assiste contemporaneamente alla riduzione concorrente delle possibilità d’infinito? O meglio: dalla possibilità d’infinito si passa ad una possibilità di finito sempre più chiusa e limitata? Da una explicatio infinita ad una complicatio che chiude definitivamente il tempo all’interno del concetto tradizionale di corpo (nel medesimo luogo un’unica immagine e figura di contenuto)? Dove avviene questo passaggio, a che livello: o, con quali caratteristiche e proprietà prestabilite? Un rilievo importante, che forse potrà sembrarle interessante: nella speculazione di Giordano Bruno – sin dal testo della Cena de le Ceneri – assume un’importanza centrale la nozione di relazione in movimento. Questa tradizione platonica tocca anche la sua definizione di stringa? Mi sembra un inserto neoaristotelico inserire la gravità nel momento del passaggio alla supersimmetria (bosoni e fermioni in egual numero): perdonatemi questa suggestione …. È come se dal cielo dell’infinito passando alla terra del finito cominciasse a farsi valere ciò che aggrega un corpo. Di nuovo dunque compare il passaggio e la richiesta delle sue modalità: l’eterotico è ciò che lo stabilisce? L’etere aristotelico nella tradizione neoplatonizzante di Marsilio Ficino valeva come copula mundi: unità di un doppio movimento, dall’alto a discendere, dal basso a salire. ÄÅ

La dualità sta allora – mi sembra di capire – in questo doppio movimento: dove un numero maggiore di gradi d’infinito sta nella parte superiore (teoria bosonica), rispetto al processo di inclusione progressiva delle dimensioni nel finito (teoria fermionica).  Però , nello stesso tempo, mi sembra di capire dalla lettura degli argomenti presenti nel sito relativi alla spiegazione della T-dualità, la connessione fra le due parti della dualità stessa pare avvenire per opposizione, quasi in una ripetizione dell’opposizione classica ed antica, platonica, fra grande e piccolo. A questo punto però mi sorge una domanda: la nozione di grande distanza viene associata alla applicazione della teoria relativistica ai bosoni, mentre ai fermioni viene associata la teoria quantistica? Grande e piccolo vengono separati in tal modo? Una nuova suggestione analogica prende in questo momento il sopravvento: il modo del passaggio dal grande al piccolo pare ripetere – se non altro dal punto di vista del tentativo di risolvere un problema – il modo attraverso il quale Platone ricercava la mediazione fra mondo delle idee e fenomeni. Qui si inserì la critica di Aristotele e la fase cosiddetta ‘autocritica’ dell’ultimo Platone. Insieme a questa suggestione, però, ed in opposizione a quanto mi pare di avere compreso sorge pure un dubbio, precedentemente presente in un modo più o meno latente: perché non invertire il procedimento, non iniziare associando il piccolo alla parte bosonica?

La connessione data dal dilatone sembra ripetere nella S-dualità la struttura della T-dualità, perdonatemi se sbaglio. Grande però ora è ciò che prima era piccolo (la forza forte), mentre piccolo è ora ciò che prima era grande (la gravitazione). E quest’ultima mi sembra che prenda il sopravvento, quale chiave interpretativa iniziale ed essenziale. Una teoria quantizzata della gravità sposta il piccolo nel grande, quando però il grande stesso pare già avere un piccolo in se stesso.

…. Lo so … non riesco a poter comprendere per sintesi ulteriore – relativamente al livello basico - ciò che mi risulta incomprensibile nella fase analitica, attraverso la lettura per me impossibile delle pagine di spiegazione avanzata, relative alla connessione delle diverse teorie delle stringhe. Forse la lettura del libro di Brian Greene L’Universo elegante – libro che ho da poco acquistato - potrà chiarire almeno qualcuna delle mie molte incomprensioni e dubbi d’intendimento. Così pure il testo di Maurizio Gasperini, L’Universo prima del Big Bang, che però ora pare essere in ristampa. Per questo spero che questo procedimento di ristampa si concluda al più presto. Certo la comprensione effettiva dei problemi relativi alle teorie delle stringhe necessita almeno come base di partenza di una laurea in fisica e matematica: per questo sorvolerò (almeno momentaneamente) le parti del sito in questione che si riferiscono alla matematica, agli esperimenti ed ai buchi neri, per inviare rapidamente questa lettera insieme al mio libro. Spero che quest’ultimo possa essere se non altro un leggero divertimento intellettuale, per menti abituate a ben altra sostanza.   

Nelle ultime pagine del sito in questione – relative alla ricerca di una teoria più profonda e fondamentale – le p-branes mi paiono degli insiemi contenenti, mentre le d-branes degli insiemi limite reciprocamente confinanti le precedenti, e quindi trasversali a queste ultime, quasi come gli intermondi di atomistica memoria (Epicuro). Si sta cercando forse di costruire una forma organica di fisica teorica? In questo caso la lettura del Timeo platonico potrebbe essere un’utile e feconda fonte di suggestioni per la riflessione teorica in generale, se la strutturazione del mondo degli accademici si fondava su sistemazioni geometrico-matematiche, ma pretendeva nello stesso tempo di sviluppare una visione di tipo organico. Mi chiedo se la trasformazione nell’interpretazione dei solidi geometrici platonici da me iniziata possa comportare una visione da subito tridimensionale-organica dello sviluppo progressivo delle determinazioni del mondo platonico. Infine la M-teoria dovrebbe unire la forza nucleare forte e la gravitazione.

Perdonatemi le divagazioni ed i tentativi di semplificazione, effettuati a cagione delle ristrettissime competenze tecniche. Accogliete di buon animo il mio libro e che esso vi sia almeno piacevole alla lettura.

Un cordiale saluto ed un augurio di buone feste,

 

 

…………………………………………..

                                                                                                                                                                                  (Stefano Ulliana).

 

Mittente:

Ulliana Stefano

Via Latisana, 23

33033 Codroipo (Udine); Friuli-Venezia Giulia; Italia.

Tel. 0039-432-900829

Cell. 0039-333-3501509.

E-mail: ulliana1@tin.it